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Profili di responsabilità degli amministratori e strumenti di limitazione della stessa

In chiusura del corrente Capitolo, si intende passare in rassegna i tratti fondamentali della responsabilità connessa all’operato dei membri dell’organo di gestione, avendo cura di esaminare con attenzione le novità introdotte dal D. Legisl. n. 14 del 12 Gennaio 2019 rispetto alla disciplina preesistente. Sarà opportuno inoltre individuare quali strumenti vengono messi a disposizione da parte del legislatore per eliminare o almeno attenuare la medesima.

In tema di società di persone, la disposizione cardine che sorregge il dettato normativo relativo alla responsabilità degli amministratori si colloca nell’art. 2260 cc. Questo, al comma 2, precisa che essi sono “solidalmente responsabili verso la società per l’adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale”. La stessa conseguenza non si estende però a coloro che dimostrino, adempiendo ad un apposito onere

81 Redatta secondo i dettami dell’apposito principio contabile OIC n.30 “Bilanci intermedi”, consultabile sul

sito www.fondazioneoic.eu

82 “Adeguati assetti organizzativi e continuità aziendale : profili di responsabilità gestoria” di V. De Sensi,

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probativo, di essere esenti da colpa. Il dettato codicistico presenta qui uno dei criteri chiave per regolare l’attribuzione della responsabilità : si tratta del principio solidaristico, per il quale ciascun amministratore in ambito di società personalistiche risponde, in solido con gli altri, dei pregiudizi arrecati nei confronti di una platea variegata di soggetti contro-interessati in seguito all’esercizio delle loro funzioni. Tuttavia, nonostante il comma 1 del citato articolo, nel regolare i diritti ed obblighi legati all’incarico gestorio faccia richiamo espresso delle norme di diritto comune in tema di mandato (artt. 1703 e seguenti cc), di per sé una simile espressione potrebbe assumere un carattere impreciso e fuorviante. Urge chiarire infatti che l’art. 1710 cc, ben lontano dalla serie di norme inerenti l’esercizio dell’attività d’impresa, formalizza un concetto di diligenza, di cui è depositario il mandatario, che deve conformarsi a quella ”del buon padre di famiglia”. Ma nel caso specifico degli amministratori, sussiste un elemento fondamentale che richiede necessariamente una diversa parametrazione dei requisiti afferenti la diligenza : ci stiamo riferendo alla stipulazione del contratto sociale, fulcro da cui promana la loro nomina. Quest’ultimo, ai sensi del ben noto art. 2247 cc, costituisce l’accordo con cui “due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. Di conseguenza l’amministratore che intende assumere una condotta diligente non può prescindere dalla doverosa considerazione delle finalità a cui tende le gestione societaria, i cui obiettivi individuano una sorta di linea guida per tutti gli atti connessi al suo ufficio. Partendo da simili riflessioni non sorprende che all’epoca attuale sia pacificamente condiviso l’orientamento per cui gli amministratori debbano sottostare a dei parametri di diligenza rafforzati rispetto a quanto disposto dalla disciplina sul mandato. Tale considerazione, è importante sottolinearlo, risulta applicabile alla totalità del panorama societario, sia personalistico che capitalistico. L’amministratore quindi non può compiere operazioni irrazionali, avventate o azzardate, prevedibilmente rischiose ed imprudenti, e non può superare i limiti fissati da quella ragionevolezza che assume un connotato tecnico- professionale. Ciò in quanto egli deve tradurre sul piano operativo la discrezionalità dell’imprenditore, secondo cui ogni scelta eseguita nel campo dell’attività di impresa non può discostarsi dalle valutazioni economiche che potrebbe esprimere ogni altro operatore che svolga un’attività dello stesso tipo, mantenendo condizioni potenzialmente idonee a generare un risultato positivo di fine esercizio83. Sempre in tema di responsabilità dei gestori della società, la già citata solidarietà si applica anche nei casi in cui si mantenga un modello di amministrazione disgiuntiva, vale a dire quello previsto per principio legale in ambito di società di persone. La motivazione è legata al fatto che, nonostante la legittimazione del singolo amministratore nel compiere individualmente atti di gestione, tutti gli altri hanno un generale e collettivo potere di vigilanza sull’operato dello stesso, rintracciando peraltro le operazioni potenzialmente in contrasto con l’interesse sociale mediante l’esercizio del diritto di opposizione. Ma come è possibile sollevare azione di responsabilità nei confronti dei membri dell’organo di gestione? Il ruolo da protagonista in tal caso viene svolto dai soggetti legittimati ad assumere l’iniziativa, richiedendo l’avvio di un procedimento di fronte all’autorità giudiziale, al fine di ottenere una sentenza che condanni gli amministratori al

83 Sul concetto di diligenza previsto per gli amministratori si veda N. Abriani, L. Calvosa et al. “Diritto delle

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risarcimento del danno, garantendo così la reintegrazione del patrimonio sociale. Ma quali sono i soggetti che per legge possono promuovere l’azione? Ai sensi del combinato disposto del già citato art. 2260 cc e dell’art. 2393 cc tale potere spetta in primo luogo alla società medesima, in tutti i casi in cui gli amministratori, nell’esercizio delle loro funzioni, vengono meno agli obblighi loro imposti dalla legge e dal contratto sociale. L’iniziativa, la quale è soggetta al termine di prescrizione in cinque anni che non decorre finché l’amministratore in questione resta in carica, può essere esercitata dalle seguenti categorie :

1) Soci che rivestono l’incarico gestorio e che sono dotati della rappresentanza legale della società;

2) Nuovi amministratori provvisti di rappresentanza processuale della società; 3) Eventuali liquidatori della società, quando nominati;

4) Curatore fallimentare e organi di gestione delle procedure.

Particolarmente rilavante però appare l’insieme dei presupposti che deve riuscire a dimostrare chiunque intenda promuovere l’azione, attività che può rivelarsi anche piuttosto complessa. Tra questi troviamo :

1) L’inadempimento degli amministratori o la mancanza di diligenza nell’esecuzione delle operazioni sociali;

2) Il danno derivato alla società, che può presentarsi nella forma di un lucro cessante ovvero di un danno emergente conseguenti dalle operazioni contestate;

3) Il nesso di casualità tra condotta contestata agli amministratori e il danno conseguente.

Accanto alla società medesima, sussistono altri due soggetti autorizzati ad agire contro gli amministratori, vale a dire il singolo socio o terzo e i creditori sociali. Nella prima tipologia si inseriscono tutti quei membri della compagine sociale che, indipendentemente dalla loro qualifica o meno di amministratori, scontano un pregiudizio diretto arrecato nei confronti del loro patrimonio personale da parte dell’amministratore non diligente. Analoga considerazione può compiersi per l’ipotesi del terzo. Simili casistiche possono verificarsi, ad esempio, in seguito al compimento di atti c.d. “distrattivi” degli utili e del patrimonio sociale, oltre alle violazioni dei diritti attribuiti a ciascun socio. Per i creditori sociali la tutela della loro pretesa può realizzarsi in seguito alla pronuncia di una sentenza da parte dell’autorità giudiziaria con la quale gli amministratori sono condannati ad adempiere ad un obbligazione risarcitoria. Questa può assumere un importo che al massimo sia pari al valore del rispettivo credito. Ovviamente occorre tenere ben distinta l’ipotesi del creditore particolare del socio ex art. 2270 cc, il quale, anche nell’ipotesi in cui quest’ultimo rivesta l’ufficio gestorio, al massimo può aggredire gli utili percepiti da medesimo ovvero, nel caso in cui gli altri beni del debitore non siano sufficientemente capienti, chiedere in ogni tempo la liquidazione della sua quota di partecipazione al contratto sociale. Egli tuttavia non è legittimato ad avanzare nessuna pretesa sul patrimonio della società. Si ricorda inoltre che

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nell’ipotesi di azione di responsabilità avanzata dalla società per danni prodotti dagli amministratori che si riflettono sulla totalità della compagine sociale, le somme pagate adempiendo all’obbligazione di risarcimento non possono e non devono essere restituite in favore dei singoli soci attori. Non a caso queste saranno trattenute nelle casse sociali ad ulteriore rafforzamento delle dotazioni patrimoniali della società, salvo poi essere oggetto di operazioni di distribuzione successive da compiersi nel pieno rispetto dei patti sociali84. Gli

amministratori di società di persone possono incorrere perfino in responsabilità di carattere amministrativo. Le principali fattispecie configurabili riguardano :

1) Omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi presso il registro delle imprese;

2) False comunicazioni sociali senza danno in caso di mancato superamento delle soglie di punibilità;

3) False comunicazioni sociali con danno alla società, ai soci o ai creditori o in caso di mancato superamento delle soglie di punibilità.

Sempre dal punto di vista delle conseguenze di carattere amministrativo, il D. Legisl. n. 231 del 2001 individua una estensione alla società della responsabilità conseguente ad un danno prodotto da soggetti amministratori, dotati di poteri di rappresentanza o direzionali che hanno agito per conto della medesima. Gli amministratori di società di persone possono rivestire la posizione soggetti attivi in relazione ad alcuni reati societari. Si considerano infatti pacificamente applicabili anche alle società di persone, in mancanza di una specifica disciplina che le riguardi in materia, alcune norme penali contenute nel codice civile. Vediamo di elencarle brevemente:

1) False comunicazioni sociali senza danno;

2) False comunicazioni sociali con danno patrimoniale alla società, ai soci o ai creditori; 3) Impedito controllo in danno ai soci;

4) Indebita restituzione dei conferimenti; 5) Illegale ripartizione degli utili e delle riserve;

6) Operazioni in pregiudizio dei creditori in caso di fusione o scissione; 7) Formazione fittizia del capitale;

8) Rivelazione di segreto professionale.

Adesso passiamo ad esaminare le conseguenze derivanti in capo ai membri dell’organo di gestione in ambito di società a base capitalistica nelle ipotesi di condotta non diligente. Trattasi di contesti maggiormente strutturati per i quali, anche a causa del principio di limitazione della responsabilità dei soci ai soli conferimenti, il legislatore codicistico ha

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ritenuto più opportuno dettare una disciplina a carattere organico, di maggior approfondimento. Si può quindi ben comprendere come una tale volontà determini un più alto livello di regolamentazione in seno a tutte quelle fattispecie in cui nell’azione degli amministratori sia possibile ravvisare un atteggiamento negligente se non addirittura lesivo degli interessi della vasta platea di interlocutori che, a vario titolo, entrano in contatto con la società. La prima norma doverosa da citare, in quanto fulcro su cui si erige l’intero sistema della responsabilità dell’organo di gestione, è costituita dall’art. 2392 cc, in materia di s.p.a. La rubrica del medesimo, individua con chiarezza il primo soggetto legittimato ad intraprendere l’azione, ovvero la società Al comma 1 si dispone che gli amministratori debbano “adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”. Contrariamente a quanto formalmente indicato nella disciplina delle società personalistiche, in cui sussiste un richiamo espresso alle norme di diritto privato riferite al mandato, qui il legislatore fuga ogni possibile dubbio sui requisiti rafforzativi su cui parametrare l’operato dei gestori della società : si parla in proposito della natura dell’incarico, avendo cura di distinguere a seconda della tipologia e delle peculiarità della singola società in questione, oltre che delle specifiche competenze, concetto questo che richiama con immediatezza quel concetto di professionalità che riveste di una qualifica tecnica la diligenza dell’amministratore. Il periodo successivo chiarisce poi che la responsabilità degli amministratori per i danni arrecati alla società mantiene un carattere solidale, tranne nei casi in cui si tratti di attribuzioni proprie di un comitato esecutivo avvero di funzioni assegnate ad uno o più consiglieri singoli. Il comma 2 aggiunge che la condotta pregiudizievole può verificarsi anche tramite un comportamento omissivo. Di conseguenza sono passibili di responsabilità tutti quegli amministratori che, pur essendo al corrente di un fatto anche solo potenzialmente lesivo, non hanno fatto quanto in loro potere per impedirne o attenuarne le conseguenze dannose. La norma in commento introduce anche un primo elemento volto a limitare e circoscrivere la responsabilità medesima. Il comma 3 infatti indica che questa non si estende al consigliere che “essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale”. Dunque una tempestiva manifestazione e formalizzazione del proprio disaccordo, unita ad una comunicazione scritta all’organo di controllo è idonea a sollevare l’amministratore da responsabilità per inadempimenti e omissioni degli altri membri del c.d.a. Questi, viceversa, subiranno l’attivazione del procedimento descritto dal successivo art. 2393 cc. In particolare, per promuovere un’azione contro gli amministratori, è necessaria una delibera assembleare, anche se la società si trova in liquidazione. La decisione può essere assunta, come indica il comma 2 dell’articolo sopra citato, anche in seno alla delibera di approvazione del bilancio, se gli inadempimenti sono riferiti alla gestione di quell’esercizio. Altra categoria di legittimati attivi è quella dei membri del collegio sindacale, che assumono la deliberazione con il voto favorevole della maggioranza dei due terzi. Altro elemento di rilievo è il termine di prescrizione dell’azione, che ai sensi del comma 4 può esercitarsi entro cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla sua carica. Se la decisione riscontra il voto favorevole di fronte all’assemblea da parte di almeno un quinto del capitale sociale, ciò produce peraltro una revoca d’ufficio del consigliere. In quella sede la stessa assemblea provvede alla sua sostituzione. Il comma 6 in chiusura prevede inoltre l’ipotesi di attivazione

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di una rinunzia e transazione dell’azione di responsabilità. Ciò è concesso a patto che non si verifichi il voto contrario di una percentuale “qualificata” di soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale ovvero, nelle società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio, almeno un ventesimo. Una seconda categoria di soggetti autorizzati ad intraprendere l’azione è data dai soci. Questi possono assumere rilievo sia in qualità di membri della compagine societaria sia a titolo di soggetti privati, beneficiando di apposite norme in materia. Nella fattispecie di cui all’art. 2393 bis cc, rubricata “azione sociale di responsabilità esercitata dai soci”, essi possono adottare l’iniziativa in quanto titolari di singoli rapporti di partecipazione al capitale sociale, partecipazione il cui valore è stato leso da condotte non diligenti degli amministratori. La percentuale minima richiesta per dare corso al procedimento è di un quinto del capitale sociale, oppure la diversa misura fissata dallo statuto purché superiore ad un terzo. Nelle società che hanno accesso al mercato dei capitali di rischio la soglia minima richiesta di soci consenzienti si abbassa ad un quarantesimo del capitale sociale. Qualora l’atto di citazione sia notificata anche alla società questa è chiamata in giudizio. I membri della compagine sociale che promuovono l’azione eleggono, a maggioranza del capitale da loro posseduto, uno o più rappresentanti comuni per compiere tutti i correlati atti. Qualora la domanda dei soci agenti venga accolta la società provvede a rimborsare ai medesimi le spese del giudizio, oltre a quelle legate all’attività di accertamento dei fatti che il giudice addebita alle parti e a quelle che non è stato possibile recuperare a seguito dell’attività di escussione. E’ prevista perfino la possibilità da parte degli attori di rinunciare all’azione o transigerla. I corrispettivi così raccolti devono permanere nelle casse societarie, rafforzando la sua sfera patrimoniale. Anche in tal caso le soglie minime di consensi richiesti per attivare la transazione fanno riferimento a quelle del già citato comma 6 del precedente art. 2393 cc. Altra disposizione di rilievo nel tracciare il quadro giuridico delle responsabilità degli amministratori in ambito di società di capitali e, più nel dettaglio di s.p.a., è data dall’art. 2394 cc, che individua l’azione esercitabile da parte dei creditori sociali. Nei loro confronti, il comma 1 definisce il primario obbligo dei membri dell’organo di gestione, vale a dire l’impegno affinché sia garantita la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. In altri termini ciò significa astenersi dal compiere operazioni manifestamente imprudenti o azzardate, le quali non sarebbero oltremodo giustificabili applicando un parametro di ragionevolezza posto alle fondamenta di qualsiasi scelta economicamente avveduta e razionale. Ecco pertanto ritornare un significativo richiamo al ben noto principio di correttezza che deve permeare nel profondo la totalità dell’azione amministrativa. Tornando alla norma, il comma 2 afferma che i creditori sociali sono legittimati ad assumere l’iniziativa quando il patrimonio sociale risulta insufficiente per il pieno soddisfacimento dei loro crediti. Inoltre al comma 3 si chiarisce che la rinuncia all’azione da parte della società non preclude l’adozione dell’iniziativa dei creditori sociali. Ciò pare giustificabile considerando che il singolo creditore, in qualità di controparte che contrae con la società stipulando uno o più negozi giuridici dai quali derivano obbligazioni, è interessato alla capienza del patrimonio sociale prettamente ai fini della piena soddisfazione della pretesa, sulla quale la condotta negligente dei gestori può gettare un’ombra di pregiudizio. La società invece, guarda con attenzione alle conseguenze lesive derivanti dalla condotta amministrativa ponendo un interesse primario nella capacità del complesso aziendale di mantenersi un’unità produttiva in continuità gestionale di

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funzionamento, preservandosi perciò la sfera di rapporti giuridici che trova il fulcro nella società stessa. Due prospettive distinte, anche se parimenti meritevoli di tutela, a cui corrispondono due diverse iniziative per l’avvio di un procedimento di fronte all’autorità giudiziale85. Il successivo art. 2394 bis riprende il contenuto delle disposizioni precedenti, indicando che nelle more di una procedura concorsuale, le rispettive azioni di responsabilità vengono concentrate nelle mani di un singolo soggetto e organo della procedura medesima, quale il curatore, il commissario liquidatore o il commissario straordinario. Altra norma di rilievo è data dall’art. 2395 cc, il quale evidenzia, dopo la società e i creditori sociali, una terza categoria di soggetti autorizzati ad agire contro gli amministratori : si tratta dei singoli soci o terzi. Le due figure vengono accomunate all’interno di tale categoria perché meritevoli di tutela in seno ad un danno o pregiudizio che hanno individualmente subito in seguito ad un atteggiamento doloso o colposo dei gestori della società. Il comma 2 precisa poi che il termine di prescrizione dell’azione è di cinque anni dal manifestarsi dell’atto lesivo. In chiusura del dettato codicistico inerente le responsabilità per amministratori di s.p.a., le previsioni fin qui citate si applicano anche, ai sensi dell’art. 2396 cc, nei confronti dei direttori generali nominati dall’assemblea ovvero dallo statuto.

Una volta passato in rassegna l’insieme di norme dettate per la s.p.a., analizziamo le disposizioni contenute sullo stesso tema all’interno del Codice Civile per l’altro tipo giuridico di società capitalistiche, vale a dire la s.r.l. Anche in questo caso la considerazione già eseguita circa il carattere di minor organicità della disciplina di quest’ultima rispetto alla s.p.a. si mostra con forza, facendo riflettere sulle possibilità di eseguire, di volta in volta, un richiamo per analogia o meno86. Procedendo con in maniera ordinata e sistematica,

chiariamo che le responsabilità dei gestori societari anche nella s.r.l. si muove verso le 3 direzioni sopra indicate : verso la società, verso i creditori sociali e verso singoli soci o terzi. Il punto di partenza su cui concentrarsi è dato dall’art. 2476 comma 1, secondo cui gli amministratori “sono responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società”. Tali doveri, che investono l’ufficio amministrativo per l’intera durata della carica e di cui abbiamo fatto riferimento nei precedenti paragrafi, possono derivare sia da fonte legale che convenzionale. Alla prima categoria, a titolo esemplificativo, appartengono tutti gli obblighi che scaturiscono dalla gestione liquidatoria della società, a partire dall’accertamento della causa legittima di scioglimento che, ai sensi dell’art. 2485 cc deve essere svolto dai gestori. Nella seconda si inseriscono d’altro canto tutte le indicazioni formalizzate in statuto per volontà delle parti, come la richiesta che l’amministratori