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IV. I setting psicodrammatici nella terapia con la coppia

IV.I. 4. Giovanni Boria: il caposaldo dell'intersoggettività

Quando bussarono alla porta del mio studio le prime coppie, mi consultai subito con Giovanni Boria, direttore della scuola di specializzazione da me frequentata.

La prima e più importante raccomandazione fu quella di prestare assoluta attenzione a non far cadere la comunicazione, con me e tra i membri della coppia, in una dinamica di interdipendenza, in quanto il rischio sarebbe stato di rimanerne intrappolati e, al contrario , lavorare per favorire la dinamica di intersoggettività.

Il quel momento avevo a disposizione solo il teatro di psicodramma, dove tenevo le sessioni di gruppo ed il setting dei tradizionali colloqui di sostegno psicologico, così affrontai le prime sessioni soprattutto in teatro, facendo tesoro di questo suggerimento.

Prima di iniziare il “lavoro vero e proprio” in teatro, durante il quale misi a punto una serie di attività che favorivano la dinamica intersoggettiva, proposi alla coppia un breve incontro nello studio dedicato agli incontri individuali.

A breve allestii anche il setting per lo Psicodramma a Due che nella terapia di coppia divenne lo “psicodramma a tre”.

Essendo un'esigenza comune adeguare il setting moreniano dalla dimensione gruppale alla dimensione individuale, ovvero senza il gruppo ma con la sola presenza di terapeuta e paziente, da tempo sono state prodotte varie riflessioni, ipotesi e sperimentazioni rispetto a come calare tecniche psico-drammatiche nei setting individuali, piuttosto che realizzare setting appositi.

Giovanni Boria offre una proposta di Psicodramma a Due che non mescola tecniche e strumenti psicodrammatici con altro di diversa natura e derivazione, ma resta creativamente coerente con il quadro di riferimento teorico-metodologico moreniano.

Ciò che emerge è un setting con uno spazio di lavoro studiato per favorire proprio la dinamica intersoggettiva, anche tra paziente e terapeuta, fattore che risulta molto funzionale per estendere e favorire tale dinamica anche qualora non si stia trattando un paziente singolo ma una coppia; oltre a ciò, presenta una serie di accorgimenti per rendere la sessione psicodrammatica coinvolgente e ricca di lavoro mentale da parte del protagonista pur in assenza di un gruppo con funzione ausiliaria.

Lo spazio dello Psicodramma a Due richiede uno spazio speciale - con struttura diversa da quella del teatro (suddiviso in palcoscenico, uditorio e balconata) dato che deve contenere solo due soggetti (terapeuta e paziente) e nel caso della coppia tre (terapeuta e due membri della coppia) - pur consentendo la realizzazione di interazioni e forme espressive equivalenti a quelle che si realizzano nel teatro di psicodramma.

Img. 2 Setting Psicodramma a Due di Giovanni Boria

L'assenza del gruppo, e quindi di ausiliari, è l'aspetto che caratterizza maggiormente lo Psicodramma a Due ed è una condizione che richiede accortezze particolari per offrire delle esperienze di contatto interpersonale comunque ricche.

In tale contesto, lo psicodrammatista diventa di volta in volta il contro-ruolo che interagisce con il soggetto consentendogli di sperimentare la ricca gamma di sfumature del contatto umano.

Le dinamiche tra soggetto e psicodrammatista si svolgono in uno spazio appositamente pensato per consentire esperienze relazionali diversificate a seconda del momento del lavoro psicodrammatico.

In modo analogo a quanto accade quando soggetto e terapeuta lavorano in un gruppo, vengono messe in atto strategie e regie volte ad attivare i meccanismi mentali tipici dello psicodramma (doppio, specchio, decentramento percettivo) attraverso cui può essere raggiunto il cambiamento evolutivo.

Lo spazio dello Psicodramma a Due, nella sua disposizione, è pensato per fare in modo che le interazioni durante la sessione individuale portino ad azioni ed interazioni nuove ed impreviste, piuttosto che sollecitare una dinamica colloquiale di tipo interdipendente. Anzi l'obiettivo è proprio quella di disincentivarla, a favore della dinamica intersoggettiva, anche quando i soggetti al lavoro sono tre: terapeuta e membri della coppia.

Lo spazio è suddiviso in due aree ben distinte, spazialmente e funzionalmente: il macrospazio e il microspazio.

Il macrospazio è lo spazio delle interazioni reali, dove le persone presenti possono incontrarsi ed interagire. C'è lo spazio necessario per muoversi e sono previste anche le postazioni per stare seduti, in particolar modo è presente una poltrona più importante, che nel setting di coppia diventano due, e una seduta meno evidente e piuttosto decentrata, per lo psicodrammatista. Questa struttura pone il soggetto o la coppia in una posizione di primo piano ma, soprattutto, non obbliga a un contatto diretto con lo psicodrammatista, molto utile qualora, anche nel macrospazio, si volesse favorire la dimensione intersoggettiva.

Il macrospazio è utilizzato ad inizio e a fine sessione, rispettivamente, per accogliere il soggetto ed identificare gli elementi per la successiva rappresentazione scenica e per concludere il lavoro con il ritorno alla realtà ed attuare la condivisione ed il congedo.

Nello psicodramma con le coppie il macrospazio è anche lo spazio in cui resta il membro della coppia che gioca il ruolo di testimone silenzioso, che si esprimerà con un soliloquio, solo a conclusione del lavoro dell'altro membro della coppia, quello che ha svolto attivamente il lavoro scenico insieme al terapeuta.

Il microspazio è il luogo predisposto per il lavoro scenico simbolico, luogo dove si sposteranno per lavorare il terapeuta e, a turno, uno dei due membri della coppia, nel rispetto della regola della circolarità e simmetria, che si estende in un'alternanza fuori dai confini temporali della singola seduta, vedendo i soggetti lavorare attivamente a sedute alterne. Nell'area dedicata al microspazio, è disponibile un palcoscenico miniaturizzato formato da un disco girevole, dotato di oggetti idonei a rappresentare persone e cose6.

Il passaggio dal macrospazio al microspazio, sancisce il passaggio da una condizione di realtà ad una condizione di tipo simbolico, in cui il soggetto può portare sul palcoscenico miniaturizzato il suo mondo interno ed interagire con esso, grazie anche alla funzione ausiliaria offerta dal terapeuta, che opera tenendosi in ombra per favorire l'approfondimento del mondo interno del protagonista.

La luce, utilizzando due lampade, gioca un ruolo fondamenta soprattutto nel focalizzare l'attenzione sul piccolo palcoscenico durante l'azione scenica e viene dosata in modo più o meno intenso, per poi ampliarsi a tutta la stanza e ad ammorbidirsi durante le fasi delle interazioni reali nel macrospazio.

Il ruolo dello psicodrammatista varia a seconda delle fasi e delle relative collocazioni nelle aree del setting (macrospazio o microspazio).

Con le coppie, il momento di accoglienza, riscaldamento ed aggiornamento riguarda entrambi i membri, ma già da questo primo momento è importante tendere a non favorire gli scambi interdipendenti tra loro, esplicitando, sin dall'inizio, la regola, ed applicandola con la gestione di una prossemica adeguata e l'utilizzo di strategie di conduzione. La stessa accortezza va usata anche per quanto riguarda le interazione con il terapeuta stesso che tenderà, se necessario, ad alzarsi e ad uscire dal campo visivo ponendosi alle spalle del soggetto per rammentare l'importanza della dinamica intersoggettiva.

6 La possibilità di popolare la scena ricorrendo a piccoli oggetti adatti si ispira a uno strumento presente sul mercato ei test psicologici, lo Sceno-Test di Gerdhild von Staabs.

Con il passaggio alla zona del microspazio, diventa ancora più evidente il passaggio a una dimensione comunicativa molto lontana dallo scambio interdipendente quotidiano: il soggetto che lavora da protagonista è messo a contatto con il proprio mondo interno e guidato dalle consegne del direttore a dar voce e ad interagire con esso e non con il terapeuta, ne tanto meno con il partner, che fuori dal suo campo visivo, alle sue spalle, osserva in silenzio il palcoscenico miniaturizzato.

Il lavoro scenico nel microspazio consente di realizzare percorsi registici, semplici o complessi, escludendo le situazioni corporee, che nel lavoro sul palcoscenico con un gruppo sono molto presenti e potenzialmente portatrici di un contributo importante; ciò che, invece, appare essere una caratteristica del microspazio è l'essere così suggestivo, quasi ipnotico, da favorire fortemente l'entrata del protagonista nel suo mondo interno e produrre vivide interazioni con esso. Possibilità, come vederemo, da dosare con accortezza.

Il lavoro nel microspazio con il protagonista si chiude con l'integrazione dello stesso, prima di tornare al macrospazio, dove il ruolo attivo passa all'altro partner.

Con un soliloquio ad occhi chiusi, il partner, testimone del lavoro appena svolto, può dare voce al suo vissuto emotivo emerso durante le scene osservate sul palcoscenico del microspazio.

Da ultimo, il terapeuta incontra, come all'inizio della sessione, entrambi i soggetti.

L'incontro che avviene è tra persone reali e il congedo può assumere anche la forma di uno specchio empatico rivolto ad entrambi, che mira a ripristinare la situazione paritaria in modo integrativo, nell'attesa della sessione successiva in cui toccherà al partner testimone diventare protagonista del lavoro con il suo mondo interno, mentre il protagonista passerà al ruolo di testimone.