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Leggi di settore e legge fallimentare (slide n 10)

Roma, 6 dicembre

7. Leggi di settore e legge fallimentare (slide n 10)

Una tematica interpretativa ed applicativa nella quale liquidazioni bancarie ed assicurative tornano a convergere è quella dell’identica clausola che potremmo definire di “rinvio suppletivo” alla l.f. contenuta negli artt. 80.6 TUB e 245.7 CAP (68).

Con l’introduzione di questa clausola nel TUB prima e nel CAP poi si è affinato il coordinamento fra le disposizioni della legge fallimentare sulla l.c.a. (artt. 194/215) e quelle della legge speciale “finanziarie” concernenti il medesimo istituto. La prima infatti, si pone quale una legge per lo più procedurale di applicazione suppletiva lasciando alle singole leggi speciali il compito di stabilire i presupposti ed il dettaglio della procedura ma fissando nel contempo una serie di disposizioni inderogabili (cfr. art. 194 l.f.).

L'esigenza di coordinamento era particolarmente sentita in questa materia. La vecchia legge bancaria del 1936-38 era infatti precedente a quella fallimentare ed aveva, in un certo qual senso, costituito per essa un modello. Le relative disposizioni tuttavia, non sempre erano equivalenti ed il difficile gioco di rinvii lasciava spazio all'interpretazione (spesso controversa) su quale delle diverse norme dovesse prevalere, tenuto anche conto che, in caso di ricorso ai principi generali, era spesso necessario rifarsi alle norme della l.f. sul fallimento. La tecnica adottata dal

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Cfr., ad es., il doppio parere MI.SE e IVASS sulla proposta di concordato CONSAP previsto dai commi 7 e 1 dell’art. 262 CAP, tema sul quale si soffermerà la collega Scarcello.

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“Le banche [le imprese di assicurazione e di riassicurazione, nel CAP] non sono soggette a procedure

concorsuali diverse dalla liquidazione coatta prevista dalle norme della presente sezione [del presente capo, nel

CAP]. Per quanto non espressamente previsto si applicano, se compatibili, le disposizioni della legge

fallimentare.”.

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legislatore del TUB e poi del CAP è stata quella di dettare disposizioni particolari solo dove la specificità delle crisi bancarie lo richiedeva, per il resto rinviando alle norme della l.f. o, talvolta, riproducendo quest'ultime con leggere varianti. La richiamata disposizione di rinvio suppletivo può essere considerata un po' la chiave di volta dell'intero sistema. Con essa il legislatore sembra aver dettato all'interprete una sorta di gerarchia nell'applicazione delle norme per i casi non esplicitamente contemplati dal TUB, dal CAP o dalla normativa secondaria di attuazione degli stessi. In base ad essa, bisogna quindi far riferimento prima alle disposizioni della l.f. in materia di l.c.a. e poi, qualora anche in base ad esse non fosse possibile risolvere il caso, alle norme sul fallimento, sempre in quanto applicabili, che possono essere considerate espressione del diritto concorsuale generale.

Con tale previsione, che mette a disposizione dell'interprete anche tutto il patrimonio di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale formatosi in materia, i legislatori del TUB e del CAP confermavano un’aspirazione all’avvicinamento della legislazione bancaria al diritto comune (69) e, nello stesso tempo, gettava un ponte verso future riforme della l.f.

Le numerose e significative riforme della l.f. che dal 2005-2006 ai giorni nostri si sono succedute con l’intento di ammodernare tale fondamentale testo normativo - al fine di aumentare la competitività e l’attrattività del nostro sistema produttivo - hanno profondamente inciso su di esso facendogli assumere potenzialità e significati nuovi che vanno indagati alla luce del principio di compatibilità fra le norme del TUB e del CAP in materia di l.c.a. bancaria e le disposizioni della l.f., enunciato dalle stesse disposizioni di rinvio (70).

Si pongono quesiti e si schiudono possibilità operative alle quali è possibile in

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Per quanto riguarda il TUB, mette opportunamente in luce quest’ultimo aspetto: S. FORTUNATO, in P. FERRO-LUZZI - G. CASTALDI, La nuova legge bancaria, Milano, 1996, II, 1259. Sulla disposizione in commento nel TUB, cfr. inoltre M. SANDULLI, La liquidazione coatta delle banche fra diritto comune e diritto speciale: il

rinvio alla legge fallimentare, in Banca borsa, 1997, I, p. 441. Un giudizio più sfumato è formulato da A. NIGRO,

A. NIGRO, La disciplina delle crisi bancarie: la liquidazione coatta amministrativa, in Giur. comm., 1996, 147 s., che parla di scelta ineccepibile in termini di legittimità formale ma che rompe la conformità del modello di procedura con quello previsto dalla l.f.

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Sul tema sia consentito il rinvio a E. GALANTI, Riforma del diritto fallimentare e procedure di crisi delle imprese

finanziarie, in Fallimento, 2006, 111 ss., dal quale queste considerazioni traggono spunto. Lo scritto, ancora

attuale nelle considerazioni generali, non tiene tuttavia conto delle significative modifiche alla l.f. introdotte dopo la sua pubblicazione.

questa sede solo accennare in via esemplificativa. Spunti che potranno, eventualmente, essere ripresi da altri relatori.

Ad esempio: i piani di risanamento “attestati” ex art. 67.1, lett. d) e gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.f. si applicano anche alle liquidazioni di banche e assicurazioni? E come impattano le modifiche in materia di concordato fallimentare nei concordati di liquidazione di banche ed assicurazioni? Basta dare uno sguardo all’art. 124 l.f. (come risultante dalla riforma del 2007) perché sorgano una serie di quesiti: a) le modifiche in tema di legittimazione (art. 124.1 l.f.) si applicano? b) e i commi 2° e 3° dello stesso art. 124 che prevedono che la proposta possa contenere: possibilità di suddivisione in classi dei creditori, trattamenti differenziati dei creditori appartenenti a classi diverse, ristrutturazione dei debiti anche tramite debt/equity swap e possibilità di soddisfazione non integrale di creditori muniti di diritto di prelazione? c) e le disposizioni contenute nel comma 4 dell’art. 124 l.f., relative al contenuto della proposta del terzo?

Sarebbe interessante allargare lo sguardo estendendo alle norme che verranno adottate per dare esecuzione alla legge delega per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza, recentemente approvata. Un primo esame della legge delega, che introduce una riforma ancor più radicale di quelle succedutesi dal 2006 in poi, porterebbe senz’altro ad escludere l’applicabilità alle imprese regolate di parti come la nuova disciplina dell’insolvenza di gruppo dato che banche e assicurazioni hanno già una loro regolamentazione tipica di questo fenomeno basata anche sull’esistenza di poteri delle autorità di controllo (slide n. 11).

A diversa conclusione si potrebbe invece giungere per quanto riguarda le disposizioni che saranno introdotte “per ridurre la durata e i costi delle procedure concorsuali” anche attraverso “il contenimento delle ipotesi di prededuzione” (art. 2, comma 1, lett. l legge delega); quelle sulla disciplina dei rapporti giuridici pendenti o sulla nuova disciplina della liquidazione dell’attivo che introduce nuovi significativi istituti improntati alla celerità, all’informatizzazione e che prevede, fra l’altro, l’introduzione di fondi per la gestione di beni invenduti.

La risposta a simili quesiti può essere diversa a seconda che si concepiscano le 165

liquidazioni bancarie e assicurative come dei sistemi chiusi ovvero, come sembrerebbe preferibile, collegati, in un più ampio quadro, alla legge fallimentare. La stessa clausola di compatibilità sembra offrire un’ampia discrezionalità esegetica che può essere utilizzata per conciliare le ragioni di un’interpretazione logicamente corretta con le esigenze della prassi che può sicuramente avvantaggiarsi dal ricorso a un più ampio strumentario di risoluzione delle crisi aziendali.

Quello che interessa in questa sede non è tanto dare una riposta ai singoli questi quanto evidenziare come essa debba essere comune e coordinata per le l.c.a. bancarie e assicurative dato che identica è la formula che consente l’aggancio alla legge fallimentare e uguali le esigenze che guidano le procedure a direzione amministrativa riguardanti imprese soggette a Vigilanza prudenziale.

Una simile soluzione sembra senz’altro coerente con il “fine di assicurare la piena integrazione dell’attività di vigilanza nel settore assicurativo anche attraverso un più stretto collegamento con la vigilanza bancaria” che ha ispirato la legge istitutiva dell’IVASS (d.l. 95/2012), finendone per costituirne applicazione nella fase di risoluzione di banche e assicurazioni.

Tornando alla riforma della crisi d’impresa si può notare come l’inapplicabilità a banche e assicurazioni della nuova disciplina delle procedure di allerta sia già chiaramente stabilità dall’art. 15.1 lett. b) della l. delega che conferisce: ”alle autorità amministrative di vigilanza le competenze in tema di segnalazione dell'allerta e le funzioni attribuite agli organismi di composizione della crisi nelle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi.”. Una norma da condividere, visto che il nuovo sistema disegnato dalla riforma mal si sarebbe conciliato con quello esistente per le imprese soggette a vigilanza prudenziale, basato su strumenti tipici di prevenzione e intervento che della vigilanza costituisce, a ben vedere, l’essenza stessa. Una disposizione anche assai chiara che non sembrerebbe bisognosa di soverchie specificazioni da parte della legge delegata.

applicazione della l.c.a. (71) - sollecita una riflessione di portata sistematica sull’opportunità di ripensare lo schema disegnato dagli artt. 194/215 l.f. basato, come si è visto, sulla predisposizione di un’intelaiatura procedimentale suppletiva e l’individuazione, al suo interno, di un nucleo di norme inderogabili.

Nel nuovo assetto, caratterizzato da un ristretto numero di imprese soggette a l.c.a. in base a leggi di settore, infatti, tale schema potrebbe non avere più ragione di esistere. Le l.c.a. di banche e assicurazioni ben potrebbero essere disciplinate dalle TUB e dal CAP leggi “speciali” già autosufficienti e dettagliate le cui clausole di rinvio alla legge generale sulla crisi d’impresa fungerebbero da collegamento risolutore dei casi dubbi.

In ogni caso, anche qualora si ritenesse opportuno mantenere nella legge generale sulla crisi d’impresa le norme procedimentali sulla l.c.a., sarebbe consigliabile non riproporre la previsione che attualmente figura nell’art. 194, comma 2 l.f. che, dichiarando abrogate le disposizioni delle leggi speciali precedenti incompatibili con alcune delle norme dettate dalla l.f. finiva, di fatto, per rendere quest’ultime inderogabili da parte della legislazione speciale (anche successiva). Aumentando il grado di autonomia delle leggi di settore rispetto quella generale, il sistema risulterebbe più flessibile e adattabile alle esigenze della l.c.a. di singole categorie di imprese.

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In la norma di delega dell’art. 15 (che si riporta integralmente in corsivo) contenuta al punto 2 (evidenziato in neretto) non è però del tutto chiara: “a) applicare in via generale la disciplina concorsuale ordinaria anche alle

imprese in stato di crisi o di insolvenza attualmente soggette alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, mantenendo fermo il relativo regime speciale solo nei casi previsti: 1) dalle leggi speciali in materia di banche e imprese assimilate, intermediari finanziari, imprese assicurative e assimilate; 2) dalle leggi speciali in materia di procedimenti amministrativi di competenza delle autorità amministrative di vigilanza, conseguenti all'accertamento di irregolarità e all'applicazione di sanzioni da parte delle medesime autorità;”. Evidente è

la volontà del legislatore delegato di limitare i casi di imprese sottoposte a l.c.a. anche se il criterio di cui al n. 2) appare ambiguo. Interpretato restrittivamente, facendo leva sul sintagma “autorità amministrative di vigilanza”, sembrerebbe quasi un inutile doppione del criterio di cui al nr. 1). Interpretato estensivamente, facendo leva su quel “conseguenti all'accertamento di irregolarità e all'applicazione di sanzioni”, oltre a suscitare perplessità - le procedure di gestione delle crisi sono altra cosa da quelle sanzionatorie e come tali la giurisprudenza le ha sempre trattate anche qualora i relativi poteri siano esercitati dalle medesime autorità – porterebbe a ritenere applicabile la l.c.a. nel nuovo regime ogniqualvolta fra i suoi presupposti figurino irregolarità eccezionalmente gravi non necessariamente accompagnate da squilibri patrimoniali e finanziari dello stesso tenore. In tal modo, tuttavia, potrebbe essere difficile giungere a quel sostanziale sfoltimento delle imprese soggette a l.c.a. che sembrerebbe voluto dal legislatore nella parte iniziale della disposizione.

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8. Iniziative di coordinamento e armonizzazione a livello