Per comprendere con esattezza la portata e l’importanza dell’intervento di innovazione compiuto dal legislatore circa la disciplina dei gestori della società, occorre fornire alcune indicazioni sulla struttura delle norme che da molteplici decenni si occupano di regolamentare l’attività e la posizione degli amministratori in seno all’ordinamento giuridico nazionale. Nel farlo, la fonte legislativa primaria a cui è necessario attingere è senza dubbio il Codice Civile. Prima di tutto occorre però ricordare come la figura dell’organo gestorio sia dotata di una propria identità a sé stante principalmente all’interno di contesti a carattere societario, riferendosi in questo senso a tutte quelle iniziative economiche che rispondono alla nozione di contratto di società così come contenuta nell’art. 2247 cc. Puntualizzazione quest’ultima che appare necessaria, considerando che l’assunzione dell’iniziativa finalizzata all’esercizio dell’attività economica può essere attribuita anche ad un soggetto giuridico imprenditore in forma individuale, il quale verifica i requisiti enunciati dall’art. 2082 cc in relazione alla definizione in senso lato di “impresa”. Una simile fattispecie presupporrà pertanto che nella posizione dell’imprenditore medesimo si concentrino la totalità degli atti afferenti al potere di gestione, i quali saranno da lui soltanto decisi e posti in essere e nei cui confronti egli stesso sarà ritenuto l’unico responsabile in via illimitata, rispondendo alle connesse obbligazioni con tutti i propri beni presenti e futuri, secondo la regola generale tracciata dall’art. 2740 cc. Peraltro l’imprenditore si configurerà come il capo dell’impresa, da cui dipendono gerarchicamente i propri collaboratori, ai sensi dell’art. 2086 cc. Ovviamente i contesti imprenditoriali individuali sono dotati di un minor livello di formalizzazione per ciò che concerne il processo che conduce all’adozione delle scelte di gestione, non manifestandosi l’esigenza di rispettare l’iter burocratico correlato ad una attività di discussione e approvazione da parte di un organo collegiale, né particolari esigenze di supervisione circa l’operato dei soggetti legittimati ad esercitare il potere amministrativo. L’integrale concentrazione di quest’ultimo in mano al singolo imprenditore, viene infatti contro bilanciato dal principio di responsabilità illimitata, il quale dovrebbe contribuire ad arginare e scoraggiare l’esecuzione di quegli atti potenzialmente lesivi o idonei ad arrecare un danno all’impresa e di riflesso al patrimonio dell’imprenditore medesimo.
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Alla luce delle considerazioni sopra esposte, pare naturale individuare il fulcro su cui poggiano le disposizioni riferite agli amministratori all’interno di quella specifica parte del Codice Civile che costituisce il c.d. “statuto delle società”, collocato nel Libro quinto (“Del lavoro”), Titolo quinto, Capo primo. E’ opportuno sottolineare che lo stesso rappresenta solo una parte di in un più grande impianto normativo situato anch’esso nel Libro quinto, ma che comincia dal Titolo secondo (“Del lavoro nell’impresa”), Capo primo : trattasi del noto “statuto dell’impresa” che al suo interno ammette anche le iniziative dotate dei caratteri dell’attività imprenditoriale che tuttavia non si originano da un contratto sociale stipulato tra due o più parti41. Tornando dunque sulla disciplina a carattere societario, prima di tutto urge una doverosa distinzione tra i due tipi individuati dal testo stesso della legge, vale a dire le società di persone e le società di capitali. Le due categorie sono destinatarie di una regolamentazione differente, la quale impatta in modo significativo anche sulla declinazione del potere di gestione esercitabile al loro interno. In riferimento alla prima delle due tipologie, il tratto rilevante è senz’altro da ricercarsi nel valore preponderante dell’elemento dell’intuitus personae insito nella persona dei soci che vi partecipano. Tradizionalmente, non a caso, la società di persone si caratterizza per la ristretta compagine sociale, formata da un limitato numero di soggetti giuridici che fondano la loro partecipazione su rapporti di conoscenza e fiducia reciproca, confermati e sorretti peraltro dall’elemento della responsabilità illimitata e solidale a fronte delle obbligazioni contratte dalla società ponendo in essere i vari atti di gestione. La centralità dei tratti personalistici si può cogliere perfettamente dall’esame delle scelte operate dal legislatore codicistico nel tracciarne le norme dedicate. La presenza dello scudo, per così dire, della responsabilità illimitata, giustifica la volontà di rimettere buona parte delle scelte relative ai molteplici aspetti della vita societaria all’autonomia statutaria, mantenendola in capo alle parti. In buona parte dei casi ci troviamo quindi di fronte all’indicazione di una regola con valenza generale, come ad esempio la richiesta del consenso unanime per la modifica dell’atto costitutivo (art. 2252 cc), la quale trova applicazione solo in assenza di una “diversa disposizione” stabilita dai partecipanti al contratto sociale, esercitando una deroga a carattere negoziale e convenzionale. Ciò è ammissibile in considerazione del fatto che qualora si originasse un danno in capo alla società ovvero una lesione degli interessi dei vari stake-holders, si potrebbero aggredire i patrimoni personali dei singoli soci o eventualmente anche di uno solo di questi, richiamandolo ad adempiere all’obbligazione per l’intero importo, fatto salvo poi il diritto dello stesso di eseguire azione di regresso sugli altri soci rimasti inadempienti. Tuttavia, ai fini di garantire l’esecuzione degli obblighi scaturenti dalla gestione aziendale, non dobbiamo dimenticare che una funzione garantista e di copertura viene comunque attribuita ai conferimenti dei soci che concorrono alla formazione del capitale sociale. I partecipanti ad una società di persone possono, infatti, beneficiare dell’obbligo richiesto ai creditori sociali di “escutere preventivamente” il capitale della società e solo in via successiva, accertandone l’incapienza e per i valori residui rimasti insoddisfatti, aggredire semmai i patrimoni personali dei singoli soci. Al fine di attivare tale previsione normativa è però richiesto alla società di provvedere al deposito presso il Registro delle Imprese di
41 Per un maggior approfondimento di tali nozioni si rimanda a N. Abriani, L. Calvosa et al. “Diritto delle
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competenza territoriale del proprio atto costitutivo, adempiendo così al regime pubblicitario dotato di efficacia dichiarativa nei confronti dei terzi. Ne consegue che le c.d. “società irregolari”, in quanto non adempienti alla citata pubblicità, non possono accedere all’istituto sopra richiamato42.
Passando ad analizzare più da vicino le norme in materia di amministrazione, nelle società di persone l’art. 2257 cc prevede un esercizio del potere di gestione in forma disgiuntiva, ovvero attribuendo la legittimazione a compiere i connessi atti da parte di ogni singolo socio, separatamente dagli altri. Al comma 2 tuttavia si precisa come ciascun socio investito della qualifica di amministratore abbia il diritto di opporsi all’operazione che un altro socio intende porre in essere, prima che la stessa venga concretamente compiuta. In tal caso l’atto in questione non può realizzarsi se non prima di essere sottoposto alla votazione da parte dei soci, ciascuno dei quali si esprime circa l’opposizione secondo il parametro della percentuale ad egli attribuita in relazione alla partecipazione agli utili. Si tratta dunque di una sorta di veto, più tecnicamente definibile “jus prohibendi”, il quale, secondo una parte di dottrina, può comunque incorrere in limitazioni inserite a titolo di clausola statutaria che ne determinano un’esclusione, un confinamento a specifiche operazioni ovvero una assegnazione ai soci non amministratori. Peraltro, il dettato codicistico in materia non fa alcuna menzione dell’esistenza di un obbligo di informativa al resto della compagine sociale da parte del socio che assume l’iniziativa, potendo configurarsi perciò una fattispecie di responsabilità del medesimo qualora l’atto si rivelasse poi dannoso e pregiudizievole per la società. Se da un lato la modalità disgiuntiva rappresenta il principio legale in tema di amministrazione di società di persone, dall’altro il successivo art. 2258 cc suggerisce una soluzione alternativa, optabile con volontà negoziale delle parti. Ci stiamo riferendo alla forma c.d. “congiuntiva”, per cui è richiesto il consenso espresso da parte di tutti i soci amministratori al fine di porre in essere le operazioni sociali. Le parti possono rimettere tale potere alla maggioranza, che anche in questo caso si calcola facendo riferimento alla partecipazione agli utili. Una simile configurazione dell’azione gestoria non esclude però totalmente l’ipotesi in cui il singolo amministratore ponga in essere atti singolarmente : affinché questi ultimi siano validi è richiesto però che siano giustificati da condizioni di particolare urgenza e necessità di prevenire un danno alla società. Sempre in relazione all’esercizio dell’attività amministrativa, in materia di società personalistiche una questione particolarmente dibattuta riguarda la suscettibilità o meno di un soggetto estraneo alla compagine sociale di rivestire la carica di amministratore43. Parte di dottrina sposa la tesi
negativa, partendo da un’interpretazione letterale del testo dell’art. 2257 cc, il quale attribuisce il potere di gestione a “ciascuno dei soci”, al quale si aggiunge anche il silenzio del legislatore codicistico in merito alla possibilità di assegnare il medesimo a soggetti del tutto estranei rispetto all’alveo societario. Ciò viene rafforzato anche dal confronto con la disciplina riferita alle società di capitali, per la quale l’art. 2380 cc, in ambito di s.p.a.,
42 Spunti tratti da N. Abriani, L. Calvosa et al., “Diritto delle società. Manuale breve”, Editore Giuffré, 2012 43 Per comprendere meglio tale dibattito si veda R.Guglielmo, Studio CNN n. 5618/I /2005 “Riflessi della
riforma sull’amministrazione delle società di persone”, approvato dalla Commissione Studi d’Impresa il 31 marzo 2005;
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ammette espressamente la presenza di soggetti non soci in seno all’organo amministrativo. Inoltre, a sostegno di quanto appena detto, si colloca anche l’assenza o, per meglio dire, la mancata esigenza di un apposito sistema di controllo nella struttura delle società personalistiche, la quale si giustifica alla luce della permanenza della responsabilità illimitata dei soci circa l’azione sociale. Un orientamento diametralmente opposto è invece quello fatto proprio dalla dottrina maggioritaria e da parte della giurisprudenza, secondo le quali la mancanza di un diretto riferimento normativo al divieto di nomina di un terzo non socio alla carica di amministratore, ne renderebbero l’ipotesi ammissibile sul piano delle società di persone, con l’unico limite costituito dalla regola sancita all’art. 2318 cc comma 2. Quest’ultimo prevede l’obbligo in ogni caso di assegnare il potere di gestione a soggetti che rientrino nel perimetro dei soci accomandatari, come tali partecipanti alla compagine sociale con responsabilità illimitata a fronte delle obbligazioni contratte. Dunque in tal caso il silenzio della legge sul punto non sarebbe comunque sufficiente ad escluderne la configurabilità, riflessione sostenuta anche dal fatto che il sopra citato articolo deve essere valutato in qualità di norma speciale, risultando pertanto applicabile limitatamente al caso delle società in accomandita semplice (s.a.s.) e non già a tutte le realtà societarie a base personalistica. Altro punto che sembrerebbe escludere l’amministratore terzo alla compagine sociale è l’art. 2266 cc, che si esprime sull’esercizio del potere di rappresentanza per conto della società. Al comma 2 dello stesso articolo, quest’ultima viene attribuita, salvo patto contrario delle parti, “a ciascun socio amministratore”. Mantenendo fermo un simile dettato legislativo, tuttavia, sulla questione si è poi espressa anche la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3887 del 26 Aprile 1996, affermando che “le parti possono parzialmente derogare a tale disciplina, affidando l’indicata rappresentanza a persone che non possiedono la qualità di socio”. Alla luce di quanto fin qui riportato parrebbe dunque che, nonostante l’assenza di una norma apposita che lo formalizza, sia ammissibile l’attribuzione della posizione gestoria ad un terzo che non figura in qualità di parte del contratto sociale. Dopo aver trattato la tematica della nomina, occorre esaminare le disposizioni riferite alla revoca degli amministratori. Questi ultimi, secondo l’art. 2259 cc, se incaricati tramite il contratto sociale stesso possono andare incontro a revoca solo qualora sussista una “giusta causa” (espressione piuttosto generica e di ampio respiro), mentre nel caso di nomina con atto separato, la revocabilità deve attenersi alle norme dettate in tema di mandato. Il comma 3 del medesimo articolo prevede inoltre che la revoca, in presenza di giusta causa, possa essere richiesta giudizialmente da parte di ciascun socio. La già citata disciplina giuridica che regola il mandato, viene posta alla base anche della determinazione dei diritti e degli obblighi degli amministratori. Così si esprime l’art. 2260 cc, al comma 1, richiamando perciò gli artt. 1703 e seguenti del Codice Civile, che si collegano strettamente all’amministrazione in società di persone, poiché il mandato costituisce uno strumento idoneo per esercitare, se concessa dal mandante, la c.d. “rappresentanza”, vale a dire la capacità di porre in essere atti giuridici avvalendosi della spendita del nome del mandante stesso. Ed è proprio nell’esercizio della funzione negoziale che risiede l’essenza stessa dell’agire sociale. A tal proposito lo studioso Paolo Spada definisce come “ufficio di esternazione” il momento in cui vengono concretamente raggiunti e realizzati negozi giuridici da parte degli amministratori, tramite i quali la società acquista diritti ed assume obbligazioni nei confronti
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dei terzi44. Pertanto è tramite la rappresentanza che si riesce a generare una proiezione della funzione amministrativa all’esterno della struttura societaria. Al suddetto tema è dedicato il successivo art. 2266 cc il quale, al comma 2, chiarisce testualmente che, in mancanza di diversa pattuizione delle parti, “la rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore e si estende a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale”, facendo riferimento al carattere generale del potere ad essi attribuito. Lo stesso potere, a norma del comma 3, può andare incontro anche a modificazioni o alla definitiva estinzione, applicando quanto disposto dall’art. 1396 cc rubricato “modificazione ed estinzione della procura”. Ai sensi di quest’ultimo, tutte le variazioni apportate alla rappresentanza sociale, compresa la sua revoca, devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. Altrimenti le stesse diventano non opponibili, a meno che non si riesca a provare la loro conoscenza da parte del terzo già al momento della conclusione del negozio giuridico. Peraltro le cause di estinzione o limitazione del potere in esame che siano state ignorate dai terzi “senza colpa”, ovvero in buona fede, scontano comunque l’inopponibilità. Tornando adesso all’art. 2260 cc, il comma 2 richiama in capo agli amministratori la responsabilità solidale nei confronti della società per l’adempimento degli obblighi loro imposti sia dalla legge che dal contratto sociale. Unico strumento di limitazione della responsabilità previsto dalla norma è la facoltà rimessa in capo al singolo amministratore di dimostrare la sua esenzione da colpa, vale a dire la mancata assunzione di un atteggiamento macchiato da negligenza, imprudenza e imperizia. A tale dettato di legge si aggiunge anche la disposizione dell’art. 2267 cc, riferito alla responsabilità per le obbligazioni sociali, in rapporto alle quali sono chiamati ad adempiere solidalmente e illimitatamente tutti i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo diversa indicazione nel contratto sociale, tutti i restanti membri della compagine. Le eventuali limitazioni, parimenti a quelle già citate in materia di rappresentanza, devono rendersi conoscibili dai terzi mediante mezzi idonei, pena la non opponibilità. A maggior tutela della regolarità e correttezza dell’operato amministrativo, il legislatore codicistico inserisce un istituto posto a presidio degli atti di gestione, che sottolinea ulteriormente la centralità della figura del socio in ambito di società a base personalistica. Ci stiamo riferendo all’art. 2261 cc, che assegna ai soci medesimi, o per meglio dire a quelli non ricoprenti il ruolo di amministratori, il diritto di richiedere a questi ultimi notizie circa lo svolgimento degli affari sociali, oltre al potere di ottenere la correlata documentazione e la rendicontazione di tutte le operazioni compiute nell’esercizio della rappresentanza commerciale della società. Inoltre, per gli affari di durata pluriennale, l’informativa deve essere messa a disposizione dei soci al termine di ciascun esercizio, fatto salvo il diverso termine stabilito dal contratto sociale. Tra i compiti attribuiti all’organo amministrativo rilevano anche le attività richieste in seguito alla manifestazione di una causa legittima di scioglimento, che in ambito di società di persone, viene individuata nelle casistiche di cui all’art. 2272 cc. Ovviamente si tratta di una fase particolarmente delicata della gestione sociale, connessa al venir meno delle prospettive di continuità e di funzionamento, che lasciano il posto all’adozione di criteri di liquidazione, i quali mirano alla realizzazione delle attività, all’estinzione delle passività e
44 Tratto da “La disciplina delle S.r.l.”, dispense del Corso di Diritto Commerciale Progredito, Lucia Calvosa
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alla ripartizione dell’eventuale residuo netto tra i soci45. Il successivo art. 2274 cc chiarisce come i soci dotati del potere di gestione siano legittimati ad esercitarlo soltanto “limitatamente agli affari urgenti”, fornendo perciò un indizio incontrovertibile del sopraggiungere di quell’ottica conservativa dei valori del patrimonio sociale che animano la fase terminale della società. Peraltro, dopo il verificarsi della fattispecie di scioglimento, il mantenimento degli atti gestori in capo agli amministratori acquisisce una limitazione temporale, corrispondente al periodo necessario per dare avvio alla liquidazione.
Durante un tale arco di tempo è richiesto all’organo amministrativo di rendere disponibili e consegnare beni e documenti sociali ai liquidatori, oltre a presentare agli stessi il “conto della gestione” relativo al periodo successivo rispetto all’ultimo rendiconto prodotto, ai sensi dell’art. 2276 comma 1 cc. Il comma 2 del medesimo articolo precisa inoltre che gli amministratori devono collaborare con i liquidatori, redigendo con essi l’inventario dal quale risulti l’ammontare e la composizione dell’attivo e passivo dello stato patrimoniale. Il documento deve recare la firma di entrambe le due categorie. Le considerazioni fin qui esposte traggono le base dal dettato del Codice Civile riferito alla società semplice (s.s.), la quale nonostante sconti il divieto espresso di essere utilizzata per l’esercizio di un’attività d’impresa c.d. “commerciale”, come tale rispondente ai requisiti di cui all’art. 2195 cc, tuttavia viene dotata di una disciplina giuridica che getta le basi per tutte le società di persone, basi su cui di volta in volta possono andare a innestarsi e sovrapporsi le previsioni di legge specifiche del singolo tipo societario, meglio rispondenti ai suoi tratti peculiari. Giungendo quindi a esaminare le disposizioni proprie della società in nome collettivo (s.n.c.), anche per quest’ultima l’art. 2298 cc individua il potere di rappresentanza degli amministratori similmente a quanto già illustrato all’art. 2266 cc per le s.s. Infatti essi sono legittimati a compiere ogni atto rientrante nell’oggetto sociale, fatte salve le limitazioni che sono inserite nell’atto costitutivo ovvero nella procura. Queste peraltro non possono essere fatte valere nei confronti dei terzi se non risultano iscritte nel competente Registro delle Imprese o se non si riesce a provare che questi ne fossero comunque a conoscenza. Nelle impianto codicistico della s.n.c. è possibile riscontrare delle ulteriori norme che forniscono un significativo contributo nell’ampliamento e arricchimento dei compiti attribuiti ai gestori della società. Ad esempio l’art. 2300 cc, che chiama gli amministratori, nel termine di trenta giorni, a provvedere circa la richiesta all’ufficio del Registro delle Imprese di iscrivere le modificazioni dell’atto costitutivo e degli altri fatti relativi alla vita sociale per i quali l’iscrizione risulti obbligatoria. Iscrizione questa che si carica di un valore di particolare rilevanza. Non a caso, se riferita all’atto costitutivo, costituisce l’adempimento in assenza del quale alla società in nome collettivo si applica la disciplina di cui agli artt. 2251-2290 cc relativa alla s.s. A ciò si aggiunge il successivo art. 2302 cc che prevede l’obbligo per gli amministratori di tenere i libri e le altre scritture contabili previste dall’art. 2214 cc. Si ricorda però che, contrariamente a quanto previsto in tema di società capitalistiche, la disciplina del Codice Civile non indica espressamente la necessità della riunione in
45 La redazione dei documenti contabili legati alla fase di liquidazione, la cui competenza è attribuita agli
amministratori prima e ai liquidatori in seguito, viene regolata dall’apposito principio OIC n.5, consultabile su