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Il PSIUP tra comunismo e socialdemocrazia La nascita del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (1945-47)

Il dopoguerra pose il PSIUP di fronte alla necessità di chiarire i molti nodi irrisolti lasciati sul tappeto dalle esigenze della lotta immediata al nazi- fascismo.254

253 MAE, DDI, cit., vol. III, doc. 184, Saragat a De Gasperi, Parigi, 12 febbraio 1946, pp. 241-2. Lo stesso giorno Saragat scrisse a Faravelli: “Caro Faravelli, ho saltato il fosso: rientro in Italia. Ho scritto in questo senso al presidente De Gasperi e penso che per i primi di marzo sarò con voi. Informa pure della cosa gli amici, ma non dare alla notizia un carattere ufficiale. Bisogna mènager le giuste suscettibilità del presidente De Gasperi al quale però ho fatto intendere che si tratta di una decisione irrevocabile. Ho dovuto lottare per risolvere un caso di coscienza e anche per vincere l’istinto egoistico che mi spingeva a preferire l’esilio dorato di Parigi alle penose e dure prove che m’attendono in Italia. Ciò che mi ha deciso è stato lo spettacolo di serietà, di fermezza e di coraggio che anima il vostro gruppo di “Critica sociale”. In attesa di riprendere il lavoro con voi, ti abbraccio. Tuo Giuseppe Saragat”. Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (abbr.: FGF), Il

socialismo al bivio. L’archivio di Giuseppe Faravelli 1945-1950, “Annali”, 1988/1989, a cura di

P. C. Masini e S. Merli, Milano, Feltrinelli Editore, 1990, lettera di Saragat a Faravelli, Parigi, 12 febbraio 1946, pp. 93-4. Faravelli, esponente di punta della corrente “antifusionista” del PSI facente capo alla rivista “Critica Sociale”, avrebbe risposto, il 22 febbraio, da Milano: “Caro Saragat, profitto di una buona occasione per rispondere alla tua del 12 febbraio. La notizia che hai ‘saltato il fosso’ ci riempe di gioia e tutti aspettiamo la tua sollecita venuta. Ti mando copia della mozione che abbiamo preparato per il congresso nazionale: spero che avrà la tua approvazione. Da Moretti riceverai pure gli ultimi numeri di ‘Critica Sociale’. Saluti affettuosi da tutti. Aspettiamo la tua relazione”. Ivi, p. 97. Già il 29 gennaio, Faravelli aveva sollecitato Saragat a tornare in Italia, dopo avergli illustrato la difficile situazione che si era venuta creando all’interno del PSI, soprattutto nei confronti degli amici di “Critica Sociale”. Ivi, p. 90. Il 24 febbraio, De Gasperi rispose ufficialmente: “La sostituzione di un ambasciatore, in un momento come l’attuale e in una capitale come Parigi, è cosa di per sé difficile. Ancora meno agevole sostituirti, come sarebbe necessario e vorrei, con chi ti equivalga. Comprendo, tuttavia, ed apprezzo il tuo stato d’animo ed aderisco dunque, nonostante ogni riluttanza, al tuo proposito. Ti autorizzo ad annunziare senz’altro la tua decisione ed è superfluo sottolineare la necessità di porne in chiaro le motivazioni, in modo che non resti costì traccia di dubbio sull’effettivo significato del tuo rimpatrio... Tengo a confermarti che la tua preziosa collaborazione mi è stata e mi sarebbe stata anche per l’avvenire preziosa”, MAE, DDI, cit., vol. III, doc. 210, De Gasperi a Saragat, Roma, 24 febbraio 1946, pp. 270-1.

254 La ricostituzione formale del Partito socialista avvenne a Roma, il 22 agosto 1943, con la fusione di due formazioni, il PSI e il MUP, e assunse il nome si PSIUP (Partito socialista italiano di unità proletaria). Il PSI si era ricostituito in Italia nel settembre 1942 per opera di un gruppo dove prevalevano militanti del socialismo prefascista come Oreste Lizzadri, Giuseppe Romita, Nicola Pernotti, Emilio Canevari e Olindo Vernocchi, richiamandosi al Partito Socialista nato in Francia nel 1930 dalla unificazione di riformisti e massimalisti. Il MUP (Movimento di Unità Proletaria) si era sviluppato principalmente a Milano sotto la guida di Lelio Basso, Lucio Luzzatto, Corrado Bonfantini, Domenico Vidotto (Rodolfo Morandi si trovava in carcere). Legato ideologicamente al MUP era un gruppo di giovani che operavano a Roma tra i quali Tullio

In questo quadro, Nenni continuava ad essere favorevole all’unità con il Partito comunista. Le vicende storiche avevano dimostrato che la divisione fra socialisti e comunisti favoriva la reazione, come era avvenuto in Italia ed in Germania. L’unità tra i due partiti, invece, garantiva la vittoria della sinistra ma, soprattutto, il primato socialista: così era avvenuto in Francia ed in Spagna. Nenni, quindi, era favorevole ai fronti popolari, ma non era fusionista. Saragat non era contrario all’unità e, come si è visto, sperava in una evoluzione dell’Unione Sovietica verso la democrazia, una volta terminata la pressione esterna esercitata dalle potenze reazionarie e capitalistiche.

Nel corso di questi mesi le varie correnti del partito si organizzarono ufficialmente e si dotarono ognuna di una rivista che fungesse da tribuna autonoma di dibattito delle proprie idee.

Il 15 settembre 1945 usciva il primo numero della rivista “Critica Sociale” diretta da Ugo Guido Mondolfo, con la collaborazione di Giuseppe Faravelli, a cui faceva capo l’ala “destra” del partito, che si richiamava all’eredità storica del socialismo riformista di Turati e Treves.

Nello stesso periodo, il mensile del partito “Socialismo”255 passava dalla direzione di Saragat a quella di Morandi diventando espressione più diretta dell’ala “nenniana” della maggioranza.

Nel gennaio 1946 Lelio Basso riprendeva le pubblicazioni di “Quarto Stato”, rivista uscita per breve tempo negli anni prefascisti sotto la direzione di Pietro Nenni e Carlo Rosselli, che adesso diventava il centro di diffusione delle idee dell’ala “sinistra” della maggioranza.

Contemporaneamente usciva il primo numero di “Iniziativa Socialista”, pubblicazione che dava il nome all’omonima corrente che raccoglieva gli ideali e la politica dei giovani di Rivoluzione Socialista guidati da Mario Zagari e Leo Solari e che si considerava a sinistra dello stesso PCI.

Vecchetti, Achille Corona, Mario Zagari, Giuliano Vassalli, Mario Fioretti, Vezio Crisafulli e tra i quali assurgerà per breve tempo, una volta uscito dal confino, Eugenio Colorni, ucciso dai fascisti alla vigilia della liberazione di Roma.

Dall’11 al 16 aprile 1946 si tenne a Firenze il XXIV Congresso Nazionale del Partito Socialista, congresso che sancì la drammatica contraddizione tra il vasto seguito popolare che stava raccogliendo il partito nelle elezioni amministrative e la profonda divisione del suo gruppo dirigente: al Congresso ciascuna corrente presentò una sua mozione ed il problema di “realizzare” la fusione fu accantonato.

Nel congresso del Partito comunista, nel gennaio 1946, fu avanzata la proposta di una federazione fra i due partiti come prima tappa verso una fusione vera e propria. Longo affermò chiaramente che il nuovo partito sarebbe stato di ispirazione marxista-leninista e legato all’Unione Sovietica. Questa idea comunista della fusione, il venir meno delle spinte unitarie del socialismo europeo256, l’avversione laburista alla fusione e la ripresa organizzativa del PCI che in breve tempo avrebbe superato il Partito socialista per numero di iscritti (dai 500 mila del ‘44 a 1.770.000 del ‘45, contro 860.000 del PSI), spinsero i socialisti italiani a non parlare più di fusione. Nenni, dal canto suo, escludendo ogni prospettiva di fusione, continuava a sostenere la necessità di una stretta unità d’azione col PCI.

Al congresso socialista i delegati giunsero divisi non solo sulla questione dei rapporti con i comunisti ma anche su quella del modello di partito. Erano in discussione due statuti, quello di tipo leninista proposto da Basso, e quello di tipo democratico proposto da Faravelli.

Basso voleva un partito, presente nella società, con una solida struttura che, nella fusione con i comunisti, avrebbe favorito la prevalenza dei valori socialisti. Faravelli, invece, sosteneva l’idea di un partito in cui si confrontassero differenti tendenze, e dove il processo decisionale non partisse dall’alto ma si sviluppasse dal basso. Queste due proposte furono entrambe ritirate: molto dura fu la polemica fra Basso e Pertini sulla questione dei diritti delle minoranze che Basso voleva limitare.

E’ opportuno ricordare che all’interno del Partito socialista i contrasti non erano solo ideologici e politici, ma anche personali. Vi militavano, infatti, uomini di grande prestigio e cultura, ma con uno scarso senso della disciplina di partito. Le proprie idee venivano prima del partito; erano totalmente dediti all’ideale ma difficilmente riuscivano a rispettare le concrete decisioni prese dalla direzione, dal comitato centrale o dallo stesso segretario del partito.

Al Congresso, Pertini presentò insieme a Silone una mozione che aspirava a raccogliere e comporre i disaccordi su un programma “centrista”; Lizzadri si attestò su posizioni apertamente fusioniste con la sua mozione in cui accettava la proposta di federazione con il PCI avanzata da Longo; Basso e Cacciatore presentarono la mozione della sinistra del partito, a cui però rifiutarono di aderire sia Nenni che Morandi, disposti a un tentativo di conciliazione con le posizioni centriste a scapito delle destre; infine il direttore dell’“Avanti!”, Mazzali, presentava una sua mozione sostanzialmente simile a quella Pertini-Silone.257 Le due posizioni contrapposte si erano spezzate, quindi, in una serie di posizioni intermedie che passavano dal fusionismo di Lizzadri alla sempre meno velata volontà di rottura di ogni relazione con i comunisti, o comunque di allargamento del patto alle altre forze democratiche progressiste, del gruppo di “Critica Sociale”.

Quest’ultimo aveva trovato in Giuseppe Saragat, anche se non ufficialmente, il suo leader. Saragat svolse un lunghissimo intervento, nel quale erano coerentemente riproposte le basi per un rilancio del Partito socialista, fondato su due presupposti: la ripresa dell’antica tradizione del socialismo umanitario dei fondatori e la critica ad ogni degenerazione totalitaria nella costruzione dello Stato socialista.

Il discorso di Saragat258 appare oggi quasi come un manifesto politico della nuova formazione che di lì a qualche mese Saragat costituì insieme ad altri compagni socialisti democratici. Anche in questo caso, come già era avvenuto al

257 Cfr. F. Taddei, Il socialismo italiano nel dopoguerra, cit., pp. 256-78.

258 Il discorso è riportato integralmente in G. Saragat, Il discorso di Firenze, in Quaranta anni…., cit., pp. 285-316. Cfr. anche F. Pedone, op. cit., pp. 79-80 e soprattutto F. Taddei, op. cit., pp. 262-5.

Consiglio nazionale del partito del luglio 1945, il contrasto con il segretario Nenni fu esplicito, basandosi soprattutto su un differente quadro d’analisi. Per Nenni il riferimento rimase ancora una volta la situazione italiana, con i problemi del rapporto con il PCI, mentre per Saragat la riflessione non poteva esulare dall’analisi del complesso quadro internazionale. A questa necessità lo richiamava ancora una volta la sua esperienza d’ambasciatore in Francia, condotta nell’anno appena trascorso, alla quale Saragat fece esplicito riferimento, quasi in forma di commosso saluto e ringraziamento. Affrontando il tema dei trattati di pace, Saragat disse:

Ho lavorato quasi un anno attorno a questo problema, e la mia esperienza si riassume in due proposizioni: la prima è che quanto più l’Italia sarà profondamente democratica, tanto meno duro sarà il prezzo che purtroppo essa dovrà pagare. La seconda è quest’altra: quanto più i dissensi tra le grandissime potenze si attenueranno, tanto più i problemi della pace italiana troveranno la via della loro soluzione. L’Italia non ha nulla da guadagnare e tutto da perdere dagli antagonismi delle grandi nazioni. Non c’è un solo problema oggi, da quello delle frontiere della Venezia Giulia a quello delle frontiere settentrionali, da quello delle frontiere occidentali a quello delle colonie, che non si complichi a nostro danno o si risolva a nostro vantaggio, in relazione all’aggravarsi o al migliorarsi dei rapporti tra i Grandi Stati vincitori.259

Saragat era consapevole della evoluzione in corso dei rapporti internazionali, che già a partire dagli inizi dell’anno aveva visto un irrigidimento fra le due grandi potenze. Infatti il discorso di Stalin, in febbraio, a pochi giorni dalla conclusione della seduta inaugurale dell’Assemblea delle Nazioni Unite, aveva sottolineato senza mezzi termini “l’incompatibilità del sistema socialista con quello capitalistico”. E solo poche settimane dopo, Churchill, parlando all’università di Fulton, nel Missouri, aveva denunciato come una “cortina di ferro” venisse erigendosi, nel cuore dell’Europa, da Stettino a Trieste260.

Noi pensiamo -proseguiva Saragat- che il socialismo democratico dell’Occidente deve realizzare la propria unità internamente, per determinare in Europa una situazione che lo renda autonomo dagli antagonisti contrastanti, in modo da poter esercitare un’utile mediazione. Nell’organizzazione delle Nazioni Unite noi vediamo quindi l’immensa funzione di un’Internazionale socialista, che, dominata decisamente da una volontà di pace, si ponga in mezzo

259 G. Saragat, Il discorso di Firenze, cit., p. 313.

260 Sull’apertura dei lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (10 gennaio 1946) e sulle tensioni da subito apparse, cfr. E Di Nolfo, op. cit., pp. 612-5, 626-9 ed in particolare 655-6. Sul discorso di Churchill: ivi, pp. 657-8.

ai contendenti e conferisca alla Russia quella necessaria sicurezza che le è indispensabile perché possa progredire, sottratta all’incubo di un accerchiamento e di una guerra.261

In effetti, in questo clima di crescente tensione, l’andamento delle discussioni sul trattato italiano si sarebbe poi rivelato in tutto negativo per l’Italia.

Lo stesso compromesso su Trieste, favorevole nei fatti all’Italia, sarebbe stato appunto il risultato non di una soluzione condivisa fra le parti quanto di un irrigidimento statunitense verso la tendenza espansionistica sovietica.

Ma il saluto che Saragat rivolse alla Francia, ne ricordava in particolare la solidarietà del Partito socialista francese che “ha rifulso appunto perché soltanto l’autonomia del partito dà il senso della universalità. Mai come in questo periodo ho inteso il valore immenso dell’idea socialista e la sua insostituibile efficacia per la conquista della pace e della democrazia”262.

Il tema dell’autonomia del Partito socialista che, come si vede, Saragat riannodava all’esperienza del socialismo francese, fu il filo conduttore del discorso fiorentino. Saragat deplorava l’abbandono della tradizione e dell’insegnamento dei Maestri, fondatori del partito: “Tutto il documento [presentato da Nenni] -dichiarò- trasuda l’astio ed il rancore contro l’antico e

glorioso socialismo. Si parla con disprezzo di vecchie posizioni

collaborazionistiche del riformismo e della socialdemocrazia”263.

Ma Saragat ricordava l’esperienza socialdemocratica viennese, quella tedesca e soprattutto quella laburista inglese, che avevano rappresentato la prima grande difesa della libertà dalla minaccia del totalitarismo nazista. Egli, infatti, rammentava come nel proletariato occidentale avesse preso piede l’“ingannevole dottrina” comunista, secondo la quale la guerra in corso fosse una questione riguardante solo le borghesie capitalistiche e non il proletariato internazionale. Sarebbe stato merito dei socialisti laburisti inglesi schierarsi invece con le proprie classi dirigenti in difesa della libertà minacciata.

261 G. Saragat, Il discorso di Firenze, cit., p. 308. 262 Ivi, p. 314.

La salvezza del mondo -precisò-, in quel momento decisivo della storia universale, fu dovuta all’inesistenza di un partito comunista in Inghilterra e alla presenza in quel paese del laburismo. Gloria eterna ai fratelli laburisti, che con il loro coraggio e con la loro saggezza, hanno dato al mondo l’esempio di quel che può fare un popolo libero.264

Doveva essere, quindi, il tema della democrazia e della libertà, al quale anche i ceti medi si dimostravano sensibili, dopo la tragica esperienza autoritaria del fascismo, a dover improntare il programma e l’azione socialista.

Questo tema risulta centrale e discriminante per Saragat rispetto alle posizioni del Partito comunista italiano. Saragat rimproverava duramente a Nenni un sostegno di posizioni “fusioniste” con il PCI , sostegno che “prescinde deliberatamente dal fatto dell’esistenza di un partito totalitario a base operaia, per cui la fusione si risolverebbe, come sempre avviene in tali casi con la liquidazione delle forze democratiche… C’è una profonda disonestà politica nel porre il problema [della fusione] come se fosse un problema di ordinaria amministrazione o un semplice fatto organizzativo, quando in realtà è il dramma dell’Europa contemporanea”265. Saragat, quindi, portò a coerente conclusione la sua analisi sulla situazione sovietica:

E’ camuffare i dati presentare il comunismo come convertito alla nozione democratica del socialismo occidentale, quando tutto nella sua struttura organizzativa, nella sua politica, nella sua mentalità grida il contrario. La democrazia è diventata una parola a significati polivalenti; e tra questi significati c’è anche quello che l’antico linguaggio degli uomini definisce con il termine opposto: dittatura… Noi socialisti democratici abbiamo sempre pensato che, eliminate le cause che hanno orientato la Russia verso una struttura burocratica, se ne sarebbero alla lunga anche eliminati gli effetti… Molti di noi accarezzavano la speranza di veder presto sorgere il giorno [dell’avvio di] un processo di democratizzazione politica in Russia.266

E tuttavia l’evoluzione dei rapporti internazionali aveva vanificato quella speranza. La Russia infatti era presa nel duro gioco della contrapposizione fra blocchi, in ciò condizionando i diversi partiti comunisti dell’Occidente.

Alla fine del Congresso fiorentino, quasi tutto il partito si ritrovò su alcuni punti fondamentali: unità d’azione con il PCI; partecipazione al Governo; impegno per

264 Ivi, p. 287. 265 Ivi, p. 297. 266 Ivi, p. 306-7.

la Repubblica e la Carta costituzionale; esaltazione del nesso fra marxismo e democrazia e della società senza classi.

Le mozioni che approvavano la politica della direzione furono riunite in un’unica mozione “di base”, quella Nenni-Basso, che ottenne circa il 46% dei voti; l’opposizione si raccolse intorno alla mozione “unificata”, Pertini-Silone, che riportò all’incirca il 40,6%, mentre Critica Sociale restò isolata e con la sua mozione ottenne l’11,4%267.

Nenni osservò che le due mozioni più votate non erano, poi, dissimili. Nonostante ciò i lavori furono seganti da uno scontro molto duro fra Morandi, che sosteneva l’esigenza dell’unità fra i partiti di classe, e Pertini, favorevole prima di tutto ad un rafforzamento dell’autonomia socialista. Saragat rivendicava l’autonomia socialista non in contrapposizione all’unità con il PCI, ma come presupposto di essa.

Al termine dei lavori un compromesso permise di eleggere la segreteria, ma la situazione interna al partito non era più mascherabile e la tregua sarebbe durata soltanto il tempo di condurre unitariamente le elezioni per la Costituente e il Referendum istituzionale del giugno 1946.

Dal congresso di Firenze a quello di Roma le polemiche interne al partito proseguirono, prive di una concreta sostanza. La maggioranza del partito respingeva l’idea fusionista ma considerava l’unità strategica col PCI una necessità; la riforma dello statuto sarebbe stata messa da parte. I fusionisti volevano superare le ragioni della scissione di Livorno del 1921; gli esponenti di Critica Sociale consideravano l’URSS una potenza imperialista; i “giovani turchi” di Iniziativa Socialista spingevano per una rottura sia con i comunisti che con le forze moderate, a favore di una politica di opposizione, rivoluzionaria e democratica. Basso aspirava ad un Partito socialista più leninista del PCI, proiettato verso la creazione di un partito unico della sinistra; Pertini sosteneva l’unità della classe lavoratrice nel rispetto dei valori democratici del socialismo italiano; Saragat, più autonomista che unitario, diveniva il punto di riferimento

267 Cfr., AA.VV., Il Partito socialista italiano nei suoi Congressi, vol. V, 1942-1955, cit., pp. 62- 103.

delle varie anime socialiste-democratiche, mentre Nenni svolgeva un’opera di mediazione, nel perseguimento di una politica unitaria.

I risultati elettorali del giugno 1946 furono un successo per i socialisti: la sinistra si riconosceva nel PSIUP, nonostante il PCI fosse più forte dal punto di vista organizzativo.

Il 27 ottobre venne rinnovato, anche con la firma di Saragat, il patto d’unità d’azione con il PCI che, a differenza di quello firmato il 28 settembre ’43, non affermava più la volontà di arrivare ad un unità organica fra i due partiti ma, soprattutto, non riconosceva all’URSS il ruolo di “avanguardia del movimento operaio”.268

A novembre i risultati della seconda tornata delle elezioni amministrative, che registrarono una netta flessione del PSIUP a vantaggio dei comunisti, rinfocolarono le tensioni. Rispetto al primo turno, i votanti scesero dal 90 al 65 per cento: i comunisti persero qualche migliaio di voti, ma crebbero in percentuale; i socialisti riportarono notevoli perdite, fortemente danneggiati dall’astensionismo. Secondo Nenni molti elettori non avevano votato perché sfiduciati dalle lotte intestine al partito; secondo Saragat, invece, gli elettori avevano punito la politica fusionista e l’autoritarismo di alcuni dirigenti, fra i quali Nenni e Basso.269

Saragat e l’ala destra del partito, accentuarono le critiche alla direzione a tal punto da costringere quest’ultima ad anticipare il Congresso nazionale del partito,