• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 2: IL CASO WELCOME ITALIA

2.9 Future ricerche e limitazioni

Dall’analisi dei paper che fanno esplicito riferimento a Subramaniam e Youndt [2005] si evincono delle caratteristiche che comportano risultati differenti sia nello studio della relazione tra capitale intellettuale e performance che nella relazione tra capitale intellettuale e innovazione come: area/mercato di riferimento, il settore, prevalentemente esplorato in termini di industria/servizi, il livello tecnologico tra high-tech e low-tech e dimensione, in termini di SME/grandi imprese.

Queste caratteristiche e la connessione innovazione-conoscenza evocano al Tassonomia di Pavitt [1984], una classificazione dei settori merceologici compiuta sulla base delle fonti e della natura delle opportunità tecnologiche e delle innovazioni, dell'intensità della ricerca e sviluppo e della tipologia dei flussi di conoscenza.

Poiché dall’analisi del caso è emerso che l’innovazione è quell’elemento che collega il capitale intellettuale alla creazione di valore, il costrutto che concretizza ciò che è astratto. Potrebbe essere questa la chiave di lettura che ci permette di leggere tutti i risultati contrastanti della letteratura?

Pavitt individuò, sulla base dei criteri sopra accennati, quattro grandi raggruppamenti settoriali.

La tassonomia inizialmente sviluppata sulle imprese manifatturiere è stata poi ampliata dallo stesso Pavitt [1989] per portarla nel mondo dei servizi aggiungendo ulteriori categorie.

Si suggerisce, invece, di far riferimento alla tassonomia rivisitata ad opera di Bogliacino, Pianta [2016] che hanno ricondotto le imprese appartenenti al settore dei servizi alle quattro macrocategorie individuate da Pavitt sulla base dei: livelli e tipi di iniziative innovative; prossimità in settori tecnologici pluridimensionali; determinanti delle performance innovative; relazioni tra innovazione performance.

Figura 27 - Tassonomia di Pavitt Supplier dominated Specialised suppliers Scale and information intensive Science based

Dimensione media Medio/Piccola Piccola Medio/Grande Piccola/Grande

Obiettivi dell’innovazione Riduzione dei costi Innovazione di prodotto Riduzione dei costi e innovazione di prodotto Innovazione di prodotto e di processo Principale fonte esterna di innovazione Innovazione incorporata negli Input

Relazioni con gli acquirenti Relazioni con i fornitori Relazioni con centri di ricerca e università Principale fonte interna di innovazione Economie di apprendimento Economie di

apprendimento R&S R&S

Appropriabilità Bassa Alta Media Alta

Barriere

all’entrata Basse Medie Medie Medio alte

Fonte: adattato da Pavitt [1984]

E’ possibile analizzare i risultati apparentemente contrastanti degli studi relativi alle relazioni tra le componenti del capitale intellettuale, innovazione e performance alla luce di questa tassonomia.

Il primo gruppo incorpora imprese c.d. “dominate dai fornitori”. Si tratta di aziende di medio piccola dimensione, che si trovano a competere in una condizione di bassa appropriabilità, perché le innovazioni sono incorporate negli Input, e in settori con basse barriere all’entrata.

Proprio per queste caratteristiche dunque è raro riscontrare progetti formalizzati di R&S. In realtà è facile attendersi una diffusa conoscenza tacita nelle imprese, la rilevanza dei processi di learning by doing e learning by using e una scarsa appropriabilità delle innovazioni.

Per favorire l’innovazione in questi contesti, che ci si attende come prevalentemente incrementale, ci si aspetta che le imprese puntino maggiormente sul capitale relazionale in primis, per le relazioni con i fornitori e sul capitale umano in cerca di economie di apprendimento. Questi risultati sarebbero in linea

con i lavori di Chen et al. [2014] e Zang e Lv [2015] per cui le relazioni esterne sono la principale componente dell’innovazione.

Il secondo raggruppamento settoriale include le imprese considerate “fornitori specializzati”. Solitamente si tratta di imprese di medio piccole dimensioni, che producono macchine agricole e industriali, macchine per ufficio, strumenti ottici, di precisione e medici ma anche tutte le attività di consulenza alle imprese.

Queste imprese presentano come principale obiettivo l’innovazione di prodotto, sviluppata tramite stretti rapporti con i clienti.

È questo il motivo per il quale, benché si tratti di imprese di piccola o media dimensione, in questo contesto l’appropriabilità risulta piuttosto elevata e alimenta il capitale strutturale. L’innovazione nelle imprese “fornitori specializzati” poggia su un più solido capitale umano che frutto del capitale relazionale porta all’innovazione. Questi risultati sarebbero coerenti con Costa et al., [2014], Elsethouhi [2015].

Gli ultimi due raggruppamenti risultano profondamente diversi nonostante per entrambi la principale fonte interna di innovazione sia la R&S.

Per le “imprese che ricercano economie di scala” è essenziale un’innovazione volta all’introduzione di nuovi prodotti e al contenimento dei costi. Queste imprese, con una dimensione aziendale medio grande, raggruppano intorno a sé una serie di fornitori legati da stretti rapporti.

All’interno di questo raggruppamento settoriale è necessario poter contare su un forte capitale strutturale, con processi e procedure e proprietà intellettuale, per poter giungere all’innovazione attraverso il capitale relazionale, basato sia sugli stretti rapporti con i fornitori che con un’ampia conoscenza del cliente e investimenti in marketing, coerentemente con Chen et al. [2014].

Nel quarto raggruppamento si riscontrano le imprese “basate sulla scienza”. Dalla dimensione più variegata presentano la caratteristica di avere un’elevata

appropriabilità delle innovazioni e altissime barriere all’entrata. Nuove imprese possono entrare, occupando nicchie specifiche.

Questo vantaggio competitivo basato sulla conoscenza comporta innovazioni di prodotto e di processo, non di rado sviluppate all’interno di progetti di ricerca con la collaborazione di enti e università.

La nascita di queste realtà probabilmente presenta tra i più alti profili di rischio ma contemporaneamente il successo di queste iniziative comporta i più alti tassi di rendimento. In questa categoria il capitale umano appare senz’altro la dimensione che ha più valore che si estrinseca sia con la crescita del capitale strutturale, anche nella sua forma più hard come i brevetti, che nel capitale relazionale [Chen et al., 2014; Costa et al., 2014; Costa e Ramos, 2015] in un’ottica di open innovation [Petroni, Venturini e Verbano, 2012]. Il caso Welcome Italia è coerente con le caratteristiche di questo raggruppamento.

Con questo lavoro non si sono presentate nuove prove empiriche adatte a tutte le imprese in tutti i settori. Il metodo, a causa delle sue limitazioni intrinseche, non consente generalizzazioni, ma il presente lavoro vuole essere di spunto per nuovi studi per valutare le relazioni presentate in precedenza (valore-performance, performance-capitale intellettuale) con la lente dell’innovazione, suddividendo i campioni delle imprese in base alle quattro categorie della tassonomia di Pavitt rivisitata. Se si ottenessero risultati coerenti con il presente studi si potrebbe collocare l’innovazione come elemento che permette al capitale intellettuale di assumere una componente materiale e condurre alla creazione di valore. Questo avrebbe importanti implicazioni nella pratica e nella ricerca. Risulta quindi un percorso interessante da approfondire.

CONCLUSIONI

Misurazione e valutazione del capitale intellettuale, del suo impatto sui risultati finanziari e sull’innovazione, rappresentano un tema fondamentale in un’economia della conoscenza e non devono essere trattati come un mero esercizio contabile. Così come la performance aziendale non è risultata valutabile utilizzando una sola misura, appare anche impossibile valutare il capitale intellettuale da un'unica prospettiva. Il VAIC è solo uno dei tentativi di molti di trovare un coefficiente, un modello adeguato per stimare il contributo del capitale intellettuale alla performance aziendale. I suoi principali lati positivi, semplicità di calcolo e facilità d'uso, rappresentano le sue principali limitazioni. Il problema principale è quello di misurare il contributo di qualcosa che non è fisico e non facilmente quantificabile. Anche se riuscissimo a definire chiaramente il capitale intellettuale, la cui essenza non è stata ancora esaurita e ulteriori framework e componenti, e livelli di queste, vengono aggiunti dalla ricerca accademica, la questione fondamentale è che il valore creato dal capitale intellettuale è indiretto. L'interazione tra diverse forme di capitale intellettuale e le risorse materiali tendono ad essere ritardati e imprevedibili perché passano attraverso il filtro dell’innovazione.

Nel corso del presente studio si è potuto apprezzare come, con il tempo, il valore si è arricchito di nuove sfaccettature che le misure di valore, divenute poi di performance, sembravano non riuscire a spiegare appieno.

La presente trattazione è partita dalla definizione di capitale economico, la cui componente per così dire più indecifrabile e di difficile definizione era rappresentata dall’avviamento. Le misure dell’epoca, legate al bilancio di esercizio, non erano, quindi, adeguate alla sua misurazione e quindi è stato necessario ricercare nuovi indicatori.

Dallo studio delle misure di performance orientate al valore è emerso che non riuscivano a descrivere appieno la componente del valore legata alla componente immateriale, che, rispetto al passato, sta acquisendo molta più importanza. Il valore ha, quindi, una componente immateriale, che sta diventando

sempre più marcata e le misure create per allineare gli obiettivi aziendali alla creazione di valore, si sono dimostrate inadeguate a descrivere la componente immateriale del valore.

Successivamente, la ricerca sul capitale intellettuale, ha sviluppato propri indicatori, per descrivere la componente immateriale del valore. Se i passi avanti a livello concettuale sono notevoli, come il passaggio dalla misurazione del valore, alla ricerca dei percorsi di creazione del valore, e il focus che è passato dalla generalità delle imprese a considerare il capitale intellettuale un concetto firm- specific, non si è ancora giunti ad ottenere risultati coerenti.

La ricerca del miglior indicatore di creazione di valore, da utilizzare per una determinata impresa è ben lontana dall'essere terminata e appare sempre più importante utilizzare un set coerente di indicatori piuttosto che una sola misura. Col tempo sono state attribuite nuove responsabilità al valore che ad oggi è un concetto che permea l’impresa. Le difficoltà di questo ambito di studi risiedono nel fatto che il valore non è un concetto statico, col tempo si trasforma e acquisisce nuove sfaccettature che la ricerca deve cogliere ed esplorare.

È come se col tempo sedimentassero nuovi strati del valore che il ricercatore, come un geologo, è chiamato a portare alla luce. Il presente lavoro è una sorta di sondaggio geognostico31, un carotaggio che ha portato alla luce un nuovo strato del valore, strettamente connesso ai livelli sottostanti, costituito dall’innovazione. Il capitale intellettuale, strato di roccia permeabile, permette all’innovazione di fluire e raggiungere la superficie.

La ricerca sul valore, capitale intellettuale e innovazione dovrebbe continuare ad avere contributi da collaborazioni tra scholar e practicioner, per mantenere forte il legame tra accademia e pratica.

Luisotti, CEO di Welcome Italia, parla spesso di un filo di lana [Luisotti, 2006] che aiuti a guidare l’organizzazione verso la creazione di valore.

“Parlo di direzione. Nella gestione di un’impresa non c’è una rotaia nella quale tutti prendono decisioni, tutti capiscono esattamente dove si trovano. In

31 Strumento tipico della geologia che permette di analizzare il suolo in profondità per la valutazione delle

realtà la navigazione è molto più mossa, più variegata. È molto più importante avere la direzione giusta ed essere consapevoli che non ci sono rotaie e che stiamo navigando minimo nel mare, se non nell’oceano. Anche sulle vele ci sono i filetti fluidi per vedere se la vela è regolata correttamente. La cosa importante è conoscere la meta, si faranno delle virate ma si cercherà di mantenere la rotta”.

Il filo di lana è lo strumento più semplice che si può utilizzare per ottenere uno scopo; il più semplice è il migliore, la complessità non è qualcosa da ricercare è qualcosa da contenere. Ridurre la complessità, trovare strumenti di guida che aiutino le imprese a raggiungere i propri obiettivi diventa fondamentale perché ogni aumento di complessità ne può pregiudicare l’utilizzo.

L’accademia potrebbe essere tentata di proporre strumenti sempre più sofisticati ma le imprese hanno bisogno di strumenti semplici perché possono essere applicati dovunque, siano facili da trasportare, siano economici.

Il lavoro delle imprese consiste anche nel mantenere le cose all’interno di una complessità che riescono a gestire. Il filo di lana è una metafora, è sapere riconoscere il bello e l’armonia, consiste ricercare gli indicatori più semplici.

Volendo concludere con un’analisi SWOT questo approccio alla misurazione del valore:

Strength

Aumentare la portata della misurazione del valore facendola divenire una pratica quotidiana e a tutti i livelli può costituire un elemento chiave per il successo delle iniziative di value based management, orientando la gestione verso ciò che è realmente utile all’impresa. Incorporare nei sistemi di misurazione elementi di capitale intellettuale e di innovazione, in una società della conoscenza, rappresenta un importante volano per la creazione di valore.

Weaknesses

Raccogliere in indicatori le informazioni, al fine di misurarne il trend, la dinamica, necessariamente richiede uno sforzo, in termini di tempo e risorse, che di impostazione mentale e culturale. Si deve creare una procedura in cui si definisce l’indicatore, si affina. Si tratta di un investimento culturale di larga

portata, per creare, misurare ed utilizzare gli indicatori. Tutto questo è utile solo se funzionale ad un livello strategico successivo.

Questo approccio comporta notevoli investimenti ma scarse opportunità di benchmarking perché gli altri player del mercato possono non misurare le stesse grandezze o non diffondere questo tipo di informazioni.

Non disporre quindi di parametri obiettivo comporta ulteriori difficoltà nella definizione degli obiettivi stessi.

Opportunities

Il coinvolgimento a tutti i livelli e la possibilità di creare un linguaggio comune e condiviso che amplifica il committment costituisce senz’altro la principale opportunità di questo approccio. Travalicare i confini dell’accounting e poter disporre di indicatori più “soft” ma anche più vicini e comprensibili ad un pubblico più ampio può fornire ampie opportunità di condurre le imprese verso la creazione di valore.

Threats

Con questo approccio si rischia di disperdere gli sforzi su troppe dimensioni e di non focalizzarsi su ciò che è realmente necessario. Potrebbe essere utile procedere per step successivi di implementazione per risolvere al meglio il trade- off tra semplicità e precisione.

RINGRAZIAMENTI

Questa tesi rappresenta l’atto finale di un periodo di profondo apprendimento, non solo a livello scientifico, ma anche personale.

Vorrei ringraziare la professoressa Giovanna Mariani, relatrice di questa tesi, oltre che per l’aiuto fornitomi in tutti questi anni e la grande conoscenza che mi ha donato, per la disponibilità e il supporto dimostrati durante tutto il periodo del dottorato di ricerca. Senza di Lei questo lavoro non avrebbe preso vita!

Un ringraziamento particolare va anche al professor D’Onza e a tutto il collegio dei docenti per avermi permesso di partecipare a questo percorso formativo di grande valore.

Non può mancare una menzione particolare a Stefano Luisotti che tanto ha ispirato questo lavoro e a Simone Pierucci che in questi anni mi ha permesso di conciliare le due anime di questo lavoro, sostenendomi e fornendomi spunti di riflessione.

Ultima, ma non ultima, ringrazio la mia famiglia, senza la quale niente di tutto questo avrebbe potuto prendere forma.

BIBLIOGRAFIA

Abernathy WJ e Clark K (1985), “Innovation: Mapping the winds of creative destruction”, Research Policy, Vol 14, pp 3-22

Abeysekera I e Guthrie J (2005), “An empirical investigation of annual reporting trends of intellectual capital in Sri Lanka”, Critical Perspectives on Accounting, Vol 16, No 3, 151-163

Adams C, Hoque Z e Mcnicholas P (2006), Case studies and action research. In Z Hoque (eds), Methodological Issues in Accounting Research: Theories and Methods Spiramus, Londra, pp 361-373

Agostini L e Nosella A (2017), “Enhancing radical innovation performance through intellectual capital components", Journal of Intellectual Capital, Vol 18, No 4, pp 789-806

Ahangar RG (2011), “The relationship between intellectual capital and financial performance: An empirical investigation in an Iranian company”, African Journal of Business Management, Vol 5, No 1, pp 88-95

Ahrens T e Chapman CS (2006), “Doing qualitative field research in management accounting: positioning data to contribute to theory” Accounting Organizations and Society, Vol 31, pp 819-841

Ahrens T e Dent JF (1998), “Accounting and organizations: realizing the richness of field research”, Journal of Management Accounting Research, Vol 10, pp 1-39

Ahmed A e Hussainey K, (2010), "Managers' and auditors' perceptions of intellectual capital reporting", Managerial Auditing Journal, Vol 25, No 9, pp 844-860

Alsoboa SS, “The Influence of Economic Value Added and Return on Assets on Created Shareholders Value: A Comparative Study in Jordanian Public Industrial Firms” International Journal of Economics and Finance, Vol 9, No 4

Alhassan AL e Asare N (2016), “Intellectual capital and bank productivity in emerging markets: evidence from Ghana”, Management Decision, Vol 54, No 3, pp 589- 609

Altaf, N (2016), “Economic value added or earnings: What explains market value in Indian firms?”, Go to Future Business Journal, pp 152-166

Al-Musali MA e Ku Ismail KNI (2016), “Cross-country comparison of intellectual capital performance and its impact on financial performance of commercial banks in GCC countries”, International Journal of Islamic and Middle Eastern Finance and Management, Vol 9, No 4, pp 512-531

Amaduzzi A (1965), L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Utet, Torino

Amaduzzi A (2000), Obiettivi e valore dell’impresa: misure di performance, Il Sole 24 ore libri, Milano

Ameels A, Bruggeman W e Scheipers G (2002), Value-Based Management Control Processes to Create Value through Integration a Literature Review, Vlerick Leuven Gent Management School Working Paper series, p. 17

Amodeo D (1967), Le gestioni industriali produttrici di beni, Utet, Torino

Andreeva T e Garanina T (2016), “Do all elements of intellectual capital matter for organizational performance? Evidence from Russian context", Journal of Intellectual Capital, Vol 17, No 2, pp 397-412

Andrei P (2004), Valori storici e valori correnti nel bilancio d’esercizio, Giuffrè, Milano

Andriessen D, (2004) "IC valuation and measurement: classifying the state of the art", Journal of Intellectual Capital, Vol 5, No 2, pp 230-242

Anthony RN (1973), “Accounting for the cost of equity”, Harward Business Review, pp 88-102

Anthony RN (1988), The Management Control Function, The Harward Business School Press, Boston

Aramburu N e Sáenz J (2011), “Towards a new approach for measuring innovation: the innovation-value path”, in Vallejo-Alonso, B., Rodríguez-Castellanos, A. and Arregui-Ayastuy, G., (Eds), Identifying, Measuring, and Valuing Knowledge- Based Intangible Assets: New Perspectives, Business Science Reference, New York, pp. 87-111

Bao BH e Bao DH (1998), “Usefulness of value Added and Abnormal Economic Earnings: An Empirical examination”, Journal of Business Finance and Accounting, Vol 25, No 1-2, pp 251-265

Bacidore JM, Boquist JA, Milbourn TT e Thakor AV (1997), “The Search for the Best Financial Performance Measure”, Financial Analysts Journal, Vol 53, No 3, pp 11-20

Barnes M, Dickinson T, Coulton L, Dransfield S, Field J, Fisher N, Saunders, I. e Shaw D (1998), “A new approach to performance measurement for small to medium enterprises”, in Proceedings of the Performance Measurement – Theory and Practice Conference, Cambridge, 14–17 Luglio

Baxter JA e Chua WF (1998), “Doing field research: practice and meta-theory in counterpoint”, Journal of Management Accounting Research, Vol 10, pp 69-87 Beck V e Britzelmaier B (2012), “Value-based-management: a critical literature review“,

Sales Retail, Vol 1, pp 3–21

Berry AJ, Coad AF, Harris EP, Otley DT e Stringer C (2009), “Emerging themes in management control: a review of recent literature”, British Journal of Management, Vol 41, 2-20

Berry AJ e Otley DT (2004), Case-based research in accounting In C Humphrey e B Lee (eds), The Real Life Guide to Accounting Research: a behind-the-scenes view of using qualitative research methods Elsevier, Ltd, pp 231-255

Bharathi Kamath G (2008), “Intellectual capital and corporate performance in Indian pharmaceutical industry”, Journal of Intellectual Capital, Vol 9, No 4, pp 684- 704

Bhasin M (2017), “A Study of Economic Value Added Disclosures in the Annual Reports: Is EVA a Superior Measure of Corporate Performance?”, East Asian Journal of Business Economics, Vol 5, No 1, pp 10-26

Biddle GC, Bowen MR e Wallace JS (1997), “Does EVA beat Earnings? - Evidence on Associations with Stock Returns and Firm Values”, Journal of Accounting and Economics, Vol 24, No 3, pp 301-336

Bin Ismail M, “The influence of intellectual capital on the performance of telekom Malaysia”, Universiti Teknology Malaysia

Bogliacino F e Pianta M (2016), “The Pavitt Taxonomy, revisited: patterns of innovation in manufacturing and services”, Economia Politica: Journal of Analytical and Institutional Economics, 2016, Vol 33, No 2, pp 153-180

Bollen L, Vergauwen P e Schnieders S (2005), “Linking intellectual capital and intellectual property to company performance”, Management Decision, Vol 43, No 9, pp 1161-85

Bontis N (1998), “Intellectual Capital: An exploratory study that develops measures and models”, Management Decision, Vol 36, No 2, 63-76

Bontis N (1999), “Managing organisational knowledge by diagnosing intellectual capital: framing and advancing the state of the field”, International Journal of technology management, Vol 18, No 5-8, pp 433-462

Bontis N, Janošević S, Dženopoljac V (2015), “Intellectual capital in Serbia’s hotel industry”, International Journal of Contemporary Hospitality Management, Vol 27, No 6, pp 1365-1384

Bontis N, Keow W e Richardson S (2000), “Intellectual capital and business performance in Malaysian industries”, Journal of Intellectual Capital, Vol 1, pp 85-100 Bozzolan S, O’Regan P e Ricceri F (2006), “Intellectual capital disclosure (ICD). A

comparison of Italy and the UK”, Journal of Human Resource Costing and