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Genesi e modalità di manifestazione della crisi aziendale

Roma, 6 dicembre

2. Genesi e modalità di manifestazione della crisi aziendale

nell’assicurazione.

Per affrontare adeguatamente il tema della crisi dell’impresa assicuratrice – ed ipotizzare meccanismi di risoluzione – occorre a mio giudizio soffermarsi brevemente sulla struttura patrimoniale e reddituale delle compagnie e su genesi e modalità di manifestazione della crisi aziendale.

Cominciamo dalle passività. Il passivo è dato in piccola parte dai mezzi propri ed in misura preponderante dalle riserve tecniche, ovvero da una posta stimata volta a rappresentare l’insieme degli impegni verso gli assicurati per i rischi ancora in corso (per i quali è già stato percepito il premio) o per quanto da pagare (mi si

consenta la semplificazione).

Per avere un’idea delle proporzioni, a valutazioni market consistent SII le riserve tecniche del mercato rappresentano intorno al 90% dell’ attivo totale.

A sua volta più della metà dei fondi propri è data dalla riserva di riconciliazione, che è principalmente il risultato di differenze tra la valutazione civilistica e la valutazione ai sensi di Solvency II, ed in quanto tale suscettibile di importanti oscillazioni.

Fatta questa premessa, si può fare qualche riflessione.

Enorme – sia in termini percentuali che assoluti – è l’incidenza di una posta stimata, le riserve tecniche, ma estremamente rilevante è anche l’incidenza di un’altra posta estremamente volatile, la riserva di riconciliazione.

Anche limitati scostamenti delle stime finiscono inevitabilmente per erodere i mezzi propri con effetti potenzialmente dirompenti, l’impresa con mezzi propri insufficienti non può rimanere sul mercato in quanto è a rischio di non poter far fronte in futuro – in condizioni avverse – ai propri impegni verso gli assicurati.

Scostamenti più significativi implicherebbero l’insufficienza dell’attivo anche a rispettare gli impegni in essere, sostanzialmente l’incapienza degli attivi a copertura delle riserve tecniche e la conseguente falcidia delle aspettative degli assicurati.

Nel primo ambito si muovono le misure di vigilanza volte a monitorare o ricostituire il Solvency Capital Requirement o il Minimum Capital Requirement. Ma in tale ambito potrebbero trovare ospitalità anche misure di risoluzione che non implichino la partecipazione alle perdite degli assicurati (fintanto che le riserve tecniche sono coperte non ce n’è bisogno).

Gli arnesi del mestiere potrebbero in parte essere quelli già offerti dallo strumentario di vigilanza, ai quali abbinare ulteriori e nuovi poteri di intervento volti a preservare la continuità aziendale (congelare i recessi nel vita o applicare il tacito

rinnovo e sospendere temporaneamente la disdetta nel danni, evitare l’esodo dei riassicuratori, ecc.).

Già disponibili all’uso sono, ad esempio:

• art. 222 CAP, ove i primi interventi di vigilanza sono possibili anche nel solo caso in cui sia messo a rischio il SCR;

• art. 222 comma 2 quater, ove è disposto che, in presenza di situazioni eccezionalmente avverse aventi ripercussioni su imprese di assicurazione e riassicurazione che rappresentano una quota significativa del mercato o delle aree di attività interessate, l'IVASS può estendere il periodo di tre mesi richiesto per l’esecuzione del piano di risanamento fino a un tempo massimo di sette anni, tenendo conto di tutti i fattori pertinenti, ivi inclusa la durata media relativa delle riserve tecniche;

• art. 223-bis, l'IVASS può adottare tutte le misure necessarie per salvaguardare gli interessi dei contraenti in caso di contratti di assicurazione o il rispetto degli obblighi derivanti da contratti di riassicurazione. Tali misure sono proporzionate e riflettono il livello e la durata del deterioramento della solvibilità dell'impresa di assicurazione o di riassicurazione;

• artt. 230 e 231, su commissario per la gestione provvisoria e amministrazione straordinaria.

Si tratterebbe di orientare l’uso di tali poteri anche per operazioni di ristrutturazione con cessione di aree aziendali.

Inoltre il confronto con la disciplina della risoluzione nel mondo bancario richiama inevitabilmente la possibilità di far partecipare alle perdite gli obbligazionisti.

E’ a tal proposito da precisare che la disciplina di vigilanza consente di ricorrere a passività subordinate che però, proprio in quanto contribuiscono all’SCR, hanno già nel proprio regolamento le condizioni di assorbimento delle perdite richieste per rispondere ai requisiti di capitale. Si tratta, in genere, di emissioni sottoscritte da investitori istituzionali e solo talvolta cartolarizzate.

L’ordinamento non preclude la possibilità di reperire prestiti con clausole di subordinazione diverse e che non ne consentano l’utilizzabilità fra gli own funds, ma l’esperienza finora ha mostrato l’eccezionalità del ricorso alle emissioni obbligazionarie da parte del mercato. L’emissione di obbligazioni a mero scopo di

funding non è tipica del settore assicurativo, caratterizzato dall’inversione del ciclo

produttivo.

In sostanza, la trasformazione del capitale di debito in capitale di rischio è già regolata da SII e va valutata comunque in un contesto ben diverso da quello bancario.

Qualche cenno meritano anche gli investimenti delle imprese assicuratrici, ciò non tanto per evocare strumenti di risoluzione ma per chiarire una delle tipicità delle liquidazioni assicurative e marcare il passaggio dal passato al futuro.

Per effetto della più volte richiamata inversione del ciclo produttivo le compagnie devono investire a medio/lungo termine una cospicua parte dei ricavi. Ciò richiede che gli investimenti siano di buona qualità, redditizi e di facile e pronta liquidazione al momento in cui occorre erogare le prestazioni. La dinamica delle crisi assicurative ha nel lontano passato consentito a imprenditori malaccorti (o troppo accorti) di procrastinarne l’emersione grazie alla natura stimata degli impegni ed alle lunghe scadenze dei pagamenti, infarcendo il patrimonio aziendale di beni di scarsa qualità in prossimità della liquidazione. Tale fenomeno ha non solo contribuito a deprimere le possibilità di soddisfazione dei creditori assicurativi ma ha spesso inciso in maniera decisamente negativa sulla durata delle procedure liquidative.

Pian piano la Vigilanza assicurativa si è attrezzata anticipando sempre più le proprie capacità di intervento e ciò ha avuto effetti positivi anche sulla qualità delle liquidazioni. Non è un caso che oggi si vadano a chiudere liquidazioni con età anagrafica nettamente diversa. Ben venga, in tal senso, ogni suggerimento per affinare i poteri di early intervention.

Un primo passo decisivo in tale ambito fu fatto con la legge n.20 del 1991 che introdusse limiti alla possibilità di detenere partecipazioni, il potere di ordinarne la

dismissione ed il vaglio preventivo delle operazioni infragruppo con correlato potere di vietarle.

Questo importante tassello offrì alla vigilanza uno scudo robusto per impedire alle compagnie in difficoltà l’immissione maliziosa di beni di dubbia qualità.

Ma la genesi della crisi aziendale non si annida solo nel malaffare, quanto anche nei rischi connessi alla gestione degli investimenti ed a quelli della gestione tecnico-assicurativa. Una gestione finanziaria “sfortunata” non consentirà di accantonare somme sufficienti a soddisfare gli impegni.

Ma soprattutto una politica tariffaria troppo aggressiva o errata comporterà l’incasso di premi non sufficienti a garantire gli impegni presi e, quindi, indurrà ad appostare riserve tecniche non congrue ed effettuare investimenti non proporzionati all’ammontare effettivo degli impegni.

Ecco che l’attenzione si sposta naturalmente sui prodotti, sulle promesse vendute e – sulla falsariga di quanto recentemente previsto nel mondo bancario - evoca la possibilità che gli assicurati partecipino alle perdite per evitare la liquidazione della compagnia.

Ci si potrebbe chiedere perché mai l’assicurato che abbia pagato un premio insufficiente a garantire la promessa assicurativa – si immagini una garanzia di rendimento minimo fuori mercato – debba dolersi del veder riproporzionato il proprio diritto. Diritto che, peraltro, verrebbe inevitabilmente falcidiato dalla liquidazione.

Giova rammentare che mentre il mercato italiano – soprattutto nei decenni scorsi – emetteva prodotti vita con garanzie di rendimento poliennali elevate, in altri mercati polizze similari conferivano un’aspettativa ad un rendimento non predeterminato, bensì da verificare in funzione della gestione economico-finanziaria della compagnia.

Infine, per completare questa rapida carrellata degli elementi che caratterizzano la gestione assicurativa e ne condizionano la gestione delle crisi, merita un’apposita

menzione anche il fatto che i diritti dei creditori assicurativi sono rappresentati in bilancio da una posta tecnica stimata e nei rami danni – al momento della liquidazione – continuano ad essere indefiniti nell’an e nel quantum fintanto che la definizione del danno venga accettata dall’avente diritto o si pervenga ad una transazione o a sentenza.

L’esperienza mostra come nel caso delle liquidazioni sia il percorso giudiziario quello quasi esclusivamente battuto; con ciò rinviando la formazione dello stato passivo definitivo ben oltre gli usuali tempi di definizione delle riserve.

3. Il mercato assicurativo, volumi e principali aree di prodotto. Diverse