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Frameworks quali-quantitativi dell’informativa sui rischi aziendali

Capitolo V: Metodologie di misurazione del rischio

5.4. Frameworks quali-quantitativi dell’informativa sui rischi aziendali

La congettura dell’incertezza di previsione è poi determinata come la differenza tra la dispersione “osservata” e la dispersione “stimata”, sempre per quell’anno, ma basata sui coefficienti stimati in un altro periodo.

In conclusione, il rischio specifico è funzione della volatilità storica dei redditi cvσE, dell’incertezza prevista εt+1 e delle variabili di controllo come la dimensione s, la capacità reddituale _ e la crescita dell’azienda g.

In termini generali, le aziende di dimensioni elevate hanno un rischio specifico più basso, mentre la crescita aziendale induce un più alto rischio specifico dovuto alla imprevedibilità dei livelli di performance.

La letteratura suggerisce che la misura del rischio non sistematico specifico aziendale interessa sia l’azionista/finanziatore che altri operatori. È evidente che gli indicatori diretti e indiretti di performance, e.g. indicatori di struttura e di situazione economica, monetaria, finanziaria e patrimoniale, offerti dalla pratica contabile, extra-contabile ed economico-aziendale, costituiscono il principale quadro informativo per il fronteggiamento di tale rischio.

In conclusione, secondo la ricerca analizzata la valutazione dei fattori di rischio specifico relativi redditi congetturati è descrivibile dalle seguenti due fonti: a) volatilità delle aziende definita dalla volatilità storica dei redditi o dei flussi di cassa operativi e b) grado di disaccordo degli analisti dovuto a differenziali di informazione privata.

5.4 Frameworks quali-quantitativi dell’informativa sui rischi

Valori, al fine di analizzare quali siano i contenuti e le caratteristiche del rischio da includere nell’attuale sistema informativo di bilancio.

Malgrado il notevole intervento legislativo per introdurre report informativi sui rischi aziendali, vi è nella realtà ancora scarsità di recepimento. La propensione principale nei due settori analizzati dalla ricerca dimostra comunque una apertura a informazioni di specie qualitativa131, e di orientamento forward-looking.

L’obiettivo della ricerca analizzata è duplice: il primo, consiste nel capire se e come le aziende trattano il tema del rischio “specifico” e se tali informazioni sono poi correlate ad un sostanziale miglioramento del processo decisionale; il secondo, consiste nell’adeguamento delle recenti disposizioni normative132 secondo le quali “il report

131 Le società del campione sono incentivate a divulgare informazioni relative ai rischi esterni ─ aspetti qualitativi sui concorrenti e sulle “risorse umane” ─ a cui è soggetta la gestione aziendale, poiché tali informazioni sono meno sensibili ad eventuali ricadute nei costi.

L’elemento di rischio legato alla concorrenza è poi analizzato secondo tre fattori qualitativi:

- l’intensità del settore;

- l’entrata potenziale di nuovi competitors;

- le strategie di sviluppo e piani e azioni per affrontare la concorrenza.

Tali informazioni di rischio relative al mercato sono in ogni caso da considerarsi piuttosto vaghe e dubbia è la loro sostanziale utilità a miglioramento del processo decisionale.

La conclusione a cui si può pervenire consiste nel fatto che la maggior parte delle società analizzate fornisce volontariamente informazioni qualitative correlate al rischio sopportato in relazione soprattutto alla concorrenza attuale e potenziale del mercato, tuttavia senza una quantificazione dettagliata dei costi/benefici. Inoltre un ulteriore aspetto di tale situazione consiste nella divulgazione di un quantitativo elevato di informazione sul mercato tale da oscurare il reale profilo di rischio delle aziende.

132 Di seguito sono forniti ulteriori approfondimenti sull’iter normativo rispetto a quelli già descritti nei precedenti capitoli del presente lavoro. Cfr. Commissione Nazionale per la Società e la Borsa, emanazione del Regolamento di attuazione del D.Lgs 24 febbraio 1998, n. 58, Delibera n.

11971/1999, a seguito delle Modernisation Directive (2003/51/EC, Art. 1 (14) (a), Art. 2(2)(a) e la Trasparency Directive (2004/109/EC, Art. 5 (4) (a).

Nel panorama legislativo italiano, le aziende sono influenzate da un regime di regolamentazione semi-volontaria in tema di rischi aziendali; è infatti ancora decisione discrezionale del manager se divulgare gli elementi di rischio e a quale livello di dettaglio.

In ogni caso, la divulgazione delle informazioni aziendali mira alla riduzione dei problemi legati all’asimmetria informativa, a vantaggio di un minore premio per il rischio sopportato e di un minore costo del capitale. Si evidenzia infatti una relazione positiva tra la divulgazione delle previsioni sui redditi futuri e la riduzione dei problemi di asimmetria informativa, la quale è misurata dalla varianza dei redditi sul mercato ed è influenzata dal livello dei costi di agenzia, i quali sono misurati dalla proporzione di azioni possedute da operatori interni (e.g. management). Si consideri che nella letteratura internazionale, la dimensione delle azioni possedute da soggetti interni all’azienda è considerata una prima approssimazione dell’asimmetria informativa e dei costi di agenzia, poiché si presume che la minore percentuale di possesso potrebbe migliorare la trasparenza dei dati aziendali, poiché più aderenti al valore d’azienda e mitigare pertanto i costi di agenzia. Evidenze empiriche dimostrano che il minore distacco tra la proprietà e la gestione aziendale dovuto ad un sistema

annuale del Responsabile deve contenere necessariamente una descrizione dei principali rischi e dell’incertezza a cui è sottoposta l’azienda”.

La situazione attuale in argomento è di dubbia interpretazione poiché precedenti studi empirici dimostrano che l’informativa sui rischi aziendali anche a livello internazionale non è ancora stata recepita a pieno regime; poche sono infatti le società che hanno iniziato a divulgare tali informazioni e comunque soffermandosi su rischi più tradizionali legati al sistema economico generale, mentre non vi sono esempi circa quantificazioni dei rischi specifici e sensitivity analysis133.

incentivante basato sulle stock options, determinerebbe effetti negativi sul livello e la qualità di divulgazione delle informazioni aziendali. Le dimensioni aziendali e la longevità non sarebbero invece fattori determinanti.

Al fine di fornire informazioni necessarie agli stakeholders per migliorare il processo decisionale previsionale e pervenire pertanto a decisioni più razionali di investimento, i legislatori internazionali, standards setters, lavorano per rendere obbligatoria l’informativa sul rischio. In particolare il framework dello IASB e lo IAS 1 richiedono aperture al rischio e all’incertezza nei bilancio d’esercizio, mentre lo IAS 32 e l’Exposure Draft, ED 7, forniscono dettagli sugli elementi di rischio della gestione e ambientale da evidenziare e lo IAS 37 riconosce la necessità a fornire dettagli in tema per ciò che concerne le attività e le passività patrimoniali.

Allo stesso modo il FASB richiede informazioni dettagliate sul rischio di mercato derivante dagli strumenti finanziari (SFAS 133 e SFAS 5). A differenza delle disposizioni del FASB e dello IASB, la Modernisation Directive richiede nello specifico delle esigenze informative in materia di rischio specifico e ambientale (e.g. incertezza), mentre la Trasparency Directive va oltre e richiede un report semestrale da parte del management nel quale si devono indicare i principali elementi di rischio e incertezza dei 6 mesi trascorsi e una previsione degli ipotetici rischi che possono influenzare la gestione aziendale. Le migliorie informative sono rilevanti, poiché le aziende devono fornire sia dati sui più tradizionali rischi finanziari derivanti dagli strumenti finanziari, sia un prospetto dell’intero profilo di rischio aziendale e quindi su differenti aspetti di rischio e incertezza.

Tuttavia, è necessario puntualizzare che l’obbligo di legge di divulgazione dei dati aziendali può avere anche lati negativi; infatti, molto spesso le aziende obbligate a tale divulgazione definiscono uno standard generale e costante di rischio poco aderente alla realtà. È evidente che ciò non migliora la trasparenza del processo decisionale tra gli stakeholders.

133 Per sensitivity analysis si intende lo studio delle variazioni del valore dell’azienda al variare di uno o più parametri che lo determinano. Nella prassi si utilizzano gli indicatori di seguito elencati:

- tasso di rotazione del capitale investito;

- aliquota di ammortamento;

- costo del debito;

- margine sulle vendite;

- tax rate.

Ai fini di una corretta sensitivity analysis è opportuno definire, oltre allo scenario base, almeno un paio di casistiche migliorative e un paio peggiorative per ciascuno dei precedenti indicatori.

Alcuni dei più recenti studi in ambito internazionale134, sia accademico che professionale, rivelano un particolare interesse per la comunicazione dei rischi aziendali a migliore redazione degli attuali modelli di rendicontazione135. A favore di tali tesi vi è sicuramente il fatto che una previsione sui rischi aziendali potrebbe rappresentare una chiave di lettura del modello aziendale, un driver per la determinazione del valore e un ausilio per migliorare le conoscenze dei decision-takers.

Beretta e Bozzolan (2004) hanno realizzato un framework per analizzare la qualità dell’informativa sui rischi aziendali. Assumendo che la qualità dell’informazione dipende dalla quantità delle informazioni divulgate, ma anche dalla ricchezza del loro contenuto, realizzano un indice ottenuto dalla media di 4 sotto-indicatori:

a) la “quantità” relativa (RQT);

b) la “densità” (DEN) applicata per comprendere la proporzione dell’informazione sul rischio, sulla totalità dell’informazione aziendale divulgata;

c) la “profondità” (DPT) utilizzata per identificare i tipi di attributi del rischio (e.g.

l’informazione prevista e la qualità di tale previsione);

d) il “profilo standard” (OPR) impiegato per percepire l’informazione sul rischio manageriale.

Gli autori evidenziano che tale indice può essere considerato come un benchmark anche perché non è influenzato né dalle dimensioni aziendali, né dal settore di appartenenza, ossia dai due principali fattori considerati dalla letteratura internazionale come le determinanti di influsso sull’attitudine divulgativa delle aziende.

L’attenzione va riposta allora sui seguenti tre aspetti:

- come può essere definito il rischio;

- quale tipo di informazione deve essere fornita;

- come misurare il rischio.

134 Principalmente nel mondo anglo-sassone, e.g. USA, Canada, Australia e Gran Bretagna.

135 Cfr. AICAP, 1994; IACEW, 1997, 1999 e 2002; IASB, 2005; CICA, 2002.

La letteratura principale in argomento (e.g. Solomon et al., 2000) definisce il rischio come l’incertezza associata alla realizzazione dei risultati reddituali futuri. In altre parole, il rischio identifica la volatilità dei redditi (o flussi di cassa) previsti futuri, i quali potrebbero dipendere sia dal rischio diversificabile, sia da quello non-diversificabile.

A questo punto è opportuno esaminare le fonti dell’incertezza; di ausilio, in ogni caso, potrebbe essere il report che fu previsto nel modello tri-dimensionale A.

Andersen Business Risk ModelTM, con un’enfasi particolare al rischio ambientale (considerato il principale riflesso dell’incertezza) e caratterizzato da una codifica strutturata in 114 elementi di rischio e due tipi di attributi:

a) tempo;

b) orientamento quantitativo.

Il modello offre una “mappatura” dei rischi aziendali suddivisa su quattro livelli gerarchici:

1. componenti di rischio da suddividere tra rischio “esterno” (o ambientale) e rischio “interno” (che riguarda il rischio correlato ai processi industriali e/o ai processi decisionali dell’azienda);

2. sub-componenti di rischio che si suddividono in otto classi generali di rischio all’interno delle componenti principali di cui sopra. Esempi possibili sono il rischio operativo, finanziario, amministrativo, del sistema informativo e così via;

3. categorie di rischio che consistono in 75 tipologie di rischi “specifici” con argomentazioni circa le informazioni che dovrebbero essere divulgate (e.g.

conflitti di interesse del management, remunerazioni e fringe benefit136, le frodi dei lavoratori, gli atti illeciti e così via);

4. elementi di rischio relativi all’informazione utilizzata per definire le categorie di rischio di cui sopra (e.g. tra i 114 elementi selezionati, la disponibilità di protezione dei brevetti, la stadio di sviluppo del ciclo dei prodotti e i bilanci

136 e.g. il rischio di una gestione non equilibrata dei piani di stock options, influenzando così gli assetti istituzionali e i processi decisionali.

sociali sono tra gli elementi identificativi del rischio di reputazione del mercato).

L’approccio utilizzato è di tipo contenutistico e mirato a quantificare il livello di rischio sulla base di una codifica multi-dimensionale dei diversi elementi di rischio precedentemente definiti (e.g. i 114 risk items di cui sopra). Ogni elemento di rischio è codificato sulla base di sotto-categorie legate alla dimensione temporale e alla dimensione quantitativa/qualitativa.

Di ausilio può essere il recente Reporting Statement pubblicato dallo ASB nel 2006 poiché presenta diversi esempi indicatori di risultato basati su misure quantitative (e.g.

gli “IG Examples n. 12-14 e 17-18”).

Le tradizionali tecniche di accertamento della credibilità, per capire se il processo di codifica degli elementi di rischio è aderente137 e imparziale, si basano su tre tipologie di test. I tre parametri da considerare sono la “stabilità”, la quale si riferisce alla dimensione della replica dello stesso risultato di un codificatore nel tempo; la

“riproducibilità” che misura l’estensione alla quale due o più codificatori applicano consistentemente le stesse regole di codifica e l′“accuratezza”, che compara il processo di codifica con uno standard dato.

Il test di credibilità comunemente usato è il secondo, quello della “riproducibilità”138, poiché quello della “stabilità” misura solamente inconsistenze individuali, mentre lo sviluppo di codifiche standard è ancora argomento di discussione nella letteratura internazionale, soprattutto in merito al rischio aziendale.

137 Inevitabilmente, le differenze nelle unità analizzate, nelle unità di misura e nelle informazioni qualitative analizzate, presuppongono un maggiore volume di rischio rispetto a quello identificato nei reports annuali.

138Il coefficiente usato per misurare la “riproducibilità”, pi, del dato codificato fu sviluppato da Scott (1995), il quale rettifica il coefficiente semplice di successo – ossia il tasso di prudenza dei giudizi rapportato al numero totale dei giudizi di prudenza – tenendo conto l’accordo raggiunto dalla chance.

A conclusione della ricerca analizzata, si nota una resistenza139 da parte dei responsabili aziendali nella divulgazione delle informazioni sui rischi finanziari, sia nel settore manifatturiero, sia per le singole aziende. In ogni caso, le prime cinque categorie di rischio comunemente analizzate e comunicate dalle aziende considerate nel campione riguardano i seguenti parametri:

1. concorrenti;

2. industria;

3. azionisti;

4. risorse umane;

5. sviluppo del prodotto.

La maggiore propensione degli operatori d’azienda alla divulgazione delle informazioni di rischio può poi essere circoscritta nelle due sub-componenti:

a) rischio ambientale;

b) rischio operativo.

Di queste, gli aspetti generali più rilevanti sono:

- i rischi aziendali sono positivamente correlati all’ambiente esterno;

- i rischi interni sono correlati ai processi operativi;

- i rischi sono associati alla rilevanza e alla credibilità delle informazioni divulgate, quant’anche si possa evidenziare un comportamento restio alla trasparenza dei rischi finanziari aziendali e ad altre fonti di incertezza.

È comunque corretto evidenziare che lo sviluppo di un rigoroso processo di codifica e di un’accurata analisi della credibilità di tali indicatori non annullano l’inevitabile soggettività del metodo di ricerca utilizzato140.

139 Si suppone che l’atteggiamento restio sia dovuto al fatto che gli investimenti finanziari delle aziende sia spinta più da logiche speculative e di diversificazione del portafoglio, che da logiche economiche.

140 Permangono gli elementi soggettivi delle congetture.

5.5 Incentivi alla comunicazione dei fattori di rischio. Regimi