• Non ci sono risultati.

da noi grandiosamente assignatomi a’ render la Piazza, non vi sarà più altro tempo

di farlo, e contando pentimento piangerete poi la perdita vostra perpetua.

332

La risposta del comandante della fortezza giunse il giorno stesso, e laconicamente riportava la volontà di resistere a tutti i costi arrivando addirittura a minacciare l’esplosione del presidio stesso cosìcché “la Piazza non l’havrete né voi né noi”.

La realtà dei fatti sarà tuttavia ben diversa e Francesco Morosini poté annoverare un altro incredibile successo personale.

Il testo si apre con un ammonimento al comandante ottomano, sicuramente consapevole dei recenti successi veneziani per terra e per mare nella regione; le forze europee sono

poi, secondo il Morosini, “dal costante braccio del Grand Iddio […] guardate”, ed è quindi di vane speranze cercare di resistere.

Se tuttavia sono ben conosciute le sofferenze e le tragedie alle quali colui che resiste va incontro, sono altresì noti i grandi benefici accordati a chi decide saggiamente di arrendersi in un primo momento; si dice infatti che “abbastanza parimenti vi sono noti li

trattamenti cortesi da noi praticati verso quei tutti ch’hanno saputo meritarli, senza irritare la sua clemenza con vanna, et irritante, diffesa, quale ad altro finalmente non servirebbero che a’ rinovare l’horrida memoria delli selvaggi esempij, et attroci, di Coron”. In effetti, a coloro i quali si arrendevano senza offrire resistenza, Morosini

garantiva il passaggio sulle proprie navi e quelli che avessero voluto essere rimpatriati venivano sbarcati in punti deserti della costa in territori ottomani; a chi invece temesse di rientrare in patria per sfuggire alle ire del Gran Vizir o del Sultano era addirittura concessa la possibilità di restare con la flotta veneziana e iniziare una nuova vita nella Serenissima Repubblica, magari dopo un battesimo di convenienza.

È altresì interessante notare come venga ben sottolineato, come monito e minaccia, l’accaduto dell’assedio di Corone, che come escritto subì feroci saccheggi e razzie in seguito allo scoppio (mai chiarito) di una mina durante le trattative di resa.

Il testo prosegue con l’invito a non sperare di ricevere soccorsi via terra o via mare dal momento che il comandante delle avanguardie ottomane, il seraschiere Ismail Pascià, sarebbe scappato e “da più giornate ritirato, impaurito a’ segno, che più non ha cuore di

lasciarsi vedere”.

Vi è poi una rimarcazione della missione divina alla quale l’esercito veneziano era stato assegnato, destinata quindi a non fallire; tale missione sarebbe stata però provocata dagli stessi turchi in quanto colpevoli di aggressione nei confronti dei “pacifici” regni cristiani (“[Iddio] vuole punire le colpe gravi di chi ha promosso con esasperate et violenti

scelleratezze questa guerra, della quale più degli altri ne siete principalmente autori, con l’haver «massime» col ricorso dato a’ selvaggi corsari violentato la Fede, ed il capitolato della Pace”).

Il documento si conclude con una perentoria richiesta di resa incondizionata da parte del Morosini, solamente con la quale i turchi assediati avrebbero avuto la possibilità di evitare la loro distruzione totale, non illudendosi che tale opportunità sarebbe stata loro nuovamente offerta (“non aspettate dunque altro, che quello che vi concederemo in

questo solo istante, perché il sangue che figli innocenti non reclami contro di noi stessi”

[…] e “che abusando questo momento da noi grandiosamente assignatomi a’ render la

Piazza, non vi sarà più altro tempo di farlo, e contando pentimento piangerete poi la perdita vostra perpetua”).

In definitiva, da questo testo sembra emergere la tracotanza del Morosini che forte della propria posizione predominante, della propria fama e dei recenti avvenimenti appare considerare un tale assedio come una semplice formalità da sbrigare per poter proseguire con la campagna di conquista in Morea.

L’elezione al dogado e il rientro in patria

Il 3 aprile dell’anno del Signore 1688 Francesco Morosini, dopo un veloce (e in parte illegale) scrutinio viene eletto all’unanimità 108º Doge della Serenissima Repubblica di Venezia.

Alla notizia un giubilo di felicitazioni e omaggi per l’ormai anziano condottiero si diffuse in tutti i territori dogali e le colonie egee, considerato come da vari decenni il Morosini combattesse per la gloria, l’onore e soprattutto la difesa del regno Serenissimo; la sua elezione al soglio dogale dovette apparire come la conseguenza più logica di un tal devoto servizio.

Le circostanze della sua designazione alla massima carica repubblicana sono già state analizzate nella prima parte di quest’opera; occupiamoci ora di alcuni approfondimenti sull’accaduto andando a presentare due documenti di relativo interesse che testimoniano le congratulazioni del Senato e le prerogative formali e sostanziali concesse da questo organo al nuovo Doge.

Nel primo caso la fonte si riferisce a una lettera inviata al Morosini nel suo teatro di operazioni e spedita tramite una feluca velocissima con a bordo il Segretario del Senato, Giuseppe Zuccato; in tale scritto è possibile evidenziare lo stile e le felicitazioni con le quali la notizia venne comunicata al Capitano Generale che, caso rarissimo nella storia repubblicana, poté ricoprire contemporaneamente la carica di massima dignità statale e di supremo comandante delle forze armate veneziane.

Il dispaccio è datato 9 aprile 1688, circa una settimana dopo la sua vittoria al ballottaggio:

“Chiamato dalla Suprema dispositione a’ gl’eterni riposi il Serenissimo Prencipe Marc'

Antonio Giustignan Prencipe di sempre degna memoria, e ricordanza, si sono da noi

concordati lì soliti Consigli, ch’in conformità del prescritto dalle leggi, le fosse

destinato il successore; radunatesi però li quaranta uno elettori, et incontrati nel nome

dello Spirito Santo, riflettendo essi nel singolar merito, che adorna la Serenità Vostra,

dal valor insigne della quale ha’ rittratti la Patria molteplici essentialissimi vantaggi

in tante cariche, e particolarmente nella suprema di Capitan Generale da Mar, ch’ella

hora per la terza volta con mere lode sostiene sino a questo giorno; da unanime

consenso, e con universale consolatione, et applauso concorsi ad eleggerla in Prencipe,

e Capo della Repubblica nostra. Noi, che godiamo di vederla sollevata nel (porto) e

dignità, che era ben dovuto alle sue eminenti virtù, se ne rallegriamo con noi medesimi,

come lo facciamo grandemente con la Serenità Vostra, sotto li di cui auspicij

confidiamo di vedere sempre più prosperate le cose publiche.

Siamo certi, ch’ella si compiacerà di continuare nella divertione di coteste gravissime

Outline

Documenti correlati