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LINEE PER UNA POLITICA AGRARIA IN PIEMONTE

Nel documento Cronache Economiche. N.003-004, Anno 1978 (pagine 47-53)

Il mondo agricolo piemontese, in una serie di incontri e di convegni di varia parte, già organizzati o in progetto, sta assumendo posizioni sempre più precise in ordine a ciò che si attende in questo momento dalla amministrazione pub-blica.

Si tratta, in effetti, di un momento im-portante: mentre, da un lato, le Regioni sono state finalmente investite di buona parte dei poteri di politica agraria, fino a ieri detenuti dallo Stato, dall'altro, si va manifestando, espressa in modo sem-pre più esplicito, l'esigenza di un inter-vento programmato. « Programmazio-ne » non è più un termiProgrammazio-ne che suscita, come pochi anni addietro, sospetti e ri-serve. Ad essa ormai fanno tutti riferi-mento, come l'ottica con la quale vanno affrontati i problemi e come metodo di-verso che dovrebbe escludere inefficien-ze, sperperi ed errori.

Non a caso si sta parlando di piano agri-colo-alimentare, articolato in una fase di indirizzo e di coordinamento nazio-nale e in altrettante fasi di proposte e di attuazione nelle diverse regioni. Non a caso si sente sempre più frequen-temente parlare di piani settoriali, di piani territoriali, di piani irrigui e fore-stali, ecc.

Il mondo agricolo sta infatti finalmente prendendo coscienza dei limiti di una politica agraria, quella perseguita finora, casuale, disorganica e perciò incapace di contribuire realmente allo sviluppo del settore.

Vicende diverse, come le crescenti e competitive importazioni di prodotti agricoli, stanno inoltre aprendo gli occhi a molti circa la realtà europea — ormai peraltro vecchia di oltre vent'anni — al-la quale il nostro Paese è presente in modo ancora non sufficientemente con-vinto.

Cresce quindi l'esigenza di promuovere il più rapidamente possibile l'agricoltura italiana a livello europeo, facendole su-perare un divario che risulta sempre più pericoloso.

La Regione Piemonte ha fatto proprie le nuove esperienze, sia predisponendo un Piano di sviluppo regionale, sia ap-plicando, tra le prime in Italia, le Diret-tive strutturali della CEE, sia ancora ac-cogliendo sostanzialmente quella «

filo-sofia » che è alla base della nostra par-tecipazione alla Comunità Europea. In questo quadro vanno visti i nuovi impegni sia della stessa Regione che del-l'Ente di sviluppo.

I PIANI Z O N A L I

Il primo e forse il più rilevante settore d'intervento, è quello della pianificazio-ne agricola zonale.

Dopo una fase di preparazione, di ap-profondimenti (ed anche di ripensa-menti), occorre riprendere al più presto il cammino interrotto. Accettandone in-nanzitutto lo spirito di fondo. I piani agricoli zonali costituiscono in sostanza il nuovo modo di dialogare tra gli agri-coltori e la pubblica amministrazione. Fino ad oggi le relazioni tra lo Stato (e più recentemente la Regione) e le singole imprese agricole sono state quelle pro-prie tra chi ha il potere e chi ne è sud-dito. Rapporti singoli troppo spesso ca-ratterizzati rispettivamente dalla richie-sta, da un lato, e dalla concessione dal-l'altro, di un beneficio. Il mutuo, il con-tributo: sempre giustificati nella sola lo-gica aziendale e del momento; spesso scarsamente utili a livello di area e nel medio periodo. Per la limitatezza ogget-tiva delle risorse disponibili, gli inter-venti di tale tipo hanno finito per rea-lizzare una rete di privilegi. Privilegi apparenti perché spesso gli stessi bene-ficiari sono i primi ad aver risentito della mancanza di organicità di tale po-litica agraria.

Il mondo agricolo segnala inoltre una certa stanchezza circa un metodo che fi-nisce per privilegiare non la vera impren-ditorialità, ma la capacità di ottenere gli appoggi necessari, di trovare le « stra-de giuste » per ottenere i benefici pub-blici. Purtroppo è una tendenza emer-gente questa anche nei settori extra-agri-coli: l'imprenditore non è più tanto la persona che, attraverso un rischio diret-to, s'impegna ad effettuare le scelte mi-gliori per competere sui mercati ed ac-crescere l'efficienza aziendale.

È sempre più colui invece che non risol-ve i problemi aziendali, ma li scarica

sulla collettività. È colui che, al riparo di ogni rischio, chiede sicurezza e aiuti continui dalla pubblica amministrazione. La parte migliore del mondo agricolo sta reagendo a questo andazzo e ciò si manifesta anche con la richiesta dei pia-ni zonali.

Insieme, area per area, gli agricoltori intendono cioè stabilire precisi rapporti con la pubblica amministrazione, ai vari livelli, sia per quanto concerne la poli-tica del territorio e dei servizi, che per l'aspetto più propriamente economico. Insieme intendono individuare gli obiet-tivi di sviluppo comuni alla zona ed alle aziende in essa collocate. Insieme inten-dono perseguire quelle iniziative utili al raggiungimento di tali obiettivi. Insieme andranno a chiedere l'intervento neces-sario alla Regione. Quest'ultima, non so-lo dovrà man mano privilegiare la nuo-va impostazione rispetto a quella tra-dizionale, ma dovrà incentivarla, ad esempio, mettendo a disposizione un se-rio servizio di assistenza tecnica.

P R O G R A M M A R E LA P R O D U Z I O N E : LA Z O O T E C N I C A

Molte sono le iniziative da assumere, an-che nella regione piemontese, per la rea-lizzazione del piano agricolo-alimentare. Anzi sono proprio le Regioni che, que-sta volta, garantiranno sia l'aderenza delle azioni e degli investimenti ispirati da detto Piano, alla realtà, che il rispetto del metodo della programmazione. Si tratta, come si ricorderà, di raggiun-gere intanto taluni obiettivi per alcuni settori considerati determinanti per lo sviluppo agricolo, come la zootecnica. Confrontando la prima legge del piano agricolo alimentare, il « quadrifoglio », con gli impegni assunti dalla Regione Piemonte nel « Piano di sviluppo

1977-1980 », si scoprirà una quasi totale cor-rispondenza, anche se il documento pie-montese ha anticipato la legge nazionale di quasi un anno. Almeno nel nostro ca-so si può quindi affermare che esiste un'assonanza significativa con lo Stato, circa le linee di intervento e le priorità. In sostanza occorrerà allora, e nei

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cooperazione ed un rafforzamento sui mercati.

Un importante settore produttivo su cui occorre puntare è quello delle « carni alternative »: da quelle suine (alleva-menti che potranno trovare buone pos-sibilità di sviluppo in connessione alla prevista espansione della produzione casearia), a quelle ovine e caprine (di allevamenti, cioè, particolarmente adatti alle aree marginali montane e collinari, spesso oggi abbandonate), al pollame (settore nel quale operano con successo già alcune cooperative), ai conigli (per i quali si profilano ottimi sviluppi), per non dire, infine, di altri allevamenti mi-nori particolarmente promettenti, come quello delle lumache.

A monte delle iniziative illustrate, oc-correrà peraltro un serio piano di boni-fica e di selezione del bestiame allevato. Occorrerà inoltre effettuare un rilevante sforzo nell'assistenza tecnica, basata su una sperimentazione specifica della zoo-tecnica.

In questo modo, il Piemonte, potrà cor-rispondere in pieno alla logica del piano agricolo-alimentare, per quanto riguarda il settore che giustamente viene consi-derato la colonna portante dell'intera agricoltura: quello zootecnico.

P R O G R A M M A R E LA P R O D U Z I O N E : GLI ALTRI SETTORI

Un settore fondamentale per l'economia agricola di estese aree della Regione è quello vitivinicolo. In forte riduzione, per il deterioramento delle strutture pro-duttive e l'esodo rurale, questa produ-zione tende a conservare buone posi-zioni di mercato, per quanto concerne i vini di qualità. Tende a soccombere, in-vece, per quella parte del prodotto la cui immagine non si è ancora sufficien-temente affermata, o addirittura si è an-data indebolendo nel tempo. Si tratta in generale dei vini da tavola, ma, tra questi, particolarmente del barbera. Tra i consumatori delle grandi città del « triangolo industriale », tradizionale area di assorbimento di questo prodotto, il barbera, soprattutto per l'immissione mini brevi previsti dalla legge, dar corpo

a veri e propri piani di comparto pro-duttivo, utilizzando gli elementi già rac-colti e dando un seguito più organico al-le azioni anticipatrici finora svolte. Il primo comparto, per il quale sono già state effettuate le elaborazioni di base e avviate talune parziali iniziative, è quel-lo del latte: un prodotto particolarmen-te poco fortunato, sia per la pericolosa concorrenza portata da paesi vicini, sia per l'assenza fino ad oggi di una seria politica zootecnica nel nostro Paese, sia ancora per l'inadeguatezza delle struttu-re produttive italiane. Inoltstruttu-re in questo settore operano, accanto a pochi corretti imprenditori e ad alcune cooperative, un certo numero di puri speculatori, la cui spregiudicatezza certamente non giova allo sviluppo della produzione nostrana. Occorrerà quindi mettere gradualmente in atto un « sistema regionale » del lat-te, capace di rendere più razionali ed economiche le operazioni di raccolta, di trasformazione (sia in latte alimentare, che in latticini) e di commercializzazione dei prodotti.

Stante la situazione, occorrerà che le cooperative, in ciò sostenute dall'Ente di sviluppo, assumano un ruolo di maggior rilievo e risultino determinanti sul mer-cato. L'obiettivo fondamentale da rag-giungere dovrà essere quello di una va-lorizzazione del buon latte piemontese, che oggi viene invece sottopagato, an-che se costituisce la base per la produ-zione di formaggi pregiati, anche non piemontesi. La valorizzazione del latte della nostra regione passa in sostanza attraverso la garanzia che il valore ag-giunto, prodotto dalla trasformazione, resti ad integrare i redditi agricoli. Inoltre occorrerà rafforzare le posizioni commerciali sottoponendo a marchio di qualità (debitamente e seriamente ga-rantita) i prodotti del settore. Altri comparti dovranno essere « piani-ficati ». Quello delle carni bovine, so-prattutto attraverso una migliore gestio-ne dei macelli e assicurando che gestio-nell'iter distributivo il buon prodotto ottenuto nella Regione (specie con la razza « pie-montese ») non vada a confondersi con carni meno pregiate. Anche qui, in so-stanza, occorre un potenziamento della

di grandi quantità sotto tale etichetta di vini d'incerta origine o dequalificati, è diventato sinonimo di vino a buon mercato, non necessariamente di pregio. Anzi, per il consumatore medio la ri-chiesta di barbera significa acconten-tarsi di vino meno buono, anche se più a buon mercato.

Il giudizio di quanto sia ingiusto questo ruolo per un vino che non ha spesso nulla da invidiare rispetto ad altre qua-lità, lo lasciano agli intenditori. Quello che preoccupa dal punto di vista econo-mico, è che la mancata qualificazione sul mercato determina la riduzione pro--gressiva, e in prospettiva la scomparsa, di una coltura indispensabile alla so-pravvivenza di un'agricoltura intensiva in molte aree collinari.

Spetta allo Stato mettere in atto seri meccanismi di controllo qualitativo del-la produzione per sottrarre al mercato le masse di vino sofisticato che tuttora affluiscono al consumo.

Spetta invece alla Regione valorizzare questa parte importante del prodotto, incentivando una presenza organizzata sui mercati naturali (quelli appunto co-stituiti dalle regioni del « triangolo in-dustriale ») e promuovendo tra i con-sumatori l'affermazione di un'immagine adeguata di tale vino. Si tratta, in defi-nitiva, di istituire una sorta di « agen-zia » per la valorizzazione e commercia-lizzazione del barbera e — a monte — ripropone un'organizzazione di tipo con-sortile, o di II grado, tra le numerose cantine sociali interessate. Più a monte ancora occorre, attraverso i piani agri-coli zonali, promuovere la massima ra-zionalizzazione possibile della produ-zione.

Un secondo comparto, caratterizzato dall'elevato pregio delle produzioni, è quello dell'orto-frutta piemontese. Desti-nata anche all'esportazione e comunque adatta ai mercati più qualificati, tale pro-duzione necessita di ulteriori raziona-lizzazioni — da un lato — per gli aspetti commerciali e — dall'altro — per quelli produttivi. In particolare oc-corre creare, sulla base di iniziative già esistenti, un « sistema » di vivai, capaci di rifornire la produzione di piante del-le varietà richieste dal mercato.

Come è noto quest'ultimo si presenta

in continua evoluzione, e non sempre gli agricoltori riescono a tener dietro alle variazioni di gusto intervenute, spe-cie per la carenza del necessario mate-riale vivaistico.

Per altri comparti produttivi (cereali fo-raggeri, zootecnia minore, ecc.) appaiono ugualmente necessarie azioni di rinvigo-rimento delle produzioni piemontesi sui mercati e di adeguamento delle imposta-zioni produttive alle notevoli esigenze di mercato.

Si pone, in generale, il problema della informazione ed educazione del consu-matore (la rivista « Verde » edita dal-l'ESAP per le scuole piemontesi, si col-loca in questa prospettiva) e della garan-zia circa la qualità e l'origine dei pro-dotti: un marchio unico, garantito dal-l'ESAP e dalla cooperazione, per tutte le produzioni agricole piemontesi, po-trebbe soddisfare a questa importante esigenza.

LA C O O P E R A Z I O N E E L ' A S S O C I A Z I O N I S M O

L'una e l'altra finalità sono raggiungi-bili soprattutto attraverso un maggior sviluppo della cooperazione e dell'asso-ciazionismo.

Nella regione piemontese le forme di agricoltura associata hanno trovato mi-nori adesioni, rispetto ad altre aree ita-liane e ad altri paesi europei, sia per il tradizionale individualismo, proprio di campagne dove ha da sempre dominato la piccola impresa contadina, un tempo ad economia più di sussistenza che di mercato, sia per le non felici esperienze di alcune cooperative.

Le difficoltà delle attuali imprese asso-ciate derivano in generale dalla scarsa identificazione dei soci con le rispettive cooperative e consorzi.

Scarsa identificazione che deriva anche dallo scarso impegno finanziario richie-sto ai soci (causa non ultima di nume-rose crisi economiche di varie coopera-tive) e della eccessiva tendenza a dele--gare agli amministratori la soluzione dei problemi aziendali. Ne consegue spesso una insufficiente « affezione »

all'inizia-tiva comune che viene considerata dai soci come una qualsiasi impresa operan-te sul mercato, e verso la quale ci si comporta pertanto secondo la conve-nienza del momento.

Non è facile un rilancio della coope-razione e dell'associazionismo, in quanto esso passa sostanzialmente attraverso una crescita imprenditoriale e, quindi, ad una presa di coscienza dei problemi dell'agricoltura e dei modi con cui af-frontarli.

Certamente fin che prevarrà, nelle con-cezioni di politica agraria, la imposta-zione assistenzialistica, non si produr-ranno quegli stimoli che, altrove, hanno determinato un forte movimento coope-rativo e, con questo, un notevole ammo-dernamento delle strutture della produ-zione, trasformazione e commercializza-zione dei prodotti agricoli e, di conse-guenza un miglioramento reale dei red-diti agricoli.

IL VINO PIEMONTESE

Nel documento Cronache Economiche. N.003-004, Anno 1978 (pagine 47-53)