• Non ci sono risultati.

LA REVISIONE COSTITUZIONALE DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE E IL NUOVO ART

2. LA DISCIPLINA DELL’AUTONOMIA FINANZIARIA NEL NUOVO ARTICOLO 119 DELLA COSTITUZIONE

2.5. IL FONDO PEREQUATIVO

Si è detto che nel sistema delineato dal nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione non sono le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali lo strumento per realizzare politichedi perequazione finanziaria al fine di fare fronte alle disuguaglianze nella distribuzione del reddito nelle diverse Regioni. Il nuovo art. 119, al comma 3, indica quale strumento per l’attuazione di tali politiche un fondo perequativo, da istituirsi con legge statale, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante, con funzione di finanziamento ordinario finalizzato in via permanente a compensare le difficoltà finanziarie che mettono a rischio la coesione sociale e gli squilibri di fiscalità esistenti.

L’art. 119 indica nella minore capacità fiscale per abitante il criterio per la individuazione dei territori destinatari delle erogazioni a carico del fondo. Il riferimento alla minore capacità fiscale pro capite varrebbe anche come criterio

136 P. Giarda, Le regole del federalismo fiscale nell’articolo 119: un economista di fronte alla

per la determinazione dell’entità delle erogazioni, configurando così la perequazione da perseguire attraverso il fondo come perequazione puramente finanziaria, ossia finalizzata ad eliminare o ridurre le differenze nella capacità contributiva tra le diverse Regioni. La minore capacità fiscale, però, potrebbe anche essere letta come indice delle minori possibilità di alcuni “territori” di reperire le risorse necessarie per lo svolgimento delle funzioni conferite. La Costituzione non risolve il problema dell’esatto significato da attribuire all’espressione “minore capacità fiscale”, se cioè debba farsi riferimento ad un parametro di ricchezza media oppure alla capacità fiscale della Regione più ricca. La questione, non certo di poco conto, dovrà essere chiarita in via legislativa. Ci sarebbe, poi, il problema pratico di individuare quale debba essere l’organo “accertatore” della capacità fiscale. Logica vorrebbe che questo compito fosse svolto da organi statali e non regionali, potendo questi ultimi essere in vario modo condizionati nello svolgimento di questa verifica. Questo, però, potrebbe ridimensionare il ruolo delle Regioni nell’accertamento tributario, contrariamente a quanto intenderebbe invece fare il comma 2 dell’art. 119 (secondo il quale le Regioni stabiliscono ed applicano tributi propri). Inoltre, la generica indicazione dei territori quali beneficiari dei trasferimenti potrebbe porre qualche problema, consentendo di escludere il livello di governo regionale nelle scelte circa il finanziamento degli enti minori. Questo, insieme alla previsione della competenza legislativa in materia di perequazione delle risorse finanziarie come competenza esclusiva dello Stato, rischierebbe di relegare le Regioni ad un ruolo assolutamente marginale riguardo alla distribuzione delle risorse tra i livelli di governo sub-regionali137.

Circa la questione del modello di perequazione, verticale o orizzontale, scelto dal riformatore costituzionale, secondo alcuni studiosi l’art. 119, nel separare nettamente, tra le risorse ordinarie, i tributi propri e le compartecipazioni da un lato, e le erogazioni a carico del fondo dall’altro, avrebbe optato per uno schema di perequazione verticale, da realizzarsi quindi con trasferimenti di origine erariale138. Ciononostante è da sottolineare come la Costituzione non abbia

effettuato una scelta netta tra i due modi di effettuare la perequazione. In ciò vi è

137 D. De Grazia, cit., pp. 282-283.

un pregio e un difetto. Il pregio è la flessibilità, giacché la disposizione è compatibile col sistema in cui lo Stato eroga finanziamenti direttamente agli enti, senza alcuna intermediazione da parte delle rispettive Regioni, se non nel procedimento volto alla emanazione dei criteri e delle modalità di erogazione. Ma è altresì compatibile con la tesi secondo cui lo Stato dovrebbe trasferire le risorse finanziarie alle Regioni, affinché esse ne effettuino il riparto. L’inconveniente è l’incertezza nella titolarità delle potestà, ossia su chi risieda esattamente la potestà circa la decisione sull’allocazione delle risorse provenienti dal fondo perequativo139.

Inoltre è rilevante accennare brevemente alla soppressione, ad opera del riformatore costituzionale, del riferimento alla valorizzazione del Mezzogiorno e delle Isole, contenuta nel precedente testo dell’art. 119 al comma 3, che prevedeva a tal fine l’assegnazione con legge statale di contributi speciali a singole Regioni. Non sono mancate al riguardo voci di critica140, che hanno rilevato come la questione meridionale, coscientemente posta dal Costituente come questione di “diritto sociale territoriale”, non si risolve eliminandola dalla Costituzione e non considerandola più un problema. Ciononostante è comunque da rilevare come l’assenza della specifica menzione di tali aree non equivale a dire che esse non siano ammesse al finanziamento da parte del fondo perequativo141.

Da quanto esposto sin qui, possiamo quindi rilevare come la perequazione serva a compensare il minor gettito fiscale al quale i vari enti possono attingere, a integrare le minori risorse disponibili per finanziare le funzioni di cui essi sono titolari. Da ciò possono trarsi anche alcuni limiti alla potestà di imprimere una destinazione, un vincolo alle risorse erogate dal fondo. In primo luogo, esse non possono servire a finanziare ulteriori compiti o livelli di prestazioni più elevati rispetto a quelli stabiliti dallo Stato. In secondo luogo, esse vanno tenute distinte dalle risorse aggiuntive alle quali fa riferimento il comma 5 dell’art. 119 Cost., le quali servono, invece, a rimuovere i fattori strutturali di ritardo142.

139 G. Fransoni, G. Della Cananea, cit., p. 2373.

140 T. E. Frosini, Quale federalismo senza il Mezzogiorno?, in Forum dei Quaderni costituzionali,

disponibile alla pagina web www.unife.it.

141 G. Pitruzzella, Problemi e pericoli del “federalismo fiscale” in Italia, in Regioni, 2002, p. 983. 142 G. Fransoni, G. Della Cananea, cit., p. 2372.

Il divieto del “vincolo di destinazione” delle risorse del fondo perequativo, ha una valenza polemica nei confronti della tendenza prevalsa nel periodo meno recente, nel quale il Governo centrale erogava trasferimenti per assicurare alle Regioni, se non l’autonomia, un’adeguata provvista di mezzi, ma ponendo vincoli alla destinazione dei fondi. Pertanto le Regioni non effettuavano scelte autonome, in contrasto con la potestà di gestione autonoma che, secondo la giurisprudenza costituzionale, spettava loro. Nella nuova norma costituzionale si esprime un indirizzo politico di segno opposto, che produce un effetto di tipo proibitivo nei confronti della normazione primaria e secondaria che stabilisca vincoli specifici di destinazione. L’invalidità di tale tipologia di norme è stata rilevata dalla Corte costituzionale, come nel caso delle norme che disponevano il finanziamento degli asili nido mediante le risorse erogate da un apposito fondo statale, ripartite annualmente e discrezionalmente dal Ministero del lavoro143 o delle norme che permettevano allo Stato di finanziare gli istituti di cultura, prescindendo dalle Regioni144. Si deve infine aggiungere che il divieto posto dalla norma costituzionale esplica i propri effetti anche in rapporto alle norme anteriori.

2.6. LE RISORSE AGGIUNTIVE E GLI INTERVENTI SPECALI DELLO