I. CRONOLOGIA E PERIODIZZAZIONE
I.I. STORIA DELLE RICERCHE , VERSO UNA PRIMA PERIODIZZAZIONE
II.3. L E FONTI DELL ’E TÀ DEL F ERRO
Le ricerche archeologico-topografiche degli ultimi decenni hanno evidenziato la presenza di numerosi insediamenti databili all’Età del Ferro, distribuiti tra l’attuale Sultanato dell’Oman e gli Emirati Arabi185. Nonostante l’acquisizione di nuovi dati archeologici continui ad evidenziare una società dotata di una propria identità culturale, l’assenza di fonti autoctone priva di un preciso contesto storico tali rinvenimenti.
Le contemporanee fonti assire e persiane invece, seppur esigue, sono indicative. Facendovi riferimento, dobbiamo prima porre particolare attenzione all’evoluzione che il toponimo Makkan assume nel corso del primo millennio.
Come abbiamo accennato in precedenza, a partire dal secondo millennio il toponimo
Makkan scompare dai testi economici cuneiformi mesopotamici, per ricomparire,
dopo oltre un millennio, in Età Neo-assira.
Adesso però gli scribi babilonesi utilizzano il toponimo per indicare una ben diversa regione geografica, non più corrispondente a quella del terzo millennio: Magan è chiaramente sinonimo di Egitto, e Meluhha di Nubia/Etiopia. La proposta di Lansberger per spiegare il trasferimento da Est verso Ovest dei due toponimi
184 POTTS 1986, 275-285. 185 POTTS 1990, 354-375.
(Magan/Meluhha), ovvero dall’Est asiatico verso l’Est africano, è la più accreditata186.
Egli teorizza che ciò sia potuto avvenire sulla base del fatto che l’Egitto e la Nubia diventano adesso fornitori degli stessi beni esotici precedentemente provenienti da Est, cioè dal Golfo (ed oltre)187. D’altro lato, l’analisi fatta da J.F. Salles suggerisce che i toponimi Magan e Meluhha continuino comunque a designare l’Oman e la Valle dell’Indo, oltre all’Egitto e all’Etiopia/Nubia; avviene così che negli annali di Assarhaddon e di Assurbanipal i quattro termini (Magan, Meluhha, Egitto, Nubia/Etiopia) siano citati ed usati indifferentemente, confondendo un’entità geografica con una realtà politica188.
L’imparzialità espressa dalle fonti, nell’uso dei toponimi, va inquadrata all’interno dell’ideologia imperiale assira: centralizzatrice e disinteressata verso una ‘periferia’ produttrice di materie prime, probabilmente carente di conoscenze geografiche adeguate verso le regioni più remote, esportatrici di beni di pregio. Il fattore tempo, del resto, ha fatto la sua parte. Per circa un millennio le fonti tacciono sul commercio con il Golfo; da questo silenzio si deduce una ‘chiusura’ della Mesopotamia meridionale verso le rotte commerciali Sud orientali.
Dopo la scomparsa di Magan, Dilmun ha di nuovo un ruolo di primo piano nell’esportazione del rame per circa due secoli - all’inizio del secondo millennio189 -, periodo dopo il quale viene di nuovo eclissato nei testi economici. L’ultimo documento di cui siamo a conoscenza sull’esportazione del rame di Dilmun (ovvero del rame di Magan), si data intorno alla seconda metà del diciottesimo secolo190. Il lento declino di Dilmun è dovuto ad una serie di eventi bellici in Mesopotamia, che portarono a mutamenti repentini anche nei rapporti commerciali con l’Est; la città sede del porto principale di entrata del rame proveniente dal Golfo, Ur, subisce una serie di scacchi: prima relegata a porto secondario da Rim-Sin, a favore di Larsa
186 Ciò nonostante, l’argomento non si esaurisce completamente in questa direzione. All’imparzialità
delle fonti neo-assire (e all’apparente oblio dell’area geografica del Golfo Persico), non corrisponde d’altro lato una completa disinformazione della ‘geo-politica’ dell’Africa orientale. Cfr. SALLES 1989, 73-74, a proposito della stele di Zincirli e delle ipotesi di interpretazione.
187 Cfr. POTTS 1982. 188 Id., 67-126.
189 OPPENHEIM 1954, 13-17. 190 Cfr. MILLARD 1973, 211-214
(ca.1794), poi distrutta da Rim-Sin II, a seguito di una serie di rivolte nella piana, evento dopo il quale la zona viene lentamente spopolata191.
Per quanto concerne Magan, si pensa che dei mutamenti negli equilibri economico- politici tra le regioni del Golfo si siano verificati dopo la caduta della dinastia di Ur (forse imputabili alla ricerca di una supremazia sulla gestione delle risorse); ma la dinamica di questi cambiamenti ci sfugge.
Dalla prima metà del secondo millennio, la Mesopotamia si rivolge ad altri mercati per i beni di pregio prima provenienti dal Golfo: il rame è importato dall’Anatolia e da Cipro, grazie alla conquista di tutto il medio Eufrate da parte di Hammurabi, che facilita l’accesso verso le miniere di rame della Turchia centro orientale192.
L’’antica’ Makkan, ovvero l’area geografica identificabile con almeno una parte della penisola omanita, non scompare però dall’orizzonte mesopotamico, perché dall’Età Neo-Assira fino al periodo Achemenide, il nome accadico che la rappresenta è Qadê193. La corrispondenza di Qadê con la Makkan del terzo millennio è stata possibile grazie all’iscrizione reale trilingue presente sulla tomba di Dario a Naqs-i Rustam194. In questo documento, l’accadico Qa-du-ú trova equivalenza nell’elamita Máš-sí-ya-ra/ap e nell’antico persiano Makā. L’iscrizione è suffragata da altri due testi provenienti da Susa195: la versione accadica dell’iscrizione di Dario ed il documento costitutivo del medesimo (521/486 a.C); inoltre, dall’iscrizione presente nella tomba di Artaxerxes II (o III) a Persepoli proviene l’etnico lúQa-du-ma-a-a (forma aramaica).
Stabilita l’identificazione, il testo più emblematico relativo alla penisola omanita durante l’Età del Ferro è costituito dalla lastra di Ištar, proveniente dal tempio della divinità a Ninive e recante un’iscrizione celebrativa di Assurbanipal196.
Datata sulla base del testo al 640 a.C., la lastra contiene l’enumerazione dei sovrani di quelle regioni che portano il loro tributo al re; tra le righe 132-137, preceduto dai nomi dei re di Dilmun e di Kuppa197, si menziona che:
191 Cfr. CRAWFORD 1996, 13-22. 192 Cfr. CRAWFORD 1996, 15-17. 193 POTTS 1985a, 81-82.
194 L’equivalenza di Qadê con Mačiya/Makā fu già dedotta nel 1911 dal Weissbach; cfr. F.H.
Weissbach, Die Keilinschriften am Grabe des Darius Hystaspis, Abh.d. Königl. Sächs. Ges. D. Wiss.,
Phil.-Hist. K1. XXIX(1). Berlin, 24; cfr. R. Boger, Review of S. Parpola, Neo-Assyrian toponyms, Zeitschrift für Assyriologie, 62, 1972, 134-137.
195 POTTS 1985a, 82
196 cfr. R.C.Thompson and E.L. Mallowan, 1933, The British Museum excavations at Nineveh, 1931-
‘Padê, re della terra di Kadê, che vive nella città di Iskê, della quale nessun re ha mai percorso i confini dell’Assiria, ha intrapreso un viaggio di sei mesi per giungere a Ninive per rendere omaggio ad Assurbanipal’198.
Per le esplicite menzioni, l’iscrizione è una delle pietre miliari nella ricostruzione della storia omanita. Ciò è stato tuttavia possibile quando, a metà degli anni ottanta - oltre cinquanta anni dopo la pubblicazione del testo - il Potts, ponendo l’accento su alcuni punti trascurati, ha tratto importanti osservazioni. L’iscrizione indica il nome della città in cui vive e da cui proviene Padê: Iskê. Fedele alla trascrizione fatta da Zadok199, fermo restando che il nome sia rimasto inalterato fino ai nostri giorni, egli identifica la Iskê del testo con la moderna cittadina di Izqī, ubicata nell’Oman centro settentrionale; si avvale inoltre di un’informazione tratta dal Wilkinson200, secondo la
quale le tradizioni locali ritengono la città di Izqī la più antica dell’Oman. Particolare rilevanza è data inoltre al nome Padê; data la sua natura semitico-occidentale, il campo di indagini relativo alla collocazione della terra di Kadê sembra restringersi all’Oman orientale. Differentemente dal toponimo del terzo millennio Makkan, applicato spesso imparzialmente alle due regioni dell’uno o dell’altro lato dello stretto di Hormuz (Oman e Iran Sud occidentale), nell’Età del Ferro è poco probabile che Kadê rappresenti parte della terra di Makran, dove un re veste un nome semitico piuttosto che iranico o elamita201.
Sulla base della rilettura dell’iscrizione di Dario a Persepoli, la più antica attestazione in antico persiano del toponimo Makā si data al 518 a.C202. Gli abitanti di questa terra sono chiamati Mačiyā. Un argomento interessante è il carattere ‘Indiano’ che viene attribuito a questa popolazione, sia nelle rappresentazioni dei rilievi achemenidi (dove sono geograficamente ritratti), sia nella posizione della terra di Makā all’interno delle liste enumerative delle satrapie – dove è inserita come una sottoregione dell’India203 . I tre casi noti di rappresentazione, in ognuno dei quali i Mačiyā appaiono similmente alle persone ‘Indiane’, sono la tomba di Dario II a Persepoli, la base della statua di
197 OPPENHEIM 1954, 17. 198 POTTS 1985a, 81-82.
199 POTTS 1985a, 82; POTTS 1985b, 75. 200 WILKINSON 1983, 189.
201 POTTS 1985a, 82; cfr. anche GLASSNER 2000. 202 POTTS 1985a, 84.
Dario a Susa, la stele di Shallūfa - che commemora la costruzione, operata da Dario I, del canale di collegamento tra il Nilo e il Mar Rosso.
Nel primo caso, l’associazione avviene sulla base della stretta somiglianza del tipo di abbigliamento (torso nudo, corto gonnellino ripiegato, spada corda indossata tramite tracolla su una spalla); nella statua di Dario a Susa, una serie di ventiquattro personaggi ritratti in stile egiziano (perché la statua fu probabilmente commissionata in Egitto), con il loro nome scritto in geroglifico, all’interno di un cartiglio sovrastato dalla figura inginocchiata di un Mačiyā. Rilevante è la posizione della ventitreesima provincia, Makā, alla quale succede l’India; entrambe sono rappresentate da personaggi che indossano vestiti analoghi (lievi differenze nel vestiario sono attribuite alla volontà dell’artista nell’interpretare una diversificazione dei due personaggi). Nella stele di Shallūfa i Mačiyā sembrano raffigurati secondo la stessa iconografia, ma le condizioni frammentarie del manufatto non permettono una chiara distinzione204.
Gli stretti contatti testimoniati durante l’Età del Bronzo tra queste due entità geografiche –penisola omanita e India – e poi ‘celati’ forse dalle fonti205, sembrano continuare ad esistere fino in epoca moderna, su piani diversi da quelli possibilmente interpretabili dall’epigrafia e dall’archeologia. All’interno di un apparente disinteresse delle fonti e della parziale documentazione a nostra disposizione è forse sostenibile tenere in considerazione questa evoluzione-continuità dei rapporti.
In epoca storica, l’“equazione” Oman-India deriva da una forma di assimilazione dovuta alla concomitanza di più fattori che, sembra chiaro, non concernono l’appartenenza politica.
Baami (d. 974) scrive che gli Arabi (della penisola Araba interna) consideravano l’Oman una parte dell’India; poiché ciò non era dovuto ad una reale acquisizione politico-territoriale, l’importanza di questa affermazione risiede nel fatto che l’Oman appariva come tale. Una motivazione probabile derivava, come sopra accennato, dalla concomitanza di elementi quali il tipo di vestiario, il tipo di armi, il tipo di dieta alimentare - se non la numerosa presenza di indiani sul territorio – che, agli occhi degli Arabi dell’interno sembravano indiani206.
204 POTTS 1985a, 83-85.
205 Cfr. a questo proposito POTTS 1993. 206 POTTS 1985a, 83.
Oltre ai rilievi ed alle iscrizioni achemenidi, il popolo dei Mačiyā è citato da Erodoto in due differenti contesti. Il primo riguarda la presenza dei Mačiyā (chiamati Mykoi) nell’esercito di Serse I nel 480 a.C.; il secondo concerne una citazione delle venti satrapie dell’impero Persiano sotto Dario (tratta da Scylax di Caryanda e da un frammento di Ecateo di Mileto)207.
207 Id., 85. cfr. anche J.-F. Salles, La circumnavigation de l’Arabie dans l’Antiquité classique, in J.-F.
Salles (éd.) L’Arabie et ses mers bordières. I. Itinéraires en voisinages, Maison de l’Orient, n°16, Lyon, 1988.
III. L’ARCHITETTURA
Quando nel 1985 P. Lombard scriveva la sua tesi di dottorato, la conoscenza dell’architettura domestica nell’Età del Ferro si basava essenzialmente sugli unici insediamenti indagati di Hili 2 e Rumeilah. Questo lavoro208 risulta ancora oggi un
modello rilevante sull’argomento, e l’insediamento di Hili 2 continua a rappresentare un sito di riferimento per la ricostruzione di un’architettura domestica - principalmente per lo stato di conservazione degli alzati e delle infrastrutture relative. Nel Sultanato dell’Oman e negli Emirati, la rapida modernizzazione cominciata negli anni settanta - conseguentemente alle entrate derivate dalla vendita del petrolio – ha trasformato in circa venti anni un paese proiettato nel Medio Evo ad uno tecnologicamente rapportabile alle nazioni del ventesimo secolo. Una prima conseguenza è stato l’abbandono delle case tradizionali – causata principalmente dall’introduzione e dal bisogno indotto di energia elettrica - per edifici in cemento armato.
Lo studio degli insediamenti tradizionali presenti sul territorio209, applicato allo studio derivato dalle ricerche archeologiche, può apportare informazioni su un’architettura, soprattutto domestica, che nelle linee essenziali dovrebbe aver mantenuto dall’antichità un carattere conservatore, dovuto alla primaria necessità di adattamento umano alle condizioni climatico-ambientali.
Le case tradizionali (in crudo210 e/o fronde di palma, in muratura di pietre) sottoposte a climi rigidi come nel Sultanato e negli Emirati, avevano la priorità di fornire un riparo che fosse termicamente confortabile; fattori principali al raggiungimento dello scopo erano rappresentati dalla scelta dei materiali costruttivi, dall’orientamento (rispetto alle brezze regionali e stagionali, oltre che rispetto all’insolazione) e dalla configurazione generale del villaggio211.
Nei capitoli successivi presentiamo un’introduzione alla tipologia dei materiali da costruzione impiegati, così come alle strutture, alle infrastrutture ed alla
208 LOMBARD 1985.
209 cfr. COSTA 1985; Kite 2002; cfr. Dostal W., The traditional architecture of Ras al Khaimah (North),
1982, Wiesbaden.
210 Il termine ‘crudo’ si riferisce al materiale di argilla/terra, generalmente impiegata sotto forma di
mattone o di pisè.
organizzazione dello spazio abitativo, in quanto i siti sono singolarmente oggetto di una descrizione più sistematica. Questi ultimi sono esposti in ordine alfabetico.