Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, negli ultimi quindici anni abbiamo conosciuto una grande quantità di interventi legislativi di modifica della disciplina concorsuale o meglio, in senso lato, della materia della crisi d’impresa. Ognuno di questi contributi era dotato di specifiche linee guida, talvolta elaborando delle soluzioni normative che fossero dettate da esigenze contingenti, di emergenza o prevedibilmente limitate nel tempo, ma che progressivamente sono andate assodandosi, contribuendo a plasmare l’asse portante dell’ordinamento giuridico nazionale e assumendo un carattere di sistematicità. Senza dubbio il susseguirsi delle deroghe e nuovi provvedimenti ha reso necessario rivedere modelli di comportamento che, di volta in volta, si erano consolidati in passato. Più volte è stato ribadito come da molto tempo si avvertiva la forte esigenza di mettere mano alla disciplina della crisi operando una riunificazione organica. Ma sono gli ultimi cinque anni che hanno costituito un fondamentale punto di svolta nel cammino evolutivo della materia. Nel 2015 infatti, fu attribuito il compito di innovare il diritto della crisi d’impresa ad una Commissione di esperti, presieduta dal noto consigliere di Cassazione Renato Rordof, che ben presto dette avvio ai lavori. Nel corso dello stesso anno si produssero le prime indicazioni su quelli che costituivano i principi ispiratori dell’attività di riforma e non tardò a giungere all’orecchio del panorama dottrinale dell’epoca la volontà della Commissione medesima di fornire per la prima volta una definitiva “cittadinanza giuridica” alle procedure
20 Criticità ben evidenziate da C. Ravina in “Riflessioni e spunti sulla recente riforma della legge
38 di allerta21. La questione, nell’estate 2015, alimentò pertanto un ampio dibattito, facendo registrare delle reazioni di dissenso da parte di taluni orientamenti22.
Alla data del 29 Dicembre 2015 la Commissione Rordof completò le proprie attività, riuscendo a stendere una proposta definitiva di legge delega da avanzare al Governo, dotata di una relazione accompagnatoria piuttosto approfondita e che illustrava più nel dettaglio le idee che avevano accompagnato l’operato degli esperti durante la formulazione del testo. Nonostante tale proposta confermasse quanto già era stato anticipato in tema di regolamentazione delle misure di allerta, le indicazioni in essa inserite vennero poi accantonate per tutto il successivo anno 2016 e per buona parte del 2017. Ciò avvenne in quanto l’allora Governo guidato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi ritenne di doversi pronunciare su materie dotate di maggiore priorità a livello nazionale. Un simile scenario condusse buona parte degli osservatori a temere che le previsioni contenute nel progetto stilato dalla Commissione fosse destinato a mantenersi soltanto una formale dichiarazione di intenti rimasta su carta. Fu invece l’arrivo dell’autunno 2017 che fornì una spinta decisiva alla riattivazione del processo di modifica legislativa. Non a caso la bozza Rordof venne ripresa e approvata con tempestività dal successivo Governo Gentiloni, che attribuì una nuova delega per la revisione della disciplina della crisi. Si giunse così alla nota Legge Delega n. 155 del 2017, da cui ha poi preso forma l’attuale Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza. Di conseguenza si cercò di re-istituire la Commissione Rordof, richiamando la quasi totalità dei precedenti membri, ai quali fu attribuito il compito di provvedere alla produzione nel minor tempo possibile, quanto meno tentando di non oltrepassare la chiusura della legislatura corrente, dei connessi decreti attuativi della delega. Pare chiaro dunque come tali decreti debbano considerarsi in una prospettiva di continuità del lavoro non solo rispetto alle indicazioni della Legge Delega, ma anche in riferimento alle attività avviate nel 2015. Una volta elaborati i testi di attuazione, sul finire del 2017 questi furono messi a disposizione per la pubblica consultazione. Le aspettative maggiormente diffuse ritenevano che il Nuovo Codice sarebbe entrato in vigore nel successivo anno 2018. In realtà ciò non avvenne poiché la legislatura in corso giunse alla scadenza del mandato senza pronunciarsi ulteriormente sul tema. Anche in questa occasione l’esperienza negativa che si era riscontrata in passato circa l’avanzamento, per così dire, “a singhiozzo” del processo di riforma, fecero pensare ad una nuova possibile interruzione dei lavori. Di fatto è stato indispensabile l’avvento di un terzo Governo, vale a dire l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte alla sua prima esperienza da Premier, per giungere all’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, in data 8 Novembre 2018, di una ulteriore bozza di decreto da sottoporre alle Camere per il loro parere. In quella sede il Ministro della Giustizia ha ritenuto necessario, per giungere ad un buon esito della funzione nomo-filattica, di avvalersi del contributo di tecnici i quali, partendo dalle bozze dei decreti messi a disposizione dalla Commissione Rordof, riscrivessero le parti meritevoli di maggior approfondimento. Il nuovo gruppo di lavoro così formato era presieduto e coordinato dal giudice Mauro Vitiello, dotato di lunga e comprovata esperienza presso i tribunali di Milano e Bergamo. Il Codice della Crisi
21 Tratto da “La riforma della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza” Editore Eutekne Quaderni, 2019
22 Si veda S. Ambrosini, “Osservazioni e proposte sullo schema di decreto delegato : allerta, procedimento
unitario e concordato preventivo”, articolo pubblicato in Osservatorio Italiano della Crisi d’Impresa, 30 Agosto 2018.
39 pertanto, per come è venuto formandosi, costituisce di fatto una sintesi e un epilogo di tutti i precedenti contributi, i quali sono stati riscritti su di un unico documento, trasmesso in seguito alle Camere. Queste ultime hanno espresso un parere vincolante che nel complesso è stato favorevole, ma richiamando con enfasi l’attenzione del Governo sulla necessità che venissero apportati dei cambiamenti al testo. Tali variazioni, discusse in qualità di emendamenti parlamentari, in buona parte sono state recepite. Per questo motivo, il decreto definitivo approvato in data 10 Gennaio 2019 da parte del Consiglio dei Ministri è diverso dalla bozza precedente, nel senso che le Camere hanno proposto delle modifiche significative e non sempre coordinate con il contenuto e l’orientamento complessivo del testo di legge. Appare dunque chiaro come, in un percorso così lungo e articolato, con numerosi passaggi per mano di molteplici soggetti coinvolti, si sia necessariamente giunti all’elaborazione di un Codice della Crisi il quale, a discapito della premessa di stenderne un contenuto organico, di fatto si manifesta come il risultato di continui rimaneggiamenti. Non sorprende quindi la possibilità di riscontare nel suo testo delle disposizioni talvolta contraddittorie, per le quali ci si attende un opportuno intervento di revisione. Proseguendo, il 14 Febbraio 2019 finalmente si arriva alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del D.Legisl. n. 14 del 12 Gennaio 201923. Purtroppo però non dobbiamo commettere l’errore di considerare tale data come il punto di epilogo della tortuosa vicenda normativa che ha accompagnato la realizzazione prima e l’approvazione poi della Riforma della crisi d’impresa. Abbiamo infatti già citato le numerose richieste avanzate dal Parlamento all’esecutivo in sede di manifestazione del proprio consenso in ordine al decreto. Il Governo in quella sede scelse di rimettere alla discussione camerale l’introduzione o meno degli emendamenti principali, dovendo però al contempo proseguire con l’iter funzionale all’entrata in vigore della nuova legge. Perciò, data la rilevante mole di proposte di modifica rimaste, per così dire, inevase, all’indomani della pubblicazione del decreto le due Camere hanno ricominciato i lavori per dare vita ad un ulteriore provvedimento che fosse idoneo ad inserire i correttivi richiesti al neo prodotto Codice della Crisi. Ciò si è concretizzato in data 8 Marzo 2019, tramite l’approvazione di un’altra Legge Delega, la n. 20, che fissa un termine pari ai successivi due anni per apportare le variazioni ritenute più idonee. Pertanto l’esecutivo dispone di un arco temporale totale di ventiquattro mesi per tornare sul testo del suddetto decreto, specie in relazione alle questioni sollevate di volta in volta in Parlamento sulla materia. Poiché ogni delega richiede una successiva attuazione, alla data del 17 Dicembre 2019 è stata presentata una bozza di decreto legislativo deputato a tale scopo. Ed è a questo punto che occorre compiere una profonda riflessione sia sulle tempistiche che in termini di modalità di aggiornamento della disciplina inerente la crisi d’impresa. Rivolgendo uno sguardo al passato potremmo facilmente cogliere la volontà già espressa da parte del legislatore, ogni qual volta in cui si rendeva necessario varare un provvedimento di riforma, di adottare una approccio che può definirsi graduale, progressivo, evitando di imprimere un carattere immediato e dirompente all’introduzione delle novità di legge. Il tutto spesso si è risolto in un differimento dei termini previsti per l’entrata in vigore delle disposizioni,
23 Per la completa ricostruzione del percorso storico di elaborazione del Codice della Crisi d’Impresa e
dell’Insolvenza si rimanda all’intervento di Massimo Buongiorno in occasione del Master Breve di formazione svolto nel periodo Febbraio 2020 – Aprile 2020 da parte di Euroconference dal titolo “Il D. Legisl. n. 14 del 2019, Nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza delle imprese : principali novità e impianto complessivo”
40 elemento rinvenibile ad esempio anche nella già citata esperienza della Commissione Trevisanato (2001-2005). La scelta di scaglionare e frazionare nel tempo l’esecutività delle nuove norme tuttavia, specialmente su temi di ampio dibattito, viene giustificata non solo dall’esigenza di concedere ai vari utilizzatori la possibilità di prendere confidenza con il novellato dettato legislativo, ma come è avvenuto e per certi aspetti avviene tutt’oggi per il Codice della Crisi, dalla previsione di interventi futuri di modifica che saranno eseguiti ad opera di testi successivi. A testimonianza di quanto appena detto possiamo citare l’art. 379 del D. Legisl. n. 14 del 2019, il quale interviene modificando l’art. 2477cc, dedicato alla disciplina codicistica degli organi di controllo in materia di società a responsabilità limitata, e che di recente è stato oggetto di ben due distinte modifiche. La prima è avvenuta tramite il c.d. “Decreto Sblocca Cantieri”, vale a dire il D.L. n. 32 del 18 Aprile 2019 da parte del primo Governo Conte, mentre la seconda, pressoché contemporanea, è arrivata mediante il c.d. “Decreto Mille Proroghe” , ovvero il D.L. n. 30 del 2019, convertito nella Legge n. 162 del 28 Febbraio 2020. Lo scopo dei suddetti interventi è stato quello di prorogare la scadenza del termine per la nomina obbligatoria dei controllori all’interno degli assetti societari, nomina che peraltro è andata in contro ad una rilevante revisione dei requisiti soglia che avremo modo di approfondire. Ancor più recente è la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, in data 8 Marzo 2020, della Legge n. 9, la quale si è pronunciata circa la modifica dei termini previsti per l’attivazione dell’obbligo di segnalazione all’Organismo di Composizione della Crisi (O.C.R.I.) e con essa intervenendo sui correlati artt. 14 e 15 del Codice della Crisi. A complicare ulteriormente il quadro normativo purtroppo, si sono inseriti poi i provvedimenti emanati tramite lo strumento della decretazione d’urgenza che la presente legislatura ha dovuto elaborare con celerità in riferimento all’emergenza sanitaria mondiale legata alla diffusione del Covid-19, meglio noto come corona virus. Ciò ha condotto a posticipare ulteriormente la piena attivazione degli istituti introdotti dalla Riforma. Come già accennato nella premessa dell’elaborato, ribadiamo dunque il carattere di strettissima attualità della disciplina in esame, la quale presenta sicuramente numerosi punti che attualmente sono o saranno nel breve futuro, oggetto di discussione prima nelle commissioni di esperti, poi nelle aule parlamentari e infine tra le varie correnti affermatesi in dottrina. Pertanto nel prosieguo della trattazione ci muoveremo con la cautela che si conviene approcciando una disciplina “in divenire”, che sotto un certo punto di vista, abbracciando ripetuti contributi di deroga e ammodernamento, contribuisce sempre di più ad allontanarsi proprio da quegli stessi principi ispiratori che avevano animato in origine l’azione di riforma.
Una volta illustrato il lungo percorso ultradecennale che ha condotto all’entrata in vigore del D. Legisl. n. 14 del 12 Gennaio 2019, è nostro compito scendere maggiormente nel dettaglio nell’analisi del provvedimento. Per farlo un significativo punto di partenza è certamente rappresentato dall’esame di quelli che sono stati le fondamenta dell’attività di riforma, vale a direi suoi principi ispiratori. Tra questi troviamo :
1) Definire un complesso organico e sistematico di norme, elemento che da sempre si è mostrato come il “grande assente” delle varie modifiche apportate nel tempo alla disciplina della crisi. In particolare, ante-Nuovo Codice le disposizioni normative
41 assumevano un carattere profondamente frammentario e disorganico24. Ciò era rafforzato anche dalla mancanza di una definizione esaustiva e soprattutto giuridicamente formale del concetto stesso di “crisi d’impresa”. Il legislatore aveva preferito infatti regolamentare, di volta in volta e individualmente, gli istituti messi a disposizione di varie categorie di soggetti in stato di difficoltà e dissesto. Tale suddivisione era basata primariamente sul Regio Decreto n.267 del 1942, che regolava la condizione di crisi per tutti i contesti imprenditoriali ad eccezione di due tipologie di soggetti : la prima, costituita da tutti i “non fallibili”, vale a dire soggetti giuridici che non verificano i presupposti soggettivi e oggettivi per essere dichiarati falliti, e come tali disciplinati non già dalla Legge Fallimentare bensì dalla specifica Legge n. 3 del 2012 sul c.d. “sovra-indebitamento” e la seconda, formata dall’insieme di tutte quelle attività economiche che sono sottoposte alla procedura di “amministrazione straordinaria” delle grandi e grandissime imprese in crisi come regolata dal D. Legisl. n.270 del 1999. All’interno di un tale quadro giuridico, l’intervento del Nuovo Codice ha operato una riunificazione di quanto contenuto nel Regio Decreto e delle disposizioni per il soggetto sovra-indebitato. La fattispecie dell’amministrazione straordinaria invece continua ad essere regolata in un testo autonomo e separato.
2) Rinnovare l’attenzione e l’enfasi sulle misure d’allerta, attribuendo loro una definitiva cittadinanza giuridica nell’ordinamento nazionale. A tal proposito occorre attivare due importanti riflessioni. Per prima cosa, ogni qual volta in cui pensiamo alle modalità dal carattere maggiormente consensuale per la gestione della crisi, la mente va subito ad un accordo di ristrutturazione dei debiti oppure ad un piano attestato di risanamento. Tali istituti negoziali tuttavia molto spesso in passato sono stati utilizzati in misura insufficiente o, per meglio dire, quasi del tutto insoddisfacente. La motivazione principale che giustifica un simile scenario è legata ad una derivazione erronea e patologica degli strumenti richiamati, che per lo più rispondevano ad una mera volontà dilatoria anziché essere seguiti da un atteggiamento proattivo e propositivo dell’imprenditore richiedente. Si finiva per temporeggiare, aggrappandosi ad una speranza, talvolta vana, che i cambiamenti di mercato, di settore, e dell’ambiente economico circostante riassorbissero i sentori di difficoltà, scongiurando le minacce. Casistiche queste ultime in cui l’epilogo più probabile resta comunque la definitiva apertura di una procedura concorsuale, la cui attivazione non tempestiva peraltro può concorrere ad aggravare il dissesto25. Una ulteriore considerazione riguarda l’efficacia della misura del concordato fallimentare, il quale statisticamente non è riuscito a risolvere le situazioni di crisi tendenti all’insolvenza, determinando la consequenziale apertura del fallimento. Lo confermano i molteplici casi pratici reperibili tramite un semplice interrogativo alle varie banche dati. Volendo però comprendere quale sia la motivazione primaria dell’insuccesso di un tale istituto, si deve purtroppo concludere che molto spesso
24 Tratto da “Nuove regole generali per l’impresa nel nuovo codice della crisi e dell’insolvenza” di V. Di Cataldo
e S. Rossi, pubblicato in “Rivista di Diritto Societario” Editore Giappichelli, 2018, Fascicolo n.4
25 Simili considerazioni vengono compiute in “Impresa al centro e adeguato assetto di tutte le società” di E.
42 simili procedure si mostrano insufficienti e inidonee ad una corretta gestione della crisi in quanto la loro attuazione non avviene in tempi adeguatamente rapidi26. La tardiva attivazione tuttavia non può e non deve essere valutata soltanto come l’esito di fattori strettamente patologici, quali comportamenti omissivi e negligenti, magari affiancati da una sottostima delle condizioni di dissesto, poiché in buona parte dei casi si manifestano delle difficoltà oggettive circa la capacità di anticipare nel tempo ed individuare prontamente, riconoscendoli, i primi segnali di crisi. Ciò ha senso specialmente nella fase di valutazione discrezionale, ovvero quando ancora la scelta sulle iniziative da adottare è rimessa al pieno arbitraggio dell’imprenditore debitore. Risulta particolarmente probabile il manifestarsi di ostacoli cognitivi, che rendono complesso intercettare in tempi utili una recessione che in seguito va ad assumere un carattere di irreversibilità. Peraltro è l’imprenditore medesimo che, in prima persona, può fare le spese di un eccessivo ottimismo, andando a sopravvalutare le capacità di ripianare la situazione da parte dei gestori dell’impresa e rischiando di macchiare tutta la successiva attività economica di imperizia e leggerezza, la stessa leggerezza che può riflettersi in un ricorso tutt’altro che celere agli istituti che l’ordinamento offre per gestire la crisi. Alla luce di quanto detto, è fuori discussione quindi la grande attualità del tema proposto dal Nuovo Codice in riferimento al concetto di misure di allerta, viste come il mezzo attraverso il quale garantire un’applicazione più soddisfacente agli strumenti e procedure di soluzione della crisi, anche se questo non contribuisce ancora a sciogliere il delicato nodo riguardante la valutazione dell’efficacia e migliorabilità di questi ultimi.
3) Combattere l’elevata incidenza dei costi prededucibili nelle procedure, specie in
ambito di concordato preventivo. Su questo tema urge chiarire un aspetto preoccupante. Purtroppo infatti, secondo l’opinione generale diffusa per la maggiore, si ritiene che i principali soggetti responsabili di generare la più parte dei costi prededucibili in seno alla procedura siano i professionisti. A parere di numerosi esperti tuttavia, si ritiene che l’orientamento sopra esposto sconti una visione troppo semplicistica, specie se si considera che un simile obiettivo è stato inserito all’interno delle linee guida della Riforma. La stessa valutazione dell’importo eccessivo dei suddetti compensi appare quantomeno criticabile, se non altro in quanto l’operato del professionista in relazione alla gestione della crisi si carica di complessità sia tecnica che psicologica, aspetto quest’ultimo di carattere non secondario. Perciò sul punto, che mantiene una forte attualità, possono essere sollevate numerose discussioni. Tuttavia non si può negare come la scelta di dedicare uno spazio nel Nuovo Codice a tale tematica trovi le sue origini nei molteplici fenomeni e forme di “abusivismo” che, in tempi passati, hanno avuto luogo circa la determinazione di compensi troppo elevati per i soggetti professionali incaricati di gestire il fenomeno di crisi d’impresa27.
26 Sul ruolo centrale del “timing problem” nel dissesto imprenditoriale si esprime E. Brodi, “Emersione e
gestione tempestiva della crisi: innovazioni e potenziali criticità nella legge n. 155 del 2017”, articolo pubblicato su www.giustiziacivile.com , 30 Ottobre 2018
27 Richiamo al dibattito dottrinale sorto sul punto ad opera di M. Buongiorno in occasione del Master Breve
43
4) Altro elemento cardine dell’intervento di modifica del D. Legisl. n. 14 del 12
Gennaio 2019, che si ricollega ad una tendenza innovativa della disciplina della crisi già in atto da decenni nel nostro ordinamento, è quello di fornire una seconda possibilità al soggetto debitore. Come già avvenuto nei precedenti provvedimenti di riforma, si continua a prevedere una serie di requisiti la cui soddisfazione è strumentale all’accesso all’istituto dell’esdebitazione. A questo si aggiunge una scelta, per così dire morale, di sostituire il termine “fallimento” con quello di “liquidazione giudiziale”, al fine di allontanare l’alone di onta sociale e disonore che in passato pendeva sulla testa dell’imprenditore “fallito”28. La novità assoluta però è ulteriore e rappresenta un istituto mai previsto prima nella disciplina concorsuale : si tratta della concessione dell’esdebitazione in favore del c.d. “soggetto incapiente”, disposizione che si distingue sia dall’omonimo strumento concesso in chiusura della procedura di fallimento all’imprenditore meritevole, sia dalla ben nota “fresh start” resa possibile dalla Legge n. 3 del 2012 nell’ambito di un “piano del consumatore”. La differenza evidente sta nella capacità di procedere ad una continuazione ovvero