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L'ADOLESCENZA NELL'UNIVERSO ROM: CONCEZIONI SCIENTIFICHE, RETORICHE E STRUMENTI D'INDAGINE

2.2 Prospettive scientifiche sull'adolescenza all'interno dell'universo rom

In questo paragrafo ci proponiamo di considerare tre studi scientifici che, a differenza dei lavori precedentemente analizzati, utilizzano in modi diversi la categoria di adolescenza per descrivere le pratiche sociali dell'universo rom. Si tratta dei lavori pubblicati da Claudio Marta nel 1973, da Sandro Costarelli nel 1994 e nel 1996 e da Carlotta Saletti Salza nel 2003. I tre autori utilizzano prospettive metodologiche diverse e si pongono obiettivi di ricerca non paragonabili.

Il primo e l'ultimo sono delle etnografie realizzate in precisi contesti di osservazione. Da un punto di vista storiografico, il lavoro di Marta ha un carattere quasi pionieristico; la tradizione italiana di studi su questi gruppi vantava, infatti, alcuni precursori nobili, come Adriano Colocci, che fu anche direttore della storica “Gypsy Lore Society”, e il giurista Vincenzo Capobianco, le cui opere erano state pubblicati nei primi decenni del XX secolo. Con la sua ricerca, maturata a Roma entro le attività della prima cattedra di antropologia culturale di Tullio Tentori, e pubblicata nel 1973, si può infatti segnalare l'avvio di una nuova stagione di studi basati sulla preminenza accordata al lavoro di ricerca sul terreno, elemento caratterizzante della produzione etnografica prima e della riflessione critica poi di Leonardo Piasere, e dalla tendenza ad inquadrare i problemi affrontati all'interno del più ampio dibattito scientifico (cfr. Marta 1989). Marta si concentra su di un gruppo di rom lovara insediato nella periferia romana; il suo obiettivo è focalizzato principalmente sulle dinamiche di inculturazione e acculturazione, secondo il lessico che nei primi anni Settanta si andava sviluppando nel nostro paese per descrivere le dinamiche di contatto culturale45. Il testo di Saletti Salza, lavoro

molto più recente, che storiograficamente si inscrive entro quella che si è progressivamente definita come una scuola etnografica italiana sui gruppi rom fondata teoricamente e metodologicamente sui lavori di Leonardo Piasere, affronta, invece, le dinamiche e i soggetti protagonisti dell'educazione dei bambini rom che risiedono all'interno di un campo-nomadi di Torino. La ricerca è focalizzata su due contesti educativi, quello del campo-nomadi e la scuola che i bambini frequentano, individuando le particolarità di ciascuno e le contraddizioni che si sviluppano fra questi due poli. La ricerca di Costarelli può invece essere collocata da un punto di vista tematico nel filone degli studi di psicologia sociale, con influenze significative che provengono dalle metodologie della sociologia qualitativa. La ricerca, realizzata attraverso la somministrazione di un ampio questionario ad un campione rappresentativo di minori fra gli otto e i sedici anni che vivono in diversi campi-nomadi di Firenze, ha dato luogo a due pubblicazioni diverse con obiettivi distinti. Nella prima (1994) l'autore si propone di raffigurare la condizione complessiva dei minori rom, mentre nella seconda 45 Nel 1970, all'interno del volume curato da Bonin e Marazzi, viene tradotto per la prima volta in italiano il fondamentale “Memorandum per lo studio dell'acculturazione” pubblicato nel 1936 da autorevoli antropologi statunitensi quali Redfield, Linton e Herskovits. Già negli anni precedenti alla traduzione del saggio, Callari Galli (1965), Cirese (1965) e Lanternari (1969) avevano importato in Italia questo fondamentale dibattito.

(1996) intende discutere un'ipotesi sui criteri che determinano le differenze sociali all'interno delle società rom.

Nonostante queste differenze di metodo ed obiettivi, riteniamo utile e fondato il confronto fra questi tre lavori perchè da questi possiamo ricavare indicazioni significative sulla possibilità, o meno, di applicare la categoria di adolescenza all'interno dell'universo rom, sulle metodologie per descriverla e sulle concezioni teoriche complessive entro cui l'utilizzo di questa categoria si inscrive.

L'adolescenza da una prospettiva etnografica

Nel lavoro di Saletti Salza possiamo ritrovare una risposta chiara e precisa sulla questione dell'applicabilità o meno della categoria di adolescenza nell'universo rom: all'interno di una ampia riflessione sulle pratiche del nominare, ovvero sull'attribuzione e l'utilizzo di nomi all'interno della collettività studiata, l'antropologa afferma:

La lingua romanè, a quanto mi risulta, non ha una traduzione letterale del termine ragazzo per i soli rom, almeno non una forma utilizzata nel linguaggio colloquiale. La distinzione del romanè tra caorò [bambino] e rom [uomo, adulto] è una distinzione di status e non di età. Tra l'altro molti rom adulti, tantissimi vecchi, non sanno, e di loro non si sa, in quale giorno e in quale anno siano nati. (2003: 158)

Questa affermazione ci fornisce diversi elementi di particolare interesse che conviene sottolineare. Innanzitutto l'autrice conferma quanto abbiamo già riscontrato in tutta la letteratura sul tema, ovvero il fatto che le differenze che si riscontrano nelle pratiche sociali, nell'attribuzione ai singoli individui di possibilità e responsabilità, permettono di individuare soltanto due status sociali costruiti sulla base dell'età, due status fra loro irriducibili, senza alcuna posizione intermedia.

Inoltre Saletti Salza non attribuisce alcun valore al criterio anagrafico come strumento per sancire il passaggio da uno status all'altro: coerentemente col quadro teorico delineato da Fortes ed Eisenstadt, l'analisi di Saletti Salza mostra che l'età anagrafica è, da un punto di vista “emico”, priva di funzione sociale. Nell'indicare il momento di passaggio da una fase all'altra, l'autrice propone un riferimento soltanto indicativo all'età, segnalando però che il passaggio di status, riconoscibile anche dall'attribuzione di un nuovo nome, si realizza progressivamente, ma in maniera disomogenea e differenziale a seconda de diversi contesti relazionali e dei diversi interlocutori. In tal senso si può affermare che l'età anagrafica, con il suo stabilire una soglia formale che opera sugli individui a prescindere dal variare dei contesti e degli interlocutori, non costituisca un criterio ordinatore delle differenze di status all'interno della collettività rom studiata.

Infine, l'elemento più originale e utile al nostro percorso consiste nell'affermazione che da un punto di vista interno, ovvero dall'analisi delle pratiche sociali e linguistiche, la condizione di adolescente o di giovane, non più bambino ma non ancora adulto, non è riconosciuta all'interno dell'universo sociale considerato. In questo passaggio Saletti Salza non intende in alcun modo proporre una generalizzazione sulla questione dell'esistenza o meno dell'adolescenza all'interno di tutti i gruppi rom, ma ci restituisce quello che è il punto di vista interno, riconoscendo le particolarità e le sfumature delle pratiche sociali per il valore che hanno in quel particolare contesto, e valutando, sulla base delle pratiche documentate, l'applicabilità o meno di categorie descrittive.

La peculiarità di questo sguardo etnografico la possiamo riscontrare nei passi che l'antropologa dedica al tema delle pratiche educative all'interno del campo-nomadi. Saletti Salza conferma, in linea generale, l'idea che il modello educativo all'interno della collettività rom studiata sia orientato secondo i principi dell'indistinzione e dell'imitazione, e conferma anche la raffigurazione dei bambini come oggetto di attenzioni soltanto positive da parte di tutti i membri del gruppo. Tuttavia l'antropologa fornisce alcune significative variabili che complicano questa idea generale: anche se tutti gli individui legati al minore da rapporti di parentela tendono a prendersi cura di lui, sul terreno si possono riscontrare una serie di differenze nell'interpretare questo ruolo, differenze relative sia al luogo e alla situazione sociale in cui ci si trova e alla compresenza di altri uomini o donne più o meno prossimi al minore, sia alle modalità con cui ciascun individuo esercita questa funzione, sia ai rapporti che legano il nucleo familiare del bambino con quello dell'adulto (2003: 73 e seg.; 172 e seg.). Il diverso grado di coinvolgimento e di responsabilità traduce non soltanto le concezioni romanes dell'educazione e delle differenze di ruolo relative al genere e all'età, ma anche la trama contestuale dei rapporti sociali entro cui il minore e la sua famiglia sono coinvolti. L'immagine di una omogenea comunità educativa che si occupa allo stesso modo di tutti i minori viene ulteriormente complicata dai numerosi episodi documentati nel testo di giudizio e di critica fra i genitori riguardo le modalità educative e di cura e le inadempienze dei genitori: la figura del “bambino bandonato” (ibidem: 128) traduce di nuovo la trama di relazioni entro cui il minore e il suo nucleo sono coinvolti, ma questi giudizi mostrano in controluce le norme sociali relative all'educazione e alla cura dei minori. Infine, l'etnografa testimonia come la pratica dell'educazione per imitazione sia nella quotidianità accompagnata da quella che potremmo chiamare una rigida economia della conferma, generalmente attraverso il silenzio, e del rimprovero, esplicito ed evidente, che, di nuovo, dipende da chi sia l'adulto coinvolti, e dalla situazione sociale in cui adulto e bambino si trovano (ibidem: 162 e seg.).

La stessa prospettiva etnografica è stata messa all'opera da Claudio Marta nel suo lavoro del 1973, con esiti che appaiono però significativamente diversi e, per certi versi, contraddittori.

Nel lavoro di Marta la questione dell'adolescenza viene affrontata in due diversi momenti; ci soffermeremo ora sul capitolo dedicato alla descrizione della cultura e dell'organizzazione sociale del gruppo (1973: 27-45) e a quello che egli definisce il processo inculturativo46. In questo quadro,

l'autore assume due diverse posizioni in merito alla questione dell'esistenza e dell'applicabilità della categoria di adolescenza all'interno dell'universo rom. Da un lato, egli si pone in continuità con tutti gli autori fin qui considerati, affermando che non esiste uno status specifico per gli adolescenti all'interno della società rom che egli studia:

Quando passiamo ad esaminare il comportamento psico-sociale dell'adolescente rom, ci troviamo di fronte ad una realtà ben diversa da quella consueta. In questa cultura non esiste un ruolo specifico dell'adolescente ispirato alla ricerca di un proprio modello di vita e al rifiutò più o meno aperto della società degli adulti. L'adolescente rom lavori, forse anche perchè non conosce frustrazioni sessuali, manca di quella tipica caratteristica dei giovani della nostra società, l'idealismo, che costituisce una forte spinta per la ricerca di un suo posto nel mondo. (ibidem: 33)

Tuttavia, come appare già da questo brano, Marta non assume in maniera esclusiva un'ottica centrata sulle pratiche sociali e sulle concezioni romanes delle fasi della vita; nel suo lavoro egli sviluppa, invece, una costante tensione comparativa con le modalità di concepire l'età che sarebbero tipiche della società occidentale. Tale impostazione era stata esplicitata già in apertura del capitolo dedicato alla descrizione della cultura rom, laddove l'autore afferma che: “Per comprendere meglio le caratteristiche del gruppo, la presente trattazione riguarderà quei momenti che la psicologia infantile considera fondamentali” (ibidem: 27). Da questa prospettiva generale, che assume chiaramente un sapere occidentale come modello universale di riferimento, Marta affronta la questione dell'adolescenza a partire da domande, e utilizzando categorie, che non provengono direttamente dall'universo rom; il capitolo dedicato a questo tema inizia con questo esplicito posizionamento teorico: “Parlando di adolescenza, considererò innanzitutto lo sviluppo fisico e quello sessuale” (ibidem: 31). Entro questo quadro, l'autore delinea quindi una serie di caratteristiche proprie dell'adolescenza che consistono principalmente nelle trasformazioni fisiologiche dei giovani, ovvero nel raggiungimento della maturità sessuale.

46 In avvio del capitolo l'autore afferma: “Inizierò la descrizione di alcuni tratti della cultura di questo gruppo di zingari col considerare le modalità di inserimento di un nuovo individuo nella comunità.” (Marta, 1973: 27)

La maturazione fisica, collocata dall'autore attorno ai dodici anni (ibidem: 31), segna l'abbandono dello status di bambino, durante il quale il minore è oggetto di cura e di attenzione da parte di tutta la comunità di riferimento, mentre il compimento di quella che possiamo individuare come la principale transizione avviene attorno ai quindici anni e corrisponde, secondo l'autore, al raggiungimento della maturità fisica e quindi dell'età nuziale.

L'adolescenza come fase specifica della vita viene individuata quindi da Marta assumendo come criterio le trasformazioni fisiche e il raggiungimento della maturità sessuale; criteri ripresi dalla psicologia infantile del tempo che anticipano anche quell'ipotesi di Schlegel e Barry che abbiamo precedentemente delineato (ivi, cap. 1.1).

A queste caratteristiche fisiologiche dell'adolescenza si accompagnano, secondo l'autore, una serie di tabù e pratiche rituali che influenzano in particolare il comportamento e le possibilità d'azione delle giovani romnì:

Per tornare alla mestruazione, posso dire che per il gruppo di rom lovara essa non costituisce tanto un problema di psicologia sessuale, quanto di tabù. […] Nella cultura romanì il vero tabù è nel sangue, per cui ogni indumento femminile macchiato di sangue non può essere esposto alla presenza dell'uomo. (ibidem: 32)

I tabù imposti alle ragazze spingono l'autore a descrivere la condizione femminile nei termini di una “estrema soggezione all'uomo” (ibidem: 34): le giovani risultano infatti sottoposte a particolari forme di controllo e a proibizioni; tali pratiche tendono alla salvaguardia del loro onore, e, al contempo, quello di tutto il gruppo familiare.

Analizzando le limitazioni e i simbolismi relativi al menarca e al primo rapporto sessuale, l'autore tratteggia quindi una specificità della cultura di questo gruppo di rom lovara, una specificità che assume rilievo attraverso la comparazione con il modello culturale occidentale:

Il problema sessuale non presenta nell'adolescenza dei rom lovara la dimensione che ha nella nostra cultura. Mentre gli psicologi dell'età evolutiva studiando la nostra società possono individuare nell'adolescenza i tentativi del giovane di indirizzare in varie direzioni gli istinti sessuali […], gli studiosi della cultura rom hanno di fronte a se un quadro ben diverso. Il sesso, come si è visto, non costituisce mai un problema per i rom. (ibidem: 32)

contraddittorio. Da un lato si riscontra l'idea che l'adolescenza non esista come status sociale riconoscibile all'interno della società rom studiata; dall'altro lato, egli descrive una specifica condizione degli adolescenti definita in base a criteri sostanzialmente esterni rispetto a quelli dei rom, ovvero il criterio della maturazione fisica, peraltro individuata attraverso un preciso riferimento all'età anagrafica, e in riferimento alla letteratura psicologica sull'argomento.

La contraddizione fra le due asserzioni può essere ricondotta ai diversi punti di vista adottati nei due passaggi. Da un lato, lo sguardo incentrato sulle trasformazioni fisiche, così come l'attenzione al comportamento sessuale e al “mancato idealismo” dei giovani rom, sembrano rispondere al desiderio dell'autore di ricollocare le caratteristiche del suo oggetto di studio entro il quadro costruito dalla “psicologia infantile” (ibidem: 27), e quindi affrontando una serie di temi che nei primi anni Settanta costituivano lo stimolo e la preoccupazione del dibattito attorno alla gioventù e all'adolescenza nella società italiana.

Questo sguardo costruito sostanzialmente con categorie e obiettivi “esterni” alla realtà dei rom, utilizza, invece, materiali ed evidenze che provengono invece dall'osservazione diretta, da quello sguardo interno che contraddistingue il lavoro etnografico. Da questo punto di osservazione Marta riconosce non solo l'assenza di uno status specifico degli adolescenti, ma anche quelle modalità educative ispirate all'apprendimento diretto e all'emulazione del comportamento degli adulti (ibidem: 29), ovvero quella serie di caratteristiche che abbiamo già ritrovato in tutta la letteratura che ha trattato i temi dell'infanzia, dell'adolescenza e dell'educazione nell'universo rom.

Rispetto alla questione circa l'applicabilità di questa categoria all'universo rom, dal lavoro di Marta possiamo trarre delle indicazioni, come anticipato, contraddittorie. Da un lato, l'autore tratteggia una modalità di transizione all'età adulta caratterizzata dalla brevità temporale, dall'assenza di uno status specifico e dalle modalità educative improntate all'indifferenziazione e all'emulazione; dall'altro lato, l'autore utilizza l'adolescenza come una categoria che contiene contenuti specifici, sia sociali che simbolici, i cui limiti sono individuabili attraverso l'applicazione di un criterio in parte biologico, ovvero il raggiungimento della maturità sessuale, ed in parte anagrafico, e il cui interesse consiste principalmente nella comparazione con l'adolescenza occidentale.

L'adolescenza e le differenze sociali fra i rom

Un simile approccio viene utilizzato dallo psicologo sociale Costarelli. La ricerca a cui entrambe le sue pubblicazioni si riferiscono è stata realizzata attraverso la somministrazione di un questionario ad un campione di minori rom residenti nei campi autorizzati del Comune di Firenze (1994: 99 e seg.). Nella presentazione dei risultati, Costarelli distingue i minori in tre fasce d'età, dagli otto ai dieci anni, dagli undici ai tredici e dai quattordici ai sedici anni, assegnando a ciascuna una sua

denominazione, ovvero bambini, pre-adolescenti e adolescenti. Queste tre categorie, assieme alla distinzione per sesso, costituiscono la griglia su cui egli poggia le sue interpretazioni: in numerosi passaggi del testo egli sottolinea che le tre fasce d'età forniscono diverse risposte alle domande del questionario, evidenziando quindi diversi atteggiamenti o percezioni in tema, ad esempio, di frequenza scolastica (1994: 31-32), di lavoro (ibidem: 38) e di tempo libero (ibidem: 55). Anche le conclusioni a cui egli giunge sono informate a questo principio descrittivo:

I ruoli attuali, e quindi anche le attività che essi comportano, dei bambini Migranti di Firenze nell'ambito del proprio gruppo socioculturale di appartenenza non ci appaiono indifferenziate. Come già osservato presso altri gruppi nomadi, essi variano invece coerentemente, come si è evidenziato di continuo nel corso della descrizione dei dati raccolti, a seconda del sesso e dell'età propri del minore che li impersona, e in maniera più netta nel confronto e nell'ambito delle fasce d'età più estreme fra quelle considerate, ovvero 8-10 e 14-16. (ibidem: 72)

Le distinzione in tre fasce su cui Costarelli ha costruito la presentazione dei risultati non permette soltanto di individuare differenze significative nelle risposte al questionario, ma porta l'autore a individuare tre diverse gradazioni di ruolo attribuite ai minori. Pur senza alcun riferimento né a testimoni rom, né ad altre ricerche, le tre scansioni vengono infatti progressivamente delineate come tappe evolutive, segnate dall'acquisizione di status diversi sia all'interno del gruppo, sia nei contesti di contatto con la società gagè.

Questa ipotesi sulla natura dell'adolescenza all'interno della società rom si inscrive entro una raffigurazione complessiva delle gerarchie di questa società che, a giudizio dell'autore, è orientata di principio alla prevalenza della figura del maschio adulto e alla complementare subordinazione delle donne e in particolare delle ragazze (ibidem: 76 e seg.). Tale principio di differenziazione si riflette anche nella definizione delle scansioni d'età e nelle differenze di genere che contraddistinguono gli stadi dell'adolescenza.

Nel lavoro di Costarelli la categoria dell'adolescenza viene quindi applicata in maniera per certi versi analoga al lavoro di Marta: essa appare, cioè, come una categoria che non deriva dall'universo rom o dall'osservazione di pratiche nel contesto d'analisi. A differenza del lavoro di Marta, non ritroviamo in questa pubblicazione quella domanda di comparazione con i modelli psicopedagogici della società occidentale che costituiva il principale stimolo all'utilizzo della categoria dell'adolescenza. In questo lavoro la categoria in questione viene invece presupposta, nel momento di organizzazione e interpretazione dei dati, e ulteriormente confermata, laddove le differenze

riscontrate nelle tre fasce d'età vengono utilizzate per confermare l'ipotesi di fondo circa i criteri di differenziazione all'interno della società rom.

In un lavoro successivo dedicato ad una più complessa interpretazione degli stessi dati (1996), lo stesso autore mette in discussione questo impianto; il punto di partenza è la critica, di stampo relativista, all'applicazione delle categorie descrittive della fasi della vita in contesti socioculturali diversi; in questo quadro, egli afferma che:

[…] dovrebbe risultare abbastanza chiaro il fatto che la scelta di prendere in considerazione un corpus di dati relativi a una società come quella rinvenuta sul terreno studiato, disaggregandoli in determinate fasce d'età peraltro corrispondenti a gradi d'età salienti in contesti societari complessi (8-10 anni: seconda infanzia; 11-13 anni: preadolescenza; 14-16 anni: adolescenza) è stata dettata da esigenze particolari espresse in maniera inderogabile dal committente la ricerca. (ibidem: 249-250)

Il distanziamento dalla griglia interpretativa precedentemente usata non influisce però sulla delimitazione del campione e sull'interpretazione, ovvero sull'utilizzo del criterio anagrafico per