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La formazione del nuovo governo De Gaulle e l’avvento della IV Repubblica

3) Il rientro in patria e la nomina ad ambasciatore in Francia (1943-46)

3.2 La formazione del nuovo governo De Gaulle e l’avvento della IV Repubblica

Il 7 novembre, Saragat riferì a De Gasperi che i lavori della prima seduta della nuova Assemblea Costituente francese si erano svolti in “un’atmosfera di grande compostezza”, senza che vi fosse alcuna scena di “delirante entusiasmo”.

L’ambasciatore non mancò di riferire che, all’apertura dei lavori, una “fervida acclamazione” aveva “testimoniato della gratitudine del popolo francese e dei suoi rappresentanti verso l’uomo che -riprendendo l’espressione del presidente dell’Assemblea, Cuttoli- ha salvato la Francia e ha restaurato la legalità

201 ASDMAE, Carte dell’Ambasciata a Parigi, b. 332, fasc. 4, Saragat a De Gasperi, Parigi, 2 ottobre 1945.

202 ASDMAE, Carte dell’Ambasciata a Parigi, b. 332, fasc. 4, Saragat a De Gasperi, Parigi, 22 ottobre 1945. Per tutta la vicenda cfr. A. Werth, op. cit., pp. 385 e sgg.; M. Gervasoni, Francia, Milano, Edizioni Unicopli, 2003, pp. 117 e sgg.; G. Quagliariello, De Gaulle e il gollismo, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 138-43.

repubblicana”. Lo stesso Presidente nel suo discorso inaugurale, avrebbe detto che il Paese aveva votato “à gauche” e, quindi, era necessario seguire una politica di sinistra, considerando una “chimera” il perseguimento dell’unità nazionale. In sostanza, “la maggioranza doveva energicamente mettere l’ordine nello Stato e la minoranza doveva adattarsi alla situazione”. Quest’affermazione, che fu “calorosamente” applaudita dai comunisti, “molto meno calorosamente” dai socialisti, “accolta in silenzio” dalla destra, trovò il suo “correttivo” nella successiva dichiarazione del Presidente dell’assemblea, “accolta da approvazioni generali”, e nella quale veniva riconfermata la fiducia al generale De Gaulle come capo del Governo provvisorio.

Saragat formulava alcune previsioni sia sulla composizione governativa che sulla strategia del PCF. La personalità che aveva più possibilità di essere eletta presidente della Costituente era il socialista Félix Gouin, già presidente

dell’Assemblea Consultiva, mentre sarebbe stata “più problematica”

l’attribuzione dei singoli ministeri. Si poteva considerare come acquisita la conferma di un socialista al dicastero dell’Interno (Saragat era incerto fra Adrien Tixier e André Philip) e di Bidault agli Esteri. I comunisti insistevano per avere, oltre a due o tre portafogli tecnici, anche un portafoglio politico che sarebbe potuto essere quello della Guerra o delle Finanze.203

Riguardo alla strategia del PCF, secondo Saragat, l’obiettivo, in accordo con la Confederazione del lavoro ed in sede di Comité des Gauches, era quello mirante, se non ad escludere i cattolici dalla compagine governativa, almeno ad imporre loro un programma di governo. L’operazione, “condotta con abilità”, si sarebbe, poi, dovuta concludere con la presentazione di questo programma a De Gaulle, il quale, a sua volta, avrebbe dovuto sottoporlo all’attenzione del M.R.P. Questa strategia fu “in extremis” bloccata dai socialisti che, dopo aver “imposto” il loro punto di vista, anche per conto dei comunisti, presentarono il programma

203 ASDMAE, Carte dell’Ambasciata a Parigi, b. 332, fasc. 4, Saragat a De Gasperi, Parigi, 7 novembre 1945.

direttamente ai cattolici, che, in questo modo, avrebbero potuto discuterlo prima della sua presentazione a De Gaulle.204

Saragat precisava che l’Assemblea era orientata verso la formazione di un governo d’unità nazionale composto almeno dai rappresentanti dei tre grandi partiti popolari. Alla base di quest’orientamento vi era la convinzione che, dovendo l’Assemblea costituente elaborare una costituzione democratica “in cui il diritto della maggioranza di governare è contemperato da quello della minoranza di essere garantita nei suoi diritti individuali”, fosse necessario un potere esecutivo designato “à l’image de l’Assemblée”, in armonia, cioè, “con lo spirito dei lavori legislativi”.205

Ma l’idea di creare un governo tripartito sarebbe stata complicata dalla differente posizione dei tre partiti in questione. Il M.R.P., infatti, opponeva un suo programma di governo a quello formulato dalle sinistre, progetto che era rifiutato dai comunisti, i quali cercavano di vincolare i socialisti al progetto elaborato nell’ambito del Comitato delle sinistre che aveva dato mandato alla SFIO di trattare il programma di governo con i cattolici. Ma anche De Gaulle si muoveva con astuzia.206

Come riferisce Saragat, il Generale non avrebbe presentato ufficialmente la sua candidatura, proprio per sottrarsi all’impegno di esporre il proprio programma e a quello di accettare i programmi già presentati dai partiti. La situazione era pertanto “molto fluida” ed era resa “ancor più confusa dalla perplessità evidente dei socialisti”, “orientati nettamente” a favore della formula tripartita, ma non completamente “liberi” dalle operazioni condotte al “loro fianco sinistro”. Saragat non escludeva che il PCF avrebbe potuto condurre una “grossa manovra” per ottenere il ministero degli Esteri da affidare ad un elemento in apparenza “neutro” come il “noto” organizzatore del D.G.E.R., Jacques Soustelle; inoltre

204 ASDMAE, Carte dell’Ambasciata a Parigi, b. 332, fasc. 4, Saragat a De Gasperi, Parigi, 3 novembre 1945.

205 ASDMAE, Carte dell’Ambasciata a Parigi, b. 332, fasc. 4, Saragat a De Gasperi, Parigi, 7 novembre 1945, cit., pp. 2-3.

206 ASDMAE, Carte dell’Ambasciata a Parigi, b. 332, fasc. 4, Saragat a De Gasperi, Parigi, 6 novembre 1945.

era quasi sicuro che, alla fine, l’attribuzione dei portafogli sarebbe stata decisa da De Gaulle.207

Il 13 novembre, Saragat comunicò che il Generale era stato eletto, lo stesso giorno, presidente del Governo provvisorio con il voto favorevole dei 555 deputati presenti. L’Assemblea aveva votato una mozione che lo proclamava “benemerito della patria”, e gli stessi deputati avevano accolto la proclamazione dell’elezione, con una grande manifestazione patriottica, cantando l’inno nazionale.208

Due giorni dopo, con un telegramma segreto, Saragat dava come “imminente” la formazione del nuovo governo francese, in cui la vice presidenza sarebbe stata probabilmente affidata a Vincent Auriol, mentre al ministero degli Esteri sarebbe stato riconfermato Georges Bidault.209 L’ambasciatore italiano appariva ottimista ritenendo che, stando così le cose, l’azione di riavvicinamento con la Francia entrava “forse nella fase conclusiva”, ma soprattutto riservandosi di procedere “con estrema prudenza” per evitare che quella situazione, “abbastanza favorevole al successo della missione” che gli era stata affidata, potesse essere pregiudicata da atteggiamenti “non ponderati”. Egli, quindi, consigliava di trattare il problema dei rapporti con la Francia, escludendo “tanto i riferimenti suscettibili di dare, ad un eventuale accordo, una portata troppo generale”, quanto “possibili allusioni personali nei confronti di questo o quell’uomo politico francese considerato amico del nostro paese”, anche perchè le elezioni in Jugoslavia avevano rafforzato il prestigio di Tito, offrendo alle correnti dell’estrema sinistra francese la possibilità di agire sull’opinione pubblica “in senso sfavorevole” agli interessi

207 ASDMAE, Carte dell’Ambasciata a Parigi, b. 332, fasc. 4, Saragat a De Gasperi, Parigi, 8 novembre 1945.

208 ASDMAE, Telegrammi in arrivo, vol. I, Saragat a De Gasperi, Parigi, 13 novembre 1945. 209 Tra tutti i capi politici della Resistenza che aveva conosciuto, avrebbe scritto Saragat a De Gasperi, Bidault “era il più preparato”. “Nulla in lui -scriveva l’ambasciatore- del débraillé proprio di altri suoi giovani colleghi che ostentano una certa negligenza nel vestire e nei modi come la più conforme al loro spirito di ‘resistenti’. L’autentico ‘resistente’, che è il ministro Bidault mantiene nei modi correttissimi e nell’urbanità del porgere, una dignità che unita ad una evidente sincerità di convinzioni democratiche e a una larga e costruttiva consapevolezza dei problemi politici del nostro tempo, incute istantaneamente il rispetto e la stima”. MAE, DDI, cit., vol. II, doc, 227, Saragat a De Gasperi, Parigi, 30 maggio 1945, p. 318. Sulla sua figura vedi: J. Dalloz, Georges Bidault, Paris, l’Harmattan, 1992.

italiani sulla frontiera orientale. Secondo Saragat, l’estrema sinistra avrebbe potuto trovare appoggi presso quei gruppi di centro, vicini alle ideologie della piccola intesa, e da elementi militari favorevoli ad una “sempre più stretta” politica franco-sovietica.

L’ambasciatore, quindi, sollecitava l’invio in Francia di una delegazione per la stipulazione del Trattato di lavoro, “vero punto di partenza” per la soluzione delle altre questioni diplomatiche, quali la Convenzione di stabilimento in Tunisia, il problema delle frontiere occidentali e la convenzione consolare.210 Ma la situazione francese si sarebbe rapidamente complicata: il 17 novembre Saragat riferiva come la “profonda” contraddizione esistente tra comunisti e gli altri partiti intorno alla soluzione dei problemi generali ma, soprattutto, la “sorda” rivalità fra socialisti e comunisti, aveva portato ad una grave crisi politica culminata con la decisione di De Gaulle di rinunciare all’incarico di formare il nuovo governo. Quel giorno, infatti, in un discorso radiofonico, il Generale aveva dichiarato la sua contrarietà ad affidare il ministero degli Interni, quello della Guerra o degli Affari Esteri, al PCF che, di conseguenza, si era rifiutato di collaborare “in una situazione di inferiorità” nei confronti degli altri partiti. La situazione a questo punto s’era modificata: i comunisti chiedevano la formazione di un governo a maggioranza socialista-comunista, con una formula che non escludeva la partecipazione dei cattolici, ma che escludeva, “allo stato attuale delle cose”, la direzione politica di De Gaulle; i socialisti, invece, continuavano a proporre un governo costituito con la partecipazione dei tre partiti maggiori, sotto la direzione del Generale.

Una soluzione “ortodossa”, sul piano parlamentare, sarebbe stata quella di un governo sotto la direzione comunista, ma i cattolici escludevano quest’eventualità, ricordando i risultati dei referendum sfavorevoli al PCF. “Più aderente alla realtà”, secondo il parere di Saragat, era un governo costituito dai tre partiti, sotto la direzione socialista, ma, a suo avviso, una simile soluzione avrebbe riproposto “su un diverso piano” le stesse difficoltà che avevano indotto

210 ASDMAE, Carte dell’Ambasciata a Parigi, b. 332, fasc. 4, Saragat a De Gasperi, Parigi, 15 novembre 1945.

De Gaulle a rinunciare al suo mandato. Una terza ipotesi, “ventilata in alcuni ambienti”, prevedeva un governo “puramente” socialista.

La situazione era estremamente contraddittoria e poteva essere sbloccata o da un gesto di rinunzia da parte dei comunisti, considerato da Saragat “non probabile”, o da un’energica assunzione delle proprie responsabilità da parte dei socialisti, ritenuta “non prevedibile”.211

Saragat riteneva che il contrasto, che vedeva De Gaulle alle prese con i comunisti, riproducesse, nel sistema politico francese, gli stessi antagonismi che, sul piano mondiale, si erano manifestati durante la Conferenza dei cinque Grandi, a Londra. “Il comunismo -proseguiva- con la sua concezione totalitaria dell’organizzazione sociale, e la democrazia, intesa a dare la più larga autonomia agli individui, si sono urtati e dall’urto sono emersi i motivi di un conflitto che è il fatto dominante del nostro tempo”.

Era “temerario” sperare di poter prevedere quali sarebbero stati gli esiti della vicenda; ma, allo stesso tempo, era evidente che mai in Francia “i termini del problema erano stati posti in maniera più brutale”.

Secondo Saragat, la Francia aveva vissuto quegli anni cercando di eludere tutti i problemi più “angosciosi”. La tragedia dell’epurazione, ad esempio, “che lasciava ad ogni alba una dozzina di cadaveri legati ai pali delle esecuzioni capitali”, era divenuta uno strumento “per far dimenticare a spese di qualche colpevole le immense responsabilità collettive di un’intera nazione”.212

Su questo scottante problema, Saragat, già poche settimane dopo il suo arrivo in Francia, aveva inviato a De Gasperi, alla fine di maggio, un’importante nota, nella quale aveva riassunto le sue impressioni e convincimenti sul tema dell’epurazione e, soprattutto, sullo “stato d’animo” della popolazione francese:

Mentre l’Italia, piegata dalla sconfitta e dalle sue conseguenze, è costretta ad un doloroso ma salutare esame di coscienza, la Francia, esaltata da una vittoria che circostanze indipendenti in

211

ASDMAE, Carte dell’Ambasciata a Parigi, b. 332, fasc. 4, Saragat a De Gasperi, Parigi, 17 novembre 1945. Sulle vicende del novembre 1945, cfr. A. Werth, op. cit., p. 391; M. Merle, op.

cit., p. 306; S. Guerrieri, op. cit., pp. 113 e sgg; J.-P. Rioux, op. cit., p. 61.

212 ASDMAE, Carte dell’Ambasciata a Parigi, b. 332, fasc. 4, Saragat a De Gasperi, Parigi, 18 novembre 1945, pp. 1-2.

gran parte dalla sua volontà e dalla sua azione le hanno concesso, elude questo compito necessario… e corre il gravissimo rischio di non compiere quel salutare riesame delle cause che l’hanno condotta al disastro del ’40 e all’umiliazione di Vichy e di Montoire, che solo potrebbe segnare per essa l’inizio di un vera rinascita.213

L’ambasciatore continuava rilevando lo “spettacolo dello stridente contrasto tra la dominante atmosfera di ‘vittoria’ e di ‘gloria’ e lo scarso fervore di rinascita morale che solo potrebbe giustificarla”.

Le ragioni di ciò, a suo avviso, erano nell’intento delle sfere dirigenti francesi di “estrarre dalla situazione la maggior somma di profitti possibile” attraverso una sistematica esaltazione della grandeur francese. Ed a questa tattica strumentale verso gli Alleati si accompagnava l’illusione che “a forza di dire che la Francia è grande, [essa] lo diventerà realmente”.214

Stava proprio in questo voler mascherare le responsabilità dei francesi nella disfatta del paese di fronte al nazismo, la ragione profonda della decadenza morale della Francia, che fuggiva dalle proprie responsabilità rifugiandosi in una sorda esaltazione nazionalistica.

Saragat osservava come le responsabilità della sconfitta venissero con troppa facilità individuate in un certo numero di traitres, eliminati i quali la Francia avrebbe potuto ritrovare l’antica grandezza. Naturalmente questa spiegazione risultava del tutto inadeguata, e una parte dell’intellettualità francese (Anatole France, André Malraux) lo denunciava chiaramente. Insomma si era ormai

formato, secondo Saragat, il “mito del tradimento” rappresentato

dall’accanimento con cui una parte dell’opinione pubblica si rivolgeva contro gli “aborriti” Pétain e Laval.

Il processo epurativo francese si presentava “più come un alibi che la Francia vuol dare a se stessa della propria innocenza che come un sano fattore di eliminazione di tossine morbose dal suo organismo ammalato”. Saragat, in

213 ASDMAE, Carte dell’ambasciata a Parigi, b. 332, fasc. 4, Saragat a De Gasperi, Parigi, 29 maggio 1945, cit., p. 1.

conclusione, riprendeva le parole di Léon Blum nel suo primo discorso ai socialisti di Parigi: “La France est corrompue”.215

L’analisi di Saragat, col passare dei mesi, non sarebbe cambiata. Egli ribadiva che la Francia aveva sperato di poter “soffocare” gli antagonismi politici e sociali che la travagliavano, perseguendo l’unità nazionale, che aveva trovato la sua recente espressione nei 555 voti dell’Assemblea Costituente. Erano state sufficienti, tuttavia, “poche ore” perché da questo clima di cooperazione si passasse al conflitto “aspro” e “violento” dagli imprevedibili sviluppi.

Le ragioni della crisi erano chiare: le elezioni politiche erano state “il riflesso delle contraddizioni reali” in cui la Francia, come il resto del mondo, si dibatteva; il referendum aveva sancito la vittoria di coloro che preferivano la “disciplina democratica della volontà sovrana della Costituente”, mentre il voto politico aveva quasi annullato il significato di quella vittoria referendaria, rendendo il PCF il più forte partito francese.

Se il Partito socialista -scriveva Saragat- avesse avuto quei due o trecentomila voti di più che gli avrebbero permesso di presentarsi come il più numeroso, la contraddizione non sarebbe apparsa, e Blum campeggerebbe sulla scena politica francese come capo indiscusso. Questo non è avvenuto. I socialisti sono gli arbitri, ma privati di quel complesso di superiorità che è necessario per l’azione forte e concreta. Situati dall’aritmetica elettorale in condizione di poter imporre la loro volontà, sono privati psicologicamente di questa opportunità dall’insufficienza del loro successo.216

In questa condizione, la SFIO passava dalla situazione d’arbitro a quella di “ricattato”; i comunisti, infatti, sfruttavano la vittoria elettorale per rivendicare il potere, mentre utilizzavano la loro sconfitta sul piano dei referendum “per legare i socialisti o al ripudio di De Gaulle, o a quello della solidarietà di classe”. “C’è nel giuoco comunista -proseguiva Saragat-, la gioia perfida di mettere in imbarazzo i vincitori del referendum”.

I socialisti ribadivano che il secondo referendum aveva riguardato unicamente la disciplina del potere sovrano della Costituente e che non era una manifestazione

215 Ivi, p. 6; cfr. anche A. Werth, op. cit., pp. 401-9.

216 ASDMAE, Carte dell’Ambasciata a Parigi, b. 332, fasc. 4, Saragat a De Gasperi, Parigi, 18 novembre 1945, cit., pp. 2-3.

plebiscitaria in favore di De Gaulle; la coscienza collettiva, tuttavia, aveva erroneamente identificato le due cose, e i comunisti se ne erano avvantaggiati per votare “ironicamente” la fiducia al Generale, “in omaggio alla volontà popolare che si era espressa in quel senso”. Il 13 novembre, infatti, i comunisti avevano sostenuto che l’Assemblea non era sovrana, e che era stato il referendum- plebiscito a decidere che De Gaulle fosse il capo del Governo; quindi, per evitare di “rompere l’atmosfera di unità nazionale”, il Partito comunista si sarebbe “inchinato di fronte al verdetto del popolo” e avrebbe anch’esso votato per il Generale. I socialisti, la cui posizione era opposta, ribadivano il carattere sovrano dell’Assemblea e, soprattutto, quello che era il vero significato del referendum, ma il voto unanime aveva, comunque, dato “ragione” alla tesi comunista e “torto” a quella socialista. Grazie a questa condizione, i comunisti avevano potuto “vibrare il loro colpo” sul terreno della distribuzione dei portafogli. E questa si era rivelata un’importante vittoria.

Tuttavia, il tentativo di considerare la consultazione referendaria un plebiscito a favore di De Gaulle, che aveva ipotecato la volontà di un’Assemblea sovrana, diventava insostenibile dinanzi ad un’Assemblea che si riuniva dopo che i comunisti, perseguendo la loro strategia, avevano verificato quanto “illusorio” fosse il potere del plebiscitato e quanto “reale” quello dei partiti. Secondo l’analisi di Saragat, a questo punto, i comunisti francesi lanciavano una nuova parola d’ordine: “Il Generale si rifiuta di fare il Governo”.

La loro politica “condotta su due piani” permetteva ai comunisti, come partito più numeroso, di rivendicare la direzione politica e di rimproverare, allo stesso tempo, a De Gaulle, come vincitore del plebiscito, di rifiutarisi di assumerla. In questo modo, grande confusione sarebbe nata nell’opinione pubblica; e di ciò ne era sicuro lo stesso Blum, che in un articolo scriveva in sostanza che “l’equivoco che era gravato sulla seduta del 13, non sarebbe più gravato su quella del 19”. Toccava ora ai socialisti mettere in “imbarazzo” i cugini comunisti. Ma, si chiedeva Saragat, lo avrebbero fatto?

Secondo Saragat quando De Gaulle si rifiutava di lasciare ad un comunista la guida del ministero degli Interni o degli Esteri o della Guerra, il Generale “traeva

lezione” anche dagli articoli di Blum, nei quali il leader socialista accusava i comunisti di non essere autonomi nei confronti dell’URSS, una grande potenza alleata, ma straniera.217

Ed infatti, quando Maurice Thorez chiese uno dei tre dicasteri in questione, la risposta di De Gaulle apparve sui giornali assieme al resto del dialogo con il leader comunista:

La situazione estera -disse De Gaulle- è attualmente difficile. Più che mai mi pare indispensabile di mantenere, di fronte ai gruppi antagonisti che possono costituirsi, l’indipendenza della Francia. Questa indipendenza io la rappresento dal 18 giugno 1940. Al contrario il Vostro Partito, Signor Thorez, ha optato nettamente, francamente per uno di questi due gruppi. Se io vi do uno dei Ministeri che mi domandate, nell’atto stesso oriento la politica francese verso un solo lato. E’ per questo che non posso accogliere la vostra richiesta... - Volete con questo dire che il mio partito non è indipendente? - Affatto, come non contesto il patriottismo dei comunisti. - E allora perché non ci date uno dei tre portafogli? - Per le ragioni che vi ho detto. Inoltre se vi do uno di questi Ministeri il vostro partito non si accontenterà di farvi regnare uno stato d’animo, quel Ministero richiederà di diventare un organismo dipendente del Partito comunista.218

Il contenuto di questo dialogo, concludeva Saragat, dimostrava l’esistenza di una crisi che andava al di là delle frontiere francesi; lo stesso significato, ad esempio, aveva il dialogo avvenuto fra Bevin e Molotov, a Londra. Il partito socialista francese, si chiedeva Saragat, sarebbe riuscito a mediare, secondo la formula di André Philip, “tra socialisti che non sono democratici e democratici che non sono socialisti?”. “Oggi” -proseguiva Saragat- “possiamo solo affermare che Blum è cosciente, come forse nessun altro in Europa, delle gravi responsabilità che incombono alla democrazia socialista. In ogni caso, indipendentemente dall’esito di questa crisi, i problemi che essa ha sollevati permarranno e costituiranno, siano essi o no risolti, la vera carta fondamentale della IV Repubblica”.219

Il 19 novembre, l’Assemblea costituente approvò a maggioranza, con