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Capitolo 4: i documenti e gli

approfondimenti

su Francesco Morosini

Dopo aver illustrato le vicende biografiche e aver approfonditamente analizzato le dinamiche e gli avvenimenti che portarono Francesco Morosini ad essere assolto da ogni accusa dopo l’attacco dell’Avogadore Antonio Correr, è giunto il momento di addentrarci in tutta una serie di approfondimenti tematici. Essi verranno la maggior parte delle volte corredati da opportuni documenti dell’epoca che ci permetteranno di scendere nel dettaglio in alcuni temi su Francesco Morosini meno noti, che saranno introdotti da una loro contestualizzazione.

Prima di cominciare è opportuno spendere alcune parole sul metodo di approccio e di trascrizione dei documenti qui adottato, al fine di aiutare il lettore ad avvicinarsi nella maniera corretta a tutta una serie di testi d’epoca che possono risultare di difficile comprensione per una persona odierna.

Nota introduttiva alla lettura dei documenti

I testi d’archivio in seguito riportati seguono una prassi scrittoria dovuta ovviamente all’arcaicità della lingua seicentesca, che per ragioni di tema non sarà possibile illustrare in questa sede. Nella trattazione ho preferito avvalermi di documenti in sola lingua italiana, per facilitarne la lettura e l’interpretazione tematica; tra i testi riportati ve ne sono alcuni di sorprendente facilità conoscitiva e di approccio, mentre altri si dimostrano più ardui da padroneggiare. È comunque fondamentale ricordare come quasi tutte le scritture di tipo pubblico, oggi come allora, mantengano intatta una relativa struttura fissa per quanto riguarda organizzazione del testo, frasi di circostanza e a volte addirittura contenuti; questo però non deve in alcun modo fuorviare, dal momento che è ciò che si può ricavare dal documento (ciò che si può leggere tra le righe) che può maggiormente attirare la nostra attenzione.

Non ho la pretesa di definire ogni testo proposto di medesimo interesse e originalità; tuttavia, a proprio modo, ognuno di essi fornisce uno spunto interpretativo e un angolo di visuale unico dei personaggi coinvolti, degli avvenimenti trattati e soprattutto della particolarissima età del barocco veneziano che abbiamo tratteggiato all’inizio della seconda parte.

Prima di cominciare con il primo approfondimento sono necessarie alcune precisazioni stilistiche e formali: ogni documento è presentato (se possibile) in maniera integrale e con i dovuti riferimenti bibliografici in nota. Stilisticamente parlando, al contrario della prassi di trascrizione oggi in voga consistente nel modificare maiuscole e punteggiatura alla maniera moderna, ho deciso di lasciare invariati entrambi questi elementi così come si presentavano nel testo originale; questo non per una questione di anticonformismo personale ma per la convinzione che ogni singolo aspetto di un documento antico, compresa una punteggiatura “arcaica”, sappia testimoniare un’eco del passato che, a mio avviso, merita di essere mantenuta intatta. Si pensi ad esempio alle parole “Patria” o “Piazza” scritte con la “P” maiuscola; la loro modifica con l’iniziale minuscola avrebbe

fatto smarrire il concetto che stava alla base di tale scelta stilistica, tesa a sottolineare termini di alto valore simbolico e concettuale. Altro esempio, la modifica della forma latina di una parola come ad esempio “commendatione” in “commendazione”: questo cambiamento avrebbe rappresentato una forte perdita stilistica rispetto alla forma originale, in quanto si sarebbe obnubilata l’importanza dei latinismi ancora molto diffusi nella seconda metà del XVII secolo.

Infine, una nota per quanto riguarda la sintassi e la punteggiatura: in molti documenti si potrà riscontrare un evidente ricorso alla paratassi, con periodi molto lunghi e che a prima analisi possono apparire confusi e senza omogeneità di fondo; in questo caso il consiglio è inizialmente quello di rileggere con calma il documento più volte, prima per approcciarsi allo stesso per comprendere come l’autore si rapportò con il contenuto da mettere per iscritto, e in un secondo momento per rilevare i punti di interesse. Per la punteggiatura invece si segnala a volte la presenza del punto e virgola al posto dei due punti, poco diffusi all’epoca: in questo caso, la frase successiva può essere interpretata come spiegazione o chiarimento di quella precedente, anche se non nella totalità dei casi. In definitiva ho quindi scelto di mantenere invariate maiuscole e punteggiatura, tranne quando questa avesse comportato un limite e una difficoltà evidenti nella lettura del documento, nel qual caso ho preferito snellire (in alcuni punti) l’apparato della stessa. Spero che gli archivisti e i puristi di italianistica mi perdoneranno per tanta audacia. Purtroppo, alcuni documenti d’archivio si sono rivelati rovinati, tagliati, colpiti da muffe o molto semplicemente di difficile trascrizione; è capitato quindi di dover saltare o interpretare senza l’auspicata certezza alcuni lemmi e parole, nel qual caso essi vengono presentati tra parentesi tonde. Le parentesi tonde con all’interno una parola come per esempio (abnegatione) significano la trascrizione non certa del termine contenuto all’interno, mentre le parentesi tonde che racchiudono tre punti (…) segnano parole o parti di testo rovinate o intraducibili; infine le parentesi quadre con tre punti inclusi […] indicano il salto di passaggi o parti di testo che non ci interessano da vicino.

Per alcuni testi, opportunamente introdotti da una loro categorizzazione e riportanti eventuali notizie bibliografiche, seguono degli approfondimenti per come avvenuto con le orazioni di Antonio Correr e di Giovanni Sagredo.

Prima di passare ai temi seguenti, un’ultima informazione: non tutti i documenti riguardano direttamente Francesco Morosini e anche se una buona percentuale di essi è riferita al suo periodo meno conosciuto (quello dogale, 1688 – 1694) non tutti vi fanno collegamento diretto; abbiamo infatti anche diverse trascrizioni riguardanti la guerra di Candia e di Morea, sempre però rapportate alla figura del condottiero. Infine, non tutti i testi presentati sono estrapolati da fonti antiche (come nel caso del suo testamento) mentre sono altresì presenti anche approfondimenti tematici che non partono da testimonianze d’archivio.

La maggior parte (ma non tutti) dei documenti inclusi è di carattere inedito; alcune relazioni di essi sono state parzialmente allegate nelle opere di Damerini, del Da Mosto o di altri, ma sono qui per la prima volta riportate integralmente.

Descrizione e aspetto di Francesco Morosini

Abbiamo più volte elencato ed espresso le caratteristiche morali, caratteriali e le capacità in battaglia di Francesco Morosini ma non ne abbiamo mai indicato l’aspetto fisico; mi si scuserà se ho preferito tenere questo tema per la terza parte del lavoro, è ora giunto il momento di definire la figura del condottiero anche da questo punto di vista.

Come appariva Morosini ai contemporanei negli anni del suo massimo vigore fisico e morale? Quale descrizione ne danno le cronache e i visitatori stranieri?

Nel secondo capitolo abbiamo menzionato la sua prestanza atletica, che fin dalla giovinezza Morosini curò con allenamenti e prove fisiche; come molti altri esponenti del suo gruppo famigliare, anch’egli possedeva quei capelli biondo – rossicci che valsero alla sua famiglia l’epiteto di “Sguardolini” (intorno ai cinquanta anni di età aveva capelli ricciuti e solo leggermente brizzolati). Era più alto della media dell’epoca e possedeva occhi azzurri e penetranti307.

Di carnagione “bianchissima e florida”, era fisicamente ben formato con le spalle larghe e il petto prorompente ma non per questo poco asciutto e incapace di sopportare fatiche e privazioni. Aveva un naso sottile e la fronte spaziosa (simbolo per alcuni di grande intelligenza), barba e baffi anch’essi rossicci portati alla maniera dell’epoca e secondo lo stile in voga in Francia all’epoca del re Enrico IV.

Un francese che lo vide negli ultimi anni di vita dichiarò: “C’est un homme de moyenne

taille assez sec et qui a cheveux et la barbe toute blanche. Il porte la moustache et un petit floquet de barbe au menton comme on faisait en France du temps du roi Henri IV308”. Secondo molti testimoni, a vederlo Morosini ispirava soggezione e rispetto; curato nelle maniere, nei modi e nel vestire, aveva un’andatura fiera, imperterrita ma al tempo stesso elegante e quasi “regale”.

Nei rapporti personali si mostrava però cordiale e non insuperbito dai propri successi dei quali sembra parlasse raramente; era di maniere e modi gentili e premurosi verso ambasciatori, stranieri o semplici visitatori. Caratterialmente era altresì capace di infuriarsi rapidamente, ma mai per un motivo banale, e tornare calmo in poco tempo; secondo i suoi biografi non serbava rancore ed era anzi incline al facile perdono (come nel caso di Antonio Correr, che lo stesso Morosini giudicò in buona fede e mosso solo dal desiderio di difendere la patria). Ciò non vuol però dire che non sapesse essere vendicativo: nei forti contrasti con Antonio Barbaro di cui abbiamo in precedenza trattato si dimostrò sempre pronto ad affossare e umiliare il proprio avversario.

Culturalmente parlando era dotato di una buona preparazione e conoscenza delle più importanti materie, anche se sembra fosse molto carente in greco e latino309; era ovviamente un maestro e un intimo conoscitore di strategia, storia militare, arte nautica e navigazione e anche in ambito politico possedeva sufficienti nozioni e acume strategico per prevalere sugli avversari. In lui non mancava neppure “il senso del bello e dell’arte”. Di sentimenti religiosissimi e pii, possedeva un inaudito senso di lealtà, di giustizia e di dedizione alla patria, solo in parte scalfito dai due processi ai quali fu sottoposto.

307 A. DA MOSTO, op. cit. Pag. 536 308

Ibidem

In battaglia, come abbiamo visto, era intrepido e coraggiosissimo, divideva con la truppa fatiche, pericoli e disagi, molto esigente e severo sul piano militare e umano ma non ingiusto nei confronti dei suoi sottoposti ai quali non avrebbe domandato di più che ciò che egli in prima persona era disposto a fare.

Sembra non sedesse mai con una gamba sopra l’altra per non perdere di dignità; un contemporaneo lo tratteggiò come “splendido nel banchettare, veste pomposamente,

tiene una corte assai numerosa e le sue massime sono da grande; lo si può dire uno dei primi uomini di questo secolo, essendo sparse per tutto il mondo le sue gloriose azioni, benché combattuto dall’emulazione e dall’invidia310”.

Non prese mai moglie (perché quasi sempre lontano da Venezia e consapevole che la vita militare alla quale si era dedicato molto difficilmente si sarebbe concordata con dei progetti familiari) e non ebbe figli, neanche illegittimi.

Un’ultima curiosità: era notoriamente molto affezionato a un gatto, che venne imbalsamato dopo la sua morte ed è oggi ancora conservato al Museo di Storia Naturale di Venezia.

Il testamento ironico a Candia

Il documento che segue, qui proposto come testo di introduzione ad altri più specifici, non è direttamente collegato a Francesco Morosini ma rappresenta un esempio interessantissimo e quasi unico nel suo genere, che testimonia la grande importanza che deteneva l’isola di Creta per i veneziani (ricordiamo che essa fu colonia marciana per oltre quattro secoli, dal 1204 al 1669).

Si tratta di un testamento ironico e altamente allegorico che riassume tutta una serie di simbolici lasciti ereditari da parte dell’isola a protagonisti storici che la difesero (Venezia) o la disonorarono con le loro azioni (Roma); scritta da un anonimo, è riferita a “Messer Pasquino”, notaio pubblico, il che la contraddistingue appunto come una “pasquinata”, testo satirico di polemica e accusa al potere politico.

Pur essendo presenti nomi illustri di personaggi militari o politici, si può pensare che l’autore possa essere un veneziano di media cultura letteraria e non un avversario politico teso a gettare fango su alcuni protagonisti della guerra.

Il testo riporta la data “1648”, tuttavia è possibile che essa sia stata volutamente retrocessa a quell’anno per dissimulare le polemiche implicite contenute nel testo. Per quanto riguarda la datazione esatta, Antonio Medin e Matteo Casini concordano invece nell’attribuzione riportata dal documento, che dovrebbe secondo loro essere stato redatto nel decennio 1650311.

Tale testimonianza è contenuta nella stessa filza che racchiude la migliore copia delle orazioni di Antonio Correr e Giovanni Sagredo, mentre nella stessa raccolta è presente un altro testamento di Candia, identico nella formulazione ma in peggiori condizioni e con minori riferimenti.

Esso si inserisce in maniera originale ma netta nel discorso sulla nascita dell’antimito veneziano del quale abbiamo trattato in precedenza, configurandosi come uno dei primi

310

A. DA MOSTO, op. cit. Pag. 537

esempi del genere e riferendo la preoccupazione e la grande attenzione che la possibile perdita dell’isola di Candia assumeva nei confronti del veneziano comune.

Il testamento si trova in copie numerose presso l’Archivio di Stato di Venezia, la Biblioteca del Museo Correr e la Biblioteca Nazionale Marciana312. Esiste anche un’edizione del testo a stampa presente alla Biblioteca Centrale di Firenze313.

Qui cito dalla copia che si trova in Archivio di Stato di Venezia nel fondo “Inquisitori di

Stato314”, per la prima volta edito integralmente in un testo a stampa sul Morosini. A seguire una serie di considerazioni sullo stesso:

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