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L’autrice, in numerose interviste, ha fatto riferimento al grande valore del linguaggio; ciascuna parola avrebbe una costellazione di significati, anche alla luce dello spessore polisemico e delle varianti contestuali che tendono a creare dialettiche contrastive: “To me the truth is that things mean many things at once, and all of them opposed to each other, and all of them true”.227 Kincaid ha ribadito più volte che ciò che le interessa maggiormente perseguire, non solo nella scrittura, ma nella vita, per quanto essa possa mostrarsi ostile e piena di difficoltà, è la ricerca della verità:

I think life is difficult and that’s that. I am not at all ─ absolutely not at all ─ interested in the pursuit of happiness. I am not interested in the pursuit of positivity. I am interested in pursuing a truth, and the truth often seems to be not happiness but its opposite.228

La visione, e soprattutto l’approccio, con i quali Kincaid affronta il percorso di vita trovano un riscontro proprio nella scrittura, che si nutre di elementi autobiografici o autoreferenziali e rivela i principali ambiti di indagine, ovvero l’intento di scoprirsi interiormente, far luce su varie problematiche socio-culturali e far emergere una realtà anche ruvida, controversa. Nei suoi saggi come nella sua narrativa, ogni parola appare ben calibrata e ciascun termine si connota di una specifica intensità, al fine di dar corpo e plasticità a immagini e idee che hanno reso Kincaid un’autrice unica e senz’altro apprezzata per la capacità di comunicare sensazioni ed emozioni in maniera diretta, efficace e pungente. Anche Derek Walcott ritiene che il periodare dinamico e al contempo “atomizzato” costituisca un grande punto di forza della prosa della scrittrice:

The simplicity of her sentence is astounding. As she writes a sentence, the temperature of it psychologically is that it heads toward its own contradiction. It’s as if the sentence is discovering itself, discovering how it feels. And that’s astounding, because it’s one thing to be able to write a good declarative sentence; it’s another thing to catch the temperature of the narrator, the narrator’s feeling. And that’s universal, and not provincial in any way. Her work is so full of spiritual contradictions clarified that it’s extremely profound and courageous.229

227 Susan Kenny, “Paradise with Snake”, New York Times Book Review, April 7, 1985, p. 6. 228 Cfr. Marilyn Snell, op. cit., p. 30.

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Proprio in The Autobiography of My Mother si nota bene l’utilizzo frequente di dichiarazioni contraddittorie, in grado di mettere in risalto, attraverso giustapposizioni di simboli ed immagini, l’io composito e lacerato della protagonista. Un esempio lampante è fornito dalla frase “My mother died at the moment I was born, and so for my whole life there was nothing standing between myself and eternity; at my back was always a bleak, black wind”230, che dà l’avvio al romanzo e che colpisce proprio per il richiamo ossimorico a nascita e morte, che, a sua volta, si fa cifra delle tensioni e delle emozioni discordanti nell’animo di Xuela. Da un lato, infatti, ella inneggia alla libertà e alla possibilità di condurre una vita basata su scelte autonome, senza dover tenere conto dell’influenza della madre, ma, dall’altro, è drammaticamente consapevole che non potrà mai conoscerne la storia. Per questo, avvertirà sempre un vuoto dentro sé, tradotto simbolicamente con l’immagine di un “bleak, black wind”.231 Lo stesso titolo dell’opera, come si era a suo tempo

evidenziato, crea un cortocircuito semantico, mentre all’interno del testo il linguaggio si erge sia a conquista attiva, sia a codice oppressivo:

The novel represents a testament to the self-authorizing power of language, a power commented on self- reflexively throughout the text. Its liberatory perspective on language, though, coexists with a deep unease and ambivalence. If Xuela achieves self-assertion through language, her triumph must include the bitter awareness that her self-authorization occurs in and through the language and discursive framework of the colonizer. The ambivalence of her relationship to and within language structures Xuela’s consciousness and experience and establishes the paradox that her life embodies.232

Nell’ottica più positiva, si può sostenere che la protagonista sia alla ricerca continua di una propria autonomia ed indipendenza, che riesce ad ottenere anche grazie all’impiego di un linguaggio affinato, utilizzato appunto come uno strumento dialettico che le consente di avvalorare la propria posizione di donna sicura e determinata, con una personalità che si afferma su vari fronti, in primis su quello individuale, ma anche sul piano culturale e sociale. La capacità di raccontarsi in maniera incisiva conferisce a Xuela una maggiore sicurezza e consapevolezza di sé. Spesso, attraverso parole molto forti, si dilunga in riflessioni, a volte anche sconvenienti, che comunque esprimono la sofferenza per la perdita della madre, la sfiducia nei confronti del genere maschile e l’ostilità verso un certo mondo femminile, tratti che conferiscono all’opera un’impronta pessimistica. Se alcuni critici hanno puntato il dito contro questa deriva nichilistica, altri hanno invece notato la presenza di un “liberismo della disperazione”. Così riflette ad esempio Margaria Fichtner: “From first page to last, Kincaid relates Xuela’s remarkable story with a richness and

230 Cfr. Jamaica Kincaid, The Autobiography of My Mother, cit., p. 3. 231 Ivi.

232 Louis Simon, “Triumph of Ambivalence: Jamaica Kincaid’s The Autobiography of My Mother”, Journal of

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lyricism that can be almost heartbreaking. Some passages read like word pictures; others read like psalms”.233 Anche Paul Grondahl mette in primo piano la carica emotiva del linguaggio di Kincaid,

definendo quello di Xuela un “shocking, cruel tale of the tyranny of the past and attempts to escape it”.234 Oltre che su questi aspetti, i critici si sono ovviamente soffermati sulla strutturazione del

testo come un lunghissimo monologo, narrato in prima persona dalla protagonista, che non contempla interpolazioni di discorsi diretti, citazioni o dialoghi; l’unica a giungere al lettore è la voce ipnotica di Xuela, che, guardandosi indietro, racconta la sua vita, le difficoltà, le sofferenze subite ed infine anche la sua rivincita personale, in modo altrettanto intenso.

La scrittura di Kincaid è inoltre nota per la sua provocatoria eccentricità, per l’artificio nella forma, per le ambiguità semantiche e per lo stile sperimentale che sembra ispirarsi sia al panorama anglofono contemporaneo, sia ai predecessori modernisti:

When you read a writer like Kincaid, you begin-and end-with the prose because the great delight of this Caribbean novelist lies in her strange, nimble, curling sentences, which are always skewing into the most unexpected metaphors. It is rare to find luminous powers of realism and narrative clarity so finely combined with a high poetic feminine heat. There is a poem on every page of Kincaid, and certainly, her almost nervous fondness for metaphor recalls the image-blessed, image-sick prose. Perception, expectation, and artifice thwart one another, nothing is as it appears, and everyone seems receptive to the imposition of alternate existence. All her novel sustain this deeply ambiguous attitude toward reality, positing it less as a fixed ontological entity than as a matter of circumstance. Jamaica Kincaid is at her most intriguing when she is exploring the intersection of representation (including everything from nature to life to death to art) and reality.235

Ma, al di là delle opinioni dei vari critici, l’autrice stessa, durante un’intervista con Brittnay Buckner, ha chiarito aspetti connessi al processo creativo della sua scrittura; esso non si svilupperebbe lungo una traiettoria lineare e stabile, ma, al contrario, si presenterebbe come un’attività in costante dinamismo durante la quale ella risponde al ritmo incessante di tutto ciò che le attraversa la mente:

I suspect everything is different. Everything I write, I don’t have any set form for it. Everything sets its own rhythm, everything I am writing. What is my creative process? I’m always writing in my head, whether I am sitting down or even sleeping. I write a lot in my sleep. I often have a dream that I am reading a book that I am at the same time writing. And the frustrating part is that I won’t say asleep long enough to finish it. And the reason I can’t stay asleep long enough to finish it is because I often don’t know what comes next. But that would be a part of my creative process: to dream about writing. For me, the creative process is not separate from everyday. I can’t separate it from everyday life. It’s ongoing.236

233 Margaria Fichtner, “Mother is the Invention of Kincaid’s Necessity”, (1983), cit. in Ike Onwordi, “Wising Up”,

Times Literary Supplement, 29, 1985, p. 13.

234 Ivi.

235 Mustapha Marrouchi, “Just Look at That Post-Colonial Shuffle”, College Literature, 34.3, 2007, p. 33. 236 Brittnay Buckner, “Singular Beast: A Conversation with Jamaica Kincaid”, Callaloo, 31, No. 2, 2008, p. 463.

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Nel caso di The Autobiography of My Mother, la protagonista stende il suo personale racconto creando un continuo intreccio di emozioni e sensazioni attraverso parole incisive e dirette. Non sono qui presenti, infatti, strutture linguistiche particolarmente complesse, ma è essenzialmente attraverso l’uso di ripetizioni, contrapposizioni e metafore che l’autrice apre un canale comunicativo capace di evocare e interpellare. L’opera mescola fatti reali ed inventati ed oscilla continuamente tra un mondo immaginario e quello conosciuto dall’autrice; come lei stessa ha dichiarato, la storia di Xuela è appunto “autobiographical in ideas but not in situation”237; ciò significa che Kincaid ripropone alcuni episodi riguardanti le esperienze di vita della madre e della nonna materna per poi ricombinarli e ricreare la storia immaginaria della propria famiglia, come sintetizza Justin D. Edwards:

Xuela can be read as a depiction of Kincaid’s fictional mother, and this relates directly to the complexity of the title. That is, the word “autobiography” might be read as being spoken by Kincaid, who bases much of Xuela’s story on the life of her own real mother. But the same word might also be understood as spoken by the fictional character Xuela, whose life as an orphan inspires her to recover the story of her own dead mother.238

Il testo, come già si è evidenziato, si concentra essenzialmente sul personaggio di Xuela che parla in prima persona; l’assenza di dialoghi si spiega con il fatto che è proprio lei a trasmettere gli scambi con e fra gli altri personaggi, mediando (forse non sempre in modo oggettivo) le prospettive di questi ultimi. In realtà, però, ciò che rende il testo peculiare è il fatto che, anche se siamo di fronte ad una narratrice autodiegetica, i pensieri e i fatti riportati da Xuela non elidono completamente la prospettiva altrui, in quanto ella è in costante relazione con le persone che le stanno attorno, le quali agiscono da sprono nello sviluppo della sua individualità:

Xuela’s monopoly on voice (and the subsequent expression of her worldview) does not suppress other perspectives, for she is not outside of the social discourses that surround her, and thus her individuality is developed in relation to her social interaction with others. Her voice, then, is not singular or monolithic; instead it is a mixture of her own speech and the external discourses that influence her.239 Anche Mustapha Marrouchi, analizzando la narrativa di Kincaid, ipotizza che si tratti di un processo duplice nel quale è facile individuare riferimenti alla vita dell’autrice ma, al tempo stesso, anche sentori di tracce radicate nell’esistenza di altri soggetti:

Her narrative is anchored in a structure of reference and attitude, which pulls off a rare and stunning feat: an oeuvre with a double life, a serious work of telling which also functions as a parable, a narrative

237 Cfr. Allan Vorda, op. cit., p. 59.

238 Justin D. Edwards, Understanding Jamaica Kincaid, South Carolina, University of South Carolina Press, 2007, p.

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81 that is, effectively and ironically, also a work that contains multitudes. Reading Kincaid this way, I found myself moving back and forth between three different selves, one Caribbean, the other American, and a third in between, that know not what compels them to write with a voice that is distinct and dense.240

Dunque, l’opera di Kincaid non si ridurrebbe a veicolo di un’istanza individuale o di un messaggio personalistico, ma si mostrerebbe in dialogo con un’ “intenzionalità sociale” in grado di unire un insieme di voci che, combinandosi e interagendo, formano un gruppo riconoscibile. Da qui potrebbero trovare spunti per attuare i cambiamenti necessari a migliorare l’esistenza collettiva.