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L’impiego di “I” come indice di un punto di vista “singolare”

3.4 Stratificazioni prospettiche

3.4.1 L’impiego di “I” come indice di un punto di vista “singolare”

Nell’opera, Kincaid sceglie di utilizzare il pronome “I” per mettere in luce la storia di eccezionalità e al contempo di solitudine della protagonista, condizione permanente che, però, consente a quest’ultima di riflettere ancora più a fondo sulle circostanze della vita e le permette di confrontarsi con la propria identità frammentata, connessa a fattori socio-economici, di classe, genere, etnia che, appunto, incidono sulla costruzione dell’individualità.

Tra i testi riguardanti gli sviluppi della teoria narratologica, quello dello studioso Wayne C. Booth è interessante ai nostri fini perché, oltre ad analizzare in maniera accurata i principi della comunicazione in narrativa, afferma fin dalle prime pagine che “One of the most obviously artificial devices of the storyteller is the trick of going beneath the surface of the action to obtain a reliable view of a character’s mind and heart”261. Viene così posto in primo piano il ruolo

epistemico del punto di vista, introducendo per la prima volta la distinzione tra autori “attendibili” e “inattendibili”. Booth coglie una componente di inattendibilità nei narratori che si esprimono in prima persona, perché “they cannot see beyond themselves to render a so-called objective view of situation as an omniscient or otherwise removed narrator might do”.262 In base a questa

definizione, Xuela risulterebbe ancora più “inaffidabile” in quanto, se all’inizio racconta gli eventi attraverso il suo sguardo di bambina, con il progredire della narrazione ella si calerà nel punto di vista di una donna, mostrandosi distante dal precedente “io”, proprio alla luce del moltiplicarsi delle conoscenze e delle esperienze vissute.

Nella sua intera produzione letteraria, d’altro canto, Kincaid “is involved in a psychological quest to discover her identity”263, e, nei suoi romanzi, l’autrice descrive le giovani protagoniste in

chiave autoreferenziale, nel loro continuo evolversi e nella loro progressiva presa di coscienza, a partire dalle dinamiche che sottostanno alla società e ai legami famigliari, fino alla scoperta di un

261 Wayne C. Booth, The Rhetoric of Fiction, Chicago, The University of Chicago Press, 1983, p. 3. 262 Cfr. Ibidem, p. 213.

263 Louis F. Caton, “Romantic Struggles: The Bildungsroman and Mother-Daughter Bonding in Jamaica Kincaid’s

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mondo più intimo fatto di nuovi ed inaspettati moti emotivi. Tutti i personaggi femminili tratteggiati dall’autrice, come spiega Rachel Hughes, “gain self-awareness and a critical understanding of their social and cultural context through many contradictory relationships with the mother and the Mother Country: ones of love, rejection, education, loss, and emulation and disobedience”.264 All’interno di The Autobiography of My Mother, Kincaid privilegia l’utilizzo della prima persona proprio per ritrarre fedelmente la battaglia dolorosa della protagonista, che si mostra in continuo conflitto con la famiglia, con le potenziali figure materne, con la società e con il suo io in costante cambiamento. Nel corso della narrazione, ci troviamo di fronte ad un mosaico di episodi ricostruiti in maniera non lineare ma, soprattutto, gli eventi più significativi non vengono raccontati ogni volta allo stesso modo; ciò non implica, però, che la voce narrante sia volutamente “inaffidabile”, quanto che essa sia soggetta a fluttuazioni legate a un percorso di ricerca ontologica e epistemologica. Di qui, come osserva Hembrough, il senso di frammentazione:

The first-person-limited supposedly allows readers to understand at least one main character intimately in a way that omniscient, removed narrators might not. However, Kincaid demonstrates that, oftentimes, a first-person narrator’s skill of critical analysis falls short: in Autobiography, the protagonist is unable to explain herself categorically, fragmenting any summation of her persona. In either speaking as a child and offering a so-called authenticity and simplicity in her storytelling, or communicating as an adult with insight and purpose, Xuela cannot provide readers with any life picture, despite Kincaid’s reliance on the limited view, which Realists believed suitable for this purpose.265

L’ulteriore ostacolo che si presenta nel corso di una possibile ricomposizione dell’identità della protagonista è il fatto che Xuela parla pochissimo con gli altri personaggi, anche se spesso è in grado di intuirne i pensieri (e viceversa). L’assenza di passi dialogati nel testo impedisce di “ascoltare” le effettive interazioni di Xuela, che si elegge a confidente privilegiata di se stessa:

I spoke to myself because I grew to like the sound of my own voice. It had a sweetness to me, it made my loneliness less, for I was lonely and wished to see people in whose faces I could recognize something of myself. Because who was I? My mother was dead; I had not seen my father for a long time.266 Come sostiene Sherrard, il testo si trasforma al contempo in una “bio-mitografia”, in cui la storia singola incorpora “rifrazioni” di un substrato mitico di storie antecedenti:

264 Rachel Hughes, “Empire and Domestic Space in the Fiction of Jamaica Kincaid”, Australian Geographical Studies,

37, 1999, p. 14.

265 Cfr. Tara Hembrough, op. cit., p. 3.

91 Xuela attempts to comprehend her own subjectivity and capacity for agency by telling her tale in a manner that centers and uplifts her position and Autobiography represents a ‘biomythography’ or a reenvisioning of a life experience which reveals multi-layered histories and collective memory.267 La protagonista esce così dalla spirale solipsistica in modo trasversale, esprimendosi in prima persona ma affidandosi anche alla memoria e al vissuto collettivo per includere nel suo mosaico gli episodi raccontati dal padre e il corso degli eventi, appresi a scuola, che hanno inciso sulla storia dell’isola di Dominica, le vicende tramandate dalla famiglia e dai membri della comunità, compresi gli usi e costumi religiosi e le credenze ritualistico-antropologiche, tessendo le proprie esperienze personali sulla trama di quelle dell’intera popolazione. Però, nel cercare di capire quali possano essere stati gli specifici trascorsi della madre perduta, Xuela fa affidamento solo su se stessa; anche se spesso riporta alcuni racconti forniti sulla donna da altre persone, queste testimonianze non sono decisive per la sua ricerca. Significativamente, nei momenti in cui la protagonista riflette sulla storia della madre cercando di conferirle, attraverso l’uso dell’immaginazione, una possibile identità, impiega unicamente la prima persona singolare, come se gli altri non riuscissero a condividere o a comprendere ciò che le è successo. L’esperienza della perdita di un famigliare caro resta insomma anzitutto una tragedia privata:

Because Kincaid implements the first-person-limited in instances in which the narrator discusses her mother, Xuela asks herself the same question concerning her mother’s identity and offers herself the identical answers, generating little feedback about her background, except from within her own psyche.268

Oltre che in queste circostanze, ci sono altri momenti in cui Xuela si affida solamente al proprio punto di vista, senza includere i pensieri di altri personaggi, come ad esempio quando, dopo la morte della madre, viene mandata a vivere nell’abitazione di Ma Eunice. La lavandaia si mostra fredda e distante nei confronti della bambina e non è in grado di trasmettere amore e parole di conforto né a lei né, tantomeno, ai propri figli. Da vari studi condotti sul piano psicologico che trattano del rapporto primordiale che si instaura simbioticamente tra madre e figlia, è accertato che uno dei momenti fondamentali per la crescita della bambina risieda proprio nella comunicazione con la madre, che, standole vicino soprattutto nel corso del suo periodo formativo, la avvicina pure alla comunicazione linguistica. Questo paradigma della madre come figura che “istruisce” e “forma” viene a mancare in The Autobiography of My Mother, come rileva Giselle Liza Anatol nel corso della sua indagine relativa al ruolo della “mother tongue”:

267 Cherene Sherrard, “The ‘Colonizing’ Mother Figure in Paule Marshall’s Brown Girl, Brownstones and Jamaica

Kincaid’s The Autobiography of My Mother”, MaComere: Journal of the Association of Caribbean Women Writers

and Scholars, 2, 199, p. 130.

92 In many cultures, women are associated with language because they are in constant contact with children during the primal years of language development. However, the image of the beatific mother encouraging her children to speak historically did not apply to women of African descent in the Caribbean. The dominant colonial class portrayed enslaved women as actively lascivious temptresses, fickle wives, and apathetic mothers. These women could not reign in a domestic haven because they were compelled to work for their masters from sunrise to far past sundown. If their children were not sold to another plantation, they were typically cared for by others.269

Infatti, Eunice pare educare i propri figli allo stesso modo e con lo stesso spirito con il quale lava i panni o svolge i lavori domestici, senza alcuna distinzione di priorità tra le mansioni; per questi motivi, Xuela non considererà mai questa donna come una potenziale figura materna e non impiegherà mai un punto di vista più ampio che possa includerla nei suoi pensieri o nel suo universo emozionale. La protagonista assume lo stesso atteggiamento nei confronti del padre, che non è mai stato per lei una guida o un modello da seguire; al contrario, egli si profila come una figura ignota e ostile, incarnazione di tutti quei valori patriarcali e coloniali rinnegati fortemente da Xuela.

Sebbene il legame che unisce Alfred e la figlia risulti dunque controverso, in una precisa occasione Kincaid estende la prospettiva di Xuela per suggellare un raro momento di condivisione con la figura paterna: quando la ragazza gli scrive una lettera di sfogo (in realtà indirizzata alla madre perduta), sceglie di utilizzare il pronome “we” per rievocare il ritorno a casa del padre e per comporre un nuovo capitolo della sua vita, dopo che egli era andato finalmente a trarla in salvo dalla casa di Eunice e dall’ostile ambiente scolastico. Dunque, Xuela sembra qui sentirsi vicino al padre, comprendendo di poter contare solo su di lui in questa circostanza: “He placed me on the donkey and sat behind me. And this was how we looked as my back was turned on the small house in which I spent the first seven years of my life”270. Subito dopo, però, la narrazione riconfluisce

verso il punto di vista singolare della protagonista, che, giunta a casa del padre, avverte una sensazione di angoscia e solitudine e un distacco improvviso da lui:

I could hear my father’s breath; it was not the breath of my life. […] The day then began to have the colors of an ending, the colors of a funeral, gray, mauve, black; my sadness inside became manifest to me. I was a part of a procession of sadness, which was moving away from my old life, a life I had lived for only seven years.271

Anche quando Xuela va a vivere dai coniugi LaBatte e riceve una lettera da parte del padre, ella rifiuta categoricamente la modalità di scrittura scelta da quest’ultimo, in quanto non vuole unirsi al suo mondo e sente di non appartenere a nessuno: “He wrote that: my brother, my sister,

269 Giselle Liza Anatol, “Speaking in (M)other Tongues: The Role of Language in Jamaica Kincaid’s The

Autobiography of My Mother”, Callaloo, 25, 2002, p. 942.

270 Cfr. Jamaica Kincaid, The Autobiography of My Mother, cit., p. 24. 271 Cfr. Ibidem, p. 26.

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my stepmother; but I substituted these words: your son, your daughter, your wife. They were his; they were not mine”.272 Dunque, sebbene Xuela abbia raggiunto un’età matura, continua a

descriversi come una bambina orfana e sola al mondo che ha perso ogni speranza e ogni possibilità di comunicare ed includere nel proprio mondo i membri della sua famiglia. Anche nel prosieguo della narrazione, avvertirà lo stesso distacco anche con altri personaggi, in particolare con la matrigna, che descrive, con distacco e freddezza, come la “father’s wife”273.

Soltanto in due occasioni il punto di vista della matrigna è associato a quello di Xuela, ma il risultato è tutt’altro che positivo. La prima circostanza si verifica quando la donna insegna a Xuela come lavarsi, e qui la protagonista impiega il pronome “we” in senso disgiuntivo, ossia per puntualizzare il totale distacco nei suoi confronti, affermando: “Her hands as they touched me were cold and caused me pain. We would never love each other”.274 Utilizzando il plurale, Xuela intende rappresentare la donna come una nemica e sottolineare il fatto che non potranno mai avere un rapporto solidale e confidenziale, nonostante entrambe condividano la situazione di donne sottomesse ad un regime patriarcale, come dichiara lei stessa: “To people like us, despising anything that was most like ourselves was almost a law of nature”.275 Nei confronti della

sorellastra, con la quale condivide, in parte, il dolore per la mancanza della madre, Xuela non adotterà invece mai un punto di vista plurale: la protagonista vuole differenziarsi da lei e si ritiene “superiore” soprattutto per il fatto che il tipo di tradimento subito dalla sorellastra da parte di una madre che la rinnega e la rifiuta, sarebbe più grave rispetto a quello vissuto dalla protagonista (figlia di una madre “perduta”).

Nell’opera, dunque, emerge un ulteriore risvolto atipico, perché i personaggi femminili, anziché farsi forza e coraggio a vicenda, emergono in tutta la loro solitudine: la matrigna, la sorellastra e Xuela sono tutte donne intrappolate in un sistema che nega la loro libertà e autonomia e, nonostante il dolore condiviso, esse non appaiono mai unite. Xuela, in sostanza, parla qui al singolare per rimarcare il distacco e la diversità rispetto alle altre donne con cui entra in contatto. Al tempo stesso, la protagonista non è in grado di descrivere il proprio “changing self”276 in quanto non ha una percezione reale degli eventi passati ed è in balia delle decisioni prese da altre persone; la reazione sofferta a questa costrizione emerge in modo evidente quando lei stessa afferma: “I did not object, I could not object, I did not want to object; I did not know how to object openly”.277 Ed è proprio a suggerire come Xuela, in questa fase della sua vita, non sia in grado di prendere

272 Cfr. Ibidem, pp. 103-4. 273 Cfr. Ibidem, p. 32. 274 Cfr. Ibidem, p. 33. 275 Cfr. Ibidem, p. 52. 276 Cfr. Ibidem, p. 58. 277 Cfr. Ibidem, p. 63.

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decisioni in modo autonomo che Kincaid avrebbe scelto di raccontare la storia secondo una prospettiva ristretta e circolare, come spiega Tara Hembrough:

Without options or the possibility of making decisions, the protagonist, having no voice and no champion, narrates from Kincaid’s limited view. Just as Xuela has obeyed her father, stepmother, and Eunice, the narrator never thinks of refusing Lise anything, even being dispatched as a ‘gift’ to her husband. Still, Xuela never considers herself part of the LaBatte family and, thus, included in a larger community either. This social rejection on her part lends itself to Kincaid’s imposition of the limited view in portraying the narrator’s continuing sense of estrangement.278

L’adolescenza di Xuela è caratterizzata principalmente da un forte senso di isolamento e solitudine perché, a scuola, è costretta a rimane in disparte, (in quanto donna), mentre la notte si intrattiene con Jacques LaBatte, il quale, durante i ripetuti rapporti sessuali, le copre spesso la bocca con la mano costringendola a stare in silenzio e lasciandola in “a state of upheaval”.279 In questa situazione, Xuela non ha nessuno con cui confidarsi e nessuno che può prendere a modello: “She must act both as a child and woman, and Kincaid relies on the limited view to depict her as a character with both public and private personas, guises that the protagonist discovers do not coincide with each other”.280 Il vero cambiamento avviene dopo che ha perso la verginità, momento che modifica profondamente il suo io sia fisicamente che psicologicamente, come lei stessa dichiara: “I was not the same person that I had been before”.281 Gli eventi che si verificano

in seguito, quali la scelta di interrompere la gravidanza, con i gravi rischi per la salute (e la drammatica gravità del gesto), le fanno acquisire una maggiore consapevolezza di se stessa e delle decisioni riguardanti il suo futuro: “I believed then that I would die, and perhaps because I no longer had a future I began to want one very much”.282 Tra gli ostacoli verso l’affermazione

personale di Xuela vi è soprattutto l’aspetto socio-economico, che le impedisce di acquisire una posizione forte all’interno della società e, di conseguenza, anche di consolidare un’indipendenza economica; infatti, a casa di Eunice, del padre Alfred e in quella dei coniugi LaBatte, la ragazza è poco più di una serva e percepisce la sua vita come “small and limited”.283 Ella si sente limitata

soprattutto all’interno del luogo in cui vive, ovvero Roseau, che, a suo avviso, non può essere parificata a una città, trattandosi di un contesto provinciale nel quale “plots are hatched and the destinies of many are determined”284. Qui anche l’esperienza scolastica negativa le farà prendere consapevolezza dell’esigenza pressante di combattere contro i rigidi principi imposti dal contesto

278 Cfr. Tara Hembrough, op. cit., p. 6.

279 Cfr. Jamaica Kincaid, The Autobiography of My Mother, cit., p. 24. 280 Cfr. Tara Hembrough, op. cit., p. 7.

281 Cfr. Jamaica Kincaid, The Autobiography of My Mother, cit., p. 71. 282 Cfr. Ibidem, p. 82.

283 Cfr. Ibidem, p. 59. 284 Cfr. Ibidem, p. 61.

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coloniale per potersi sentire valorizzata. Nel corso della narrazione, descrivendo i diversi ambienti in cui trascorre i vari momenti della sua vita ed anche i paesaggi che la circondano, Xuela si rende conto di come sia complicato costruirsi un’identità, perché nota che tutto ciò che prova a progettare ed immaginare per il suo futuro contrasta fortemente con i valori socio-culturali del luogo in cui vive, dove tutto ormai sembra essere prestabilito e all’individuo viene imposto di conformarsi a quella realtà. Xuela, però, non intende farsi schiacciare da questo contesto e rifiuta di ricoprire i ruoli predeterminati di madre, moglie e domestica; non volendo subire in silenzio il destino doloroso tipico delle donne, decide così temporaneamente di andare a vivere in solitudine in una capanna e assumere sembianze mascoline, indossando gli abiti di un uomo deceduto, tagliando di netto i capelli e lavorando in un cantiere edile. Nonostante il primo stipendio, e dunque una certa indipendenza economica, questo cambiamento non incide sulle convinzioni di Xuela, che sente di non aver raggiunto nessun tipo di soddisfazione e arriva a descriversi come “not a man, not a woman, not anything”285. La protagonista si definisce dunque una sorta di zombie, una persona

privata dell’identità, incapace di prendersi cura di un figlio e tantomeno di costruire relazioni interpersonali; è anche questo uno dei motivi per i quali Kincaid sceglie di utilizzare, per la maggior parte della narrazione, un punto di vista monologico. In rare occasioni la protagonista estende la propria prospettiva, come quando si sposa con il dottor Philip e, parlando della cerimonia, definisce in questo modo il loro legame: “We were very serious repeating the vows of loyalty until death should separate us. And the moment of our earthly union was so palpable, so certain, we could almost feel it with our hands”.286 Nonostante la condivisione di questo momento,

Xuela si sentirà però distante sia fisicamente che emotivamente da Philip. In relazione a Roland, l’unico uomo che davvero ama e che la completa, ella utilizza di nuovo il pronome “we” per descrivere un momento felice trascorso insieme (“we were happy”)287; però, anche in questo caso, non ci sarà futuro per la coppia. Al di là di queste minime circostanze, Kincaid impiega maggiormente il punto di vista monologico e autoreferenziale proprio per oggettivare la solitudine della protagonista, per far emergere il suo fallimento nelle relazioni sentimentali, per sottolineare la sua incapacità di amare e, di conseguenza, trasmettere affetto. Chiara è insomma l’impossibilità di identificarsi e trovare un modello da seguire nella famiglia o nella società, come puntualizza Elizabeth J. West: “She finds no community to provide her a meaningful sense of place and self