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Girolamo in bello stile

La cultura, lo sappiamo bene, è l'utero in cui siamo immersi e che ci porta, sono i nostri modi di vivere e di sentire, sono gli eventi che fanno la storia, è ciò per cui oggi qui è il nostro mondo e non un altro. La cultura è come viviamo il nostro tempo.

Girolamo è ovviamente figlio del suo tempo. Un tempo difficile, il tempo conclusivo dell'Impero Romano e di tutta l'antichità classica. Insieme ad Agostino e agli altri, Girolamo è colui che traghetta tutta l'antichità verso il Medio Evo e poi l'età moderna.

Pur avendo scelto di essere cristiano, e pur avendo avuto l'esperienza del "sogno ciceroniano" egli è colui che più di tutti i suoi contemporanei ha imparato a memoria i classici greci e latini, che ne ha usato le massime, le parole, i ragionamenti. Egli si sente "formato" a scuole importanti, filosofiche, morali e spirituali.. E poi si è aggiunto il mondo biblico e anche quello ecclesiale, per formare un bagaglio di viaggio veramente speciale: tanta sapienza, tanta esperienza, tante ricerche, tante formulazioni, tanti errori..

Ma per Girolamo, cultura fu soprattutto parola, la parola ascoltata, letta, interiorizzata, memorizzata, rivissuta, rielaborata e di nuovo espressa e comunicata. Veramente mi sento di definire Girolamo "uomo della parola". La sua stanza è piena di libri fin dalla sua prima gioventù, una biblioteca che si porta dietro con cura e amore e che "frequenta" ogni giorno. Ne farà una specie di inventario nel libro sugli Uomini illustri,

raccontando le persone tramite i libri presenti nella sua biblioteca. Tanta, tanta voglia di apprendere leggendo:

"Quand'ero giovane mi lasciavo trascinare da una straordinaria foga di istruirmi.." (Ep 84,3).

"..e parole che di solito mi rotolano fuori piuttosto in fretta.. (ep.

114,1 a Teofilo di Alessandria)

Girolamo non ha ovviamente conosciuto, ad esempio Cicerone.

Ma chi più di Cicerone, fra i pagani, lui sentì come amico, come guida, come persona illuminante e anche come fonte di piacere (quasi fisico, direi) con il suo latino perfetto, altissimo, ben curato e ben detto?

Ci sono degli elenchi nelle lettere di Girolamo che impressionano per la vastità di conoscenze che egli aveva, sia per quanto riguarda i classici greci e latini che gli autori cristiani, a parte sempre l'elenco privilegiato che costituisce l'opera Gli Uomini Illustri.

Nella lettera 70 a Magno Girolamo cita una serie di personalità del mondo cristiano greci e latini (che oltre a Mosè e Paolo hanno citato qualcosa degli autori pagani): Quadrato, Aristide, Giustino, Melitone di Sardi, Apollinare di Gerapoli, Dionigi di Corinto, Taziano, Bardesane, Ireneo, Demetrio di Alessandria, Clemente di Alessandria, Origene, Milziade, Ippolito, Apollonio di Roma, Giulio l'Africano, Dionigi di Alessandria, Anatolio di Laodicea, Panfilo, Pierio, Luciano , Malchione, Eusebio di Cesarea, Eustazio di Antiochia, Atanasio di Alessandria, Eusebio di Emesa, Trifillo, Tito di Bostra, i Cappadoci Basilio Gregorio e Anfilochio. E tra i latini Tertulliano, Minucio Felice, Arnobio, Lattanzio, Vittorino Cipriano, Ilario, Giovenco..

Se andiamo a stringere, quante persone del suo ambiente di vita (tra il 370 e i 420) egli ha conosciuto di persona? Quante ne ha frequentate? Quante ne ha stimate? Certamente una cerchia ristretta, che dal 386, cioè da Betlemme, si farà ancor più ristretta. Agostino, Ambrogio, Ilario,... mai visti!

Ma le parole di tutti hanno alimentato per anni il suo mondo interiore. Così egli si sentì profondamente "romano"

appartenente a quel mondo che aveva, sì, dominato, ma anche fatto vivere, formato, arricchito il mondo antico. E si sentì cattolico, quando scelse Cristo come suo Imperatore, e cattolico dentro la Chiesa Cattolica, con le sue luci e le sue ombre e soprattutto con la sua fede e la sua speranza.

Perché infarcire di tante citazioni, sia pagane che bibliche i propri scritti? Per questo egli cita il doppio principio: da una parte l'antiquitas (qualcuno ha detto la stessa cosa molto prima e molto meglio di noi e noi già condividiamo queste parole da tanto tempo) e dall'altra l'auctoritas (che Girolamo, dal 375 in poi, riservò solo alle parole bibliche: se la prova viene dalla Bibbia essa è "auctor" del nostro pensiero, la sua sorgente incontrovertibile, ciò a cui ci dobbiamo attenere):

"..(citando Ignazio d'Antiochia) e se non userai queste testimonianze in ordine alla loro autorevolezza, usale almeno per merito della loro antichità, per il fatto stesso che tutti gli uomini ecclesiastici da tempo le hanno fatte loro!" (Adv. Pel.

3,2)

La cultura viva di Girolamo, o meglio il suo mondo culturale, è sostanziata dai principi e dagli esempi dei classici greci e cristiani e insieme dai valori biblici, dalle persone della Bibbia e da quelle in carne e ossa, come Agostino..

E per Girolamo fare un buon lavoro, essere un uomo di cultura, è sudare sui libri, leggere, riflettere, discutere e ridiscutere, è curare il proprio stile e le proprie idee. E Girolamo si ritiene un uomo di cultura, almeno nella sua infinita appassionata volontà di esserlo. Se una volta ha meno che curato lo stile delle frasi di un suo scritto lo dice e ne dice le ragioni. Per lui uno scritto sciatto e non curato nello stile corrisponde spesso a contenuti vuoti, inesistenti o addirittura errati.

Per lui i barbari sono barbari non per come vestono, ma perché non hanno un mondo interiore ricco di principi ai quali allineare l'agire. Dovranno passare secoli perché assimilino il meglio del pensiero e della storia di Grecia e di Roma..

Cultura è per lui anche esercizio retorico, una sirena al cui richiamo non seppe mai (e non volle) sottrarsi. E ogni tanto si lascia andare ad accumulare frasi ad effetto, a sognare, a raccontare, con una maestria raramente eguagliata da qualcun.

Ecco un piccolo esempio dalla lettera 108 in memoria di Paola:

"Fu durante questa malattia che la pietà filiale di Eustochio, sua figlia, per quanto sempre dimostratasi a tutta prova, ricevette una conferma ancor più decisiva presso tutti. Se ne stava seduta al capezzale della madre, le sventolava il flabello, le sorreggeva la testa, le accomodava il guanciale, le praticava delle frizioni ai piedi con le sue mani, le riscaldava lo stomaco, le rifaceva il letto soffice, le portava a giusta temperatura l'acqua calda, le distendeva il tovagliolo.. insomma preveniva le infermiere in tutti i loro servizi; e se qualcosa l'avesse fatto un'altra, lo riteneva una perdita di guadagno personale. Con quali preghiere, con quali sospiri e gemiti faceva la spola tra il letto della madre e la grotta del Signore, pregandolo che non la privasse di quella insostituibile compagna, o che non la lasciasse in vita se lei se ne andava o che fosse il medesimo feretro a portar via anche lei!" (n. 27)

Ovviamente Girolamo aveva studiato e conosceva tutti i vari generi letterari e anche questo è cultura, allora come oggi: saper distinguere un testo anche per il genere cui appartiene e di cui segue le regole e gli ambiti. L'ep. 49,12ss ha un'accurata distinzione tra i generi letterari e poi Girolamo conclude, come spesso gli capita: i detrattori più che offendere e calunniare provino prima a conoscere e a imparare!

Ma c'è un aspetto veramente problematico nella "immersione culturale" di Girolamo, nel suo pensiero e nella sua prassi. Il suo mondo di parola era abitato da una folla sterminata di personaggi antichi e contemporanei, greci, latini, ebrei, orientali, occidentali, ma anche filosofi, retori, teologi.. Ma questo enorme mondo non è mai stato in pace e nemmeno nell'animo di Girolamo. Voglio dire che questo mondo era lacerato tra verità e menzogna, tra luce e tenebre, tra Cristo Verità e tanto peccato degli uomini. Per esempio la relazione, vera o presunta, tra filosofi ed eretici come relazione quasi di filiazione o successione non gli fecero dormire sonni sereni. Ad esempio nella prefazione al commentario a Geremia, libro 4, sulla apatheìa e anamartesis Girolamo stabilisce con chiarezza la sequenza Pitagora-Zenone - Origene Grunnio-Evagrio Pontico-Gioviniano e poi nelle conventicole segrete di Sicilia e Rodi.

Tutto questo costituisce un mondo difficile, una problematica che è stata (e forse lo è ancora) lungo la storia della Chiesa e che spesso è sfociato in comportamenti non certo lodevoli né tolleranti da parte dei nostri fratelli di fede, i cristiani. Mi riferisco al pensiero "degli altri", di tutti gli altri rispetto a noi, siano essi pagani o anche cristiani, o di altre religioni e pratiche religiose. Spesso i cristiani si sono comportati peggio dei pagani quando essi hanno perseguitato quelli della nostra fede. E purtroppo abbiamo visto, in 1600 anni, dopo la sua morte, troppe cose in questa direzione! E uno di quelli che nella storia

antica del Cristianesimo ne ha fatto più le spese è stato sicuramente il suo (comunque) amato Origene, che tutti ancora consideriamo il più grande fra gli interpreti della Scrittura e gli scrittori cristiani. Già al tempo di Girolamo c'era chi voleva distruggere le sue opere e negli anni successivi come sappiamo quasi tutto della sua produzione letteraria fu condannato e bruciato.

Vorrei raccontare brevemente la lettera 84 di Girolamo a Pammachio e Oceano, per testimoniare qual è stato sempre il suo atteggiamento verso la cultura pagana e anche verso chi la pensava diversamente da lui. Sappiamo bene che Girolamo passa per un orso piuttosto feroce e che non ha risparmiato attacchi e graffi sulla faccia dei suoi avversari. Ma la verità è che lui non tollerava anzitutto la stupidità, e tanto meno la presunzione di chi crede di capire e non capisce niente. Quando sbagliava fu capace di chiedere perdono e cambiare idea (il suo rapporto con Agostino lo dimostra!). Ma quando è in ballo la verità ed egli la vedeva deturpata e maltrattata è vero che diventava una bestia, sarcastico e piuttosto violento!

Ora quei due fratelli gli avevano scritto perché desse la sua opinione sull'opera più importante di Origene, quella che si intitola "Sui Principi" (Perì Archòn), nella quale indubbiamente il grande autore di Alessandria dice cose stupende vicino a degli approfondimenti che la Chiesa ha rifiutato come non veri e prima fra tutte l'affermazione dell'"apocatastasi" e cioè il pensare alla moda degli stoici, per cui il mondo, finito un certo

"giro" di secoli, tornerà sempre di nuovo lo stesso..

In quella lettera Girolamo dice chiaramente che se c'è una cosa impossibile da accettare o difendere anche in un autore che ci piace, quella cosa non va accettata o coperta. Ma se nella stessa opera ci sono spunti di riflessione che possiamo accogliere nella ortodossia della nostra fede cattolica, allora egli si chiede:

perché non accoglierli? Perché non lasciarsi arricchire da ciò che

è buono da qualunque opera, libro sia contenuto, di qualsiasi autore?

E a sostegno della bontà di questa tesi (che poi diventa una forma mentale da abbinare alla ricerca e alla verifica costante) Girolamo cita sempre san Paolo nella Prima lettera ai Tessalonicesi: "Vagliate ogni cosa e tenete per voi ciò che è buono" (1Ts 5,21). Splendida e intelligente impostazione di pensiero e di vita, contraria a qualsiasi chiusura, grettezza, faziosità.. Del resto diciamo sempre che lo Spirito diffonde e sparge i suoi semi di luce e di verità dovunque e in chiunque.

Dio è più grande del nostro cuore. Ed è bello che nei secoli i cristiani abbiano saputo raccogliere e difendere opere di chiunque anche se a volte non sono mancati gli eccessi di condanna e di distruzione. Ripensiamo alle folte schiere dei monaci del Medio Evo che hanno fatto quello che aveva fatto anche Girolamo nel breve cammino della sua vita terrena:

raccogliere antichi manoscritti, copiarli con amore, spendendo occhi e forze in un lavoro ingrato ma prezioso, di cui oggi noi possiamo usufruire!

Nella prosecuzione della lettera la posizione di Girolamo è ben chiara: non possiamo rifiutare tutto di un autore se propone delle cose belle da leggere e ascoltare e soprattutto che esprimono la verità della fede o dell'umanità. L'importante è proprio saper distinguere, come fa l'ape di fiore in fiore, che si ferma a succhiare il nettare dei fiori che ritiene migliori. Se Origene è stato un grande uomo in molte cose, un martire della fede, un maestro di tanti discepoli, uno scrittore fecondissimo e capace di influenzare intere generazioni, non possiamo non ammetterlo solo per il fatto che alcune sue posizioni teologiche sono errate.

Certo, la lode di qualcosa non deve far passare sotto silenzio il biasimo per qualcos'altro. Ma se, ad esempio, a volte rimproveriamo a Lattanzio che scrive dei testi non proprio ben composti, questo non deve farci dimenticare la ricchezza delle

sue Istituzioni. E se riconosciamo che il vescovo Apollinare di Laodicea di fatto negò la completezza dell'umanità di Cristo, non possiamo non accettare i suoi libri e le sue argomentazioni con cui confutò le opere e le posizioni del filosofo pagano Porfirio! Sappiamo con quanto affetto il martire Cipriano di Cartagine leggesse e proponesse i testi affascinanti e i pensieri acuti del suo maestro Tertulliano. Ma questo non gli impediva di prendere le distanze dalle sue posizioni quando divenne montanista!

E la finale è veramente interessante: Girola ammette di non essere la bocca della verità, e dunque se a volte avesse sbagliato, soprattutto da più giovane, l'importante è che egli riconosce il proprio errore e riprende con impegno il cammino della verità.

Girolamo in bello stile

Una piccola parola mi piace spenderla su quello che era il sogno di ogni uomo di cultura del mondo greco-romano: saper parlare, saper parlare come Tullio-Cicerone, come Virgilio, come Quintiliano e come tutti i protagonisti di quel mondo dorato della cultura che va sotto il nome di cultura classica. Quante e quante volte Girolamo fa annotazioni, seppure di sfuggita, sullo stile delle cose che legge, siano esse opere o lettere. E spesso dalla sua impressione sullo stile deduce anche qualcosa sul contenuto del lavoro. Tante, tante volte si scusa di un testo che per lui è quasi "abborracciato" magari perché l'ha dovuto dettare al volo o perché il latore della lettera è lì di fuori che aspetta magari già imbarcato!

"Ma le altre cose che desideri sapere domandamele a tu per tu.

Così se per caso su qualche argomento non so darti risposta, la cosa muore in un orecchio amico, senza testimoni e senza giudici. Tu sai come io occupato nella lettura di opere ebraiche, ho preso la ruggine nella lingua latina al punto che nel parlare mi esce a tratti qualche suono stridulo (gutturale? n.d.r.) non

affatto latino! Perdonami dunque lo stile arido.." (ep. 28, 7 a Marcella)

Girolamo, lo hanno riconosciuto i secoli, aveva perfettamente assimilato le regole e l'animo della retorica. a volte, anzi, anche se raramente si è fatto prendere la mano dal suo discorso fino a diventare affettato e, appunto, "retorico". In genere lo ha salvato il suo gran cuore! Come esempio del suo fantastico stile latino cito tra le mille possibili una sola frase, quella finale della dedica della traduzione dei libri di Samuele e dei Re alle "regine spirituali" del suo cuore, Paola ed Eustochio. Una chiusa come tante altre. Ma quale armonia!

"Sed et vos, famulas Christi, rogo, quae domini discumbentis pretiosissimo fidei myro ungitis caput, quae nequaquam Salvatorem quaeritis in sepulcro, quibus jam ad Patrem Christus ascendit, ut contra latrantes canes, qui adversus me rabido ore desaeviunt, et circumeunt civitatem, atque in eo se doctos arbitrantur, si allis detrahant, orationum vestrarum clypeos opponatis".

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