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Altri sguardi sull'adolescenza rom: la postura autobiografica, le prospettive della vittima, del colpevole e del lavoro sociale

L'ADOLESCENZA NELL'UNIVERSO ROM: CONCEZIONI SCIENTIFICHE, RETORICHE E STRUMENTI D'INDAGINE

2.3 Altri sguardi sull'adolescenza rom: la postura autobiografica, le prospettive della vittima, del colpevole e del lavoro sociale

In questo capitolo ci proponiamo di sviluppare una ricognizione di un'altra letteratura entro cui viene messa all'opera la categoria di adolescenza rom. Si tratta di lavori diversi per finalità e struttura, che intendiamo però considerare insieme in ragione del fatto che in tutti questi testi possiamo rinvenire la categoria di adolescenza utilizzata in senso generale non da un punto di vista emico, ovvero, nonostante si tratti anche di autobiografie, non derivata dalla documentazione delle concezioni dell'età all'interno dell'universo rom. In questi lavori, fra loro diversi, la categoria di adolescenza viene, invece, utilizzata per descrivere mutamenti e trasformazioni generali che caratterizzano la situazione attuale dei rom nel nostro paese. La categoria di adolescenza in questo contesto discorsivo non si iscrive entro un ragionamento centrato sulle fasce d'età, ma deriva, invece, dall'attenzione ai contesti della contemporaneità e, soprattutto alle dinamiche di cambiamento che vi si sviluppano.

L'adolescenza nelle storie di vita di autori rom

Un primo gruppo di opere utili al nostro percorso è composto da alcune autobiografie scritte da autori rom, in particolare da Davide Halilovic (1999), Najo Adzovic (2005) e Veljia Ahmetovic (2005).

Questo tipo di prodotti letterari ha assunto da tempo lo status di oggetti di analisi per le scienze sociali, soprattutto a partire dagli anni Settanta, in relazione ai mutamenti di paradigma scientifico che hanno investito anche le scienze storiche, privilegiando nuove dimensioni dell'analisi sociale. Sinteticamente, possiamo affermare che l'attenzione alle fonti orali e di seguito alle storie di vita ha preso forma all'interno di un mutamento di prospettiva che intendeva privilegiare la prospettiva del singolo attore sociale quale protagonista di percorsi individuali che attraversano la struttura sociale, e produttore di significati non riducibili all'universo culturale di appartenenza52.

Per le nostre finalità, intendiamo considerare innanzitutto le specificità dei singoli autori, innanzitutto da un punto di vista sociologico, ovvero individuando brevemente alcuni elementi delle rispettive traiettorie biografiche in comparazione con quelle degli autori rom già considerati. Questa modalità di analisi dei testi biografici è stata sperimentata, tra gli altri, da Pierre Bourdieu che fin dall'apertura del suo volume assume una precisa posizione nel dibattito sulla singolarità dei testi

52 Lo statuto di tali fonti e le modalità di utilizzo costituiscono alcuni dei temi di dibattito epistemologico e metodologico che tali oggetti hanno suscitato; in riferimento al dibattito italiano si può trovare una sintesi delle diverse metodologie di utilizzo di queste fonti nei lavori di Giovanni Contini (1993), Alessandro Portelli (1999), Antonelli e Iuso (2001).

biografici e il loro utilizzo come oggetti d'analisi:

Non ho alcuna intenzione di sacrificare al genere dell'autobiogrfia: ho già avuto più volte occasione di dire che lo considero convenzionale e illusorio. Vorrei soltanto tentare di mettere insieme e di esporre alcuni elementi di auto-socioanalisi. […] Capire significa capire innanzitutto il campo con il quale ed entro il quale ci si è fatti. […] Ma per capire come e perchè si diventa filosofi devo anche tentare di evocare lo spazio dei possibili per come mi appariva allora. (2004: 11-15)

Di seguito intendiamo analizzare le strategie narrative con cui questi autori costruiscono nel testo la propria specificità rispetto ai contesti sociali attraversati. L'utilizzo delle autobiografie come terreno d'analisi delle dinamiche che il singolo individuo instaura col contesto socioculturale di provenienza rappresenta uno dei terreni elettivi di questo ambito di studi, su cui emerge la capacità del singolo attore\autore di dare senso agli elementi del contesto e di costruirvi le sue personali strategie sia d'azione che retoriche. Fra i diversi autori che hanno riflettutto su questa prospettava, possiamo riprendere le parole di Fabio Dei, secondo il quale:

la consapevolezza del carattere “costruito” delle memorie, in particolare di quelle autobiografiche, ci impedisce di assumere le testimonianze in un’ottica realista, spingendoci invece ad esaminarne la configurazione retorica e discorsiva e la contestualizzazione pragmatica: a cercare di capire, in altre parole, quanto sono influenzate da modelli narrativi, dalla situazione comunicativa in cui emergono, dalle finalità in senso lato “politiche” dei narratori, e così via. (2004: 35)

All'interno di questa cornice considereremo poi i brani del testo dedicati specificamente al tema dell'adolescenza.

Halilovic, Adzovic e Ahmetovic provengono da famiglie rom originarie della ex-Jugoslavia, luogo storico di insediamento di diversi gruppi di rom, ma anche punto di partenza di flussi migratori ingenti che, fin dagli anni Sessanta, hanno portato molti nuclei di rom serbi, bosniaci, kosovari e macedoni a raggiungere diverse metropoli italiane ed europee. La ricostruzione del percorso migratorio è un tema che accomuna fra loro queste tre autobiografie e le distingue dal lavoro di Spinelli e Morelli.

Un elemento, invece, di contatto fra le tre autobiografie e i saggi dei due autori abruzzesi già citati consiste nella centralità attribuita al tema della discriminazione subita dai rom nel nostro paese. Per

Spinelli e Morelli la presentazione della cultura rom costituisce come abbiamo visto una modalità di risposta a questa condizione di discriminazione. Nelle tre autobiografie, pur con toni e accenti diversi, la condizione di sofferenza e di marginalità del popolo rom rappresenta lo sfondo che pervade la narrazione individuale o che ne costituisce il movente principale. Nel lavoro di Halilovic, la discriminazione subita è una sorta di antagonista diffuso lungo la narrazione, contro la quale si costruisce il suo percorso biografico; l'incipit del suo lavoro testimonia di questa tensione fra desideri individuali e quelle difficoltà incontrate lungo la vita che dipendono precisamente dal fatto di essere riconosciuto come “zingaro”:

Mi chiamo Davide Halilovic, sono nato a Firenze, ho 18 anni. Sono un ragazzo rom, cioè sono uno zingaro. Questa è la mia storia, di quel che ho passato con i miei familiari e gli altri rom cioè zingari, di come viviamo. Sono un ragazzo con tanti sogni da realizzare che sono la mia vita e che non posso realizzare; ci sono tanti brutti problemi perchè sono uno zingaro, se mi devo trovare un lavoro non me lo danno e noi in famiglia siamo in undici. (1999: 9)

L'incipit del lavoro di Halilovic ci permette di individuare un'altra differenza rilevante fra le tre autobiografie e i saggi di Spinelli e Morelli: nessuno dei tre autori stranieri assume esplicitamente il ruolo di interprete della “tradizione rom”. I tre si presentano, invece, come portatori di una esperienza individuale che vuole al contempo essere singolare ed esemplificativa.

Così, nell'organizzazione del racconto di vita, il riferimento alle norme e alle pratiche tradizionali tende a precedere il racconto delle esperienze personali, fornendo al lettore una sorta di cornice agli eventi narrati, ma sono poi proprio le esperienze personali, le scelte e le traiettorie di ciascuno che mostrano un rapporto dinamico, a volte anche conflittuale, con la “tradizione” appena descritta. Da questo punto di vista gli autori si collocano in una posizione ben diversa e distinta da quella di Morelli e Spinelli, perchè in maniera più o meno esplicita essi sottolineano una diversità che è singolare, non più del gruppo o della “cultura”, e corrisponde alla loro esperienza biografica. La singolarità autobiografica si staglia su uno sfondo che è sia quello della società gagè discriminante, sia quello della società rom, i cui limiti e contraddizioni sono raccontati lungo i percorsi biografici. Per le nostre finalità è interessante sottolineare innanzitutto le modalità con cui essi tendono a distinguere se stessi come individui, o il proprio gruppo, sia dalla presunta “tradizione” che dagli altri rom. Nel racconto di Halilovic, la distinzione emerge fin dalle prime fasi del racconto, quando il proprio nucleo familiare entra in contatto con un gruppo di altre famiglie rom che arriva ad abitare nella stessa area:

[…] e un giorno vennero ad abitare nel nostro campo degli altri zingari. Loro stavano bene e avevano i soldi perchè facevano di tutto a lavorare e avevano delle bellissime macchine e roulotte, erano puliti e avevano bei vestiti addosso. E mio padre quando li ha visti è rimasto imbarazzato di quello che avevano di ricchezza. […] Erano bosniaci e di lavoro rubavano e loro vedevano che noi eravamo messi male e mio padre aveva quel lavoro che faceva le pentole e loro chiesero a mio padre se voleva andare a lavorare con loro, e mio padre non ha accettato perchè aveva paura e non voleva neanche, gli ha risposto è meglio la vita che faccio che andare a rubare. (1999: 15)

Il “noi” a cui Halilovic si riferisce è quindi un ristretto ambito familiare, mentre la terza persona plurale segnala la diversità e l'estraneità di un altro gruppo di rom. Fin dalle prime pagine del suo racconto, l'autpre descrive quindi un universo fatto di differenze, nelle pratiche e nella morale, che attraversano i gruppi rom; se l'opera di differenziazione è uno dei presupposti per costruire la singolarità dell'autore, essa al contempo si concretizza anche nell'assenza di qualsiasi traccia di solidarietà “tradizionale” che dovrebbe garantirne l'unità:

Gli altri zingari hanno i soldi e potrebbero comprare una casa, ma non se la comprano, preferiscono la vita che fanno. Non pagano le tasse, non pagano l'affitto e fanno danni come, ad esempio, rubare il rame alle grandi ditte. Quando comprano una macchina sfasciata per pochi soldi. (ibidem: 53)53

Questa operazione di distanziamento e di differenziazione dagli altri rom spinge Halilovic fino al limite della riconoscibilità come membro del gruppo. Tale dinamica appare in maniera evidente in quei momenti di passaggio in cui agiscono, da un lato, le aspirazioni e le esperienze del protagonista e, dall'altro, le aspettative e le pressioni che il gruppo e le tradizioni esercitano su di lui. Così, all'interno del racconto delle complesse vicende del suo matrimonio, lo stesso autore tratteggia questa dinamica attraverso il suo conflitto con la madre della sposa:

[…] ora la madre non si può intromettere mai più, , è proprio finita, ma la madre lo

53 La distinzione nei confronti degli altri rom che praticano attività illegali è una costante del racconto di Halilovic che ritorna sia attraverso una serie di giudizi negativi espressi sugli altri, sia all'interno del racconto di vicende e situazioni vissute direttamente. Particolarmente interessante è il lungo racconto di un vero e proprio episodio di formazione in cui, ancora una volta, i rom appaiono come portatori di rischi e di pericoli, mentre i gagè appaiono in funzione salvifica (1999: 63 e seg.). A seguito di questo racconto Halilovic abbozza una sorta di storia dell'avvio e della diffusione delle attività criminali e delle trasformazioni che queste avrebbero generato. (ibidem: 73)

faceva ancora perchè non mi vedeva come gli altri , nel senso come gli altri rom, ma lei mi vedeva come un italiano, mi vedeva strano perchè io non ero come loro, loro facevano cose brutte e io non le facevo come lavoro (ibidem: 50)

Nell'autobiografia scritta da Najo Adzovic la distanza e la differenza dagli altri rom si delinea già nel racconto dei primi anni di vita passati nella regione dell'Erzegovina dell'allora Repubblica Jugoslava, quando l'autore, unico in tutta la sua famiglia, inizia a frequentare regolarmente la scuola, e si conferma più avanti, quando Adzovic racconta il suo ingresso nell'esercito regolare Jugoslavo e poi la sua diserzione nel momento in cui inizia la guerra civile.

Rispetto alla distinzione che Adzovic e Halilovic operano riferendosi a fatti e scelte personali, Ahmetovic opera invece su di un livello diverso. Dopo aver brevemente descritto come il suo gruppo di rom bosniaci si sia insediato negli ultimi decenni nelle principali città europee, entrando così in contatto contatto con gli oggetti e i simboli della modernità, egli afferma in maniera lapidaria la necessità di assumere un atteggiamento non più conservativo e difensivo nei confronti della tradizione:

Da questo si vede quanto ancora ci manca la civiltà, quanto siamo indietro rispetto ai gagi e quanto tempo servirà per arrivare a quello standard di vita. Io non sono contrario al punto di voler cancellare i nostri costumi, ma non penso nemmeno che bisogna vestire oggi con gli stessi abiti del XV secolo. Ogni popolo senza il proprio passato non ha nemmeno il futuro, ma nei Rom il passato vive a lungo, per non dire troppo a lungo. (2006: 55)

Senza alcun riferimento personale, ma esprimendo sinteticamente un giudizio sulle dinamiche sociali del presente e del futuro, Ahmetovic prende distanza da una idea di tradizione immutabile e da chi se ne fa interprete anche in quella dimensione del quotidiano vissuta nelle metropoli europee. Questo livello del discorso è affrontato anche da Halilovic e Adzovic che, oltre a distinguersi dagli altri rom, operano anche una distinzione da quelle che loro stessi descrivono come le tradizioni del gruppo. Nel testo di Halilovic, la distinzione dalle usanze tradizionali si consuma in diversi passaggi cruciali della vita, come ad esempio nel momento del matrimonio, ed è strettamente collegata alle sue scelte di vita, rinforzando quella dimensione individuale che lo mette in contrasto con la tradizione e con il resto del gruppo:

nostro matrimonio, se la donna non è vergine il padre suo deve restituire tutti i soldi, deve rispettare ! E lei [la sua promessa sposa] non è venuta vergine al matrimonio ! Io dovevo dirlo ai miei genitori e ai suoi, ma non lo confessai perchè se lo confessavo la punivano e a me dispiaceva molto e lei piangeva. (Halilovic 1999: 41)

Anche nel racconto di Adzovic il momento del matrimonio è descritto come un momento di scontro e di mediazione con la tradizione (2005: 32), uno scontro fra codici e aspettative sociali e scelte individuali, ma in maniera ancora più netta quest'autore testimonia di una serie di trasformazioni che intaccano ruoli e comportamenti tradizionali, trasformazioni che sono il prodotto del contatto e dell'interazione con la società gagè e che portano alla formazione di nuovi equilibri:

Nella nostra cultura è assolutamente vietato ad una donna di parlare e discutere alla presenza di altri uomini. Ad esempio, quando si fanno le feste, le donne devono restarsene in disparte tra di loro e non devono avere nessun contatto con gli uomini, a meno che non sia loro direttamente richiesto. Ma tutti questi doveri sono oggi solo in parte mantenuti, anche a seguito della vita stanziale che noi Rom oggi conduciamo. Quasi tutte le nostre abitudini sono cambiate radicalmente, ma alcune ancora sopravvivono e riguardano soprattutto le donne. (ibidem : 68)

Nel racconto di Adzovic e in quello di Halilovic l'esperienza scolastica viene presentata come la principale esperienza di rottura rispetto alla tradizione e al gruppo di provenienza. Adzovic ne aveva già fatto un tratto distintivo, anche rispetto ai suoi familiari, raccontando i primi anni di vita in Jugoslavia, ma ne sottolinea l'importanza ragionando sulla situazione complessiva che i giovani sperimentano in Italia:

Alcuni importanti e notevoli cambiamenti si stanno già verificando in tutta Europa: i nostri ragazzi, bambini e adolescenti, frequentano infatti regolarmente gli istituti scolastici; quotidianamente imparano a convivere con tutti gli altri loro coetanei e si stanno già adesso avvicinando al loro modo di essere e di pensare, riuscendo così a comprenderli e a farsi comprendere, consapevoli di quello che li aspetta in questa società e di quello che sarà il loro futuro. ( ibidem: 49)

La scuola viene quindi individuata come contesto di contatti e di trasformazioni che intaccano le pratiche tradizionali e producono mutamenti nell'orizzonte delle pratiche quotidiane:

I bambini oggi si vestono come tutti gli altri bambini gagè, cosa che fino a tempo non potevano fare, così come non potevano andare al cinema oppure andare a vedere una partita insieme ai loro amici. Questi cambiamenti sono dovuti principalmente al loro inserimento scolastico e da quello di noi genitori nell'ambito lavorativo. (ibidem: 68)

Halilovic non si cimenta su questa prospettiva più generale, ma il suo racconto è particolarmente interessante perchè se da un lato mette in scena l'eccezionalità del suo percorso scolastico rispetto agli altri rom, fornendo sempre una descrizione positiva di questa esperienza e delle relazioni con i gagè, dall'altro lato mostra un elemento particolarmente rilevante: per quanto il giovane e la sua famiglia sembrino investire nella scolarizzazione, la frequenza scolastica è comunque subordinata alle scelte e alle esigenze del gruppo familiare. Halilovic deve così abbandonare la scuola perchè è necessario che egli vada a lavorare con suo padre, ma non manca di raccontare il suo profondo dispiacere per la perdita di quelli che ha descritto con calore come i suoi amici e di quegli insegnanti che avevano sostenuto il suo percorso. Egli sembra delineare in questo passaggio un altro terreno di potenziale conflitto e di trasformazione che attraversa le unità familiari nella definizione di strategie e prospettive per il futuro del gruppo e di ciascuno dei suoi membri: in questo caso, il desiderio individuale di proseguire il percorso scolastico viene sacrificato ai superiori interessi e obiettivi del nucleo familiare, ma iniziano ad intravedersi delle crepe, o quantomeno delle sofferenze individuali, in quel sistema familiare di gestione delle traiettorie individuali.

La posizione di Adzovic risulta più esplicitamente orientata verso l'idea della necessità del mutamento: egli sottolinea più volte la distanza fra le generazioni come elemento di tensione e di cambiamento, un cambiamento che interroga però tutta la società rom.

Tutti questi cambiamenti hanno portato il nostro popolo ad acquisire una mentalità e delle abitudini stanziali. Abbiamo imparato a conoscere e a praticare la cosiddetta vita civile. Anche se ha sempre arrecato molto disturbo a qualcuno vedere che i Rom, anche loro, vivono come tutti quanti gli altri. O che, almeno, ci stanno provando. In tutti i modi, secondo le nostre possibilità. (2005: 48)

L'istanza del cambiamento rispetto alla “tradizione” costituisce il tratto più caratterizzante del lavoro di Adzovic, tanto che egli dedica a questo tema le ultime parole della sua autobiografia:

una testimonianza sulla nostra storia. Un libro sui rom scritto da un rom; la nostra cultura, le nostre tradizioni e le nostre usanza. Ma, soprattutto, il nostro cambiamento degli ultimi decenni. (2005: 105)

Al di là delle valutazioni complessive dei singoli autori, ciò che interessa il nostro percorso è il fatto che rispetto alle altre opere che abbiamo precedentemente delineato, le tre autobiografie affrontano in maniera più esplicita e diffusa il tema del mutamento culturale e individuano proprio l'adolescenza e la gioventù rom come la fascia di popolazione protagonista di queste dinamiche. Entrambi, come visto, individuano nell'esperienza scolastica uno dei principali fattori di mutamento, e potenzialmente di conflitto, delle pratiche dei giovani rom. Tuttavia, nella letteratura scientifica sull'inserimento scolastico dei minori rom il focus principale d'interesse consiste nell'individuazione delle ragioni del successo e dell'insuccesso scolastico, e soltanto in maniera indiretta vi si possono trovare indicazioni o spunti sulle trasformazioni che investono i giovani rom. Gli altri terreni di relazione e di mutamento che questi possono invece frequentare, anche a partire dall'esperienza scolastica, vengono raramente considerati in questa letteratura così come non ne viene preso in considerazione il potenziale di influenza sui giovani.

Vittime e colpevoli: l'adolescenza rom sub specie criminalitatis

Il tema del coinvolgimento dei minori rom in attività criminali e nei circuiti dello sfruttamento rappresenta una delle cornici all'interno delle quali si possono trovare il maggior numero di rappresentazioni, e in alcuni casi anche di analisi, della condizione dei giovani rom.

Si tratta, chiaramente, di un terreno ambiguo, che non sconta soltanto la mancata tematizzazione di categorie e strumenti descrittivi, ma anche il fatto che vi si scontrano retoriche e punti di vista che trovano spesso la loro ragione fondativa ben al di là delle tematiche affrontate. L'ossessione securitaria che nel nostro paese influenza da decenni il discorso pubblico sull'immigrazione54, ha

infatti facilmente individuato nei rom, e nei minori rom in particolare, un oggetto elettivo, un candidato ideale per occupare, con le parole di Sigona, il “nemico pubblico numero uno” (2008).