Carlo Novara
Pierre Pernet, console generale di Fran-cia a Torino, accetta l'intervista senza difficoltà, con una sola premessa: « Do-vrò essere cauto. In quanto dipendente del mio stato, sono vincolato ad un cer-to riserbo, inoltre uno dei miei incari-chi più importanti è avvicinare e cono-scere i diversi ceti di questa società, farmi una precisa idea del paese. Devo osservare, evitando di formulare opinio-ni che potrebbero chiudermi porte d'ac-cesso ».
L'ufficio, immerso nella penombra, non è riscaldato. « Un'abitudine acquisita molto tempo fa » si scusa il console. Minuto, di temperamento nervoso, i ca-pelli grigi e lisci pettinati all'indietro, il nastro scarlatto della Legion d'Ono-re appuntato sul bavero della giacca, Pierre Pernet sottolinea con brevi cen-ni delle macen-ni episodi e immagicen-ni che via via affiorano nella conversazione. S'inizia dagli approcci ad una carriera « avventurosa, ricca di fascino e di eso-tismo ». « Un tempo appartenevo al mi-nistero d'oltremare, non lo nascondo anche se è di moda né, per onestà in-tellettuale, ne provo vergogna. Ho vis-suto per 15 anni in estremo oriente nei periodi scuri della guerra d'Indocina. Ero sindaco, amministratore di
provin-ce. Se per noi l'esito non è stato bril-lante, qualcosa di buono non è
manca-Tra i monti e ia collina.
to ». Lo testimoniano un fascicolo di pratiche, riposto con cura in un casset-to ed alcune recenti lettere, legami so-pravvissuti al tempo.
Il '54 è l'anno della svolta, del passag-gio « ad una carriera parallela ». Con-sigliere d'ambasciata al Laos, richiama-to alla direzione politica al ministero, ancora in estremo oriente all'inizio de-gli anni '60, periodo della conferenza di Ginevra sul Laos, ritorno al ministe-ro poi consigliere d'ambasciata a Mo-gadiscio (« vi erano pochi connazionali ma si dovevano risolvere difficili pro-blemi economici e c'era sul tappeto la questione di Gibuti »). « L'approdo »
all'ambiente italiano data dal '64, una brevissima parentesi, e ancora Ruanda Orundi come attaché d'affaires e Mo-gadiscio. « Il compenso per questi lun-ghi soggiorni difficili fu la nomina di console generale a Roma. Pesante come lavoro dal punto di vista finanziario e
demaniale in quanto rappresentavo anche il ministero delle Finanze. Nel settembre del '76 ho ottenuto il trasfe-rimento a Torino ».
Monsieur Pernet si affretta a spiega-re: « Può sembrare strano, ma corri-spondeva al mio desiderio. A tre anni dalla pensione, Roma stava diventando un peso insopportabile. L'avventura gio-vanile in Oriente, il soggiorno nella ca-pitale richiedono il pieno vigore, non la stanchezza della mia età. Torino non è la discesa dopo l'apice di una carrie-ra, almeno per me. Significa riallaccia-re contatti personali, riavvicinarmi al-la mia patria, ai miei affetti. Sono pro-venzale, i miei figli (ne ho quattro) vi-vono in parte a Parigi, possiamo veder-ci di frequente. La stessa vita torine-se mi riporta alle abitudini francesi ». Il console sorride, si osserva le ma-ni appoggiato allo schienale della sedia. « Provo quasi imbarazzo nel dirlo, ma io e mia moglie ci troviamo bene. Sia-mo felici, a nostro agio, malgrado le innegabili tensioni e difficoltà di questo periodo di crisi. Sia chiaro, se avessi fatto la mia carriera in questa città, for-se mi sarei annoiato a morte, ma ora sto riprendendo fiato. Un connazionale mi diceva che qui si trova male. Posso capirlo, lui però veniva direttamente dalla Francia ».
Nel capoluogo il tempo trascorre velo-ce. « Quando sono libero faccio lunghe passeggiate, scopro paesaggi incantevo-li. Visito musei, gallerie d'arte e fre-quento molte conoscenze. Aggiorno di continuo la mia biblioteca, leggo gior-nali cercando di tenermi al corrente di tutto, non soltanto per necessità, so-prattutto per passione ».
Quali sono gli incarichi di un con-sole? « Occorre chiarire — dice mon-sieur Pernet — che il nostro compito non è di rappresentare la Francia, per quanto anche a noi competa l'onere di "fungere da vetrina" verso gli stranie-ri. Piuttosto noi siamo il tramite tra i concittadini all'estero e le amministra-zioni della loro patria ». Prosegue: « Abbiamo una struttura molto flessi-bile, badiamo all'efficienza: l'importan-te è che l'importan-teniamo sempre al correnl'importan-te i superiori di quanto accade e che le no-stre decisioni siano oculate ».
In Piemonte i francesi « iscritti » sono 4 mila, metà dei quali abitano nel ca-poluogo e dintorni. « Trattiamo dai do-cumenti d'identità al servizio di leva,
ai problemi commerciali. È ovvio che da noi non ci si può aspettare una com-petenza universale. Per portare un esempio, anziché da ospedale fungiamo da ambulatorio ». Accade spesso un cu-rioso equivoco: « Molti italiani riten-gono che noi dobbiamo informarli su quanto avviene in Francia, il che però spetta agli organismi italiani all'estero. Malgrado ciò, ripeto, noi abbiamo tut-to l'interesse a farci conoscere, in parti-colare nei settori industriale e commer-ciale nel caso non vi siano nostri spe-cialisti, perché è vantaggio comune stringere legami con le categorie pro-duttive ».
Vivere all'estero, amalgamarsi alla po-polazione locale significa inoltre studia-re dall'interno i problemi della società, comprendere certi meccanismi che si innescano in presenza di certi fenome-ni sociali e che, caso limite, possono mutare tutta l'impostazione della politi-ca estera della nazione ospitata. « Ribadisco — dice il decano dei con-soli torinesi — proprio per questo mo-tivo l'importanza di non esprimere le mie opinioni ». S'interrompe alcuni istanti come per mettere a fuoco un
Palazzo Madama. A destra: Piazza Vittorio Veneto
pensiero. Aggiunge: « Esiste una curio-sa ipersensibilità tra italiani e francesi.
Entrambi sono molto attenti alle criti-che reciprocriti-che. Il criti-che dimostra un'af-finità, un vero e proprio legame tra i due popoli. Si sa che in famiglia si sop-portano male i rimproveri e le idee con-trarie ».
« Torino è una città facile e gradevole, molto organizzata, certo più di Roma. Possiede strutture produttive ecceziona-li, la classe imprenditoriale è di assolu-to rilievo. Osservo con interesse le au-torità anche di partiti con i quali non vi è l'abitudine di contatti permanenti. Nelle alleanze di sinistra ci sono perso-ne impegnate, pur con mezzi insuf-ficienti ».
Come si può valutare, partendo da tali premesse, il fenomeno della sicurezza pubblica? « La società è un ambiente di lotta, ma non esagero l'importanza di quanto accade. La gente uccisa in un anno è meno dei morti in una domeni-ca per incidenti d'auto. Si è spaventati, in un periodo d'instabilità, perché non vi è l'abitudine. Ho la convinzione che il progresso non rallenterà il suo cam-mino. Sono poche persone, una frangia incontrollabile che le manifestazioni di piazza e la pubblica esecrazione non fermano. Allora, io penso, la repressio-ne non sempre è l'ultimo sistema, repressio-nei terroristi non c'è onestà ».
Le cause? La risposta è difficile. Se-condo monsieur Pernet s'identificano
con il crollo di tutti i valori, « sui dub-bi che nutriamo nei confronti degli "altri" ». Scopriamo che intorno a noi c'è un grande silenzio, tutti abbiamo ti-more eppure « siamo indifferenti nella parte attiva ». È difficile credere in qualcuno, ci osserviamo intorno e ve-diamo falle, larghe falle dappertutto. Come uscirne? « Bisogna avere una re-gola, non importa se realtà o mito. Oc-corre stoicismo: dubito ma devo prose-guire lungo la via senza farmi sover-chie illusioni sulla bontà del sistema adottato ». Anche i giornali hanno le loro colpe, forse certe notizie, al di là del bisogno di « vendere », andrebbero ridimensionate, « compensate con argo-menti più piacevoli ».
I più esposti sono i giovani che si tro-vano avvolti in una spirale
drammati-ca: la possibilità di studiare senza uno sbocco concreto. « Siamo — osserva il console — in una società che si fonda sulla regola della domanda-offerta, pa-gando di piti ciò di cui si ha bisogno. In realtà poi ci comportiamo diversa-mente perché il titolo di studio ci "de-ve" garantire, al di là delle necessità di mercato, un impiego, uno stipendio. Si sovrappone cioè la volontà di vivere in una società programmata ». La con-traddizione non è semplice da risolve-re, ma occorre « prendere una decisio-ne decisio-nel più breve tempo possibile ». Dice ancora monsieur Pernet: « Dob-biamo riflettere da soli, maturare nella nostra coscienza il sistema di comporta-mento, anche senza ritenere, come ho già detto, che sia il migliore in assolu-to. Senza autocritica nessuno è in grado di agire con correttezza ed è impensa-bile, utopico, il ritenere di potersi "na-scondere" tra gli altri. Una somma di cattivi individui non produce una buo-na società. La libertà è appanbuo-naggio di chi si sa governare ».
Il console generale di Francia si sof-ferma ancora sul problema della crisi economica: « In Piemonte, a parte al-cuni casi limite, non ha un aspetto co-si drammatico. Il forestiero, è innega-bile, molte cose non le può capire,
tut-tavia mi sembra che le possibilità e le speranze di una ripresa abbiano una certa concretezza ». Malgrado le pro-spettive favorevoli, le inquietudini nel mondo del lavoro sono tante e tutte comprensibili.
« Da un lato la classe industriale (che, a differenza dei francesi, punta più sul-l'iniziativa anziché sull'organizzazione interna) protesta perché la normativa "stretta" uccide lo spirito imprendito-riale, dall'altro gli operai temono gli al-ti e i bassi del mercato, la flessibilità che caratterizza ogni unità produtti-va ». Il motivo secondo il console è che « gran parte degli operai, soprattutto degli immigrati, "non ha nulla alle spalle" vive con quanto guadagna ogni mese, con scadenze puntuali indilazio-nabili, con costi che aumentano senza sosta a ritmi incredibili ». In questo modo come è possibile, senza sforzo in-dividuale, senza precise scelte, senza una maturazione, superare le avversi-tà? « La strada è diffìcile » conclude Pierre Pernet. « In Francia, forse per-ché la crisi ha colpito con qualche tem-po d'anticitem-po, ci stiamo avviando verso una soluzione, mi riferisco soprattutto alla scuola. Mi auguro che gli stessi sin-tomi siano entro breve rilevabili anche nel paese che mi ospita ».
LE NOVITÀ
DI EXPOCASA '78
Alberto Vigna
La casa, sia essa la capanna di una tribù primitiva o uno splendido palaz-zo rinascimentale, rappresenta il volto di una civiltà, ne è uno dei segni esteriori più evidenti e significativi. Da essa si può derivare il giudizio storico di una epoca ed è naturale che tanta attenzione susciti nel pubblico ogni cosa che alla casa è connessa. Anche quest'anno il Salone internazionale delle arti domesti-che, giunto alla quindicesima edizione, ha richiamato dal 23 marzo al 2 aprile, vivace interesse di pubblico a Torino Esposizioni, un pubblico composto di fasce diverse del contesto sociale: dai giovani sposi di primavera impegnati nell'arredamento del nido, alle vecchie coppie di genitori che, collocati e siste-mati i figli, cercano un rifiorire di gio-vinezza nell'impiego dei sudati risparmi in quanto serve a migliorare la casa, sia sotto l'aspetto estetico, sia sotto quello dei maggiori conforti.
Nella rassegna torinese che è una delle più vaste e complete di Europa, supe-riore a molte altre che si svolgono al-l'estero (tanto per ricordarne due a Pa-rigi e a Colonia) sono sempre rappre-sentate le più attuali tendenze in fatto di ambientazione, arredamento ed attrez-zatura dei diversi locali in cui si articola una casa. La mostra svolge una sua fun-zione culturale di orientamento e di gui-da per il gusto oltre a rispondere a ra-gioni di natura economica. Chi la visita ha modo di confrontare idee funzionali che ammodernano l'abitazione, la fanno più aderente al nostro tempo ed alla sensibilità di oggi.
L'intera industria italiana del mobile è fiorente; si può dire che gode di buona salute anche nel campo della esporta-zione. Nel 1976 sono stati esportati mo-bili italiani per un valore di 505 miliar-di e 908 milioni mentre nell'anno prece-dente le esportazioni settoriali si erano limitate a 325 miliardi e 971 milioni. Nello stesso periodo di tempo le impor-tazioni di mobili dall'estero si sono sen-sibilmente contratte. Il mobile di pro-duzione italiana, per eleganza di linee, accuratezza di lavorazione, pregio dei materiali impiegati — fattori che con-corrono a definire un ben preciso ed apprezzato stile italiano — è uno dei prodotti di prestigio per l'affermazione
della nostra industria nel mondo. I prin-cipali paesi compratori dall'Italia sono, in ordine di volume di acquisti nel pe-riodo compreso tra gennaio e settembre del 1977: la Francia ( 121,2 milioni di li-re): la Germania federale (115,1) l'Ara-bia Saudita (44,3): la Lil'Ara-bia (41,4): l'Olanda (38,4): il Belgio e Lussembur-go (31,9) la Svizzera (30,3) gli Stati Uni-ti (24,3) e molte altre nazioni per cifre minori. Per contro l'import italiano del settore è di proporzioni molto ridotte tanto che nel 1977 è stato pari al 6% del nostro export. Quasi tutte le cate-gorie merceologiche del settore mobili, tra il '76 e il '77, hanno segnato cifre in aumento veramente sostanziali: dia-mo alcuni esempi: i dia-mobili in legno sono passati da 165 a 272 miliardi, quelli di metallo da 30 a 42, i mobili imbottiti da 88 a 136 e le sedie in legno da 8 miliardi a oltre 14 miliardi e mezzo.
Sono dati molto significativi se si con-sidera che sino a non molti anni fa l'in-dustria del mobile si presentava ancora con una struttura prevalentemente arti-gianale che si è andata progressivamen-te trasformando in senso industriale. In molte fasi della lavorazione la macchina ha sostituito l'opera manuale, sono state adottate tecnologie modernissime che in certi casi prevedono l'impiego di vere e proprie linee di produzione completa-mente automatizzate. A monte di questo tipo di lavorazione sussiste sempre il la-voro artigianale, l'eccellenza del design che armonizza il fattore estetico con quello funzionale. Dalla fusione di que-ste due linee di tendenza proviene un prodotto veramente in grado di interpre-tare e risolvere i problemi della casa di oggi. Nel suo complesso il comparto in-dustriale italiano del mobile, secondo i dati statistici della FederArredo, può essere valutato intorno alle 1700 azien-de con circa 90 mila adazien-detti; il fatturato relativo alla produzione industriale di soli mobili per la casa nel 1977 è sti-mato sui circa 4 mila miliardi di lire ed è in espansione.
Expocasa 1978 ha raccolto 655 ditte, in maggior parte italiane ma anche
prove-nienti da 19 paesi stranieri; l'area occu-pata è stata di 45 mila metri quadrati e cioè l'intera superficie del palazzo di cui
Un letto con tanti automatismi. Arredamenti di ispirazione estera.
si compone Torino Esposizioni. L'inte-resse con cui il pubblico ha seguito il salone rivela che esso risponde piena-mente non soltanto a ragioni commer-ciali e pratiche, ma anche a funzioni estetiche culturali. Tutte le regioni ita-liane erano rappresentate, dato che in ciascuna di esse vi sono centri in cui la tradizione artigianale del lavoro del le-gno si è affermata e sviluppata. Per il Piemonte basterà ricordare il Saluzzese e poi non si possono trascurare gli ec-cellenti esempi di lavorazione della Lombardia nella Brianza e a Cantu, del Veneto, della Toscana e di molte altre parti della penisola e delle isole mag-giori.
Merita ricordare che dal Veneto è giun-ta notizia della creazione della cosiddet-ta « Carcosiddet-ta del Triveneto », che è in un certo qual modo un esempio di un modo nuovo di produrre e vendere mobili. È non soltanto una certa di identità del-l'oggetto, ma anche una garanzia per il consumatore che viene chiamato ad un acquisto più meditato e cosciente; chiedendo chiarezza, sincerità e credibi-lità gli operatori veneti intendono rag-giungere anche un maggiore equilibrio dei prezzi.
Ad accogliere i visitatori proprio all'in-gresso è stato ricavato uno spazio sud-diviso in due parti, accoglienti da un lato oggetti utili e dall'altro oggetti inu-tili. Donatella D'Angelo, l'architetto che ha ideato ed allestito l'atrio d'onore, spiega che « si tratta di uno specifico spazio culturale che trae lo spunto dal manifesto di adesione al futurismo del 1913 redatto da Valdimir Majakovswkij, il grande poeta, filosofo, pittore sovieti-co morto suicida nel 1930, in cui si de-nunciano gli atteggiamenti ossequienti, consumistici della gente». Questo settore è stato intitolato « La rivoluzione degli oggetti » ed è una contrapposizione di oggetti-feticcio, sovente brutti, e di og-getti-utensili tratti dalla più significativa produzione di aziende italiane. Tra le cose inutili e condannate vi sono inele-ganti e ingombranti soprammobili, men-tre gli « oggetti amici » hanno una fun-zione atta a facilitare la convulsa vita quotidiana. Non si può essere del tutto sicuri che il pubblico si sia soffermato a meditare la lezione di gusto che il
Ultimissime in fatto di salotto.
settore si proponeva di impartire, né che abbia molto apprezzato e compreso il collegamento tra la figura del poeta in-felice e le ragioni estetico-pratico-com-merciali del Salone delle arti domesti-che. C'è anche chi ha avanzato l'ipotesi che in un periodo di tempo più o meno lungo gli oggetti moderni, oggi valutati come eccellenti, in una mostra della casa del 2078 vadano a prendere il po-sto di quelli oggi condannati. Ogni tem-po ha il suo gusto, le sue tendenze; gli sviluppi si susseguono senza sosta. Co-munque lo spazio culturale posto in apertura della mostra era come un fiore all'occhiello, un elemento di preziosità. Subito dopo ci si introduceva nel salone riservato alle proposte abitative realiz-zate da dieci noti arredatori, tra i quali ricordiamo la giovane architetto Peri; si è trattato di documentazioni circa un ra-zionale sfruttamento dello spazio, con la ricerca di percorsi interni più rispon-denti alle reali esigenze di « vivibilità » della casa. L'intenzione consisteva nel suggerimento di modelli di abitazione migliori di quelli normalmente offerti dal mercato, specie per quanto riguarda
complessi abitativi limitati ai 65-70 me-tri quadri. Il pubblico ha molto attenta-mente osservato le proposte talvolta rea-lizzate con pannelli a parete contenenti mobili ripieghevoli o con profilati in-termedi sui quali è possibile, con gran-de libertà di accostamenti e di forme, montare piani di appoggio, scaffali, ta-voli estraibili, letti ribaltabili, cassettie-re, armadi, anche divani; insomma tutto l'arredamento di una stanza. Altri esem-pi suggerivano la possibilità di spostare e variare a piacere la disposizione degli arredi. È stata presentata una camera per ragazzi di giovanissima età organiz-zata come un grande giocattolo dentro il quale imparare a giocare ed a ripo-sare. Si è pensato ad un percorso at-trezzato con oggetti ostacolo (il letto a castello, le scrivanie) che i bambini pos-sano scavalcare e su cui pospos-sano arram-picarsi e si sono ideati anche a giocattoli educativi. Poiché ai bambini piace dise-gnare è stato previsto un pannello-parete dove i bambini potranno su grandi fogli, con pennarelli colorati, esercitare il loro estro creativo senza fare irreparabili danni.
Il grande padiglione centrale e le due fìancheggianti gallerie hanno ospitato mobili, articoli e materiali per l'arreda-mento di tanti stili diversi, di differenti ispirazioni. Questo è il punto della mo-stra in cui il pubblico ha maggiori pos-sibilità di fare confronti, di informarsi sui prezzi, di cercare quel mobile da tem-po desiderato che tem-potrà abbellire o ren-dere più confortevole l'abitabilità di un locale. In fatto di spese, tanto più per questo genere di acquisti in cui l'esbor-so, per la natura stessa del bene ricer-cato, ha sempre una certa consistenza i .confronti sono non soltanto opportuni, ma indispensabili.
Un piccolo settore di Expocasa era ri-servato all'antiquariato, che quest'anno però non ha presentato un particolare interesse, o all'arredamento navale di re-cupero o di fabbricazione su modelli