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La religione e gli adolescent

7.2 La formazione religiosa

Se si ipotizza una relazione tra la pratica dei genitori con quella dei figli si trova, come appare ovvio, una relazione tra le due variabili. I figli dei praticanti sono in sostanza assai più spesso esposti alla socializzazione religiosa dei figli dei non praticanti, o dei saltuari.

Tuttavia, nel contesto , ciò che colpisce è l’alto numero di ragazzi che denotano, nel periodo adolescenziale una partecipazione elevata alla ritualità ordinaria. Ciò è del resto implicito nel fatto che i livelli di pratica degli adolescenti appare più che doppio di quello osservabile nell’età adulta.

Una quota elevata di adolescenti si caratterizza dunque per il fatto di assumere modelli di comportamento socio-religioso che contrastano con quello di uno dei genitori o di entrambi. Questo fatto non si spiega se non secondariamente con l’esistenza di pressioni ambientali, la spinta omologante dei compagni, che inducono a richiedere la socializzazione religiosa, in un certo senso in contrasto con quanto i genitori desiderano.

216 J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino, Bologna 1986; Id., Il discorso filosofico

della modernità, Laterza, Roma-Bari 1987.

Claudio Uras

La religione e gli adolescenti. Una indagine empirica nel territorio di Sassari

Tesi di Dottorato in Fondamenti e Metodi delle Scienze Sociali e del Servizio Sociale - Università degli Studi di Sassari – XXIII Ciclo

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Al contrario, sono i genitori stessi che di solito orientano i loro figli verso l’ambiente parrocchiale e la pratica religiosa.

I ragazzi in questi contesti familiari si trovano a ricevere messaggi che li inducono ad esporsi alla socializzazione religiosa, ma non notano comportamenti congruenti nei genitori e ciò, in alcuni casi, è fonte di disagio per il minore.

Probabilmente però questo aspetto non va troppo enfatizzato. A definire una situazione di dissonanza di un certo rilievo infatti non concorre solamente la dimensione della pratica esplicita. I ragazzi stessi sono portati a non considerarla come decisiva per definire i caratteri della persona credente e ciò tanto più spesso quanto più vivono una esperienza religiosa di qualche spessore. D’altra parte non sono pochi coloro che, pur vivendo in famiglie scarsamente praticanti, ciononostante si rappresentano i propri genitori come persone religiose. Mentre, al contrario, vi sono ragazzi i quali avvertono nella pratica dei loro genitori aspetti di ritualismo e di formalismo che finiscono per condizionarne negativamente la relazione con l’esperienza religiosa.

In sostanza le situazioni di dissonanza cognitiva in rapporto alla religione esistono e sono abbastanza diffuse, ma solo in una parte dei casi assumono il rilievo che si potrebbe supporre, soprattutto a causa del fatto che l’importanza della pratica nel definire l’identità religiosa è stata drasticamente ridimensionata nella cultura odierna.

Piuttosto il richiamo a queste situazioni, largamente diffuse, induce ad un altro ordine di considerazioni che appare decisivo nel delineare il significato della religione per i ragazzi e le ragazze e la loro evoluzione tra preadolescenza e adolescenza.

Ma il contesto comunicativo in cui vivono i ragazzi e le ragazze non è costituito solo dai rapporti intergenerazionali. Essi vivono anche rapporti orizzontali con altri, che hanno la stessa età o qualche anno in più. L’adolescenza è anzi proprio la fase della vita in cui tali rapporti diventano per la prima volta realmente importanti, per taluni aspetti quelli più importanti. E’ attraverso di essi che si comincia ad esplorare lo spazio ignoto che si estende oltre il controllo operato dal mondo adulto.

Claudio Uras

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Questo nuovo contesto comunicativo appare affatto diverso da quello precedente. Esso non contempla quegli squilibri strutturali che segnano il primo. Le relazioni si dovrebbero sviluppare con maggior fluidità.

Ora, in esso la comunicazione dell’esperienza religiosa sembra del tutto assente: la religione appare come una sorta di scatola nera dell’universo discorsivo adolescenziale.Non sorprende che ciò sia così. Perché questo è lo spazio del gioco, dell’avventura, dell’esplorazione, della trasgressione, luoghi e spazi che con la religione, come si è detto, non sembrano avere nulla a che fare.

L’assenza del discorso religioso nella comunicazione all’interno del gruppo dei pari potrebbe indurre ad affrettate considerazioni circa la sostanziale irrilevanza di tale dimensione nella vita dei ragazzi e delle ragazze. Ma questa conclusione sarebbe alquanto azzardata.

Si può, al contrario, avanzare l’ipotesi che la sua assenza non debba essere intesa come espressione di un vuoto religioso di proporzioni così profonde, ma dipenda da altri fattori. La comunicazione tra ragazzi appare infatti anch’essa disturbata da aspettative deformanti, che nella sostanza inducono a ritenere nell’intimo quello che alcuni di questi, quantomeno, vivono. Sono gli aspetti di osservanza rituale che possono entrare nel dialogo interno al mondo dei pari, le tecniche di aggiramento con cui si cerca di evitare il loro carattere vincolato, le piccole solidarietà con cui ci si sforza di ammazzare il tempo in noiose occasioni, gli standard accettabili di comportamento per evitare di incorrere nelle ire familiari, le strategie di fuga o di osservanza passiva.

Così l’esperienza religiosa entra nella comunicazione tra ragazzi e ragazze nelle sue forme meno attraenti e più gravose. Finisce per trasformarsi in stereotipi e poi a legittimarli come veridici. Le rappresentazioni positive e vivaci dell’esperienza religiosa che esistono e sono documentabili ed anche di taluni aspetti della socializzazione ricevuta non vengono trasmesse, non entrano in circolo. Come non entrano nella comunicazione le esperienze intime della preghiera, della familiarità con il sacro, che pure ci sono e non sono sempre irrilevanti.

Claudio Uras

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Provare a comunicare queste esperienze nel gruppo dei pari è infatti rischioso, non è il luogo, non si danno i linguaggi, non corrisponde alle attese: chi provasse a farlo potrebbe facilmente essere considerato un po’ strano, un po’ “bigotto”, ed in ogni caso immaturo, succube al mondo adulto.

Il formidabile compito di crescere, di essere accettati dai ragazzi e dalle ragazze più grandi, di divenire come loro emancipati, il desiderio di sperimentarsi in nuovi spazi vitali ora finalmente praticabili, entra in cortocircuito con il messaggio celato nella comunicazione ambigua proveniente dal mondo degli adulti, rafforza e giustifica gli stereotipi, rende non comunicabile l’“intimità” religiosa.