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FORMAZIONE DEI SUPERVISORI

FASE ANALITICA DELLA RICERCA

ASSISTENTI SOCIALI

III.3.6 FORMAZIONE DEI SUPERVISORI

Molte sono state anche le suggestioni ed i suggerimenti riguardo la formazione dei supervisori. Innanzi tutto si deve sottolineare come una buona esperienza professionale sia assolutamente necessaria alla formazione dei supervisori : per gli intervistati un percorso formativo a loro destinato non può prescindere da una precedente esperienza lavorativa, magari in diversi comparti operativi.

La maggior parte degli intervistati ha individuato nelle sedi universitarie i soggetti gestori del percorso formativo destinato ai supervisori, anche se non poche sono state le obiezioni sulla gestione del percorso di Laurea in Servizio Sociale, da non moltissimi anni di competenza appunto delle università. Alcuni supervisori sostengono infatti che il passaggio dalle scuole di Servizio Sociale ai percorsi di laurea universitari non abbia giovato alla professione, in quanto, pur acquistando in visibilità e legittimazione, essa ha perduto caratteristiche peculiari alla sua nascita ed alla sua funzione sociale.

In molte università infatti, il percorso per diventare assistente sociale ha visto un cospicuo ridimensionamento del tirocinio ed anche delle materie professionalizzanti, specifiche della professione.

Per affidare alle università anche il compito della formazione dei supervisori occorre quindi una stretta vigilanza sulla modalità e sui contenuti, agita dagli organismi tutelanti la professione, quali appunto l’Ordine Nazionale, quelli regionali, l’As.N.A.S, l’A.I.Do.SS . Questa vigilanza dovrebbe portare inoltre alla creazione di un Albo professionale gestito e tutelato dall’Ordine a legittimazione del percorso formativo dei supervisori e della loro capacità professionale, nonché a tutela degli assistenti sociali, che hanno diritto ad una supervisione qualificata.

La presenza di un albo, inoltre, potrebbe garantire una certa circolazione di idee, uno scambio tra supervisori di diverse regioni, di pensieri e metodologie, un recupero di contenuti ed esperienze.

Alcuni intervistati vedrebbero positivamente la formazione dei supervisori affidata ai vecchi assistenti sociali, per garantire la continuità, in un frangente così delicato di passaggio, forse non correttamente attuato, dalle scuole alle università.

Riguardo i contenuti, gli intervistati non si sono soffermati a lungo, in quanto concordi sul fatto che essi devono essere i medesimi del percorso di Servizio Sociale : debbono semmai mutare le modalità formative, la modalità di trasmissione, elaborazione ed interiorizzazione..

Dovrebbe essere messa in atto una buona sperimentazione su di sè, che implica molto lavoro di laboratorio.

Si è parlato anche di un percorso di tirocinio per gli aspiranti supervisori, ma non tutti gli intervistati si sono trovati d’accordo. Come già accennato infatti, alcuni ritengono che, in supervisione, la presenza di un tirocinante potrebbe contaminare il lavoro, il rapporto con il gruppo.

Altri invece ipotizzano una buona presenza di tirocinio ( almeno per il 25% delle ore), molti laboratori, poca teoria nel senso di lezioni frontali, tutto il percorso basato su case-study per analizzare tutte le variabili che possono problematizzare il lavoro dell’assistente sociale.

I partecipanti al percorso formativo devono essere già dei professionisti, che sanno cosa può loro mancare per diventare esperti ed efficaci supervisori : il percorso formativo deve quindi essere elastico, in modo da essere modellato sui singoli professionisti. Non può essere il docente a dare soluzioni pre-confezionate, ma il percorso deve nascere da una relazione reciproca e consapevole.

Si ribadisce quindi la necessità di pochissime lezioni frontali, che magari possono servire solo per l’inquadramento delle tematiche, e poi molti laboratori, molto studio individuale, simulate, molti paper-scritti.

Secondo alcuni questo dovrebbe essere il metodo di insegnamento anche nei corsi base dell’università. Bisognerebbe ridisegnare una metodologia di insegnamento universitario: limitare le lezioni frontali e tornare, come si faceva agli albori della professione, a lavori di gruppo, seminari, dibattiti e laboratori, strumenti questi che aiutano la concettualizzazione.

Altri hanno sottolineato l’importanza di apprendere a lavorare e a condurre i gruppi, allenandosi alla riflessività, allo scrivere, perché è da lì che si parte per arrivare a conoscere e gestire il sé professionale.

Alcuni intervistati ritengono che si debba lavorare sulla persona e poi fare degli approfondimenti teorici sulle materie professionali e su tutto il bagaglio culturale necessario.

Come si è già detto, è necessario partire dal punto di arrivo degli assistenti sociali, vedere cosa manca loro in campo psicologico, pedagogico, organizzativo, approfondire le dinamiche relazionali personali e quindi creare un percorso idoneo.

Gli insegnamenti tradizionali di tipo accademico non servono: quello dei supervisori deve essere un percorso partecipato, quindi la lezione teorica deve venire dopo aver analizzato le esigenze degli assistenti sociali, per colmare eventuali lacune. Per diventare buoni supervisori bisogna inoltre conoscersi, avere un buon auto-controllo, qualità fondamentali, da acquisire attraverso percorsi di introspezione.

Alcuni ritengono che ci si formi alla supervisione ricevendo e facendo supervisione : ricevendola sul proprio lavoro da assistenti sociali esperti di supervisione e supervisionando attraverso esperienze di laboratorio, il lavoro di altri, proposto man mano e controllato da tutor esperti.

Quindi secondo questa logica non è necessario che il supervisore abbia conoscenze molto profonde relative all’ambito ristretto, o al comparto di appartenenza del supervisionato, perché la sua azione è diversa : è lo stare a lato dell’assistente sociale, aiutandolo a leggere e rileggere le situazioni.

Bisogna partire dalla realtà di lavoro e dal rapporto che gli operatori hanno con questa realtà, che è in continuo mutamento e sfida l’approccio che è legato allo ieri, per una trasformazione sull’oggi, sul reale.

Altro suggerimento è relativo all’approfondimento degli approcci di Servizio Sociale e delle problematiche attuali, analizzando come la scelta di un approccio determinato, piuttosto che un altro, abbia ricadute nell’organizzazione ; praticamente analizzare cosa significa per l’organizzazione del lavoro, applicare un approccio metodologico, piuttosto che un altro.

Per altri, il supervisore deve avere delle solide basi teoriche ed essere anche in grado di elaborare la teoria partendo dalla prassi operativa: il Servizio Sociale, affermano, è sempre stato molto aderente ad un “fare” privo, a volte, della luce della mente. Se si mantiene questa preponderanza del fare, la fatica di entrare nell’Università sarà stata inutile : “continuamente saremo risucchiati indietro, frammentati tra le altre professioni”.

A differenza di altri ambiti operativi, gli assistenti sociali hanno a che fare con la realtà : dovrebbero quindi utilizzare questa differenza come un valore, anche se avere a che fare con la realtà può sembrare una svalutazione del sapere teorico.

Per altri la formazione non può che avvenire ed essere verificata in contesti operativi che mettano gli assistenti sociali a confronto diretto con l’utenza ed i bisogni che questa esprime, in un contesto di sistemi di servizi : risulta difficile pensare ad un supervisore, nato così da un corso ad hoc ed impegnato esclusivamente a fare supervisione. Il supervisore non può essere slegato dall’operatività.

Alcuni hanno espresso la necessità di studiare una modalità specifica di supervisione : in Toscana, ad esempio, era stato costruito un modello di supervisione , con passaggi e tempi determinati, rispettoso del contratto con gli assistenti sociali, delle loro aspettative e delle loro richieste. Avere chiaro un modello di supervisione può essere importante, per non improvvisare.

Altro suggerimento, da parte dei supervisori intervistati, riguarda la necessità di una maggiore integrazione tra i supervisori didattici e i supervisori professionali. Si auspica una buona formazione anche per la supervisione didattica , cosa che invece sembra essere diventata sempre più approssimativa.

Per alcuni supervisori bisognerebbe inoltre che, in un periodo storico come quello attuale, le materie professionalizzanti guardassero molto quello che accade nei servizi: per questi, se non c’è la consapevolezza di quello che è il sistema di servizi, tutto il sapere rimane slegato e non è utilizzabile.

Necessita quindi una rilettura molto ampia, generale, un ampliamento della formazione di base, arricchita da quelle che sono le politiche sociali, in quel momento ed in quel luogo. Sottolineando comunque la poca chiarezza attorno alla definizione di supervisione, alcuni intervistati hanno affermato la necessità di gruppi di studio o di seminari, per arrivare ad una condivisione del concetto.