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Su un altro importante aspetto i due paradigmi di ricambio generazionale si differenziano: il grado di formularità dell'enunciato.

Come si può osservare dalla tabella, per quanto concerne il paradigma degenerativo (parte destra dello schema) si osserva una certa fissità di formulazione; per ogni concetto viene infatti riportata alla voce "enunciato" una sola soluzione - le alternanze segnalate in nota sono più che altro variazioni a quella soluzione.

Per quanto concerne invece il paradigma rigenerativo (parte sinistra) notiamo che per tutti i concetti, tranne quello di gruppo umano/generazione, compare varietà di enunciato. Scelte lessicali o retoriche diverse si verificano tra un racconto e l'altro (ad es. Il diluvio tratta il concetto dell'eccezione in maniera implicita, attraverso il contrasto tra la dôr e il suo capo "giusto" e pio; mentre nel racconto Nel deserto il concetto viene espresso esplicitamente dall'espressione "tranne Caleb e Giosuè"). Scelte lessicali differenti si incontrano talvolta anche all'interno dello stesso episodio, in diversi punti o riproposizioni del tema (proprio l'esempio dell'eccezione di Caleb e Giosuè conosce due tipi di formulazione: prep. יתלב in Num 32,12, e prep. יתלוז in Dt 1,36).

Di certo la varietà di enunciato propria del ricambio rigenerativo rende difficile il suo reperimento all'interno del corpus storiografico biblico, mentre la formularità con cui si presenta il modello del ricambio degenerativo aiuta la sua individuazione. Il ricorrere delle stesse parole, nella stessa veste grammaticale e sintagmatica, ad esprimere gli stessi concetti è un fenomeno che desta un certo interesse e soprattutto permette un riconoscimento certo del pattern.

Le notevoli somiglianze tra i questi testi vengono qui di seguito evidenziate. Ad ogni colore corrisponde un diverso concetto: morte del capo-dôr (verde), gruppo umano/generazione (giallo), sorgere della novità (azzurro), ignoranza (rosa), servire (grigio). Si noti che, per ogni concetto, compare lo stesso repertorio di parole e espressioni, ossia lo stesso enunciato, con poche variazioni dovute ai due differenti contesti narrativi.

Es 1,6-8.13 (Morì Giuseppe) 6 ֙ף ֵסוֹי ת ָמָ֤יַּו ְו וי ָ֔ח ֶא־לָכְו אוּ ֽה ַה רוֹ ֥דּ ַה לֹ֖כ ׃ 7 פ ׃ם ָֽתֹא ץ ֶרָ֖א ָה אֵ֥ל ָמּ ִתַּו ד ֹ֑א ְמ ד ֹ֣א ְמ ִבּ וּ ֖מ ְצ ַﬠַֽיַּו וּ ֥בּ ְרִיַּו וּ ֛צ ְר ְשִׁיּ ַֽו וּ ֧ר ָפּ ל ֵ֗א ָר ְשִׂי יֵ֣נ ְבוּ 8 םִיָ֑ר ְצ ִמ־ל ַﬠ שָׁ֖ד ָח־ךְֶלֶֽמ ם ָק ָ֥יַּו עַ֖דָי־אֹֽל ר ֶ֥שׁ ֲא ׃ףֵֽסוֹי־ת ֶא ... ׃ךְ ֶרָֽפְבּ לֵ֖א ָר ְשִׂי יֵ֥נְבּ־ת ֶא םִיַ֛רְצ ִמ וּדִ֧בֲﬠַיַּו13

Gdc 2,8-10 (Morì Giosuè) 8 ַעֻ֥שׁוֹהְי ת ָמָ֛יַּו ׃םיִֽנ ָשׁ ר ֶשֶׂ֖ﬠָו הָ֥א ֵמ־ן ֶבּ הָ֑והְי ד ֶב֣ ֶﬠ ןוּ֖נ־ן ִבּ 9 וֹ ֔תָל ֲחַנ לוּ ֣בְג ִבּ ֙וֹתוֹא וּ ֤ר ְבּ ְקִיַּו ׃שׁ ַﬠָֽגּ־ר ַהְל ןוֹ ֖פ ְצּ ִמ םִיָ֑ר ְפ ֶא רַ֣ה ְבּ ס ֶרֶ֖ח־תַנ ְמ ִת ְבּ 10 ויָ֑תוֹב ֲא־ל ֶא וּ ֖פ ְס ֶאֶנ אוּ ֔ה ַה רוֹ ֣דּ ַה־לָכּ ֙םַגְו ם ֶ֗הי ֵר ֲח ַא ר ֵ֜ח ַא רוֹ ֙דּ ֩ם ָקָיַּו ֙וּע ְד ָֽי־אֹל רֶ֤שׁ ֲא ׃לֵֽא ָר ְשִׂיְל הָ֖שׂ ָﬠ ר ֶ֥שׁ ֲא ה ֶ֔שׂ ֲﬠ ַמּ ַֽה־ת ֶא ֙םַגְו הָ֔והְי־ת ֶא 11 הָ֑והְי יֵ֣ני ֵﬠ ְבּ עַ֖ר ָה־ת ֶא לֵ֛א ָר ְשִׂי־יֵֽנ ְב וּ ֧שׂ ֲﬠַיַּו ַיַּו וּ ֖ד ְב ַﬠ ׃םיִֽל ָﬠ ְבּ ַה־ת ֶא

Tale somiglianza tra Es 1,6-8 e Gdc 2,8-10 non è passata inosservata allo stesso Van Seters che, nel suo confronto tra le tecniche narrative erodotee e quelle bibliche, cita tali passi come caso di studio:

In order to drive home his basic themes, Herodotus repeats similar events and episodes; these are associated with one another by analogy rather than arranged in logical or temporal sequence. The biblical authors prefer to place similar episodes in a series with interpretative introductions and summary statements, as in Judges and Kings. The result is a much tighter connection within the series but a much looser connection between the series. Yet analogies and comparisons from one block of material to another are sometimes achieved, as in Herodotus, by repeating similar phrases and formulae (e.g. Exod. 1,6-8 and Judg. 2,8-10). Since analogy is a more subtle form of unity than logical or temporal connection, there may be more examples than have hitherto been recognized. At any rate, the use of repetition as a deliberate connective technique must receive more attention in biblical studies23.

I punti che solleva Van Seters sono in linea con l'assunto di base di questa tesi. La ripetizione, nella prosa biblica come in Erodoto, va letta come una strategia che serve a creare analogia tra episodi o eventi storici distanti nel tempo e nel flusso della narrazione. Nello history writing biblico la ripetizione è da considerarsi, pertanto, una tecnica compositivo- letteraria messa al servizio dell'analogia, ossia con un fine interpretativo- storiografico.

Van Seters in questa osservazione tratta perlopiù di tecniche compositive che si realizzano a livello di enunciato (come le "interpretative introductions and summary statements, as in Judges and Kings"). Per questo prende in considerazione, di tutto il complesso fenomeno del ricambio generazionale descritto in questa tesi, solamente il dato del parallelo testuale tra Es 1,6-8 e Gdc 2,8-10, in cui il ricorrere di "similar phrases and formulae" rende immediatamente riconoscibile l'operare della tecnica di ripetizione. La riflessione svolta in questa tesi amplia ulteriormente il campo di indagine: dal livello dell'enunciato a quello della

struttura concettuale sottostante. Ne consegue che non soltanto si considera interessante e significativa la ripetizione verbale, ma anche e allo stesso modo quella concettuale.

Non sempre e non solamente, si è scoperto dallo studio, l'analogia opera attraverso la ripetizione esplicita di parole, espressioni o stringhe testuali, bensì opera anche attraverso la riproposizione implicita di strutture concettuali o patterns. Se il caso di Morì Giuseppe // Morì Giosuè rappresenta un fenomeno di ripetizione, oltre che sul piano concettuale, anche e soprattutto sul piano dell'enunciato per via della sua formularità, il caso di Diluvio // Deserto è invece un fenomeno di sola ripetizione del pattern concettuale, con l'unica ricorrenza verbale di lessemi-chiave quali dôr e ra‘.

La ripetizione di patterns o strutture concettuali va considerata, di conseguenza, tra le tecniche di composizione proprie dello history writing biblico, al pari del più studiato - e riconoscibile - fenomeno della ripetizione formulare (come nel nostro caso di Es 1,6-8 // Gdc 2,10) e della formula vera e propria (ad es. le tôledôt più volte citate al cap. 1).

3.5 Rielaborazione: il caso dei racconti "impropri"

Ho riservato per la fine di questo capitolo il discorso sui cosiddetti racconti "impropri". Essi presentano una rielaborazione letteraria dei concetti e degli enunciati che si riscontrano nei racconti "propri", dando alla luce commistioni, episodi che alludono alla questione del ricambio generazionale, senza tuttavia trattarlo nella maniera convenzionale vista finora.

Questi racconti non rispondono a nessuno dei due paradigmi di passaggio generazionale, bensì rielaborano, attraverso la selezione, il prestito e la variazione letteraria, componenti tratti da entrambi. Se l'analogia, così come definita da Sternberg, avviene tra due elementi (due personaggi, eventi, fasi dell'azione etc.) tra cui "esiste almeno un punto di somiglianza ("similarity") ed un punto di divergenza ("dissimilarity")"24, si

può certamente affermare che sia Il seme di Abramo sia Il testimone tendono legami di analogia con i racconti che narrano ricambi generazionali tout cours.

La selezione dei componenti operata dai racconti "impropri" è il primo meccanismo di rielaborazione del costrutto. Dall'analisi di tale selezione si può comprendere quali componenti del costrutto convenzionale siano ritenuti importanti nei due nuovi racconti e quali invece trascurabili (e trascurati). Il seme di Abramo seleziona dal repertorio generale il lessema dôr (sentinella lessicale del concetto di generazione), la morte naturale del capo-dôr (qui, Abramo), il servire e il problema dell'ignoranza/conoscenza. Il testimone pone al centro la questione di un determinato gruppo umano/generazione (le dôrôt, al plurale, discendenti delle tribù dell'Est), il peccato, l'ira divina, il rischio della morte e, ancora una volta, il problema dell'ignoranza/conoscenza.

In linea generale, il primo racconto ha un profilo più simile al paradigma degenerativo, mentre il secondo si avvicina piuttosto al paradigma rigenerativo. Tuttavia, entrambi sono altro. Essi presentano elementi di modelli convenzionali e allo stesso tempo variazioni a tali modelli. Grazie a questa dinamica di "similarity/dissimilarity" nasce l'analogia testuale. Secondo Sternberg infatti "the similarity affords the basis for the spatial linkage and confrontation of the analogical elements, whereas the dissimilarity makes for their mutual illumination, qualification, or simply concretization"25.

Un caso interessante di dinamica "similarity/dissimilarity" si vede nella profezia data ad Abramo in Gen 15,15-16. Il testo recita:

24 M. Sternberg (1985), 366; la traduzione dall'inglese è mia. 25 Ibi, 365.

15

׃הָֽבוֹט הָ֥בי ֵשׂ ְבּ רֵ֖ב ָקּ ִתּ םוֹ֑ל ָשׁ ְבּ ךָיֶ֖תֹב ֲא־ל ֶא אוֹ ֥ב ָתּ הָ֛תּ ַאְו

16

׃הָנֵּֽה־ד ַﬠ י ִ֖רֹמ ֱא ָה ן֥וֹ ֲﬠ םֵ֛ל ָשׁ־אֹל יִ֧כּ הָנֵּ֑ה וּבוּ ֣שָׁי יִ֖ﬠי ִב ְר רוֹ ֥דְו

15 Quanto a te, te ne andrai in pace presso i tuoi padri e sarai sepolto dopo una prospera

vecchiaia.

16 Alla quarta generazione essi torneranno qua; perché l'iniquità degli Amorei non è

giunta finora al colmo». (Trad. NRV)

Le parole che annunciano la morte di Abramo (ךָיֶ֖תֹב ֲא־ל ֶא אוֹ֥ב ָתּ) sono simili a quelle che si incontrano nell'enunciato di Gdc 2,10 ( וּ֖פ ְס ֶאֶנ

ויָ֑תוֹב ֲא־ל ֶא); l'espressione "andare presso i tuoi padri" è infatti variante eufemistica del תומ wayyiqṭol, lessema principe del concetto di morte naturale nel paradigma degenerativo. Ad Abramo spetta dunque una fine da capo-dôr, come quella che tocca in sorte a Giuseppe e Giosuè, caratterizzata da felice vecchiaia e sepoltura onorevole.

Ma immediatamente dopo si incontra una grande differenza rispetto ai casi di Es 1-6-8 e Gdc 2,8-10. Al versetto 15,16 è nominata una dôr connotata come la "quarta" dopo Abramo; da ciò si deduce che Abramo, a differenza dei due capi-dôr Giuseppe e Giosuè, lascia dopo di sé una discendenza. Dôr, lessema sentinella del tema del ricambio generazionale, compare nello stesso luogo in cui compare nei due racconti di riferimento (dopo il destino del capo-dôr), ma in questo caso non ha collegamento con la morte. A morire è soltanto il capo-dôr, mentre alla dôr spetta un destino diverso: "torneranno qui".

Questi due versetti all'interno dell'episodio di Genesi 15 alludono fortemente al fenomeno del ricambio generazionale sia nell'ordine dei concetti (morte naturale - figura del capo-dôr - generazione), sia nella scelta delle parole (eufemismo di תומ - lessema רוד). Ma allo stesso tempo se ne distanziano significativamente nel momento in cui a יִ֖ﬠיִב ְר רוֹ ֥דְו si fa seguire il verbo וּבוּ ֣שָׁי e non un verbo che indica l'effettiva estinzione della generazione insieme al suo capo (come in Morì Giuseppe e Morì Giosuè). Nel Seme di Abramo, tanto nello schema concettuale quanto nell'enunciato, il tema del ricambio generazionale è menzionato, ma non realmente concretizzato.

La stessa dinamica di "similarity/dissimilarity" si osserva anche per Il testimone, che con somiglianze concettuali e lessicali riecheggia il

modello del ricambio generazionale26, ma che con evidenti differenze traccia una linea narrativa diversa ed originale27.

Ciò che accomuna fra loro i due racconti "impropri" è il fatto che in entrambi il ricambio generazionale è un elemento secondario e non principale, interviene come riferimento e allusione e non costituisce il cuore del racconto. Dal punto di vista funzionale, in essi il ricambio generazionale non svolge il ruolo consono di strumento storiografico - non muove cioè la narrazione da un'epoca all'altra attraverso percorsi di progresso o di regresso. È semplicemente un elemento tematico, evocato al fine di caratterizzare, illuminare e contrastare con il vero nucleo dei due racconti: il problema dell'eredità/successione. Tale è il soggetto dei due racconti "impropri", mentre il ricambio generazionale è solamente un efficace termine di confronto letterario.

La successione della casa è il cuore della domanda di Abramo in Gen 15,2-3 e dell'intero capitolo: "Dio, Signore, che mi darai? Poiché io me ne vado senza figli e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco... Tu non mi hai dato discendenza; ecco, uno schiavo nato in casa mia sarà mio erede" (NRV). Così come il destino degli eredi è al centro delle preoccupazioni delle tribù dell'Est, Ruben, Gad e metà tribù di Manasse: "[Dio] sa se non l'abbiamo fatto [costruire l'altare "incriminato" presso il Giordano] per timore di questo: che, cioè, in avvenire, i vostri figli potessero dire ai nostri figli: "Che cosa avete a che fare voi con il Signore, il Dio d'Israele?" (Gs 22,24, NRV). Gli eredi o i successori sono chiamati nell'episodio di Genesi 15 ערז "dicendenza, seme" oppure רוד (quest'ultimo in riferimento particolare alla quarta linea di discendenza); mentre nell'episodio di Giosuè 22 sono chiamati ונינב, "i nostri figli" (punto di vista delle tribù dell'Est) oppure ונירחא וניתורד.

L'impiego che i due racconti "impropri" fanno del lessema dôr conferma ulteriormente la differenza rispetto ai racconti classici di ricambio generazionale: negli ultimi la dôr è destinata a morire e a riformarsi da zero, mentre nei primi indica generazioni o gruppi umani del

26 I protagonisti di questo episodio, per di più, sono i figli della generazione maledetta

del deserto.

27 Questo episodio offre una soluzione pratica, direi concreta (la costruzione di un

altare), all'ignoranza che normalmente consegue al ricambio generazionale. Il tema del "sapere", cruciale e ricorrente con il lessema עדי (Gs 22,22 e 22,31; cfr. cap. 2 par. Il testimone), è comune al modello del ricambio generazionale. Tuttavia presenta un diverso sviluppo, questa volta del tutto positivo: l'altare diventa l'oggetto che garantisce il "sapere", è l'elemento transgenerazionale chiamato a testimoniare a favore delle future generazioni di Ruben, Gad e della metà orientale di Manasse.

futuro, non ancora nati al momento in cui se ne parla (dôr è infatti sinonimo di "discenzenza, seme" in un caso e di "figli" nell'altro).

Di queste generazioni future, da un lato si diffida che possano nascere (e la profezia serve a rincuorare Abramo di ciò), dall'altro si teme che possano essere escluse dall'eredità: due cose che di fatto equivarrebbero alla fine di una linea di discendenza. Per questo motivo risulta particolarmente efficace, nei due racconti in questione, l'affiancamento del tema dell'eredità con quello del ricambio generazionale: esso solleva un rischio, che tuttavia rimane soltanto potenziale. Le divergenze di concetto ed enunciato rispetto al costrutto classico fanno sì che la narrazione svii dall'effettiva attuazione di tale rischio.

 

CONCLUSIONI: