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Il ruolo del C.d.a. e del Collegio Sindacale alla luce del rinnovato art. 2086 c.2 cc

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia & Management

Corso di Laurea Magistrale in Consulenza Professionale alle Aziende

Tesi di Laurea

Il ruolo del C.d.a. e del Collegio Sindacale alla luce del rinnovato art. 2086 c.2 cc

Candidato: Relatore:

Moretti Giacomo Professoressa Amal Abu Awwad

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2 Ai miei genitori, che mi hanno sempre sostenuto.

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3 INDICE DELL’ELABORATO

PREMESSA – Breve sintesi che consenta di apprezzare gli intenti e le finalità della trattazione

INTRODUZIONE

Paragrafo 0.1 – Il Decreto Legislativo n.6 del 17 Gennaio 2003 : Riforma del diritto societario all’interno del Codice Civile

Paragrafo 0.2 – Primi segnali della necessità di Riforma della Legge Fallimentare : l’intervento della Commissione Trevisanato

Paragrafo 0.3 – Ulteriori interventi di modifica della Legge Fallimentare : D.L. n.83 del 2012 convertito nella L. n. 134 del 2012

Paragrafo 0.4 – Il quinquennio 2015-2020 : dalla proposta della Commissione Rordof al Nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza

CAPITOLO 1 – Il ruolo dell’Organo Gestorio alla luce della rinnovata disciplina della crisi d’impresa

Paragrafo 1.1 – Funzione e ruolo degli amministratori nel quadro giuridico ante Riforma Paragrafo 1.2 – La cura degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili : elementi di novità e analogie con le precedenti disposizioni nell’operato dell’Organo Gestorio

Paragrafo 1.3 – Profili di responsabilità degli amministratori e strumenti di limitazione della stessa

CAPITOLO 2 – Il ruolo dell’Organo di Controllo e la sua centralità nel Nuovo Codice della Crisi

Paragrafo 2.1 – Funzione e ruolo dell’Organo di Controllo nel quadro giuridico ante Riforma (distinguendo tra Collegio Sindacale e Revisore Legale)

Paragrafo 2.2 – Modifiche e novità nei profili di intervento dell’Organo di Controllo alla luce del Nuovo Codice della Crisi d’Impresa

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CAPITOLO 3 – Elementi di criticità della Riforma e confronto con le previsioni normative attualmente in vigore presso gli ordinamenti giuridici esteri, con particolare riferimento a quello francese e britannico

Paragrafo 3.1 – Riferimenti ai principali dibattiti dottrinali sorti in ordine alla dimensione di emersione e gestione anticipata della Crisi

Paragrafo 3.2 – Confronto con le disposizioni in vigore negli ordinamenti giuridici esteri, con particolare riferimento a quello francese e britannico

Paragrafo 3.3 – Alcuni autorevoli spunti di riflessione per il futuro suggeriti dalla dottrina

CONCLUSIONI E RINGRAZIAMENTI (a cura del Candidato)

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5 PREMESSA

Il presente elaborato è stato redatto ponendosi l’ambizioso scopo di compiere un significativo percorso volto a ripercorrere i tratti e le problematiche principali di una specifica volontà normativa che si è fatta strada nel corso degli anni nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, quale quella di far emergere e, di conseguenza, gestire in via anticipata il fenomeno di crisi nella vita dell’impresa. Intento, quest’ultimo, che all’epoca attuale costituisce uno degli elementi dotati di maggiore centralità nelle linee guida e nell’operato del legislatore che è giunto all’elaborazione del c.d. “Nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza”, codificato nel D. Legisl. n. 14 del 12 Gennaio 2019. Una simile previsione, che non manca di sollevare numerosi spunti di dibattito, non costituisce tuttavia il frutto di una svolta radicale e improvvisa nel panorama normativo nazionale, in quanto è più opportuno considerarla l’esito di un progressivo processo di evoluzione del quadro giuridico vigente che nel corso degli anni non ha conosciuto un andamento del tutto lineare e che ancora oggi è in atto, offrendo significative opportunità di sviluppo e approfondimento che avremo modo di analizzare. Tale sforzo di rinnovamento normativo si colloca nell’ottica di giungere ad elaborare degli strumenti reattivi e delle soluzioni che possano rivestire il ruolo di veri e propri “early warnings”, vale a dire dei precoci campanelli d’allarme che siano idonei a segnalare il manifestarsi dei primi segnali di una crisi anche solo potenziale, all’orizzonte, e come tale sottoponibile ad efficaci misure di prevenzione. Chiariamo da subito che il “focus” della nostra trattazione si concentrerà principalmente sulla sezione del suddetto Decreto relativa alle modifiche apportate all’impianto del Codice Civile, collocata agli artt. 375 – 384 e che fornisce un importante contributo per la concreta attuazione della volontà “anticipativa” del legislatore contemporaneo. Sarà pertanto nostro compito introdurre l’argomento mediante un opportuno riferimento alla scansione storico-temporale delle Riforme che si sono susseguite quantomeno negli ultimi decenni, avendo cura di esaminare sia i profili di disciplina dedicati alle fasi maggiormente di carattere patologico della vita dell’impresa, afferenti senza dubbio al panorama del diritto, per così dire, “fallimentare” (anche se trattasi di una definizione che attualmente può risultare per certi versi inesatta e fuorviante), che quelli relativi ad una gestione, viceversa, fisiologica e che mantiene una prospettiva di continuità aziendale, traendo una propria regolamentazione dunque nell’ambito delle previsioni di diritto societario inserite all’interno della normativa codicistica e delle specifiche leggi e decreti collegati. In questa sede, avremo dunque la possibilità di cogliere e familiarizzare con le analogie e differenze presenti nella “ratio” del legislatore italiano, il quale è stato protagonista di una evoluzione di pensiero tecnico-giuridico con riguardo al concetto stesso di crisi, in ordine alla cui emersione precoce sarà possibile riscontrare un interessamento normativo tutt’altro che recente. Significativo sotto tale profilo può risultare il confronto tra il Codice della Crisi nel suo testo attuale, approvato dal Consiglio dei Ministri in data 12 Gennaio 2019 e il disegno del medesimo che aveva tracciato la c.d. “commissione Rordof”, il gruppo di lavoro originario a cui era stato inizialmente affidato l’incarico nomo-filattico e operante già a partire dal lontano 2015. Inoltre, sarà utile mettere a confronto le previsioni dei più recenti interventi normativi con

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contribuiti meno “giovani”, come il progetto di Riforma della c.d. “commissione Trevisanato” del 2005, testo altamente visionario per l’epoca e ricco di spunti rilevanti. Proseguendo nell’elaborato, il nostro studio si sposterà sull’esame di dettaglio dei cambiamenti in atto nei confronti del ruolo e della funzione giuridicamente attribuiti ai principali organi sociali, nei confronti dei quali l’avvento del Nuovo Codice suggerisce delle modifiche anche profonde dei doveri e delle connesse responsabilità derivanti da condotte negligenti, imprudenti e pregiudizievoli. Per cominciare passeremo in rassegna l’evoluzione della figura dell’organo gestorio, tenendo presente sia la distinzione tra i compiti da questo svolti in qualità di organo collegiale, c.d. “plenum”, che quelli attribuiti in veste monocratica al singolo amministratore. Avremo cura inoltre di richiamare l’attenzione sulle principali differenze in materia che la legge prevede in ordine agli specifici tipi societari di volta in volta considerati. Dopo aver fornito un quadro generale della posizione che l’organo di gestione occupava, e in buona parte ancora oggi occupa, nell’ordinamento giuridico ante Riforma, verrà proposto un confronto con le disposizioni introdotte dal Codice della Crisi, soffermandoci soprattutto sull’importanza e la centralità che riveste la dotazione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili ai fini della rilevazione tempestiva degli indizi di crisi e del possibile pregiudizio arrecato al mantenimento della continuità aziendale. Tematica quest’ultima, che costituisce uno dei cardini su cui risultano imperniati i doveri dei gestori della società, nonché oggetto di attività di vigilanza e che mostra i propri punti di forza anche sotto il profilo di gestione fisiologica dell’impresa, in condizioni di normale funzionamento, ben prima del sopraggiungere della fase di dissesto o di conclamata insolvenza. Nel corso di tale analisi approfondiremo quello che attualmente sembra essere l’orientamento preferito dal legislatore contemporaneo, che si muove verso una generale tendenza al rafforzamento e all’estensione dei presidi posti a tutela della continuità aziendale. Pertanto sarà opportuno fare riferimento anche alle molteplici correnti di pensiero che si sono formate in dottrina in relazione all’effettiva scansione e all’applicazione concreta degli obblighi che si sostanziano in capo ai membri dell’organo gestorio circa il rispetto dei principi della c.d. “corretta amministrazione”, il cui venir meno o la cui insufficiente o negligente realizzazione può integrare pesanti profili di responsabilità civile e penale per gli amministratori stessi. Tuttavia, per motivi di completezza di esposizione, è richiesto di valutare con attenzione anche alcune fattispecie meritevoli di far scattare un effetto esimente, vale a dire una sollevazione dalla suscettibilità ad essere bersaglio di azioni di responsabilità da parte dei gestori dell’impresa, primariamente a causa di una condotta diligente, sana e prudente, in sintesi conforme ai dettami di legge sul tema. A seguire ci occuperemo di trattare le modifiche intervenute alla luce della recente Riforma in capo all’organo di controllo, la cui presenza all’interno della struttura dell’impresa è oggetto di un intervento in senso ampliativo. Partendo dall’individuazione delle funzioni e dei doveri previsti per lo stesso dalla disciplina codicistica di diritto societario e dalle leggi collegate, e distinguendo le posizioni occupate rispettivamente da collegio sindacale e revisore legale dei conti, continueremo trattando dell’evoluzione a cui il ruolo dei controllori è andato incontro alla luce del Codice della Crisi e dell’Insolvenza. Avremo modo di approfondire in questa sede la rinnovata centralità dei sindaci, la quale si espleta non solo in contesti di aperto dissesto ma anche nelle fasi precedenti di gestione aziendale, quando ancora il presupposto della continuità non risulta venire meno. Evidenzieremo come gli stessi vadano ad assumere una

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posizione pressoché da protagonisti non solo per la tradizionale vigilanza sull’operato amministrativo, che viene caricandosi di nuove e maggiori verifiche, ma soprattutto in ordine alla segnalazione dei primi sintomi della crisi nonché per l’adozione di strumenti reattivi che si muovono verso una tendenza preventiva e predittiva. La tematica qui discussa aprirà anche alla riflessione sui diversi orientamenti più o meno condivisi dagli esperti in materia, riguardanti sia la declinazione delle condotte, quantomeno caldeggiate, in ordine alla realizzazione di un operato diligente da parte dei controllori, sia in riferimento ai diversi parametri utilizzabili come autentici indizi di crisi, al verificarsi dei quali scatta la necessità di segnalazione all’organo di gestione. In un simile contesto osserveremo come la prassi e le associazioni di categoria, stante la richiesta avanzata dal legislatore delegante, si stiano già muovendo per fornire delle risposte in senso tecnico-professionale. L’analisi del ruolo attribuito in seno alla Riforma all’organo di controllo si completa poi con la trattazione dei profili di responsabilità attivabili nei confronti dei suoi membri e delle condotte che, qualora fossero poste in essere, potrebbero qualificare fattispecie di esenzione dalla responsabilità medesima. Proseguendo, ci occuperemo di fare richiamo ai principali elementi oggetto di dibattito che, in epoca contemporanea, il dettato del D. Legisl. 14 del 12 Gennaio 2019 lascia ancora aperti a livello dottrinale, cogliendo l’occasione per evidenziare anche i rilievi avanzati dagli esperti sui possibili miglioramenti con buona probabilità apportabili alla disciplina attuale. Discuteremo della possibilità o meno di attribuire, nel nostro ordinamento, una cittadinanza autonoma al diritto riferito all’ anticipazione della crisi, destinato ad operare con pienezza in quella precisa fase della gestione aziendale largamente nota con l’appellativo di “twilight zone”. Nell’ambito di queste valutazioni, un rilevante contributo ci verrà offerto anche dal confronto con le previsioni normative in vigore presso altri Paesi esteri, con una particolare attenzione rivolta verso gli ordinamenti giuridici francese e britannico. Le disposizioni di legge in vigore oltre confine ci consentiranno di valutare l’effettiva completezza del sistema sia diagnostico che reattivo a livello nazionale, mettendo in relazione le diversità esistenti sia nelle procedure di allerta che nei vari soggetti coinvolti per l’assunzione delle connesse iniziative. Simili parallelismi ci forniranno dei significativi punti di partenza a cui la dottrina si ricongiunge per teorizzare il probabile sviluppo futuro della regolamentazione giuridica sull’argomento. Infine, la parte delle conclusioni sarà riservata alle considerazioni dello studente in merito all’approccio e alle modalità seguite per la ricerca dei materiali didattici e delle fonti bibliografiche, oltre ai dovuti ringraziamenti. Prima di cominciare però, teniamo particolarmente a sottolineare il carattere di significativa novità dell’argomento trattato, quanto meno nell’ambito del quadro giuridico nazionale italiano, confermato peraltro dal complesso e frammentario meccanismo di scansione temporale dell’entrata in vigore delle disposizioni contenute nel Nuovo Codice della Crisi, riscontrabile già nella stesura originaria dell’art. 389 del suddetto Decreto. Non a caso, tranne per alcune specifiche materie che avremo cura di individuare, la restante parte delle previsioni normative sta andando incontro, nell’epoca odierna, ad una serie di reiterate proroghe dei termini suddetti. Il tutto, vedremo, viene giustificato dalla precisa volontà del legislatore di avere a disposizione un arco di tempo necessario e idoneo per tornare sui temi oggetto di Riforma, particolarmente dibattuti in sede di discussione degli emendamenti di fronte alle Camere, e poter introdurre delle nuove modifiche. All’interno di un simile contesto appare pertanto innegabile definire la disciplina vigente come un fenomeno in

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“continuo divenire”. Per questo motivo, seppur rifacendosi agli spunti di maggior rilievo evidenziati da parte di autorevole dottrina, è possibile che il contenuto della presente trattazione, aggiornato fino al Marzo 2020, possa andare incontro nel prossimo futuro ad un mutamento sia delle disposizioni di legge che degli orientamenti maggiormente condivisi, i quali potranno forgiarsi in particolar modo sulla base delle pronunce giurisprudenziali che andranno accumulandosi.

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9 INTRODUZIONE

Come già illustrato nella premessa, lo scopo del presente elaborato è quello di prendere in esame, tra le finalità che hanno animato l’intervento del legislatore italiano nell’ottica della stesura del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, la volontà di fornire degli strumenti di individuazione precoce e anticipata dei primi sentori di dissesto e, successivamente, di gestione efficace ed efficiente dello stesso. Un simile orientamento tuttavia, non costituisce un fattore di assoluta novità nel panorama giuridico italiano, bensì va considerato come il frutto di un interessamento normativo alla tematica in esame che ha conosciuto un percorso evolutivo progressivo, la cui origine è tutt’altro che recente. Per comprendere dunque nel migliore dei modi suddetto percorso, occorre tornare indietro nel tempo e riprendere dei provvedimenti normativi che hanno rappresentato un’autentica colonna portante dello sviluppo del quadro giuridico in materia.

Paragrafo 0.1 - Il Decreto Legislativo n.6 del 17 Gennaio 2003 : Riforma del Diritto Societario all’interno del Codice Civile

Un significativo punto di partenza potrebbe essere costituito dalla c.d. “Riforma di diritto societario”, appellativo con cui sono noti i due Decreti Legislativi n. 5 e 6 del 17 Gennaio 2003. Tali testi, che costituiscono un autentico “spartiacque” del diritto commerciale italiano1, furono elaborati sull’esempio già tracciato anni prima dal Decreto Legislativo n. 58 del 24 Febbraio 1998, il quale intervenne con la funzione di riunificare in un “Testo Unico” la totalità delle disposizioni di legge vigenti per le società quotate, vale a dire tutte le entità i cui titoli rappresentativi del capitale sociale vengono ammessi alla quotazione in un mercato regolamentato, accedendo così ad un rilevante canale di approvvigionamento di fonti di finanziamento a titolo di mezzi propri. La funzione del già citato Decreto n. 58, meglio noto come “Testo Unico della Finanza” (t.u.f.), era dunque quella di creare una sorta di “statuto” delle quotate, avendo anche particolare cura di tutelare gli azionisti di minoranza. Il tutto ponendosi in una posizione di innovazione dell’antica Legge del 1913 riguardante la borsa valori, modificata poi negli anni Settanta del Novecento per le specifiche necessità del mercato mobiliare. Ma la sua entrata in vigore non dava una completa attuazione all’esigenza avvertita dal Governo dell’epoca di introdurre nell’ordinamento una vera e propria Riforma organica della disciplina societaria. Quest’ultima, per realizzarsi nella sua interezza, necessitava infatti di un intervento normativo volto a regolamentare anche tutte quelle società le quali, pur non ricorrendo al mercato regolamentato, disponevano comunque di un capitale diffuso presso il pubblico dei risparmiatori. Inoltre si avvertiva perfino la necessità di introdurre dei regimi organizzativi differenziati a seconda del tipo di

1 Per apprezzare la portata innovativa dei suddetti Decreti si veda “Manuale di Diritto Commerciale” di G.F.

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società considerata. Venne allora istituita la c.d. “Commissione Mirone” che arrivò ad una bozza di Decreto, la quale fu ripresa dalle commissioni parlamentari all’indomani delle elezioni politiche e tradotta nella Legge Delega n. 366 del 2001. La successiva elaborazione dei provvedimenti normativi di attuazione dei principi della Delega fu affidata a due momenti distinti : alla data dell’ 11 Aprile 2002 venne emanato il D. Legisl. n. 61, di regolamentazione degli illeciti penali e amministrativi delle società, mentre il 17 Gennaio 2003 fu la volta dei D. Legisl. n. 5 e 6, in vigore a partire dal 1 Gennaio 2004 e dai quali prese forma, dopo circa sessant’anni, la modifica profonda della disciplina delle società di capitali e delle cooperative. Tali provvedimenti peraltro, in particolare il Decreto n. 6 che innova profondamente buona parte del Libro V del Codice Civile, furono a loro volta l’esito di un lungo processo di riforma che aveva conosciuto anche precedenti tentativi non riusciti o soltanto parziali, come la nota Legge n. 216 del 1974, che aveva istituito, tra le altre, la Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) e le azioni di risparmio. I principi fondamentali che hanno animato un simile intervento sono :

a) La necessità di conseguire una semplificazione nella disciplina delle società di capitali;

b) L’introduzione di modelli organizzativi più flessibili per delineare gli assetti societari;

c) Maggior spazio e valorizzazione nei confronti dell’autonomia statutaria; d) La previsione di una regolamentazione organica dei gruppi di società;

Da quel momento in poi la società per azioni (s.p.a.), tipologia societaria a base capitalistica per eccellenza, ha conosciuto la possibilità di : costituirsi anche in forma unipersonale, dotarsi di una più ampia serie di strumenti finanziari, concedere delle forme di tutela ai soci (anche di minoranza) che si spostano dal profilo reale a quello obbligatorio, garantendo infatti un accesso non solo alle semplici impugnazioni delle delibere, ma perfino al risarcimento del danno. Inoltre si è registrato un tendenziale affievolimento dei poteri dell’assemblea in relazione ad una maggior centralità attribuita all’organo amministrativo e la capacità di costituire delle “segregazioni” di patrimonio societario, destinandole a uno specifico affare. Ma le novità aventi il carattere forse ancora più dirompente riguardano la disciplina della società a responsabilità limitata (s.r.l.), la quale, nell’ambito del più ampio raggio d’azione attribuito all’autonomia statutaria, viene a collocarsi in una posizione a metà strada tra le caratteristiche proprie del modello di stampo capitalistico e quello di tipo personalistico, allontanandosi per certi versi dalla connotazione di “piccola società per azioni” fino a quel momento attribuitole, o meglio adottando un modello di spiccata flessibilità che consente ai partecipanti al contratto sociale di dotare la s.r.l. medesima di connotati di volta in volta o più vicini all’s.p.a., ovvero prossimi alla struttura di una società di persone2. Peraltro

2 Concetto ben approfondito in “La disciplina delle S.r.l.” di Lucia Calvosa, dispense del Corso di Diritto

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la capacità della stessa di beneficiare di un regime più elastico in materia di conferimenti, l’ampliamento delle fattispecie di recesso, in un’ottica di non svilire la libertà d’investimento del singolo socio, uniti alla derogabilità del metodo collegiale, alle previsioni di un aumento di capitale sociale che vada ad escludere il diritto d’opzione e all’emissione di strumenti finanziari diversi dalle obbligazioni, seppur riservati ad un pubblico di investitori istituzionali, sono tutte innovazioni che consentono di abbattere o quantomeno ridurre le barriere di accesso ai mercati dei capitali di rischio. Un simile intervento di Riforma del legislatore nella disciplina codicistica, ha aperto definitivamente la strada alla s.r.l. per divenire il modello societario prevalente all’interno del contesto economico-produttivo del nostro Paese, venendo adottato in qualità di strumento principe per dare avvio ad una iniziativa imprenditoriale più o meno collettiva e di dimensioni, per così dire, contenute, se non altro in riferimento alla base di partecipazione alla società il cui capitale viene frazionato in un numero limitato di soci (fino all’unipersonalità). Viceversa la s.p.a. resta un’entità che tipicamente fa ricorso al pubblico risparmio e che viene eletta a forma giuridica propria di tutte quelle società che intendono essere ammesse alla quotazione sui mercati finanziari. Rilevanti sono anche le modifiche alla regolamentazione del fenomeno del gruppo di imprese, per il quale viene introdotto il principio della diretta responsabilità della capogruppo nei confronti dei soci delle controllate, nelle ipotesi di violazione del criterio della corretta amministrazione, con pregiudizio per la redditività e per il valore della partecipazione sociale. Altra disciplina oggetto di interventi di novazione è quella delle società cooperative, che vengono definite “società a capitale variabile con scopo mutualistico”, dando rilievo ai particolari settori di attività cooperativa e regolamentando, a tutela dell’aspirante socio, il principio della c.d. “porta aperta”. Rilevante è poi la distinzione tra cooperative a mutualità prevalente e cooperative diverse.

Scendendo maggiormente nel dettaglio, per quanto concerne la società per azioni, viene concesso di far leva su una pluralità di strumenti finanziari diversi per raccogliere nuova liquidità. Il tutto si colloca in una condizione di piena attuazione dei principi della Riforma che, accanto alla previsione di numerose tipologie di modelli organizzativi distinti, che non vadano quindi ad imbrigliare eccessivamente le scelte degli assetti societari da adottare, si pone anche l’obiettivo di superare la distinzione troppo rigida tra società aperte e società chiuse circa l’accesso ai mercati dei capitali3. Innanzitutto

vengono moltiplicate le categorie di azioni, che prevedono, accanto alle ordinarie, quelle sprovviste totalmente di diritto di voto ovvero limitato a particolari argomenti, quelle dotate di voto subordinato al verificarsi di condizioni non meramente potestative e quelle con diritti patrimoniali correlati all’andamento delle attività economiche in particolari settori. I dipendenti, in aggiunta, possono sottoscrivere strumenti finanziari diversi dalle azioni e come tali non dotati di voto, oppure strumenti concessi in contropartita rispetto all’apporto di opere e servizi. Accanto a tali previsioni, che fanno cadere la limitata scelta tra azioni ed obbligazioni, si affianca l’introduzione dei mezzi di telecomunicazione per

3 Tali considerazioni, rispondenti ad una sorta di “dichiarazione d’intenti”, sono rinvenibili dalla lettura della

relazione accompagnatoria del D.Legisl. n. 6 del 2003, oltre che dai principi della Legge Delega n.366 del 2001.

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le adunanze assembleari e l’incremento generoso delle fattispecie legittimanti il recesso del socio. Inoltre fanno il loro ingresso nel nostro ordinamento i modelli di amministrazione societaria diversi dal tradizionale : quello monistico sullo sfondo dell’esperienza anglosassone e quello dualistico di provenienza tedesca. Tornando alla s.r.l., nell’ambito del già citato accrescimento dell’autonomia statutaria, viene aumentata anche la cerchia delle entità conferibili, aprendo a qualsiasi “elemento dell’attivo” purchè suscettibile di valutazione economica. Sono ammessi anche conferimenti “atipici”, costituiti cioè da prestazione d’opera e servizi, eventualmente assistiti da polizza assicurativa o fidejussione bancaria che ne garantisca l’esecuzione. Proseguendo, l’enfasi rivolta al profilo contrattualistico da cui scaturisce il rapporto sociale, consente di derogare alla ben nota proporzionalità tra conferimento e diritti sociali attribuiti al socio, prevedendo per quest’ultimo l’assegnazione di “diritti particolari” in tema di amministrazione o di distribuzione degli utili. L’accentuarsi dei tratti di stampo personalistico si riscontrano anche nella possibile sostituzione del sistema gestorio di stampo collegiale con un’amministrazione disgiuntiva o congiuntiva, tipico delle società di persone. Non è più obbligatoria la “collegialità” dell’azione assembleare, intesa come contestuale manifestazione del proprio parere in ordine ad una specifica deliberazione, ben potendola sostituire con le forme della consultazione scritta ovvero del consenso manifestato per iscritto. Chiariamo poi come l’esercizio del recesso, che in un modello quale quello dell’s.r.l. intende assorgere a strumento cardine per garantire la libertà d’investimento e di iniziativa economica del singolo socio, vada incontro a fattispecie atipiche, in quanto non di matrice legale (cause inderogabili di recesso, che permangono), ma anche “convenzionale”, vale a dire disposto dalla volontà negoziale delle parti espressa in statuto, che rende dunque l’istituto suscettibile di una vasta gamma di ipotesi. In ognuna di esse, comunemente ai casi di esclusione del socio per giusta causa, la legge prevede un obbligo in capo alla società di eseguire il rimborso del socio receduto o escluso nei successivi sei mesi, da realizzarsi con un procedimento che passa per più fasi : o le azioni dell’uscente vengono riacquistate dai soci superstiti, oppure vengono offerte in sottoscrizione ad un terzo individuato con gradimento della compagine sociale. Se tali ipotesi non sono realizzabili causa mancanza di acquirenti, si deve provvedere a utilizzare in prima battuta le riserve disponibili, altrimenti per la parte residua si opera una riduzione di capitale sociale. Estrema ipotesi, se le risorse di patrimonio netto non risultano sufficienti e il socio non rimborsabile in altre modalità, si procede con la messa in liquidazione della società. Per le società di capitali unipersonali si chiarisce che l’unico socio può essere non solo una persona fisica ma anche una persona giuridica. Degno di nota è anche l’intervento in ottica di semplificazione della disciplina societaria, che conduce ad una limitazione dell’area della nullità della società, (dalle cui cause ad esempio viene eliminata la mancanza dell’atto costitutivo), e ad una traslazione dei rimedi attivabili che passano dalla tutela reale a quella obbligatoria. Analoghe considerazioni vengono promosse anche per l’annullabilità delle delibere, il cui raggio d’azione viene contenuto (in quanto essa non può essere fatta valere per mancanza di legittimazione a partecipare all’assemblea che non incide sui quorum costitutivi, per l’invalidità dei singoli voti, salvo prova di resistenza, e per incompletezza o inesattezza del verbale). Continuano a mantenersi i quorum che richiedono una

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maggioranza qualificata (si parla dell’uno per mille nei casi di società che fanno ricorso ai mercati dei capitali di rischio e del cinque per cento nelle altre società). Per tutti coloro che non sono legittimati ad eseguire l’impugnativa, la tutela del loro pregiudizio passa dall’efficacia di carattere reale a quella obbligatoria e come tale potrà essere avanzata richiesta per il risarcimento del danno derivante dalla delibera invalida. Circa il tema della nullità invece, il termine di decadenza dell’azione di chiunque contro interessato è di 3 anni, salvo due casi specificamente previsti di intervento “in sanatoria” : l’invalidità non può infatti essere fatta valere da chi, anche in via successiva, ha manifestato l’assenso circa lo svolgimento della riunione in cui è stata adottata la delibera, oltre che nel caso di mancanza di verbale, per la cui fattispecie il vizio può essere sanato con una verbalizzazione che avvenga ex-post, purché antecedente all’adunanza successiva. Per le delibere di aumento e riduzione del capitale sociale invece, l’azione per chiedere l’invalidità non è più proponibile dal momento della pubblicazione del verbale sul Registro delle Imprese, adempiendo così ad un regime di pubblicità sanante, ma si può sempre richiedere una forma di tutela obbligatoria, per il risarcimento del danno che viene prodotto. Novità rilevanti impattano anche sull’assemblea. Infatti l’avviso di convocazione non necessita più della pubblicazione su Gazzetta Ufficiale, la quale può essere derogata. Il deposito delle azioni avviene con tecnica “opt in”, motivo per cui lo statuto può prevedere un deposito preventivo. Il potere di rappresentanza, se conferito con procura generale ovvero procura da parte di società, associazioni, fondazioni o altri enti può essere attribuito in modo stabile e non per la singola adunanza. La messa a verbale, su richiesta dei soci, può limitarsi alle sole dichiarazioni riferite all’ordine del giorno.

Le indicazioni suddette vengono previste per la s.p.a. ma, abbracciando una prospettiva di semplificazione, sul fronte s.r.l. il tema si accentua ulteriormente. Non a caso la deroga al metodo collegiale oltre che alle decisioni dei soci può applicarsi anche all’operato degli amministratori. La procedura di stima dei conferimenti viene rimessa ad un esperto nominato dalla società e non più dal tribunale, mentre i quorum assembleari vengono ridotti e sono suscettibili di deroga, tranne casi particolari come le modifiche dell’atto costitutivo, il cambiamento dell’oggetto sociale o l’assegnazione di un termine idoneo per eliminare il vizio di invalidità di una delibera, che richiedono l’approvazione di almeno la metà del capitale sociale. In ambito di operazioni di gestione straordinaria, rilevante è lo sforzo semplificatore nelle fusioni in cui la società incorporata è posseduta interamente o detenuta almeno al 90 per cento, per le quali le decisioni possono essere assunte dall’organo gestorio anziché dai soci. Inoltre in ambito di trasformazione, viene incentivata sia la fattispecie che eccede i confini del perimetro societario, c.d. “trasformazione eterogenea”, coinvolgendo anche enti diversi, sia la possibilità di compiere un percorso evolutivo nell’ambito delle trasformazioni a carattere progressivo, nelle quali i soci della società di persone di partenza non richiedono l’unanimità ma la semplice maggioranza assoluta del capitale per approvare l’apposita delibera, concedendo diritto di recesso ai soci che non concorrono a formare la decisione o che si oppongono. Passando poi ad un altro tema di particolare interesse, quale quello dell’apertura ai mercati, per l’s.p.a. il favor del legislatore circa la fruizione agli operatori

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economici di nuovi strumenti per favorire il finanziamento delle imprese, si riscontra, oltre che dal proliferare delle categorie di azioni, anche dall’istituto dell’emissione di prestiti obbligazionari (artt. 2412 e seguenti cc), purché non eccedenti il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato. In entrambi i tipi di società di capitali si prevede anche la possibilità di delegare all’organo amministrativo l’aumento di capitale sociale con esclusione del diritto di opzione, eccezion fatta per il mantenimento del diritto di recesso in capo ai soci dissenzienti di s.r.l. Per queste ultime società, si introduce anche la disciplina dei finanziamenti soci (art. 2467 cc), che vengono postergati nella loro soddisfazione rispetto alla pretesa degli altri creditori se risultano erogati in condizioni di perdurante e manifesto squilibrio tra mezzi propri e mezzi di terzi e che devono peraltro restituirsi se eseguiti entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. Rilevanti, tra gli altri, anche i titoli di debito diversi dalle obbligazioni (art. 2487 cc) che, seppur con una circolazione che predilige i c.d. “investitori istituzionali” soggetti a vigilanza sulla base di leggi speciali, sono concessi all’s.r.l. per ottenere nuove risorse. Particolarmente innovativa risulta poi l’introduzione del concetto di “patrimoni separati”, vale a dire tutte quelle forme di segregazione delle dotazioni societarie che vengono destinate al perseguimento di uno specifico affare. In relazione a questi le società possono emettere dei particolari strumenti finanziari di partecipazione all’affare medesimo e i proventi dello stesso potrebbero, per contratto, essere destinati nello specifico al rimborso di quelle forme di finanziamento ad hoc. La legge ne disciplina le modalità costitutive, di pubblicità, i diritti dei creditori, la rappresentazione contabile e di bilancio e la tenuta delle connesse assemblee speciali4.

Trattando poi il tema centrale dei sistemi di amministrazione e controllo societario passiamo in rassegna brevemente :

- Il sistema tradizionale : esistente ante Riforma del Diritto Societario, composto dai tre principali organi sociali dati da assemblea dei soci, organo amministrativo e organo di controllo. Agli amministratori, per quanto concerne la disciplina della s.p.a., all’art. 2381 bis cc si attribuisce “la gestione esclusiva dell’impresa”, oltre a poteri del tutto nuovi come l’emissione di obbligazioni (artt. 2412 e seguenti cc) e la costituzione d patrimoni destinati ad uno specifico affare. Oggetto di particolare attenzione è anche il dettato dell’art. 2381 cc, sul quale avremo modo di tornare più approfonditamente, che prevede la suddivisione dei compiti tra consiglio d’amministrazione inteso come plenum e organi delegati, vale a dire uno o più amministratori ovvero un comitato esecutivo. Occorre puntualizzare però come alcuni poteri non siano suscettibili di delega, come ad esempio, oltre all’approvazione del progetto di bilancio e agli adempimenti per la riduzione del capitale sociale per perdite, anche l’emissione di obbligazioni convertibili e

4 L’elemento della moltiplicazione delle fonti di finanziamento per la s.r.l. non ha mancato, stante

l’entusiasmo, a sollevare opposti pareri di perplessità in dottrina, specie nelle fattispecie di dimensioni più ridotte. Si veda a tal proposito G.Rochira, “I titoli di debito nelle s.r.l. : finanza irrealizzabile per le micro-imprese”.

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l’approvazione del progetto di fusione e scissione. L’organo di controllo invece è oggetto di un primo concreto tentativo di regolamentazione in forma organica (artt. 2397 e seguenti cc), che attribuisce al collegio sindacale una precisa scansione di doveri e poteri (artt. 2403-2403 bis cc). Tra i primi, accanto alla generale vigilanza sulla legge, sullo statuto e sul rispetto dei principi della c.d. “corretta amministrazione”, occupa una posizione significativa anche la verifica dell’adeguatezza e del concreto funzionamento degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili della società. Questi ultimi, continuando nella trattazione, saranno una delle tematiche fulcro in ordine all’emersione precoce e alla gestione della crisi d’impresa. Tuttavia è opportuno fin da subito comprendere come certi strumenti normativi siano stati inseriti nell’impianto civilistico di diritto societario già decenni prima dell’attuale D. Legisl. n. 14 del 12 Gennaio 2019. Continuando, ai sindaci è richiesto di presidiare alle riunioni degli organi sociali, di sostituirsi all’operato degli amministratori, nei casi di un loro atteggiamento inerziale previsti dalla legge e di esprimere pareri quando richiesto. Il collegio sindacale deve in aggiunta essere sentito in seno alla nomina del revisore legale dei conti esterno, verso il quale ha il potere/dovere di scambiare informazioni in un rapporto di collaborazione e fiducia reciproca. Se si ravvisano gravi fatti censurabili per i quali sussiste l’urgente necessità di provvedere, il collegio convoca l’assemblea e può proporre denuncia al tribunale ex art. 2409 cc. In questo sistema tutto il controllo contabile viene attribuito al revisore (persona fisica o società di revisione), che esprime nella sua relazione un giudizio in ordine al bilancio d’esercizio o sul bilancio consolidato, oltre a fornire pareri su altre operazioni quali, ad esempio, una fusione a seguito di acquisizione con indebitamento. Le società che non fanno ricorso al capitale di rischio e non sono tenute alla redazione del consolidato, possono affidare il controllo contabile al collegio sindacale, che in tal caso deve essere composto da revisori iscritti nell’apposito registro (art. 2409 bis comma 2 cc);

- Il sistema dualistico, di provenienza tedesca, colloca invece la figura del c.d. “consiglio di sorveglianza” nella posizione di organo di controllo, dotato del potere di nomina e revoca dei membri del consiglio di gestione, a cui sono attribuite le funzioni proprie degli amministratori. I controllori, analogamente ai sindaci nel sistema di amministrazione tradizionale, sono legittimati a promuovere l’azione di responsabilità nei confronti dei gestori, vigilano sul rispetto della legge, dello statuto e dei principi di corretta amministrazione. Possono denunciare a tribunale gravi irregolarità compiute dall’organo gestorio. Unica peculiarità che differenzia il modello dualistico è l’assegnazione del compito di approvare il bilancio d’esercizio ovvero del consolidato al consiglio di sorveglianza, togliendo dunque una tale prerogativa dalle competenze dell’assemblea dei soci. In relazione al controllo contabile invece, se lo statuto lo prevede, quest’ultimo può essere affidato ad un revisore esterno.

- Il sistema monistico, di stampo anglosassone, mantiene in capo all’assemblea le funzioni proprie del modello tradizionale, prevedendo inoltre un consiglio

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d’amministrazione anch’esso dotato dei medesimi poteri. La differenza qui è da ricercarsi nel c.d. “comitato per il controllo sulla gestione”, formato da membri individuati in seno allo stesso C.d.a. che ne cura la nomina. L’organo di controllo è dotato dei compiti del collegio sindacale e, qualora lo statuto lo consentisse, può essere depositario dell’attività di controllo contabile, il quale in alternativa deve essere affidato ad un revisore esterno5.

Tra le disposizioni introdotte da legislatore del 2003 ritroviamo il già richiamato “gruppo di società”. Quest’ultimo diventa destinatario di un intervento di modifica del Capo IX del Titolo V Libro V del Codice Civile, che si colloca nella volontà di concedere ai soci di minoranza e ai terzi i mezzi necessari per il superamento dello schermo posto dalla personalità giuridica, dall’autonomia patrimoniale ed altre barriere che impediscono la piena tutela dei loro diritti. Forte è il sostegno al tema della trasparenza, che impone di motivare qualsiasi decisione assunta nell’ottica di una generale valutazione dell’interesse di gruppo e che richiama l’obbligo in capo agli amministratori della società controllante di far risultare la stessa relazione di controllo, oltre che dagli atti e dalla corrispondenza societaria, anche da apposita dichiarazione che deve essere depositata presso il Registro delle Imprese di competenza territoriale. Tuttavia il fulcro dell’attività di riforma in materia si colloca sul concetto di “unità di direzione e coordinamento” , che costituisce il fondamentale punto di partenza per valutare se l’operato della capogruppo si sia svolto in conformità con principi di corretta gestione societaria, ovvero se abbia arrecato danni alle società “satellite” e ai correlati creditori sociali. Danno, quest’ultimo, che si ritiene comunque escluso nel caso in cui viene eliminato con uno specifico intervento correttivo oppure se riassorbito dal risultato complessivo della gestione. Si riscontra un netto favor del legislatore per la libertà d’investimento e d’iniziativa economica privata, che trova un riscontro nell’ampliamento delle fattispecie di recesso le quali, nel caso di specie del gruppo, possono esercitarsi sia all’inizio, alla cessazione o nell’ipotesi di cambiamento del soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento, oltre alle casistiche di cambiamento e modifica dell’oggetto sociale ovvero delle condizioni originali di rischio che accompagnano l’investimento. Il singolo socio può recedere anche nel caso di condanne pronunciate nei confronti del soggetto suddetto per i danni arrecati nei confronti del suo patrimonio6.

Occorre richiamare brevemente come il D. Legisl. n. 6 del 2003 esegua un intervento che prende in esame anche la regolamentazione delle società quotate. Per queste si individua nel Codice Civile la fonte normativa applicabile, salvo deroghe ammissibili qualora le leggi speciali prevedano diversamente. Ciò apre ad un delicato processo di ricostruzione della disciplina giuridica applicabile alle sopra richiamate società. Per prima cosa infatti esse sono soggette al Testo Unico dell’intermediazione Finanziaria, c.d. “t.u.f.” ovvero il D.Legisl. n. 58 del 24 Febbraio 1998, per le tematiche ivi contenute. Per la parte residua trova applicazione la norma codicistica sulle quotate, che deroga alle

5 Per approfondimenti si veda V. Cariello, N. Abriani,“Diritto dei sistemi alternativi di amministrazione e

controllo”, Giappichelli 2012

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disposizioni su tutte lo società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio e che a loro volta derogano alle norme di diritto comune. Queste ultime all’evidenza mantengono un’applicazione strettamente residuale. Pertanto se il legislatore del 2003 si concentra sulla stesura di previsioni applicabili alle entità che ricorrono al mercato dei capitali, occorre di volta in volta verificare se il t.u.f. non fornisca una diversa indicazione, altrimenti per le sole quotate opererà la deroga al Codice Civile7.

In riferimento alle società cooperative è interessante cogliere la volontà della modifica codicistica di intervenire alla radice del fenomeno, in quanto nonostante l’esistenza di numerose leggi speciali, è il Codice Civile stesso che resta la base in cui ricercare i criteri di identificazione delle medesime, sia a livello funzionale che organizzativo. L’intento della Legge Delega era, in questo caso, quello di creare una distinzione tra le realtà suscettibili di continuare a beneficiare del trattamento agevolato di cui all’art. 45 della Costituzione, definendole per la prima volta “cooperative a mutualità prevalente” e le altre realtà imprenditoriali che presentavano tratti molto più vicini alle società lucrative, riunite nella categoria delle “cooperative diverse”. Il tutto con l’obiettivo di slegare dalla verifica di requisiti puramente formali la concessione delle agevolazioni, contrastando ipotesi di estensione del suddetto modello anche alle imprese eminentemente a scopo di lucro e non dotate di merito reale8.

Ma perché occorre citare nel nostro elaborato una norma entrata in vigore più di quindici anni or sono e soprattutto qual è il suo punto di contatto con il Codice della Crisi e dell’Insolvenza? Primariamente, occorre sottolineare di nuovo l’indiscusso contributo che il legislatore del 2003 ha fornito per delineare un assetto del diritto societario che in buona parte, salvo alcune modifiche o deroghe previste da leggi speciali, si è mantenuto tale fino all’epoca attuale. Inoltre è il già citato D. Legisl. n. 6 che introduce nel nostro ordinamento le principali disposizioni codicistiche che costituiscono oggetto della modifica realizzata ad opera degli artt. 375-384 del D. Legisl. 14 del 12 Gennaio 2019. Scendendo nel dettaglio, sarà opportuno focalizzarsi su due previsioni normative in particolare :

- La prima costituita dall’art. 2086 cc, il quale è andato incontro ad un processo evolutivo in senso storico-giuridico, che ha condotto sia ad una modifica della rubrica dell’articolo medesimo che all’aggiunta di un nuovo secondo comma, contenente gli obblighi per l’impresa di dotarsi di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, non solo in relazione alla natura e dimensioni della stessa ma anche in funzione della rilevazione tempestiva di indizi di crisi e di pregiudizio della continuità aziendale;

- La seconda costituita dall’art. 2381 cc e dal successivo 2381 bis cc. Il primo dei due articoli fa riferimento al compito attribuito agli organi c.d. “delegati”, vale a dire individuati tramite delega di poteri tra i membri del C.d.a., di curare gli assetti

7 Come illustrato da M.Cera, “Le società con azioni quotate nei mercati”, Zanichelli 2020

8 Si consulti sul punto G. Petrelli, “Le cooperative nella riforma del diritto societario. Analisi di alcuni aspetti

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organizzativi, amministrativi e contabili poco sopra richiamati. Il secondo invece è rivolto all’assegnazione in capo agli amministratori della gestione esclusiva dell’impresa. Tali norme erano già presenti nel dettato civilistico del 2003, collocandosi all’interno della disciplina riferita alla società per azioni, ma con il Nuovo Codice della Crisi ritornano ad assumere grande attualità anche a causa dei numerosi dibattiti dottrinali che si sono susseguiti attorno alla volontà della Riforma del 2019 di estendere significativamente la loro applicazione.

Nel corso della trattazione avremo comunque l’opportunità di richiamare anche altre norme di diritto societario, come ad esempio l’art. 2477 cc preso come riferimento per gli obblighi di nomina dell’organo di controllo nell’s.r.l. (ed in generale in ambito di società di capitali), che è stato oggetto di un abbattimento dei limiti in funzione dell’estensione della platea di società per le quali vengono promossi maggiori presidi e strumenti di individuazione dei segnali di crisi.

Paragrafo 0.2 - Primi segnali della necessità di Riforma della Legge Fallimentare : l’intervento della Commissione Trevisanato

La Legge Fallimentare, emanata con Regio Decreto n. 267 del 16 Marzo 1942, rappresenta ancora oggi uno dei testi normativi cardine su cui si erige la regolamentazione dei fenomeni di crisi d’impresa, specialmente per tutti quei soggetti giuridici i quali, verificandone i requisiti e presupposti soggettivi e oggettivi, possono accedere agli istituti ivi contenuti. Tuttavia già da molteplici decenni si discute in merito all’esigenza di un’azione di riforma della stessa, la quale solitamente viene accompagnato dalla dicitura di “modifica organica”, in riferimento alla necessità avvertita da più parti di un intervento legislativo che sia generale e omogeneo. Dunque, come già accennato per il Codice Civile, anche il Regio Decreto nel corso del tempo ha riscontrato delle iniziative di ammodernamento, che si sono certamente manifestate, ma quasi mai hanno dimostrato di poter realizzare in concreto il principio guida dell’organicità.

Andando indietro nel tempo, uno dei primi interessamenti del legislatore in materia risale al 28 Novembre 2001, quando con Decreto del Ministero della Giustizia venne istituita una Commissione Presieduta dall’avvocato Sandro Trevisanato. Lo scopo del provvedimento era il seguente : “l'elaborazione di principi e criteri direttivi di uno schema di disegno di legge delega al Governo, relativo all'emanazione della nuova legge

fallimentare ed alla revisione delle norme concernenti gli istituti connessi”9. Ci sono

voluti un totale di diciotto mesi dopo la sua istituzione e ben cinque decreti successivi che hanno disposto integrazioni e proroghe per giungere all’epilogo del suo operato, consegnato direttamente nelle mani del Ministro della Giustizia, nel Luglio del 2003.

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Nonostante ciò il presidente della Commissione, lo stesso Trevisanato, nelle dichiarazioni all’epoca rilasciate, parlava di uno scenario di lavoro sostanzialmente diviso. Ciò aveva condotto non a caso all’elaborazione di un testo il cui contenuto non era del tutto appoggiato dall’unanimità dei membri. La presenza della possibilità di esprimersi con un voto a maggioranza aveva determinato una spaccatura tale che una volta giunti alla conclusione dei lavori venne avanzato al Ministro un testo, per così dire, “bifronte”10 : una versione condivisa dalla maggioranza e una versione alternativa

appoggiata invece dalla minoranza dei membri, tra cui spiccavano peraltro i rappresentanti di ABI, Banca d’Italia e Confindustria. Oggetto di maggiore disaccordo erano le disposizioni in ordine all’esercizio dell’azione revocatoria e i casi di necessità di ricorso all’organo giurisdizionale. All’indomani dei lavori della commissione, il Governo emanò con il D.L. n. 35 del 14 Marzo 2005 (c.d. “decreto competitività”) alcune norme relative a istituti centrali in ambito di procedure concorsuali, novellando così la revocatoria, il concordato preventivo e introducendo regole del tutto nuove, confermate dall’inserimento nel Regio Decreto dell’art. 182 bis rubricato “accordi di ristrutturazione dei debiti”. La successiva Legge di conversione n. 80 del 14 Maggio 2005 ha previsto un ulteriore ampliamento degli interventi richiesti, delegando il Governo per l’adozione, entro centottanta giorni, di “uno o più decreti legislativi recanti la riforma organica delle procedure concorsuali”. L’art. 1 comma 6 della stessa Delega, richiama quelli che vengono individuati come criteri direttivi :

1) Realizzare una semplificazione della disciplina mediante un’estensione dei soggetti esonerati dall’applicazione dell’istituto e l’accelerazione delle procedure applicabili in caso di controversie;

2) Ampliare le competenze del comitato dei creditori e coordinare i poteri degli altri organi della procedura;

3) Modificare i requisiti richiesti per la nomina a curatore, includendo studi professionali associati, società di professionisti e coloro che abbiano comprovate capacità di gestione imprenditoriale;

4) Rivedere la disciplina delle conseguenze penali derivanti dal fallimento, indicando anche come le limitazioni alla libertà di residenza e di corrispondenza del fallito debbano essere giustificate solo da esigenze di procedura;

5) Modificare gli effetti della revocazione, rivolgendoli solo nei confronti dell’effettivo destinatario della prestazione;

6) Ridurre la durata del termine di decadenza per l’azione revocatoria;

7) Intervenire sul tema dei rapporti giuridici pendenti, allargando i tempi entro i quali il curatore deve eseguire la sua scelta in ordine alla prosecuzione o scioglimento dei relativi contratti e regolamentare sia la fattispecie dei patrimoni destinati che quella della locazione finanziaria in ottica concorsuale;

10 Riflessioni espresse da E.Busato, Commercialista Triveneto, “Arrivano le nuove procedure di allerta e la

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8) In ambito di continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa, introdurre un obbligo di informativa periodica da parte del curatore al comitato dei creditori circa la gestione;

9) Innovare nettamente la materia dell’accertamento del passivo, semplificando le modalità di presentazione della domanda di insinuazione e attribuendo ai creditori, a maggioranza dei crediti insinuati, la possibilità di individuare nuovi membri per il loro comitato ovvero richiedere al giudice delegato la sostituzione del curatore con indicazione di altro nominativo da valutare;

10) Disporre l’obbligo in capo al curatore, nel termine di sessanta giorni dalla redazione dell’inventario, di redigere un piano di liquidazione dell’attivo che sia accompagnato dall’autorizzazione del comitato dei creditori e da sottoporre al giudice delegato. Nel contenuto dello stesso, oltre a modalità e termini di realizzo, si deve indicare : la convenienza o meno nell’esercizio provvisorio dell’impresa, anche tramite affitto d’azienda odi un ramo di essa a terzi, la presenza di proposte di concordato, la possibilità di ottenere maggiore utilità per la procedura in seguito a vendita unitaria dell’azienda ovvero di rami o gruppi di beni individuati in blocco, oltre a specificare le condizioni di vendita dei singoli cespiti;

11) Per la c.d. “ripartizione dell’attivo”, abbreviare i tempi e semplificare gli adempimenti connessi;

12) Modificare la disciplina del concordato preventivo accelerando l’iter procedurale, consentendo la suddivisione dei creditori sociali in classi omogenee che tengano conto della posizione giuridica e dei loro interessi e con trattamenti differenziati tra le varie classi. Occorre poi disciplinare le modalità di voto, distinguendo tra crediti privilegiati e chirografari, oltre a chiarire le modalità di approvazione della proposta e velocizzare le eventuali attività di impugnazione; 13) Inserire nel Regio Decreto una prima regolamentazione dell’istituto della

esdebitazione e del relativo procedimento, prevedendo che essa consista nella liberazione del debitore persona fisica dai debiti che residuano nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti. Ciò è consentito qualora siano verificati i seguenti requisiti : il soggetto debitore deve aver cooperato con gli organi della procedura, fornendo tempestivamente le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e allo svolgimento delle operazioni. Per di più non deve aver operato per ritardare la procedura, né violato le norme in ordine alla gestione della corrispondenza. Non devono essere stati compiuti atti distrattivi dell’attivo o di esposizione di passività inesistenti, cagionando o aggravando il dissesto e rendendo più difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e delle operazioni compiute. L’esdebitazione non viene concessa qualora lo stesso debitore ne abbia beneficiato nei dieci anni precedenti ovvero nell’ipotesi di precedenti condanne per bancarotta fraudolenta o altri delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio ecc.

14) Abrogare le norme sul procedimento sommario

Accanto ai sopra richiamati criteri direttivi, ulteriore scopo evidenziato dalla Legge Delega era quello di procedere all’abrogazione dell’istituto dell’amministrazione

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controllata oltre a prevedere, per i crediti di rivalsa verso il cessionario contemplati dalle norme riferite all’imposta sul valore aggiunto, se aventi ad oggetto la cessione di beni mobili, che gli stessi abbiano il privilegio sulla generalità dei mobili del debitore similmente alle fattispecie di cui agli artt. 2752 e 2753 cc a cui tuttavia restano posposti11.

Come già previsto nel dettato normativo del legislatore delegante, furono proposte due distinte bozze di decreto : la prima presentata dal Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attività produttive e la seconda presentata dal Ministero della Giustizia. Dopo lunghe analisi si giunse alla stesura di un progetto di legge unico che venne posto alla consultazione del Consiglio dei Ministri ai fini della definitiva approvazione, che avvenne in data 22 Dicembre 2005. Successivamente, dopo il parere espresso dalle competenti Commissioni parlamentari , il testo è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nel D. Legisl. n. 5 del 9 Gennaio 2006, con il quale il Governo ha portato a compimento la revisione della disciplina delle procedure concorsuali. Per facilitare gli operatori economici a compiere un processo di avvicinamento graduale alle modifiche normative, come tipicamente avviene in epoca di Riforma, venne concesso un periodo complessivo di 6 mesi (alla data del 16 Luglio 2006) per l’effettiva entrata in vigore del Decreto, tranne per alcune norme relative alla corrispondenza e alle limitazioni personali del fallito, all’abrogazione del Pubblico Registro dei Falliti e alle modifiche della disciplina della transazione fiscale, le quali entrarono in vigore già dal 16 Gennaio 2006. Chiariamo come lo scopo primario delle novità introdotte era quello di ammodernare il Regio Decreto n. 267 del 1942, il quale, nonostante la dichiarazione d’intenti della delega di introdurre una riforma organica delle procedure concorsuali, ha conosciuto una profonda modifica quasi esclusivamente in ordine al fallimento, dunque la procedura a carattere liquidatorio. La legge infatti ha preferito non intervenire in ordine alle disposizioni sul tema dell’amministrazione straordinaria, neppure ai fini di ordinarne i principi con quelli applicabili in ambito concorsuale. Per il concordato preventivo invece, si è limitata a convertire e riproporre le norme già contenute nel D.L. n. 35 del 2005 senza particolari novità. Scopo fondamentale su cui si reggeva l’intera Riforma era quello di allontanarsi dalla finalità essenzialmente liquidatoria dell’impresa insolvente e della ristretta attenzione all’interesse univoco del debitore alla continuazione della sua attività, secondo una prospettiva troppo limitata su cui si erigeva l’impianto normativo del 1942 e che non rispecchiava l’evoluzione a cui progressivamente stava andando incontro il sistema economico nel suo complesso. Per la prima volta si avvertì concretamente non a caso la necessità di tutelare anche “soggetti diversi” e portatori di pretese opposte a quella del debitore medesimo, a partire dalla massa dei creditori per poi abbracciare interessi economici e sociali più ampi, i quali privilegiano un’ottica di recupero e conservazione delle capacità produttive dell’impresa. Le principali novità apportate dal D. Legisl. n. 5 del 2006 riguardano :

11 L’elenco e le considerazioni qui riportate sono tratte da Tuttocamere, “Riforma delle procedure concorsuali,

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1) Eliminazione della procedura di amministrazione controllata, mantenendo attivabili solo il fallimento, il concordato preventivo e la liquidazione coatta amministrativa. 2) Estensione dei soggetti esonerati dall’applicazione del fallimento, resa possibile

mediante dei nuovi criteri di individuazione del piccolo imprenditore. Ciò è avvenuto per mezzo di una modifica dei requisiti quantitativi di cui al comma 2 dell’art. 1 del Regio Decreto, per cui non sono considerati piccoli imprenditori i soggetti esercenti un’attività commerciale che, anche alternativamente, siano dotati di un attivo patrimoniale che superi i trecento mila euro o che abbiano conseguito, sulla media degli ultimi tre esercizi o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare superiore a duecento mila euro. L’inciso per cui “in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali” viene eliminato. Tale provvedimento ha suscitato, come noto, ampio spazio di dibattito in dottrina. Lo stesso infatti era stato elaborato per porre rimedio al precedente quadro giuridico che, eliminati i vecchi parametri del reddito inferiore al minimo imponibile ai fini dell’imposta sulla ricchezza mobile e delle novecento mila lire circa l’attivo di stato patrimoniale, aveva visto la giurisprudenza soccorrere alla legge ormai superata tramite un’applicazione estensiva della nozione di piccolo imprenditore ai sensi dell’art. 2083 cc. Secondo quest’ultima, si definisce tale colui che esercita attività d’impresa prevalentemente con il lavoro proprio e dei membri della propria famiglia. Tuttavia tale norma andava incontro ad interpretazioni discordanti per cui il singolo artigiano che verificava i requisiti codicistici non era ritenuto fallibile, mentre l’impresa artigiana che, nonostante il carattere qualitativo dell’attività svolta, andava a soddisfare i più ampi requisiti dimensionali previsti dalle legge speciale, andava incontro al fallimento. Inoltre la piccola impresa artigiana, anche a seguito degli interventi della Corte Costituzionale era considerata non fallibile, mentre la piccola società commerciale vi rimaneva soggetta12. Dunque le nuove soglie così definite nel 2005, si aprivano ad una pluralità di interpretazioni divergenti : secondo qualcuno al di sopra delle stesse, l’imprenditore, pur restando piccolo, diveniva fallibile. Secondo altra autorevole dottrina invece, questo intento di rinnovamento doveva collocarsi in una prospettiva più radicale di totale distacco della disciplina concorsuale dalla definizione di piccolo imprenditore del Codice Civile.

3) Modifica del procedimento per la dichiarazione di fallimento ex art. 15 della Legge Fallimentare. Quest’ultimo in epoca precedente si svolgeva secondo un’ottica del tutto “inquisitoria”, per cui il tribunale, avendo prima la mera facoltà e poi successivamente, in seguito a illegittimità costituzionale, l’obbligo di sentire il debitore, poggiava la decisione in ordine all’acquisizione di prove sostanzialmente su una valutazione discrezionale. Tempi e modalità erano prive di un dettato normativo e il contraddittorio tra debitore e soggetto che aveva promosso l’istanza non veniva assicurato. Anche l’intervento del D. Legisl. n. 270 del 1999 in materia

12 L’evoluzione storica della categoria dei soggetti ritenuti “fallibili” è apprezzabile in L. Calvosa et al., “Diritto

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di amministrazione straordinaria non aveva fornito un contributo decisivo, nonostante per la prima volta avesse introdotto un obbligo vero e proprio al contraddittorio per il debitore e il ricorrente, assicurando a ciascuna delle parti un effettivo diritto alla difesa e non costituendo soltanto una fonte d’informazione d’ufficio. Tuttavia il procedimento manteneva carattere sommario ed inquisitorio. La stesura dell’art. 15 proposta nel 2005 prevede che il processo per la dichiarazione di fallimento debba svolgersi dinanzi al tribunale in composizione collegiale, con le modalità previste per i procedimenti in camera di consiglio. Il tribunale medesimo però può scegliere di delegare un soggetto relatore per l’audizione delle parti che provvede anche all’emanazione del correlato decreto di convocazione. La delega può riguardare l’intero procedimento, a differenza di quanto previsto per l’amministrazione straordinaria, salvo l’adozione della decisione che resta di competenza del tribunale. All’udienza prendono parte il debitore e i creditori istanti per il fallimento, oltre alla possibilità di intervenire da parte del pubblico ministero che ha assunto l’iniziativa. Al di là di tale ipotesi, il P.M. è legittimato a intervenire in tutte le fattispecie di cui all’art. 70 c.p.c., ovvero qualora si ravvisi un pubblico interesse. Tra la data di notificazione a cura di parte del decreto di convocazione e del ricorso e la data dell’udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni liberi, per assicurare al debitore di predisporre un adeguata difesa. Inoltre la stessa convocazione con decreto fissa un ulteriore termine non inferiore ai sette giorni dall’udienza per la presentazione di memorie difensive, unitamente a documenti e relazioni tecniche. Il tribunale cura inoltre che l’imprenditore depositi una situazione patrimoniale, finanziaria ed economica aggiornata. I suddetti termini, in casi di particolare necessità ed urgenza, possono essere abbreviati dal presidente del tribunale.

4) Modifica e ridimensionamento dei poteri del giudice delegato di cui all’art. 25 L.F., che vede una significativa variazione del proprio ruolo in seno alla procedura concorsuale. In precedenza infatti il Regio Decreto lo individuava come direttore delle operazioni del fallimento e controllore per lo più dell’operato della curatela. Dal 2005 in poi, viene esaltata la sua funzione di vigilanza e controllo sull’intera procedura. Il giudice delegato sconta il divieto di trattare quei giudizi che abbia autorizzato e di far parte del collegio investito di pronunciarsi sul reclamo proposto avverso i suoi atti. Perde il potere di nomina dei soggetti la cui opera è necessaria per esigenze del fallimento. Peraltro può revocare le figure nominate dal curatore soltanto su proposta di quest’ultimo, non potendo agire “motu proprio”13. Così come

la proposta del curatore è necessaria per liquidare i compensi agli ausiliari. La finalità perseguita dal legislatore del 2005 è quella di evitare che la maggiore autonomia attribuita alla curatela si risolva in una gestione concorsuale incontrollata. Da qui deriva in capo al giudice delegato il potere di convocazione del curatore e del comitato dei creditori, oltre al fondamentale potere di approvazione del programma di liquidazione.

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5) In parallelo a quanto detto sopra per il delegato, si attivano degli ampliamenti delle funzioni assegnate al curatore e al comitato dei creditori. In riferimento al primo, l’art. 31 della Legge Fallimentare gli attribuisce il compito di svolgere tutte le operazioni della procedura, restando sotto la vigilanza di giudice delegato e comitato dei creditori. Egli procede ad inventariare i beni del patrimonio del debitore, come già previsto in precedenza, ma in aggiunta provvede ad apporre i sigilli e provvede alla formazione del progetto di stato passivo (art. 95 del Regio Decreto) che in passato era attribuita al giudice delegato. In riferimento alle domande di insinuazione al passivo, spetta alla curatela “eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere, nonché l’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione”. Inoltre al curatore è attribuita la predisposizione del programma di liquidazione, che deve essere approvato dal giudice delegato dopo aver ottenuto il parere favorevole del comitato dei creditori. Proseguendo, l’art. 107 prevede che le vendite e gli atti di liquidazione siano effettuati dal curatore. Quest’ultimo o li pone in essere in esecuzione del programma di liquidazione approvato ovvero, se posti in essere in precedenza, deve essere autorizzato dal giudice delegato previo parere del comitato dei creditori. L’unico vincolo da rispettare è quello di seguire delle “procedure competitive”, anche mediante soggetti specializzati, oltre ad eseguire adeguate forme di pubblicità che consentano la massima informazione e la maggior partecipazione possibile degli interessati. Le stesse modalità devono essere rispettate anche per quanto riguarda la vendita dell’intero complesso aziendale ovvero di suoi rami o beni individuati in blocco. La vendita va incontro a sospensione da parte del curatore (in precedenza da parte del giudice delegato), nel caso in cui pervenga offerta irrevocabile d’acquisto migliorativa per un importo non inferiore al dieci per cento del prezzo offerto. Inoltre vengono modificati almeno parzialmente i requisiti per la nomina a curatore di cui all’art. 28 del Regio Decreto. Sono legittimati a ricoprire la carica avocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti, conformemente alla disciplina vigente in passato. A questi si aggiungono “coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali”, tranne nel caso di coloro che sono stati dichiarati falliti (art. 28, primo comma, lett. c). Si estende la possibilità di esercitare la funzione di curatore anche agli studi professionali associati o società tra professionisti, purché i soci delle medesime abbiano i requisiti di professionalità richiesti. Si prevede poi una norma di carattere generale per cui tutti coloro che si trovino in conflitto di interessi, anche potenziale, con la procedura di fallimento, non possono assumere l’incarico. In sede di adunanza per l’esame dello stato passivo, il comitato dei creditori, a maggioranza dei crediti insinuati al passivo, può chiedere al giudice delegato la sostituzione del curatore chiarendone le motivazioni, ai sensi dell’art. 37 bis. Circa il comitato dei creditori invece, si ricorda che lo stesso viene nominato dal giudice delegato entro trenta giorni dalla sentenza di fallimento sulla base delle risultanze documentali, sentiti il curatore e i creditori che hanno dato la disponibilità per l’incarico tramite la propria domanda di insinuazione al passivo. L’organo è composto da tre o cinque membri, al fine di consentire una rappresentazione

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