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Il percorso fin qui compiuto attraverso la storia degli approcci socio-antropologici alle concezioni dell'età e al suo ruolo in termini di organizzazione sociale ci fornisce alcune opzioni teoriche e strumenti concettuali con cui inquadrare in maniera più precisa il nostro oggetto di ricerca.

Utilizzeremo quindi di seguito alcune delle prospettive teoriche che abbiamo attraversato nel capitolo precedente per verificare se e come le categorie di adolescenza e gioventù sono divenute specifici oggetti di ricerca. Questa messa in discussione delle categorie rappresenta un primo antidoto nei confronti dei rischi di etnocentrismo che si corrono nel proiettare meccanicamente termini e concetti da un contesto socioculturale all'altro e fornisce elementi di controllo per effettuare quella operazione di traduzione verso l'universo rom, che costituisce l'oggetto di questo lavoro di ricerca, di categorie che hanno una precisa connotazione storica e culturale.

Più che sulle interpretazioni e le caratteristiche attribuite a queste fasce d'età, ci soffermeremo quindi su possibilità e modalità di utilizzo dell'adolescenza e della gioventù come categorie descrittive, applicando a questi concetti del linguaggio insieme scientifico e comune uno sguardo critico ed una prospettiva genealogica.

Vista l'enorme mole di materiali presenti nella letteratura su queste categorie, limiteremo il nostro percorso a quei lavori che affrontano due interrogativi tra loro strettamente connessi: la questione dell'esistenza effettiva e dell'individuabilità di caratteristiche specifiche di questa fase della vita e la questione del rapporto fra le visioni di questa fase della vita e la costruzione della società occidentale moderna, interrogandoci così circa la possibile estensione delle categorie di giovane e adolescente ad altri contesti storici e culturali. Il nostro percorso attraverserà quindi un continuum di interpretazioni che vanno da quelle di stampo più marcatamente sostanzialista, fino a quelle che, attraverso la comparazione storica e l'analisi delle differenze culturali, operano una sostanziale decostruzione di queste categorie, recuperando strumenti e pratiche di ricerca sul terreno.

Per mantenere una coerenza argomentativa e tematica, focalizzeremo l'attenzione esclusivamente sulla letteratura socio-antropologica e storica, mentre più raramente faremo riferimento agli importanti lavori di psicologi come Hall, Freud, Erikson e Coleman.

In questo quadro, un primo snodo è quello relativo alla problematica sovrapposizione fra le categorie di adolescenza e gioventù, termini che, come afferma Cavalli (1994), nel linguaggio comune spesso vengono usati senza alcuna distinzione, laddove differenze e punti di contatto rimandano invece ad oggetti, contesti storici e prospettive di ricerca ben precisi.

Riprendendo le fila del discorso precedentemente sviluppato nel campo della letteratura sull'età, possiamo innanzitutto affermare che il periodo della vita su cui focalizzeremo la nostra attenzione

non costituisce una “classe d'età” nel senso illustrato da Bernardi, ovvero non rappresenta un raggruppamento formale all'interno di un sistema sociale strutturato per classi d'età. Come abbiamo già potuto affermare, sia nella società occidentale contemporanea, sia in quella romanès su cui ci soffermeremo in maniera approfondita più avanti, nessuna delle fasi della vita da origine a raggruppamenti formali che concorrono a definire l'organizzazione sociale del gruppo. Adolescenza e gioventù rappresentano invece dei periodi della vita socialmente e culturalmente riconosciuti, su cui insistono tutta una serie di aspettative e norme sociali.

L'adolescenza come dato naturale: la prospettiva sociobiologica

Un primo elemento di riflessione e confronto può essere individuato in quelle ipotesi scientifiche che ritrovano nell'ordine delle necessità naturali o fisiche le caratteristiche distintive di questa fase della vita.

Rispetto al percorso sin qui sviluppato, in questa lettura il dato naturale dello sviluppo biologico e fisico di questa fase della vita non viene interpretato come il terreno su cui si esercita il lavorio di definizione sociale e culturale. Collocandosi all'interno di una prospettiva teorica di ampia portata, quale quella della sociobiologia15, gli antropologi statunitensi Alice Schlegel e Herbert Barry hanno

formulato l'ipotesi secondo la quale proprio nel dato biologico si possano trovare le ragioni dell'esistenza e le caratteristiche distintive della gioventù e dell'adolescenza.

L'argomento principale che l'antropologa statunitense formula consiste nell'ipotesi che “[...] adolescence as a social stage is a response to the growth of reproductive capacity” (Schlegel 1995: 16). Ciò che rende quindi distinguibile e caratterizza questa fase della vita rispetto alle altre riguarda quindi la gestione delle capacità e della possibilità di riproduzione. L'adolescenza si situa, infatti, a metà fra la fase dell'infanzia, da cui si differenzia perché gli individui, di entrambi i generi, hanno comunque acquisito la maturità fisica anche in senso riproduttivo, e quella della piena adultità, poiché essi non sono socialmente considerati adeguati per riprodursi e formare un nuovo nucleo familiare. Questa condizione di mezzo, contraddistinta da maturità fisica e immaturità sociale, dovrebbe spiegare la particolare condizione dei gruppi di giovani e adolescenti nelle diverse società umane, ovvero il bisogno di formazione e, in diversi contesti, anche quello di separazione dal resto 15 Si può definire sinteticamente l'approccio sociobiologico come quell'ipotesi che punta a spiegare ogni forma di comportamento sociale riferendosi alle necessità, e alle limitazioni, imposte dalle basi biologiche dell'essere umano. Le variabili culturali e sociali vengono quindi lette come fenomeni sostanzialmente secondari, o, secondo il lessico della sociobiologia, come fenotipi, ovvero come il prodotto dell' interazione tra ambiente e genotipo. Questa prospettiva di studi è stata sviluppata fin dai primi anni del secondo dopoguerra, in stretta relazione con le ipotesi darwinistiche da un lato e con la prospettiva funzionalista nel campo delle scienze sociali dall'altro. Nella metà degli anni Settanta, l'ipotesi sociobiologica ha avuto un nuovo impulso grazie soprattutto all'opera di E. O. Wilson (1975), che ha sviluppato l'ipotesi sociobiologica integrandola, sempre in una prospettiva neodarwiniana, con i più recenti risultati degli studi genetici, ad esempio nell'immagine sintetica del “gene egoista”, e con una nuova considerazione delle determinanti ambientali.

della società. Tali strategie costituiscono, secondo Schlegel e Barry, risposte socioculturali ad un bisogno di tipo biologico, che, in quanto tale, può essere riscontrato in tutte le società umane; quest'ipotesi si fonda, infatti, sull'analisi sistematica e comparativa di un gran numero di contesti socioculturalmente diversificati (1991). I due studiosi hanno infatti applicato al loro oggetto di studio lo strumento informatico di comparazione delle diversità culturali denominato “Standar Cross-Culturale Sample”. Si tratta di uno strumento progettato e ideato già alla fine degli anni Sessanta da G. P. Murdock che, attraverso la definizione di circa 2000 variabili, si propone di comparare in maniera sistematica ed olistica le differenze culturali nei diversi ambiti dell'attività umana16.

Ritornando all'ipotesi dei due studiosi, una simile configurazione di questa fase della vita, in ragione del radicamento nel sostrato biologico, non riguarda soltanto il genere umano nella sua interezza, ma si ritrova anche fra i primati più sviluppati che, in modo simile alle società umane, sviluppano delle norme che contraddistinguono l'adolescenza dalle altre fasi della vita:

[…] human life cycle includes a period between childhood and adulthood during which its participants behave and are treated differently than either their seniors and juniors. A similar social stage has also been observed for sexually mature but unmated males among primates such as baboon and macaques. During this stage, young males are extruded from the company of females and adult males, and tend to be spatially and socially placed at the peripheries of these social groupings. […] If a distinctive social stage is present across species, then adolescence is not a product of culture, although many of its features in humans are. The disjuncture between the physical readiness to engage sexual activity and the social permission to reproduce implies that adolescence is a time of preparation for adult reproductive life. […] Since human reproduction is embedded in kinship and marriage, and full social adulthood is almost everywhere associated with the married state, social adolescence across cultures can best be viewed as a time of preparation for marriage. (Schlegel 1995: 16).

L'adolescenza viene quindi interpretata all'interno di una prospettiva in cui le funzioni legate alla riproduzione della specie vengono assunte come elementi fondamentali, in grado di definire un preciso e universale assetto del ciclo della vita. Le differenze culturali vengono in questo modo azzerate, così come tutti gli altri elementi che sono generalmente associati a questa fase della vita, 16 Una prima formulazione di questo ambizioso progetto è del 1969, (Murdock, White e Douglas), mentre la rivista “World Cultures" rappresenta ancora oggi lo spazio di riflessione e di evoluzione di questo strumento. Schlegel e Barry hanno formulato le loro ipotesi sulla base dei dati raccolti nei 186 contesti ad oggi compresi nello “Standar Cross-Culturale Sample”

ad esempio la preparazione all'attività lavorativa o l'acquisizione di diritti e doveri individuali, vengono si menzionati, ma comunque collocati in secondo piano rispetto al problema della riproduzione:

[…] the social function of adolescence is to prepare children for their adult reproductive carriers; in this, the social adolescence of humans is similar to social adolescence among the higher primates. For humans, adolescence can also be a time of further preparation for adult occupational careers in those societies in which training beyond childhood is necessary. (Schegel 1995: 29)

Nel panorama degli studi su gioventù e adolescenza, l'ipotesi di Schegel e Barry rappresenta una proposta per certi versi radicale e definitiva, una novità che si propone con forti caratteri di rigore scientifico, sia per l'ampia mole di dati su cui si basa, sia per la capacità di riorganizzare secondo una precisa logica temi ed elementi già presenti nel dibattito. Questi elementi di forza delle ipotesi sociobiologiche sono anche quelli su cui si sono concentrate le principali critiche.

Il modello di comparazione transculturale utilizzato si basa infatti su di un sistema formale di raccolta e di sistematizzazione dei dati che, per quanto ancorato a procedure, rappresenta comunque una opzione estremamente dibattuta a livello antropologico per le numerose implicazioni epistemologiche che esso comporta. Così ad esempio, Fabio Dei, all'interno di rassegna complessiva sull'utilizzo dei modelli comparativi in antropologia, ha preso in considerazione questo modello di comparazione quantitativa, segnalando una serie di criticità che riguardano da un lato le procedure di raccolta e selezione dei dati, procedure che almeno dagli anni '70 sono al centro di un'ampia riflessione critica nelle discipline antropologiche, e dall'altro la produzione e la delimitazione delle categorie utilizzate per l'archiviazione (2008). Il rischio, più volte segnalato, è quello di modellizzare in anticipo le risultanze del lavoro etnografico, lasciando in secondo piano una gamma di informazioni e di fenomeni che potrebbero invece risultare estremamente rilevanti: dalle implicazioni che investono direttamente l'etnografo e le modalità della sua presenza sul campo, alle sfumature articolate e significative di quelli che vengono presentati asetticamente come dati dell'osservazione.

Inoltre, l'approccio sociobiologico muove dall'assunto che le funzioni biologiche costituiscano la causa fondamentale dei comportamenti sociali; nello schema esplicativo proposto, la questione della maturità riproduttiva assume così la funzione principio monocausale da cui discenderebber le caratteristiche essenziali di questa fase della vita. Si configura in questo modo quel rischio tratteggiato da Marshall Shalins (1976) di un occultamento dello spessore sociale e culturale

dell'esperienza umana e della sostanziale neutralizzazione delle differenze storiche e culturali, in favore di quello che non può che apparire come una nuova forma di riduzionismo biologico17.

Per quanto coerente e “attraente”, l'ipotesi sociobiologica di definizione dell'adolescenza ha finito quindi per attrarre interesse principalmente all'interno degli studiosi che avevano abbracciato questa prospettiva. Sociologi, antropologi e storici, senza individuare nel dato biologico il principio esplicativo, ma affrontando invece le complessità che i processi di maturazione fisica e psicologica pongono all'ordine sociale, hanno comunque tentato di individuare le caratteristiche distintive di adolescenza e gioventù e di precisare il rapporto fra queste due fasi della vita. Tale impostazione, le cui origini possono essere fatte risalire almeno alla scuola antropologica statunitense nota sotto il nome di “cultura e personalità”, riconosce il dato biologico come tratto ineludibile su cui però le società hanno costruito risposte e significati di ordine storico e culturale. Assieme ai lavori di Margaret Mead cui abbiamo precedentemente fatto riferimento, una delle principali esponenti di questo approccio antropologico è Ruth Benedict la quale pone proprio questo tema all'inizio di un breve, ma particolarmente denso, contributo comparativo sui modelli educativi:

Tutte le culture, in un modo o nell'altro, devono fare i conti con il ciclo di crescita che porta dall'infanzia all'età adulta. La natura ha posto la questione in modo drastico: da una parte il neonato, fisiologicamente vulnerabile, incapace di provvedere a se stesso o di partecipare di propria iniziativa alla vita del gruppo e, dall'altra, l'adulto, uomo o donna che sia. […] Il ruolo dell'antropologo non consiste nel mettere in dubbio i fatti della natura, ma nell'insistere sull'interposizione di un termine intermedio fra “natura” e “comportamento umano”; il suo compito è analizzare quel termine, documentare le rielaborazioni della natura che l'uomo compie a livello locale e insistere sul fatto che in ogni singola cultura queste rielaborazioni non dovrebbero essere attribuite alla natura. Nonostante sia un fatto naturale che il bambino diventi un uomo, il modo in cui avviene questa transizione varia da una società all'altra, e nessuno di questi particolari ponti culturali dovrebbe essere considerato il sentiero “naturale” verso la maturità. (1938: 65)

Più recentemente, e utilizzando invece una tradizione sociologica che ha in Bourdieu il suo principale ispiratore, De Luigi afferma nell'introduzione alla sua ricerca su alcuni gruppi di giovani nel nostro paese che:

17 Sulla stessa linea delle critiche formulate da Shalins si muovono anche quelle di Franco Crespi (1998: 22-25). Nel nostro paese, il dibattito attorno alle ipotesi sociobiologiche è stato avviato con il saggio di Bernardi (1979), per poi essere attraversato sia nel campo degli studi della parentela, sia nel dibattito sull'evoluzione umana.

La giovinezza, com'è noto, è una categoria frutto di un tipico processo di classificazione sociale organizzato attorno al criterio dell'età. L'età, a sua volta, rinvia ad un dato biologico, ma pure ad uno culturale, frutto dell'intreccio tra regole istituzionali, giuridiche e sociali. Così, oltre ad essere l'esito di un processo di sviluppo naturale del corpo umano, la giovinezza è anche il risultato dell'organizzazione sociale dell'età che si esprime attraverso l'elaborazione di un sistema di norme e di aspettative, con il quale non si definiscono solo specifici diritti e doveri o la possibilità di accedere a determinate istituzioni e risorse, ma si incoraggiano anche particolari pratiche e aspirazioni preferendole ad altre. (2007: 11)

L'adolescenza come “costruzione sociale”: l'ottica delle scienze sociali

Rispetto alla prospettiva sociobiologica, lo sguardo dominante nelle scienze sociali prende quindi in considerazione una serie di modificazioni che non riguardano soltanto il mutamento delle capacità fisiche e riproduttive, ma che mettono in questione da un lato l'acquisizione di tutta quella serie di competenze, responsabilità e aspettative che rendono l'individuo pienamente membro della società e dall'altro le trasformazioni a livello sociale. Nella prospettiva delle scienze sociali, il mutamento che contraddistingue questa fase della vita non riguarda quindi esclusivamente o prioritariamente il dato fisico e biologico, ne, tanto meno investe soltanto il singolo individuo, ma comprende trasformazioni complementari dell'individuo e della società. Questa prospettiva distingue anche lo sguardo socioantropologico da quello psicologico, il cui principale centro di interesse riguarda lo sviluppo individuale, in funzione del quale possono anche essere considerate le variabili ambientali. La doppia e contestuale trasformazione di individuo e società è stata indagata da tutti gli studiosi che si sono avvicinati alle questioni dell'età ed in particolare dell'adolescenza ed ha rappresentato uno dei primi oggetti di riflessione per entrambe gli indirizzi di studi sull'età che abbiamo precedentemente delineato (ivi cap. 2). Una prima tematizzazione di questa dinamica la si deve a Norman Ryder, il quale definisce il processo coordinato di trasformazione individuale e di ricollocazione dell'individuo nella società attraverso il termine “sociometabolismo”; nella formulazione del sociologo si tratta di un processo che riguarda tutte le trasformazioni connesse all'età e che tiene insieme, invece che separare e gerarchizzare, il dato biologico con quello socioculturale. Da questo processo discendono poi quella serie di norme e convenzioni che definiscono i comportamenti socialmente attesi e permettono di gestire il passaggio del singolo individuo da una fase all'altra della sua vita (1965, 1974).

articolato il “sociometabolismo” in due processi distinguibili sul piano analitico, ma nella realtà sovrapposti (1969, 1972). Osservando il sociometabolismo dal punto di vista della struttura sociale, il passaggio da una fascia d'età all'altra rappresenta un problema di “allocazione” del singolo individuo, ovvero di cambiamento e riassegnazione di un ruolo sociale; tale processo è limitato dal numero di posizioni sociali che sono disponibili all'interno di una società e dalla particolare posizione del singolo individuo, ad esempio in termini di genere e classe, rispetto a questo spettro di alternative. Dal punto di vista individuale, questo stesso processo necessita una fase di “socializzazione” per le funzioni che sono correlate al ruolo adulto; ciò comporta quindi un investimento individuale e la disponibilità di una quantità di tempo necessaria all'acquisizione di conoscenze e competenze. Si tratta, come afferma tra gli altri Coleman (1980), di un processo necessariamente critico che richiede una significativa dose di impegno perché l'individuo è portato ad abbandonare la posizione sociale che ha fino ad allora rivestito per acquisirne, a volte in via non definitiva o addirittura incoerente, una nuova:

L'approccio sociologico o psicosociale al tema dell'adolescenza è caratterizzato dall'interesse per i ruoli e il loro cambiamenti e per il processo di socializzazione. Vi sono pochi dubbi sul fatto che entro questa prospettiva l'adolescenza venga vista come una fase dominata da difficoltà e tensioni per effetto delle pressioni conflittuali provenienti dall'esterno. (1983: 27)

L'utilizzo di questo approccio nella definizione delle categorie di giovane e adolescente ha prodotto degli effetti significativi. In luogo di una lettura di questa come una fase naturale e necessaria del corso della vita, i fenomeni caratterizzanti di questo passaggio, ovvero la ridefinizione del ruolo e l'acquisizione di nuove competenze, non possono che essere rapportati ai contesti socioculturali entro cui i percorsi individuali si dispiegano18. In tal senso l'adolescenza e la gioventù non sono

analizzate sociologicamente in termini di caratteristiche intrinseche, ma sono considerate come “un costrutto sociale” (Saraceno 2001), “una categoria socialmente costruita” secondo Dal Lago e Molinari (2001), ovvero concetti il cui contenuto dipende dalle variabili storiche e culturali che orientano i rapporti sociali. Ragionando sul complesso delle trasformazioni legate allo scorrere dell'età, Vincenzo Cesareo afferma che:

18 La necessità di un assumere una prospettiva storica sui contenuti dell'adolescenza e della gioventù è stata confermata anche da alcuni studi che hanno segnalato come anche uno degli indicatori più stabili utilizzati per individuare la fine dell'infanzia e l'inizio dell'adolescenza, ovvero il raggiungimento della maturità sessuale abbia storicamente subito una serie di trasformazioni. Si tratta di quel fenomeno che Tanner ha chiamato “tendenza secolare” (1962, 1978), che ha comportato la discesa dell'età media del menarca da 16 anni nel 1860 a 13 anni e mezzo nel 1970.

L'età è un fenomeno assai più sociologico che cronologico; essa si riferisce infatti a categorie socialmente costruite che si utilizzano per descrivere il modo in cui si configurano i rapporti tra individui durante il corso della vita. (1998: 156)

“Invenzione”, “scoperta” o “generalizzazione”: elementi per la genealogia di una categoria

Proseguendo in questa direzione, possiamo sviluppare un ulteriore passaggio in avanti per la definizione dei concetti di adolescenza e gioventù. Nella letteratura socioantropologica si nota un sostanziale assenso sull'idea che le categorie di adolescenza e gioventù prendano forma socialmente con l'avvento della società industriale moderna. É, infatti, in questo preciso periodo storico che emergono una nuova serie di ruoli sociali praticabili da una fascia d'età fino allora non chiaramente