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LA PARALISI FINANZIARIA DEGLI ENTI TERRITORIALI: L’(IN)ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO DI FRONTE LA CRIS

COSTITUZIONALE DEL

1. LA PARALISI FINANZIARIA DEGLI ENTI TERRITORIALI: L’(IN)ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO DI FRONTE LA CRIS

ECONOMICA

Una delle cause dell’arresto del decentramento può essere rinvenuta nella crisi economica scoppiata nel 2009 e che ha travolto taluni Paesi dell’Unione Europea, conducendo gli stessi ad adottare drastiche misure economiche. Tali misure prevedono un generale taglio al settore dell’acquisto pubblico di beni e servizi (cosiddetta Spending Review) nonché una forte diminuzione delle risorse necessarie per l’attuazione dell’autonomia finanziaria.

E’ evidente pertanto come il contesto di crisi economica ha portato negli ultimi anni, in Italia come in altri Paesi dell’Unione Europea, all’adozione di diverse manovre economiche che hanno ridotto drasticamente i trasferimenti da parte dello Stato alle entità territoriali.

In Italia tale diminuzione delle risorse finanziarie ha avuto inizio nello stesso periodo in cui si dava attuazione al principio di autonomia finanziaria delle entità territoriali contenuto nella legge n. 42 del 2009. Difatti, contemporaneamente all’adozione di una delle prime importanti manovre finanziarie che prevedeva la progressiva riduzione dei trasferimenti necessari per l’attuazione dell’autonomia finanziaria, veniva approvato il primo decreto legislativo di attuazione della l. n. 42/2009, cioè il suddetto d.lgs. 85/2010, relativo alla cessione del patrimonio pubblico demaniale da parte dello Stato agli enti territoriali. Il riferimento è alla manovra dell’estate del 2010 (Governo Berlusconi) che prevedeva una riduzione dei trasferimenti pari a 8,5 miliardi di euro (più o meno il 60% dell’intera manovra economica del 2010). Una netta inversione di tendenza, dunque, rispetto ai proclami che avevano accompagnato l’approvazione, appena un anno prima, della legge n. 42/2009209.

Le manovre economiche degli anni seguenti, come in passato, hanno riproposto modelli centralistici facendo ricadere sugli enti territoriali molti degli squilibri della finanza pubblica, obbligandoli a scegliere tra una drastica diminuzione dei servizi ai cittadini ed un consistente incremento della pressione fiscale e

209 G. M. Gallerano, Autonomia finanziaria, costituzione e welfare territoriale: l’esperienza

tributaria210. Inoltre, il lungo iter previsto per all’attuazione del federalismo fiscale, dall’approvazione dei decreti legislativi a quella degli innumerevoli atti sub-legislativi, ha “agevolato l’inserimento delle manovre finanziarie succedutesi nel corso del tempo, dettate da indifferibili esigenze di coordinamento della finanzia pubblica. Le manovre si sono infatti incuneate all’interno di un processo di attuazione ancora non completato, facendo leva sulla competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica”211.

A sostegno di quanto sin qui affermato basti richiamare i provvedimenti del c.d. Governo “tecnico” Monti (secondo della XVI legislatura) nel 2011 in seguito alla lettera della Banca Centrale Europea (BCE).

E’ proprio a partire dal 2011 e, in particolare, dopo tale lettera della BCE dell’Agosto dello stesso anno a firma Draghi - Trichet sulla situazione economico-finanziaria dell’Italia, che la legislazione nazionale si è fortemente concentrata sull’adozione di misure anti crisi per il contenimento della spesa pubblica.

Già nel Luglio 2011, poco prima della lettera citata ma quando la situazione economica del Paese cominciava a peggiorare, è stato adottato il decreto legge n. 98, contenente “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria” (c.d. Spending Review 1), che affronta diverse questioni, tra le quali: il tema dei costi della politica nazionale e dei relativi apparati e del finanziamento dei partiti politici; il monitoraggio della spesa delle amministrazioni dello Stato, dei loro approvvigionamenti, del patrimonio edilizio pubblico e del pubblico impiego, determinando una serie di tagli, per lo più lineari, alle capacità di spesa della pubblica amministrazione.

Dopo la lettera l’allora Governo Monti ha approvato il decreto legge n. 138 del 2011, convertito in legge n. 148 del 2011 (c.d. Spending Review bis); la legge di stabilità 2012 (n. 183 del 2011); il decreto legge 201 del 2011, convertito in legge n. 214 del 2011, meglio conosciuto come “decreto Salva Italia”. I due decreti richiamati sono stati approvati con l’intento di incidere in maniera significativa

210 F. Bassanini, G. Maciotta, L’attuazione del federalismo fiscale, una proposta, Milano, 2003,

p. 8.

211 C. Tucciarelli, Pareggio di bilancio e federalismo fiscale, in Quaderni costituzionali, N. 4,

sugli enti regionali e territoriali, sia sul versante della rappresentanza, sia sul versante del superamento dei Comuni più piccoli, in un’ottica di contenimento della spesa. Da un lato infatti il decreto n. 148/2011 ha previsto la soppressione di tutti i Comuni fino a mille abitanti, dall’altro il secondo, ossia il d.l. 201/2011, ha introdotto l’obbligo di esercizio associato di tutte le funzioni per i Comuni al di sotto dei 5000 abitanti. Ulteriore elemento riorganizzativo è consistito nel tentativo di sopprimere le Province che non rientrassero in determinati parametri di popolazione e di superficie, il quale non ha trovato attuazione; la normativa di emergenza ha previsto altresì la riduzione del numero dei membri dei Consigli comunali e provinciali, considerando di fatti come elemento di virtuosità finanziaria la riduzione del numero dei consiglieri regionali.

Il decreto “Salva Italia” ha inoltre interferito con il processo di attuazione del federalismo fiscale nelle previsioni relative alla revisione delle aliquote locali IRPEF e all’anticipazione in via sperimentale dell’Imposta municipale unica (IMU). Per quanto riguarda le aliquote IRPEF, il decreto non interviene sulle aliquote più alte dell’IRPEF nazionale ma inasprisce l’aliquota “territoriale” tramite l’aumento automatico delle addizionali per tutti gli scaglioni di reddito (aumento dello 0,33% dell’aliquota base delle addizionale regionali) senza alcuna possibilità di intervento da parte delle Regioni.

Inoltre, l’anticipazione sperimentale dell’IMU, imposta propriamente “autonoma” già prevista dal citato d.lgs. n. 23/2011, viene suddivisa dal decreto in due quote, una comunale ed una statale, perdendo, così, la sua natura di tributo federale. Il gettito che deriva da tale imposta, difatti, solo in parte viene destinata ai Comuni; sugli immobili diversi dalla prima casa la quota IMU viene divisa tra Comune e Stato in modo tale che a quest’ultimo vada una grossa fetta dell’imposta. Una simile impostazione del tributo pertanto destina buona parte del gettito allo Stato attribuendo, tuttavia, la responsabilità della maggiore tassazione nei confronti dei cittadini alle entità locali212.

Queste misure appena analizzate mettono in discussione gli stessi enti territoriali; ciò lo si evince anche dalla battuta d’arresto sul piano tributario dell’autonomia

212 Sul decreto “Salva Italia” vedi G. M. Salerno, Che fine farà il federalismo fiscale, in

finanziaria subita nell’arco di questi anni: in Italia, dal 2008 al 2013, sono state ridotte le risorse degli Enti locali del 45% per un totale di 33 miliardi di euro. Inoltre la legge n. 183 del 2011, di stabilità per il 2012, ha imposto nuovi tagli alle spese regionali e locali e ha modificato ulteriormente il patto di stabilità interno, rendendolo estremamente oneroso per Regioni ed autonomie locali.

2. LE MODIFICHE APPORTATE DALLA LEGGE COSTITUZIONALE