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La salvaguardia del portafoglio nelle passate esperienze

Roma, 6 dicembre

4. La salvaguardia del portafoglio nelle passate esperienze

Passerei ora a riflettere sulla possibilità di praticare soluzioni “spezzatino” che possano consentire la salvaguardia di parte del complesso aziendale. Richiamerei al riguardo alcune norme del CAP e di previgenti disposizioni di legge che offrono utili riferimenti.

Già in fase liquidatoria l’art. 257 del CAP dispone che i commissari, con il parere favorevole del comitato di sorveglianza e previa autorizzazione dell'IVASS, possono cedere le attività e le passività, l'azienda, rami d'azienda, nonché beni e rapporti giuridici individuabili in blocco. La cessione può avvenire in qualsiasi stadio della procedura, anche prima del deposito dello stato passivo. Il cessionario risponde comunque delle sole passività risultanti dall'atto di cessione.

Inoltre i commissari possono trasferire il portafoglio, nella sua totalità o per singoli rami e senza che il trasferimento sia causa di scioglimento dei contratti di assicurazione ceduti, ad altra impresa che disponga di adeguate risorse patrimoniali entro sessanta giorni dalla pubblicazione del provvedimento di liquidazione mediante convenzione approvata dall'IVASS e pubblicata nel Bollettino. I rischi sono assunti dall'impresa cessionaria alla scadenza del termine di sessanta giorni.

Per tutto il periodo di tempo relativo ai premi pagati i contratti di assicurazione in corso non possono essere disdettati dall'impresa cessionaria a pena di nullità della disdetta.

Passiamo ora ad esaminare l’impianto offerto dalla abrogata legge 738/1978 per realizzare il salvataggio del portafoglio dell’impresa RCA che viene liquidata. La norma prevedeva che, contestualmente alla liquidazione, potesse essere disposto il trasferimento dell’intero portafoglio danni ad altra impresa che avesse previamente manifestato il suo consenso.

La presumibile difficoltà di trovare soggetti economici disposti ad assumere i portafogli delle imprese in dissesto fu superata con la costituzione, ad opera di circa ottanta compagnie già operanti sul mercato, della SOFIGEA con il compito specifico

di costituire nuove imprese destinate a rilevare il portafoglio di quelle dissestate.

Per agevolare tale soluzione la legge prevedeva che la cessione del portafoglio potesse attuarsi anche in mancanza dei presidi patrimoniali di capitale e copertura delle riserve tecniche purché al capitale della cessionaria partecipassero – almeno per il 75% - altre compagnie in regolare esercizio che complessivamente raccogliessero più della metà del totale dei premi del ramo. La partecipazione poteva essere acquisita anche tramite una finanziaria, in pratica la SOFIGEA.

Conseguenza automatica del trasferimento di portafoglio era la continuazione delle coperture assicurative nella loro pienezza per tutta la durata contrattuale (e non limitata ai massimali di legge per la rca e limitata a 60 giorni per gli altri rami).

La legge tutelava poi la cessionaria dal rischio di vedere evaporare rapidamente il portafoglio congelando per due anni il diritto di disdetta, altrimenti largamente esercitato per evitare la proroga tacita. Specularmente, la legge vietava alle altre imprese assicuratrici di assumere tali rischi.

Questi due esempi, seppur legati alla liquidazione, offrono a mio avviso ottimi spunti per ripensare una disciplina di trasferimenti volti a separare il grano dal loglio.

Infine, in tutti i casi in cui è presente un fondo di garanzia a tutela dei destinatari della prestazione assicurativa, o ne è allo studio la costituzione, anche risorse più limitate di quelle ordinariamente spese per erogare direttamente le prestazioni e poi rivalersi sulla procedura liquidatoria sarebbero probabilmente sufficienti a finanziare soluzioni ponte o trasferimenti a favore di imprese in esercizio per dare continuità alle coperture.

Stefano De Polis – Segretario Generale IVASS

Grazie dott. Morvillo per questa riflessione a voce alta sugli strumenti che si potrebbero utilizzare per gestire situazioni di difficoltà anche nel settore assicurativo nell’ottica delle riflessioni che si stanno conducendo anche a livello europeo sul tema del crisis management. Vorrei solo ricordare che in Francia sta per entrare in vigore

una legge sul crisis management nel settore assicurativo; essa prevede la possibilità di porre in essere operazioni di risoluzione anche mediante la costituzione di bridge

istitutions cui trasferire attivi assicurativi, con capitale regolamentare ridotto.

Richiamo questa circostanza per rammentare che dopo la crisi finanziaria avere delle normative nazionali - continentali nel caso europeo - in tema di crisis management, è un fattore molto valutato dai mercati finanziari.

I mercati finanziari guardano alla possibilità concreta di risolvere crisi come un elemento importante di apprezzamento del mercato, quindi non avere un framework di risoluzione delle crisi, soprattutto delle crisi delle principali istituzioni finanziarie di qualsiasi natura esse siano (negli Stati Uniti può trattarsi anche di grandi conglomerati industriali, finanziari) è considerato un elemento di detrimento per la qualità del sistema finanziario nel suo complesso. Occorre dare certezza ai mercati circa la capacità di risolvere e di affrontare razionalmente anche situazioni di grande difficoltà, come quelle che abbiamo visto finora. Coffee break.

Stefano De Polis – Segretario Generale IVASS

Vi pregherei di accomodarvi. Bene, allora riprendiamo concludendo il secondo giro e quindi darei nuovamente la parola al Dottor Cercone.

Roberto Cercone - Vice Capo dell'unità di Risoluzione e Gestione delle Crisi della Banca D’Italia

Facendo seguito all’intervento di Marcello volevo concentrarmi anche io sulla fase di interconnessione tra la situazione di regolarità operativa dell’intermediario e la situazione diciamo di crisi, di difficoltà, non certo per individuare situazioni potenzialmente innovative, come quelle che Marcello ci raccontava sulle assicurazioni, ma per vedere due cose e fondamentalmente una, poi, e cioè il ruolo che le autorità svolgono in questo momento di passaggio, di connessione tra situazione in bonis e situazione di crisi, perché anche su questo la BRRD introduce degli elementi nuovi e potenzialmente critici.

Come abbiamo visto, la nuova normativa sulle crisi bancarie di matrice europea introduce sia questo nuovo momento della risoluzione della banca che viene alla fine

di quello schema, sia una nuova funzione di risoluzione, quindi una nuova autorità che si occupa di questo aspetto.

Ma la prima domanda che ad un lettore di questa normativa viene in mente è: che tipo di autorità è l’autorità di risoluzione? Perché istintivamente la risposta sarebbe di dire “ma si occupa della crisi”, ed è così perché si occupa di risoluzione.

Abbiamo visto che entra in gioco quando esce la vigilanza. In realtà se noi andiamo però ad approfondire un po’, a scavare un po’ nella meccanica della disciplina, scopriamo che l’autorità di risoluzione non è solo un’autorità di risoluzione, non è l’equivalente del Tribunale fallimentare, è qualcosa di più e qualcosa di diverso.

In realtà l’autorità di risoluzione comincia ad operare molto prima e indipendentemente dalla situazione di crisi della banca. Quindi un soggetto che lavora essenzialmente e sperabilmente in tempo di pace, non in tempo di guerra, non solo in tempo di guerra.

E difatti, uno dei portati della nuova regolamentazione è l’introduzione di quella che chiamiamo una fase di pianificazione della gestione della crisi. Cioè l’idea è che tu devi pensare oggi a cosa farai quando starai in crisi, è un po’ come se a qualcuno di noi si chiedesse di pensare a cosa farebbe se avesse una qualche patologia. Quindi mi devi dire più o meno che cosa penseresti di fare, in quale ospedale penseresti di andare e, se volessimo proseguire in questa equiparazione, ti chiedo anche di capire con quali risorse ti pagherai le spese, MREL (Minimum Requirement

for own funds and eligible liabilities), cioè il requisito minimo di passività che possono

essere colpite con il bail-in, in fondo è questo, già oggi metti da parte quello che ti potrebbe servire in caso di crisi.

Ecco, tutta questa fase è una fase che si articola in due momenti centrali, la costruzione di un piano di risanamento che riguarda risoluzione di crisi più semplici diciamo così, che fa l’intermediario ed è poi sottoposto alle valutazioni delle autorità, ed il piano di risoluzione che viene fatto invece dall’autorità di risoluzione.

Ebbene, in questa fase c’è una compresenza di entrambe le autorità, la vigilanza sull’attività ordinaria e la risoluzione che si occupa del piano di risoluzione e ci sono dei momenti di scambio e di interconnessione importanti perché la pianificazione che si richiede è una pianificazione di tipo operativo, tant’è che il piano viene rifatto normalmente ogni anno, il che significa che tu non devi tracciare uno schema generico, devi ipotizzare realmente quali sono le attività che tu faresti nel caso in cui dovessi andare in crisi. Ed in particolare c’è un punto in cui la dialettica tra le autorità diventa rilevante che è quello del giudizio di risolvibilità. Cioè uno degli aspetti del piano è che l’autorità di risoluzione deve dire, ok, la banca è risolvibile, se va in crisi si può risolvere. Il che significa, per esempio, ipotizzare che dentro la banca ci siano, se ci sono, una serie di servizi critici, di funzioni particolarmente rilevanti, di impatto sistemico. Quelle che vanno verificate nel public interest test per cui devono essere preservate ed il piano di risoluzione deve spiegare come le preserva.

Quindi, per esempio, faccio uno scorporo, cedo sul mercato le cose rilevanti, le altre le lascio nella entità che residua che poi potrebbe andare in liquidazione coatta, per esempio.

Tutto questo però implica non solo un elemento programmatico, cioè di quello che io farò se, ma ha un riflesso immediato oggi perché per fare, per esempio, uno scorporo io devo creare le condizioni organizzative, societarie, strutturali di business perché questo avvenga. Un esempio banale, se volete: se io penso di scorporare un pezzo dell’attività, Marcello ci parlava delle varie industrie quindi il tema forse in futuro sarà estensibile anche alle assicurazioni, un pezzo di industria diciamo perché è critica, perché è degna di particolare attenzione, perché c’è un interesse pubblico e penso di farlo vivere come un soggetto autonomo, banalmente mi devo occupare - scusate ma questi sono i temi - del sistema informativo, cioè come si regge quel soggetto? In una banca è difficile che ogni settore abbia un sistema informativo, è unico.

Allora la domanda è: è risolvibile questa banca?

Questo è il tema del piano di risoluzione, non è faccio una liquidazione con cessione di attività e passività, punto. No, devo capire cosa mi interessa scorporare e come penso di poterlo fare e cosa mi serve oggi nella struttura della banca per poterlo fare.

E’ chiaro che non si arriverà mai a dire alla banca che deve avere un sistema informativo specifico per un settore critico, ma è un tema che va gestito. Pensate alle interconnessioni finanziarie che ci sono all’interno dei gruppi, per esempio.

Allora in realtà cosa succede?

Succede che, mentre la banca è sotto la giurisdizione dell’autorità di vigilanza, c’è un’altra autorità che a questo punto è di risoluzione, ma forse non solo, che può dire anche come si deve organizzare oggi per l’ipotesi in cui si vada in risoluzione. E quindi sostanzialmente abbiamo una compresenza di posizioni potenzialmente dialettiche che incidono, per esempio, sulla struttura di un gruppo bancario, tanto per dirne una.

C’è un momento di dialettica in tutto questo ed è un momento importante che segna una dialettica. Segna una dialettica istituzionale perché c’è un problema di rapporto tra vigilanza e autorità di risoluzione che, non a caso, devono cooperare nella definizione del piano che però è di competenza dell’autorità di risoluzione, e c’è una dialettica sul piano sostanziale.

Per essere molto semplici, visto il tempo che manca, il modello della banca è un modello fondato sull’integrazione o sulla separazione?

Fino ad oggi, come sapete, l’integrazione è vista come un elemento positivo per una serie di ragioni che certo non dobbiamo qui spiegare.

Ma l’integrazione può essere potenzialmente un problema perché se poi devo scorporare un pezzo, l’integrazione mi crea un problema in fase di risoluzione.

Quindi si capisce come la materia è oggettivamente complessa, la dialettica è oggettivamente complessa perché implica probabilmente anche l’individuazione di un punto di equilibrio che, fino a ieri, non era un tema perché l’integrazione era vista come un elemento importante.

Peraltro l’integrazione micro, diciamo così, cioè a livello aziendale, poi ovviamente si collegava strettamente con l’integrazione dei mercati, quindi se uno volesse allargare con l’Unione Europea e via dicendo.

E’ un esempio concreto di dialettica prima della crisi.

Quando arriviamo nella crisi, e cioè arriviamo alla dichiarazione di failing or

likely to fail, questo problema continua perché c’è un’autorità di vigilanza che dice ok,

il soggetto è in dissesto, abbiamo visto, e lo fa l’autorità di vigilanza. Poi consegna la banca all’autorità di risoluzione la quale continua a farsi un’altra domanda che, come abbiamo visto prima, riguarda la questione se esistono ancora degli spazi per un intervento di vigilanza. Cioè può, teoricamente, interloquire con la vigilanza dicendo secondo me forse la soluzione la risolvi con un’amministrazione straordinaria, non è ancora il tempo di arrivare ad una risoluzione o ad una liquidazione, di nuovo un rapporto dialettico.

Poi dopo, procedendo, bisogna che ci si confronti e occorre che si cooperi, quindi c’è una duplice valenza diciamo del termine dialettico, che poi rilancia i temi del rapporto che deve esistere tra queste due funzioni. Se procediamo oltre nelle decisioni e l’autorità di risoluzione dice “ok, è mia, la banca la devo gestire io” nel senso che è effettivamente in una situazione di dissesto e, per esempio, andiamo in risoluzione, anche qui la dialettica continua, questa volta a rapporti invertiti. Perché se, per esempio, io devo costituire una bridge bank, tanto per dire una delle cose che è avvenuta, la bridge bank è una banca come tutte le altre. Va autorizzata dalla vigilanza ed una delle cose che la vigilanza ovviamente chiederà sarà il requisito di capitale, tanto per dirne una.

Quindi, in realtà, è vero che è ancora una banca in risoluzione e quindi sottoposta ai poteri dell’autorità di risoluzione, ma deve fare i conti ancora e di nuovo

con un’autorità di vigilanza.

E quindi adesso - erano solo esempi per arrivare al punto - ci troviamo di fronte ad una situazione di dialettica tra due funzioni diverse che va gestita, che va presidiata perché riguarda effettivamente situazioni su cui i diversi interessi che le autorità sono tenute a perseguire, possono creare delle diversità di vedute anche importanti.

Come nasce questa duplicazione, l’introduzione di una funzione diversa che riguarda espressamente la risoluzione?

Come sapete è un modello che non è come quello che noi avevamo in Italia dove, in Banca d’Italia per l’appunto, le funzioni di gestione delle crisi erano dentro la funzione più generale di vigilanza.

Per la verità però, perché il nuovo non è mai totalmente nuovo, anche il modello organizzativo interno nostro era costruito su un principio dialettico perché, chi gestiva la crisi, stava in una articolazione che si chiama “Servizio” diverso da chi fa la gestione ordinaria.

Quindi in realtà il tema è che ci deve essere un rapporto dialettico. Il punto è che è cambiato il livello a cui questo rapporto dialettico viene portato, perché è chiaro che se io ho due funzioni dialettiche dentro un dipartimento, il punto di composizione è il Capo del dipartimento. Se faccio due dipartimenti diventa, nel nostro caso, il Direttorio, se faccio due autorità diventa o un protocollo tra le due autorità o una funzione terza che, per esempio, potrebbe essere un’altra autorità che fa diciamo da soggetto di ultima istanza.

Quindi anche qui il cambiamento non è così epocale, è semplicemente un irrobustimento di questa componente dialettica intrinseca che c’era però anche prima. Tutt’altra questione che sarebbe anche utile, interessante approfondire, ma io la evoco solo, è fare un’analisi degli incentivi.

Cioè questo sistema che tipo di incentivi sviluppa sui soggetti che lo devono 197

applicare?

Questo è un tema importante perché probabilmente l’esigenza di rendere autonoma la gestione delle crisi nasceva dalla stagione della crisi finanziaria, delle turbolenze che avevamo avuto, come sapete, nel 2007/2008 e aveva probabilmente convinto della necessità di creare un polo dialettico rispetto alla vigilanza. L’obiettivo era di dire mettiamo qualcuno che è in grado di attivare di iniziativa le procedure di crisi se i vigilanti trattengono oltre tempo nella vigilanza le situazioni di difficoltà. E questo si realizza perché la dichiarazione di dissesto che abbiamo detto fa la vigilanza, può essere fatta in caso di inerzia dall’autorità di risoluzione.

La cosa interessante è capire se questo schema non rischia di creare un

overshooting diciamo, una sovraesposizione, cioè se dall’esigenza di presidiare il

corretto passaggio da una situazione gestibile ad una situazione irreversibile, si passa ad un contesto in cui l’incentivo alla vigilanza è di liberarsi il prima possibile delle situazioni critiche.

Se questo fosse, stiamo facendo un’analisi teorica naturalmente, rischieremmo di privarci di quel pezzo della gestione delle crisi che sta ancora dentro la vigilanza e che è importante.

Il che mi consente di passare all’ultimo punto che volevo trattare che è esattamente questo, ricollegandomi alla presentazione di Marcello, cioè il rapporto che c’è tra la gestione della crisi, per capirci adesso, della vigilanza e la gestione della crisi della risoluzione.

E qui noi vediamo un sistema di continuità fondamentalmente, che è una caratteristica specifica, pregnante degli intermediari bancari assicurativi.

Intendiamoci, tutte le imprese che sono soggette a liquidazione coatta sono soggette a liquidazione coatta perché c’è una vigilanza che vigila ordinariamente, pensiamo alle cooperative e ad altri soggetti, e la presenza di una procedura pubblica di gestione della crisi nasce dal fatto che c’è un interesse pubblico che ha già determinato la costituzione di un’autorità di vigilanza e di controllo pubblica su

questi soggetti, le due cose si tengono. Ma in nessun settore come in quello bancario e finanziario la presenza dell’autorità di vigilanza è così forte, penetrante, estensiva e continuativa perché prevede una serie di poteri estremamente rilevanti, come sappiamo, che sono poteri regolamentari, sono poteri ispettivi, sono poteri sanzionatori, sono poteri di richiesta di interventi correttivi nel caso in cui le situazioni diventino complicate.

Sono poteri di attivazione del removal, della possibilità di rimuovere selettivamente singoli amministratori, sono poteri di attivazione dell’amministrazione straordinaria, il blocco dei poteri di vigilanza.

Questo è un punto fondamentale che segna la differenza tra le liquidazioni bancario-finanziarie e le altre liquidazioni.

Ed è un elemento di continuità in cui non c’è un gradino, proprio perché la crisi, salvo le crisi esplosive che possono sempre avvenire, in genere ha un decorso e viene seguita in questo decorso.

Allora è utile che ci sia la disponibilità di tutto lo strumentario perché realmente quel default sia, come dire, l’ultima spiaggia. Perché se io comprimo questa fase precedente, rischio di sovrautilizzare uno strumento che dovrebbe essere riservato a situazioni specifiche e particolari.

Va però segnalato che la nuova normativa, sia pure mantenendo questa progressione dei poteri, che diventano sempre più incisivi man mano che peggiora la crisi, dalla lettera di intervento, all’amministrazione straordinaria, prevede che questa progressione venga anticipata, perché in tutti i passaggi di questa progressione il presupposto è anticipato. Abbiamo visto, solo per la liquidazione, un esempio: noi avevamo le perdite di eccezionale gravità o le irregolarità di eccezionale gravità, oggi siamo all’insolvenza regolamentare. Cioè, adesso lo dico con una battuta, non ci sta nemmeno l’irregolarità.

Ecco, questo fenomeno riguarda anche l’amministrazione straordinaria e tutto il resto, il che ci fa pensare, se volessimo dare uno sguardo al futuro, che

probabilmente questi interventi saranno più anticipati e l’obiettivo finale è quello di evitare poi i problemi quando l’insussistenza patrimoniale arriva al punto che non la copri più con strumenti ordinari.

Io avrei concluso questa parte, magari poi ci riserviamo di intervenire.