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INVESTIMENTI ESTERI

Nel documento Cronache Economiche. N.003-004, Anno 1978 (pagine 57-65)

E MEZZOGIORNO

LA S I T U A Z I O N E A T T U A L E : ASPETTI Q U A N T I T A T I V I E U B I C A Z I O N A L I C A R A T T E R I S T I C H E

Nel corso degli anni '60, e fino ai giorni nostri, l'economia del Mezzogiorno ha subito significative trasformazioni e ra-pidi mutamenti, espandendo le strutture produttive per adeguarsi allo sviluppo della domanda globale.

Tuttavia, il divario tra le condizioni socio-economiche del Sud e quelle del-le aree più industrializzate dell'Italia centro-settentrionale, è costantemente aumentato.

Le più recenti indagini congiunturali configurano infatti una situazione di indebolimento della struttura produttiva del Meridione, assegnandogli un ruolo marginale nell'ambito del sistema eco-nomico italiano.

In particolare, l'incremento del fatturato medio per dipendente, assestandosi su valori contenuti, specie se raffrontato con la corrispondente variazione del co-sto del lavoro, ha inciso negativamente sulla produttività delle imprese. A titolo di esempio, si riporta la tabella 1 com-parativa dell'incidenza del costo del la-voro sul fatturato per il periodo 1974-75. Si rileva, tra l'altro, come a fronte di un incremento del fatturato nel settore manifatturiero del 3,3%, si sia registra-to un aumenregistra-to occupazionale del 2,5%, cui ha corrisposto un incremento del costo globale del lavoro pari al 24,0%. L'elevato rapporto: costo medio del la-voro per dipendente/fatturato medio, ha determinato uno squilibrio nelle condi-zioni di gestione delle imprese. La caduta degli investimenti, l'intensifi-cazione dei processi inflazionistici e la conseguente incertezza sui tempi e sulle modalità della ripresa, hanno inoltre po-sto una seria ipoteca sulle prospettive future dei vari settori produttivi. Né si può obiettare che nei mesi passati la contrazione del PNL sia stata più attenuata nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese.

È infatti peculiare caratteristica delle economie dualistiche l'impossibilità, per l'area economicamente più arretrata, di recepire prontamente gli effetti del ne-gativo andamento congiunturale '.

D'altro canto, si profila evidente la ne-cessità di attuare un serio processo di riorganizzazione dell'intero apparato produttivo nazionale, in primo luogo at-traverso lo sviluppo e la differenziazio-ne del sistema industriale del Meridiodifferenziazio-ne. Ciò comporta l'instaurazione di una se-rie di politiche di carattere generale volte al ristabilimento delle condizioni di economicità, premessa indispensabile per l'attuazione di una sana ed equilibra-ta gestione aziendale.

In questo programma di ristrutturazio-ne e riconversioristrutturazio-ne industriale, un ruolo importante, sia da un punto di vista quantitativo (aspetti dimensionali e mo-netari), sia da un punto di vista qualita-tivo (struttura e ripartizione dei vari centri di produzione), è svolto dalle im-prese a partecipazione estera.

Secondo un'indagine dell'LASM, « alla fine del 1975 nel Mezzogiorno si con-tavano 277 stabilimenti manifatturieri facenti capo a 204 società a partecipa-zione estera — appartenenti a 17 Paesi — con un'occupazione complessiva di circa 84.000 addetti ed un'ampiezza me-dia di 303 addetti per stabilimento ». La distribuzione territoriale di questi ultimi è evidenziata dalla tabella 2.

I tassi di insediamento più elevati si re-gistrano nel Lazio, nella Campania, in Puglia e in Sicilia.

Si tratta di regioni in cui l'esistenza di una discreta rete di infrastrutture indu-striali, favorendo la formazione di eco-nomie esterne, ha consentito la concen-trazione di investimenti che diversamen-te si sarebbero dispersi in una più vasta area territoriale.

Un basso grado di concentrazione si ri-scontra invece negli Abruzzi, in Cala-bria e nelle restanti regioni meridionali.

I settori di attività più rappresentativi risultano, per le aziende prese in consi-derazione, quello estrattivo, quello car-tario e quello chimico.

Tali dati concordano sostanzialmente con una recente indagine della Confin-dustria che assegna all'Italia meridiona-le il 16,7% delmeridiona-le imprese a partecipa-zione estera e il 18,2% delle unità lo-cali (stabilimenti)2.

In genere, gli investimenti esteri, perse-guendo una funzione di diversificazione e differenziazione delle attività delle

im-T a b e l l a 1. Evoluzione del f a t t u r a t o , c o s t o del lavoro e d i p e n d e n t i ( v a r i a z i o n i p e r c e n t u a l i 1974-75 - c o m p l e s s o a z i e n d e )

S E T T O R I

Fatturato

Mezzo-giorno Centro-Nord

Costo del lavoro

Mezzo-giorno Centro-Nord

Dipendenti

Mezzo-giorno Centro-Nord

Costo del lavoro per dipendente

Mezzo-giorno Centro-Nord

Fatturato per dipendente

Mezzo-giorno Centro-Nord Alimentari

Tessili-Abbigliamento Metallurgiche Meccaniche

Lav. min. non metalliferi Chlmiche-Petrolchimiche Petrolifere Carta Altre manifatturiere Totale manifatturiere + 8,8 - 19,1 - 11,3 + 11,0 + 11,3 - 1,8 + 4,7 + 1,6 - 7,8 + 3,3 + 11,0 - 1,6 - 5,2 + 17,7 + 8,1 + 4,0 + 11,5 - 8,1 + 17,6 + 10,2 + 25,8 + 22,3 + 18,3 + 23,0 + 21,5 + 25,5 + 28,4 + 21,6 + 45,9 + 24,0 + 20,6 + 17,5 + 17,3 + 10,4 + 21,0 + 19,5 + 21,9 + 19,6 + 25,3 + 14,8 1,3 0,5 0,1 1,2 4,3 5,7 2,5 1,1 18,9 2,5 2,6 4.1 0,3 7,9 2.1 3.0 1.1 0,5 3.2 4,9 + 27,5 + 21,7 + 1 8 , 2 + 21,6 + 16,4 + 18,7 + 25,3 + 23,0 + 22,8 + 21,0 + 23,8 + 22,6 + 16,9 + 19,8 + 18,5 + 23,2 + 23,3 + 20,2 + 21,4 + 20,8 + 10,3 - 19,5 - 11,4 + 9,6 + 6,6 - 7,1 + 2,2 + 2 , 8 - 22,5 + 0 , 8 + 14,1 + 2 , 6 - 5,5 + 27,7 + 5,8 + 7,1 + 12,7 - 7,6 + 13,9 + 15,9 Fonte: IASM, « Fatturato, dipendenti e costo del lavoro in aziende meridionali », Roma, 1977, pag. 19.

T a b e l l a 2. Settori di produzione --Stabilimenti ed occupati per Regioni

Settori di produzione Marche Lazio Abruzzi Campania Puglia

Stab. Occupati Stab. Occupati Stab. Occupati Stab. Occupati Stab. Occupati —.. E , I N C I U C H Ì a amni

Industrie del tabacco Industrie tessili Industrie del vestiario,

abbigliamento e calzature Industrie del legno Industrie metallurgiche Industrie meccaniche

Industrie della lavorazione dei minerali non metalliferi

Industrie chimiche Industrie della gomma

Industrie della carta e poligrafiche Industrie dei prodotti delle materie

plastiche 1.474 6 1.796 1 a 14 1.732 2 164 3 960 7 2.197 1 b 1 b 4 1.195 2 285 3 464 3 2.762 2 88 2 865 1 a 8 2.084 1 b 32 12.263 5 2.602 26 11.143 4 2.906 6 1.620 4 1.125 13 3.533 7 1.033 24 5.357 3 390 14 4.159 4 958 2 1.275 1 c 2 2.062 5 789 2 67 3 353 2 331 91 27.710 16 4.569 89 25.118 24 10.261 Classi di occupazione a Meno di 100 b Da 100 a 249 c Da 250 a 409 d Da 500 a 1000.

Lo stabilimento Anic di Gela.

Basilicata Calabria Sicilia Sardegna

tab. Occupati Stab. Occupati Stab. Occupati Stab. Occupati Stab. Occupati

1 a 8 708 1 a 34 4.644 1 a 8 3 960 5 2.157 1 c 15 4.982 3 1.150 15 2 5.856 88 1 d 6 2.517 19 6.609 1 6 3.228 74 32.745 1 a 5 841 6 237 41 8.479 1 a 5 1 2 1.406 d 229 2 45 53 7 9 12.369 5.278 1.085 5 684 1 a 11 4.357 27 7.123 16 3.071 277 83.779

prese o del gruppo di imprese che li pon-gono in essere, risultano particolarmente rilevanti nelle produzioni tecnologica-mente molto avanzate, nelle quali, la maggior capacità di sviluppo, la più ef-ficiente organizzazione e le più efficaci strategie commerciali, permettono di ac-cedere al mercato in condizioni alta-mente competitive.

Una logica diversa sembra essere perse-guita dalle società operanti nell'industria petrolifera.

In questo settore, lo sviluppo degli inve-stimenti, nonostante i negativi risultati di gestione3, va ricercato nella possi-bilità, per le imprese multinazionali, di concentrare gli utili secondo la conve-nienza della casa-madre4.

Appare tuttavia sempre più accreditata l'ipotesi di una diminuzione del potere contrattuale delle grandi compagnie pri-vate a vantaggio degli enti pubblici, data la disponibilità dei paesi produttori di trattare con i Governi più che con le grandi società concessionarie5.

La distribuzione settoriale degli insedia-menti esteri nel Meridione, ne evidenzia un'ulteriore saliente caratteristica: la lo-ro attuazione da parte di grandi imprese oligopolistiche.

La spiegazione di ciò va probabilmente ricercata nel fatto che il costo di espan-sione delle imprese su mercati in via di saturazione, comportando l'instaurazio-ne di politiche aggressive, con conse-guente destabilizzazione dell'equilibrio interno preesistente, si rivela general-mente superiore a quello di sviluppo sui mercati esteri6.

Vanno infine richiamati ancora una vol-ta i vanvol-taggi tipici delle grandi concen-trazioni di imprese: economie di scala, possibilità di ricerche tecnologicamente avanzate, maggior disponibilità finanzia-ria, maggior controllo del mercato, pos-sibilità di influire sulle determinazioni di politica economica, diversificazione e differenziazione della produzione, accen-tuata competitività.

Inoltre, la necessità di disporre di con-sociate strettamente dipendenti dalla ca-sa-madre, ha determinato la tendenza, da parte delle imprese, ad assumere par-tecipazioni di larga maggioranza. Il fenomeno, non nuovo per l'economia italiana7, è evidente soprattutto nel

campo dei materiali sensibili, dell'elet-tronica, e della chimica farmaceutica8. Le caratteristiche strutturali delle impre-se operanti nei suddetti impre-settori, hanno peraltro permesso la realizzazione di una elevata redditività

Quest'ultima appare tuttavia una carat-teristica attitudinale di lungo periodo e, in quanto tale, strettamente correlata alla mutevole evoluzione dell'impresa. Da un punto di vista temporale, l'inte-resse per le imprese estere ad investire nel Mezzogiorno, dopo aver registrato punte elevate nel 1961 e nel periodo 1966-67, si è notevolmente ridotto nelle recessioni del 1970-71 e del 1974-75 10. Si osservi il grafico a lato. L'istogramma evidenzia che esiste una stretta correla-zione tra il numero degli investimenti esteri e il tasso di sviluppo economico. In generale, si possono menzionare tre vie principali attraverso le quali il capi-tale estero ha influito sullo sviluppo eco-nomico italiano.

Esse sono individuabili nell'utilizzo di risorse che diversamente sarebbero ri-maste improduttive, nel miglioramento dell'allocazione delle medesime e nell'in-troduzione di nuove tecnologie. Si ravvisa tuttavia la necessità di un più efficace intervento delle Autorità compe-tenti al fine di eliminare le distorsioni derivanti dalla tendenza di fondo delle imprese multinazionali a perpetuare una struttura dualistica dell'economia, che contrappone settori innovativi, caratte-rizzati da moderne tecnologie ed elevata produttività, a settori arretrati in condi-zioni di scarsa competitività 11.

Potrà cosi avviarsi un equilibrato proces-so di integrazione tra il capitale naziona-le e quello estero, a tutt'oggi non ancora realizzato.

IL S I S T E M A DEGLI I N C E N T I V I

L'obiettivo di una diffusa industrializza-zione nel Mezzogiorno che ha caratte-rizzato la politica economica italiana di questi ultimi anni, implica la creazione di favorevoli condizioni per l'insedia-mento di nuove attività produttive e per

In basso: Interno deiiitaisider di Taranto. 1965

In alto: Gli investimenti esteri nei Mezzogiorno

in relazione all'andamento dei PNL 1970 Aumento del PNL in termini reali Numero degli investimenti 1950 1960

l'ampliamento e la riorganizzazione di quelle già esistenti.

Nella varietà delle motivazioni possibili per l'attuazione di una decisione di in-vestimento nel Meridione, si può innan-zitutto cogliere uno stimolo di carattere generale, consistente in una finalità di controllo e di espansione del mercato. In altre parole, si può dire che sovente l'investimento è dettato da considerazio-ni di integrazione verticale o orizzontale o da entrambe n.

Siffatte strategie si atteggiano perfetta-mente alla logica perseguita dalle impre-se multinazionali, per le quali, l'oppor-tunità di inserirsi in nuovi settori per il mantenimento e il rafforzamento della posizione acquisita sul mercato mondia-le, può costituire un valido stimolo per l'inserimento in un mercato non privo di potenziale dinamicità, quale quello me-ridionale.

Altri vantaggi di carattere generale pos-sono consistere nelle necessità di una specializzazione 13 nel possedere una effi-ciente funzione della produzione, tale

da potersi imporre più facilmente sui mercati esteri14 e nella possibilità di acquisire all'estero i fattori della produ-zione ad un prezzo minore di quello corrisposto all'interno 15.

Con riferimento a quest'ultimo punto, sembra sufficiente ricordare come il sag-gio di crescita del costo del lavoro, a pre-scindere dalla esenzione degli oneri so-ciali a favore delle regioni meridionali, appaia sostanzialmente uniforme per l'intero territorio nazionale, e pertanto non costituisca più uno stimolo a favore del Mezzogiorno.

Per contro, le numerose agevolazioni di carattere creditizio, aumentando, a pari-tà di altre condizioni, la rimunerazione del capitale, sembrano ancor oggi rappre-sentare un valido impulso all'investi-mento.

Un ruolo importante è svolto dal siste-ma degli incentivi16, il quale, tuttavia, se si eccettua il settore della raffinazio-ne e della distribuzioraffinazio-ne del petrolio, non sembra aver avuto un peso determinante nella industrializzazione del Mezzo-giorno.

Da un punto di vista temporale, « i dif-ferenti orientamenti prevalsi nell'attua-zione degli incentivi territoriali, possono

rilevarsi nella constatazione che negli anni fino al 1959 il credito a tasso age-volato non abbia oltrepassato la mode-sta somma globale dei 30-40 miliardi annui e che solo dopo il 1960, con l'at-tuazione dei Consorzi, i livelli siano cre-sciuti considerevolmente » 17.

È chiaro tuttavia che la politica meridio-nalistica potrà conseguire positivi risul-tati soltanto se sarà inquadrata nel più ampio contesto della politica economica generale.

Finora, la carente impostazione di una razionale politica di medio periodo, de-terminando una pluralità di interventi scoordinati e frammentari, ha posto le basi per un'azione di tipo assistenziale che ha rivelato tutta la sua fragilità nell'impatto con la crisi economica18. L'inadeguatezza della politica a favore del Mezzogiorno è posta in luce anche dalla « neutralizzazione », attraverso la adozione di politiche di sostegno per i settori produttivi del Centro-Nord, del vantaggio differenziale concesso origina-riamente alle regioni meridionali19. In realtà, gli indirizzi di politica meri-dionalistica seguiti finora, hanno mani-festato ampiamente la loro inadeguatez-za e i loro limiti20.

Un serio tentativo per affievolire le dise-conomie esterne che nel Sud costitui-scono spesso ostacoli insormontabili allo sviluppo e al potenziamento di nuove iniziative industriali, è stato tentato con la legge 2 maggio 1976, n. 183 concer-nente la disciplina dell'intervento straor-dinario nel Mezzogiorno nel quinquen-nio 1976-80.

Si tratta in sostanza di ristabilire un pro-cesso autonomo di sviluppo che inseri-sca compiutamente le regioni meridio-nali nel contesto economico nazionale ed europeo 21.

È infatti in tale ambito che vanno in-dividuate le più consistenti possibilità di sviluppo del Sud.

La politica degli incentivi dovrà tutta-via affiancarsi ad un'efficace azione pro-mozionale, volta alla creazione di favo-revoli condizioni ambientali per l'inse-diamento di nuove iniziative industriali anche attraverso la revisione delle misu-re di agevolazione esistenti.

La scarsa incidenza degli incentivi nella determinazione delle decisioni di

inse-diamento delle imprese è determinata anche da ragioni di carattere obiettivo, inerenti all'esistenza, in numerosi altri paesi, di facilitazioni analoghe o più fa-vorevoli, che costituiscono un'alternati-va all'insediamento nel Mezzogiorno22. Per quanto concerne il valore economi-co dell'incentivo, appare evidente, da un punto di vista concettuale, che esso do-vrebbe essere almeno pari allo scarto intercorrente tra il valore aggiunto rile-vabile nelle zone sviluppate e il costo da sostenere nelle aree sottosviluppate per ottenerlo23.

Non sembra al riguardo accettabile la contrapposizione, talvolta effettuata dal-la stampa specializzata, tra incentivi di capitale e incentivi all'occupazione. La politica degli incentivi va infatti con-siderata in modo unitario, avendo per scopo principale il livellamento della produttività dei capitali investiti. Occorre passare da una politica preva-lentemente redistributiva ad una poli-tica « produttivispoli-tica », finalizzata al perseguimento di una più incisiva azio-ne di sviluppo di tutti i settori dell'eco-nomia 24.

Si ravvisa infine la necessità di un più efficace intervento del settore pubblico, al fine di favorire una maggior autono-mia nella gestione finanziaria delle im-prese, creando condizioni obiettive di investimento.

IL F U T U R O DEGLI INVESTIMENTI ESTERI NEL M E Z Z O G I O R N O

L'esigenza di un incisivo intervento del-la pubblica amministrazione a sostegno degli investimenti è tuttavia ostacolata dalle persistenti difficoltà congiunturali che, unitamente a fattori strutturali e ambientali, rendono assai arduo un con-creto rilancio della politica meridiona-listica.

In particolare, l'adozione di iniziative idonee a favorire il processo di accumu-lazione, ponendo il Mezzogiorno come problema « centrale » dell'economia ita-liana, appare ostacolata, oltre che dalla inflazione e dalla difforme dinamica dei costi di produzione, dal persistente de-ficit della bilancia dei pagamenti, che

continua ad esercitare il suo ruolo di vincolo della politica economica. Si profila cosi sempre più evidente la necessità, da parte delle imprese, di pro-grammare il loro sviluppo non tanto sul-le « illusioni da incentivi », quanto piut-tosto sulla loro reale capacità di soste-nere l'impatto con un mercato in evo-luzione, quale quello meridionale. La politica degli incentivi, appare in ef-fetti influire scarsamente sulle decisioni aziendali.

Soltanto in una visione tradizionalistica, basata sulla massimizzazione del profit-to, l'incentivo può infatti avere una pro-pria validità operativa.

Altre strategie perseguite dalle -imprese, quali la sopravvivenza nel lungo andare, l'espansione della quota di mercato, l'at-tuazione di uno sviluppo equilibrato, la diversificazione e la differenziazione del-la produzione, implicano del-la considera-zione prioritaria di obiettivi che difficil-mente possono essere influenzati da una molteplicità, sia pure organica, di age-volazioni territoriali.

Inoltre, le imprese di grandi dimensioni, tendendo ad inserirsi in un circuito eco-nomico efficiente, prescindono general-mente, nell'attuazione delle scelte di ca-rattere spaziale, dall'esistenza di facili-tazioni territoriali.

Ciò comporta seri problemi anche per lo sviluppo delle unità di piccole dimen-sioni o di carattere artigianale che, sep-pure generalmente favorite dalla politi-ca di incentivazione, finiscono per tro-varsi isolate nel contesto socio-economi-co delle aree di insediamento, in primo luogo per mancanza di un valido mer-cato di sbocco per i loro prodotti25. Occorre tuttavia osservare come, per molte aziende, le prospettive di investi-mento dipendano non tanto dalla valu-tazione delle condizioni della specifica zona di insediamento, quanto piuttosto dagli orientamenti di fondo che si deli-neano nel settore industriale che le inte-ressa e, più in generale, dalla evoluzione del ciclo congiunturale.

In genere, si rileva come la tendenza più ovvia sia quella di espandere le strutture esistenti per adeguarsi all'in-cremento della domanda.

« La cosa più importante — ha affer-mato un dirigente di un'impresa a

pre-valente partecipazione estera operante nel Mezzogiorno — è comunque ope-rare in un soddisfacente clima politico ed economico. Da questo punto di vista, sono spiacente di non poter menzionare l'Italia nei primi posti della nostra gra-duatoria per il presente periodo »26. Un aspetto particolare riguarda la gene-rale inadeguatezza delle infrastrutture, che ostacola l'espansione delle imprese. Si registra attualmente, come si è già accennato, una tendenza ad una con-centrazione degli investimenti produtti-vi in alcune aree caratterizzate da una elevata presenza industriale.

In effetti, si deve ritenere che la produt-tività dei nuovi insediamenti dipenda anche da investimenti realizzati in pre-cedenza.

Si verificano cioè economie di concen-trazione industriale o « economie ester-ne » ester-nelle aree maggiormente sviluppate, data la possibilità di una maggior rimu-nerazione del capitale (per esistenza di manodopera specializzata, infrastrutture e servizi) e l'esistenza di un vasto mer-cato di sbocco in grado di assorbire l'au-mento della produzione.

Gli squilibri e le distorsioni che siffatta distribuzione comporta, impongono alle Autorità competenti di dedicare al feno-meno un'attenta considerazione. La valutazione dell'incidenza delle ini-ziative a partecipazione estera sulla con-sistenza dell'apparato industriale del Meridione si rivela d'altronde assai com-plessa.

Un ruolo preminente è svolto dagli Sta-ti UniSta-ti, che figurano al primo posto, sia come numero di stabilimenti, sia in termini di occupazione e di investimenti fissi (tab. 3).

Di notevole importanza si rivelano an-che gli investimenti della Svizzera (44 stabilimenti e oltre 9000 addetti), della Francia (32 stabilimenti e oltre 7500 ad-detti), della RFT, dell'Olanda e della Gran Bretagna.

I settori di attività più rappresentativi risultano quello meccanico, quello chi-mico e quello della lavorazione dei mi-nerali non metalliferi27.

Si tratta in genere di industrie che uni-scono al basso rapporto investimenti/ numero di occupati, un elevato apporto tecnologico.

Tabella 3. Società, stabilimenti ed occupati

secondo il paese di origine della partecipa-zione estera.

Paesi d'origine

della parteci- Società pazione Stabili-menti Occupati Australia Austria Belgio Canada Danimarca Francia Giappone Gran Bretagna Libano Liechtenstein Lussemburgo Olanda Panama Rep. Fed. Ted. Stati Uniti Svezia Svizzera Totale 2 8 753 1 1 (9 5 7 1.749 2 2 1.336 1 1 (1) 18 32 7.617 1 1 (2) 15 17 4.400 1 1 (9 11 14 2.501 5 6 1.322 6 11 5.767 3 3 440 19 22 7.313 73 104 38.816 3 3 1.920 38 44 9.321 204 277 83.779 Classi di occupazione: (9 Meno di 100. (9 Da 100 a 200.

Fonte: IASM, « Iniziative industriali a

partecipa-zione estera nel Mezzogiorno », Roma, 1976, pag. 13.

T a b e l l a 4. Incidenza delle società a

parteci-pazione estera sull'occuparteci-pazione nel Mezzo-giorno. Regioni Occupati in stabili-menti a partec. estera % Occupati in industrie manifattu-riere con 20 addetti ed oltre Basso Lazio 27.710 36,7 75.467 Abruzzi 4.569 9.4 48.992 Molise 5.657 Campania 25.118 12,4 202.954 Puglia 10.261 9,8 104.585 Basilicata 96 0,9 10.918 Calabria 4.357 29,4 14.831 Sicilia 7.123 13,0 54.987 Sardegna 3.071 9,3 33.012 Totale 82.305 1 14,9 551.403

1 Non sono stati conteggiati gli occupati delle Marche.

Fonte: IASM, « Iniziative industriali a

partecizione estera nel Mezzogiorno », Roma, 1976, pa-gina 8.

Tuttavia, l'incidenza delle società a par-tecipazione estera sull'occupazione del Mezzogiorno appare assai scarsa, come si rileva dalla tabella 4.

Per contro, i tassi medi di variazione del costo del lavoro, appaiono sostanzial-mente superiori a quelli delle corrispon-denti imprese nazionali.

Si ha cosi un'ulteriore conferma dell'in-tima connessione esistente tra produtti-vità delle imprese e livelli delle retribu-zioni.

Si palesa pertanto evidente l'opportu-nità di un maggior interessamento a livello governativo per la creazione di nuove infrastrutture e il potenziamento di quelle esistenti.

Le regioni e gli enti locali dovranno di-ventare sempre più il centro decisionale delle politiche di sviluppo e di program-mazione nell'ambito delle direttive im-partite dalla Cassa per il Mezzogiorno. A quest'ultima, in particolare, spetterà

Nel documento Cronache Economiche. N.003-004, Anno 1978 (pagine 57-65)