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SENSIBILIZZAZIONE ALLA SUPERVISIONE

FASE ANALITICA DELLA RICERCA

ASSISTENTI SOCIALI

III.3.7 SENSIBILIZZAZIONE ALLA SUPERVISIONE

Anche in questo ambito i supervisori hanno saputo dare ottimi suggerimenti.

Molti credono che ci sia una grossa esigenza di rendere evidenti gli esiti della supervisione, affinché non vengano letti come uno “sfrugugliamento”degli assistenti sociali o il “lacrimatoio”dove svuotare tutte le frustrazioni.

Bisogna rendere evidente come la supervisione aiuti a correggere atteggiamenti, a razionalizzare i problemi, a vedere più chiaro nelle situazioni, che si stanno affrontando Una ragione per cui gli enti non sono consapevoli di cosa sia esattamente la supervisione, viene individuata nella mancanza di una corretta valutazione finale del lavoro: secondo molti degli intervistati se si facesse valutazione, cioè se la valutazione del lavoro diventasse una prassi, si evidenzierebbe per la dirigenza come un lavoro super visionato, sostenuto, sia più efficace e forse anche più efficiente.

Ma pochi assistenti sociali fanno valutazione e quindi, anche per loro, l’eventuale mancanza di consapevolezza può riferirsi a questo: gli assistenti sociali non sono capaci di rendere scientifico, in modo evidente, il risultato del lavoro, oppure quando lo fanno non rispettano i canoni dell’evidenza scientifica.

Il fatto di non saper valutare il rapporto risorse- risultati, costi e benefici, ci mette in una situazione di subalterneità rispetto ad altre professioni, ma soprattutto non permette alla dirigenza di valutare che le cose, fatte in un certo modo, hanno un diverso grado di efficacia.

Fino a quando quindi la prassi della valutazione nel lavoro sociale non diventerà consuetudine si renderà necessario un inserimento strutturale della supervisione, come, ad esempio, l’inserimento nel contratto di lavoro: la richiesta cioè di formazione permanente e supervisione, ottenibile, perché prevista nel contratto nei tempi e nei modi possibili. Alcuni supervisori hanno sottolineato, ancora una volta, la necessità di esplicitare in modo chiaro ed omogeneo cosa sia la supervisione sia agli assistenti sociali, sia agli enti committenti, poiché la confusione attorno a questa prassi è molta.

Spesso, come più volte ribadito, la supervisione viene vista come un “contenitore” nel quale, di volta in volta, si inserisce ciò che fa più comodo in quel determinato frangente. Uno degli obiettivi che la supervisione ha e che dovrebbero avere in generale i supervisori è sapere a cosa la supervisione serve e a cosa non serve.

E’ necessario far capire ai dirigenti che il professionista dell’aiuto ha una dose di usura strutturale. L’ “essere umani” e “lavorare con l’umano”sono le peculiarità del lavoro degli

assistenti sociali, che li sottopone ad una costante usura, come una sega per i tagliatori di marmo. La supervisione è, in questo caso, una delle manutenzioni dello strumento umano, anche se non è l’unico.

Molti dei supervisori hanno sottolineato come la formazione di base dovrebbe mettere le premesse per una richiesta di supervisione: molti studenti non sanno cosa sia la supervisione e quindi non potranno poi sentirne la necessità o capire che essa è uno strumento per lavorare meglio. Questo avviene anche attraverso una buona formazione del supervisore di tirocinio, perché anch’egli può mandare il messaggio dell’importanza della supervisione professionale, essendoci, alla fine, delle analogie tra di esse.

Se lo studente avrà una supervisione non adeguata a livello della formazione di base non interiorizzerà, una volta diventato professionista, l’importanza di questo strumento.

Quando non c’è chiarezza l’assistente sociale chiede supervisione anche se ha bisogno di consulenza o formazione. Il supervisore dovrebbe quindi proporre prima un corso di aggiornamento e poi eventualmente fare la supervisione: questa sarebbe la posizione deontologicamente corretta.

La sensibilizzazione esterna va quindi senz’altro bene, ma è pur sempre un offerta, mentre sarebbe necessaria una richiesta interna da parte degli assistenti sociali perché più produttiva, perché fatta in relazione alle difficoltà che emergono in ambito lavorativo. Risulta importante quindi sensibilizzare, soprattutto attraverso una corretta conoscenza, gli assistenti sociali alla supervisione, in modo da renderli in grado di richiedere quello di cui hanno veramente bisogno, in quel determinato frangente professionale.

In tal senso sarebbe necessario che gli Enti predisponessero una supervisione interna per i neoassunti, propedeutica alla conoscenza ed alla conseguente congruente richiesta di supervisione professionale, in seguito.

Importante per sensibilizzare gli assistenti sociali e gli enti è anche la documentazione di ciò che si fa in supervisione, senza aver paura delle diversità, senza tendere alla omologazione, magari per arrivare a dire che esistono anime diverse di supervisione: la supervisione in gruppo è una cosa, quella di gruppo è un’altra, usare una metodologia piuttosto che un’altra può dare esiti diversi, magari ugualmente positivi… è necessario mettere in mostra le diversità.

Come nell’analisi dei dati standard, sono emerse nelle interviste, le diversità di approccio e di implementazione della supervisione in servizio agli assistenti sociali.

Risulta difficile ricondurre tutti i contenuti emersi ad una univoca definizione o metodo di applicazione di tale passi, ma crediamo che tutti i suggerimento e le sollecitazioni possano essere foriere di un positivo dibattito.

Certamente non si potrà ingabbiare la supervisione in una definizione ed operativizzazione statica perché essa risulta essere una prassi dinamica e dialettica, ma crediamo che attraverso le indicazioni raccolte si possa ugualmente fare un po’ più di chiarezza, non appiattendola su una fittizia omogeneizzazione, ma rendendola almeno condivisibile, nelle sue linee teoriche generali.

III.4 ANALISI DEI DATI EMERSI DAL QUESTIONARIO INVIATO AGLI