• Non ci sono risultati.

Il «diletto del mondo» viene illustrato dalla storia di Giugurta, re di Numidia. Giugurta trascorreva il periodo primaverile in un giardino o su un prato («in certo luogo da diletto, tra fiori e suoni e canti e vivande finissime»). Non volendo essere importunato, rifiutava ogni incontro e non riceveva nessuno. Il re rifuggiva dalla malinconia e a quelli che cercavano di vederlo faceva rispondere che aspettassero fino all’autunno. Il sollazzo di Giugurta continuava finché una volta egli e il suo seguito fecero baldoria, si inebriarono, caddero nel torpore e «giaceano come pietre». In quell’istante un animale («uno becco, o montone dimestico») spogliò il re con le corna fino

419 Di Francia, Franco Sacchetti novelliere, p. 85.

420 Delcorno, Dalle “Sposizioni di vangeli” al “Trecentonovelle”.

421 Tra le caratteristiche dell’exemplum Jacques Le Goff individua «la dépendance relative de l’exemplum par rapport à un discours dans lequel il vient s’insérer comme un élément formant un tout, mais un tout subordonné à un ensemble englobant» (L’exemplum médiéval, pp. 36-37).

422 J. D. Lyons, The Rhetoric of Example in Early Modern France and Italy, Princeton, New Jersey, Princeton University Press, 1989, p. 9.

423 Le Goff, L’exemplum médiéval, pp. 36-37.

all’ombelico, lo colpì all’addome e lo uccise. In questo modo «Iugurta del diletto del mondo pagò lo scotto».

La storia di Giugurta, a quanto pare, non funzionò nella tradizione medievale come exemplum424. Letterio Di Francia, nella sua analisi degli exempla sacchettiani, ammette di non essere riuscito ad individuare la fonte di questa narrazione e aggiunge che la conoscenza del Bellum Iugurthinum di Sallustio, «avrebbe risparmiato [a Sacchetti] molti spropositi»425. Segnaliamo però che ai primi del Trecento risale il volgarizzamento del Bellum Iugurthinum da parte del domenicano Bartolomeo da San Concordio426. Del Giugurtino di Bartolomeo si conoscono più di dieci manoscritti risalenti al Trecento, il che è una prova della grande diffusione del testo427. Il personaggio di Giugurta doveva essere noto al pubblico trecentesco soprattutto grazie al volgarizzamento di Bartolomeo428. In questa ottica, ciò che per Di Francia costituiva una clamorosa deviazione dalla versione di Sallustio, per un lettore trecentesco doveva essere visto piuttosto come una curiosa riscrittura di una nota storia429. Questo procedimento di riscrittura è senz’altro molto profondo, ma, in quanto tale, rivela una conoscenza da parte di Sacchetti di diverse narrazioni su Giugurta430.

Benché il protagonista di Sacchetti sembri condividere con il Giugurta del volgarizzamento solo il nome e il titolo reale, il legame tra le Sposizioni e il Giugurtino è più profondo di quanto possa apparire. In primo luogo, vorremmo evidenziare un interessante parallelo tra la storia della morte di Giugurta nelle Sposizioni e la descrizione della sua adolescenza nel Giugurtino:

424 Ho consultato l’Index di Tubach (F. C. Tubach, Index exemplorum: A Handbook of Medieval Religious Tales, Helsinki, Suomalainen Tiedeakatemia, 1981) e il ThEMA (Thesaurus Exemplorum Medii Aevi, disponibile sul sito:

<http://thema.huma-num.fr/>).

425 Di Francia, Franco Sacchetti novelliere, p. 77.

426 Cfr. F. Maggini, Appunti sul “Sallustio volgarizzato” di Bartolomeo da S. Concordio, “Giornale storico della letteratura italiana”, Vol. LXXVI, 1920, pp. 255-264; C. Lorenzi Biondi, Le traduzioni di Bartolomeo da San Concordio, in: Tradurre dal latino nel Medioevo italiano. «Translatio studii» e procedure linguistiche, a cura di L.

Leonardi, S. Cerullo, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo e Fondazioni Ezio Franceschini, 2017, pp. 353-388.

427 Il Dizionario dei volgarizzamenti elenca in totale 43 manoscritti della tradizione diretta (C. Lorenzi Biondi, Giugurtino, in: DiVo - Dizionario dei volgarizzamenti, <http://tlion.sns.it/divo>).

428 La storia di Giugurta viene ripresa anche da Boccaccio nel De casibus virorum illustrium, Liber V, XX, De Iugurta Numidarum rege (Giovanni Boccaccio, Opere in versi, Corbaccio, Trattatello in laude di Dante, Prose latine, Epistole, a cura di P. G. Ricci, Milano-Napoli, Ricciardi, 1954).

429 Il riferimento al re Giugurta non è certo casuale. Sacchetti conosceva bene la storia del re di Numidia: in una canzone del Libro delle rime, passando in rassegna le celebri vittorie dei Romani, Sacchetti nominò Mario che

«mise a tal partito / Giugurta e sua folia, / Numidïa recando a suo diritto» (Libro delle rime, LVII, vv. 36-38).

430 Beryl Smalley ha osservato che la mancata conclusione dell’opera di Sallustio e l’incertezza circa le future sorti del re numidico di frequente lasciò i lettori medievali insoddisfatti e portò alcuni copisti a completare la storia («An answer to that Middle School question, known to all teachers, 'And how did he die?' was supplied in verses, copied in many MSS, telling us (erroneously) that Jugurtha met his death at the foot of the Tarpeian rocks': Qui cupit ignotum Iugurte noscere letum, / Torpeis rupibus pulsus ad ima ruit.», B. Smalley, Sallust in the Middle Ages, in:

Classical Influences on European Culture A.D. 500-1500, ed. R. R. Bolgar, Cambridge, Cambridge University Press, 1971, pp. 165-175: p. 172).

Il quale [Giugurta], sì tosto che cominciò a crescere, essendo forte e prode, bello nella faccia, ma molto più valoroso d’ingegno, non si diede a ciò, che per lussuria né per pigrizia guastasse sé medesimo, ma, siccome è usato in quelle contrade, si diede a ben cavalcare, lanciare a prova con gli altri suoi iguali, a correre; e, conciossiacosa ch’egli tutti avanzasse per gloria, nientemeno a tutti era caro. Anche più tempo menava in cacciare li leoni e altre fiere. Egli primo, ovvero in prima, fedia: molto facea, e pochissimo di sé parlava431.

È un ritratto di un giovane operoso e pieno di vigore, che sfugge all’ozio dedicandosi agli esercizi militari (corsa a cavallo, lancio del giavellotto) e alla caccia. Sacchetti costruisce invece un’immagine antitetica: il suo Giugurta si astiene da ogni attività, abbandona gli impegni di governo ed è dominato dalla pigrizia. Il Giugurta del volgarizzamento, che «molto facea» ed era il primo ad uccidere le fiere, si trasforma in Sacchetti in un personaggio indolente e intorpidito. Il Giugurta di Sacchetti, infine, muore ucciso non da una fiera, ma da un capo di bestiame: montone o becco (la scelta di tali animali non è priva di una forte carica ironica). Un altro spunto narrativo che Sacchetti poteva trarre dal Giugurtino è meno esplicito. Si tratta di una certa corrispondenza dell’exemplum delle Sposizioni con il messaggio morale espresso nel prologo del Giugurtino:

E il reggitore e il signore della vita è il nostro animo, il quale, quando si studia e briga ad onore per via di virtù, ha assai di valore, di potenzia e di fama, e non ha bisogna di ventura: la quale valenzia né sapienzia o altre buone arti non puote dare né tôrre a niuno uomo. Ma, se l’animo è preso da sozzi e perversi desiderii, e a pigrizia e a corporali diletti sottomesso, avendo un poco usata sua malvagia voglia, poiché, per sua miseria, la forza, il tempo e l’ingegno saranno trascorsi, incolpasi ed accusasi la debolezza della natura; e la sua colpa ciascuno operatore trasmuta e appone ad altri fatti432.

La mente che segue la via della virtù, leggiamo nel Giugurtino, non ha bisogno dell’aiuto della fortuna per acquisire potenza e fama, ma quando le necessità del corpo cominciano a dominare e a indebolire e intorpidire la mente (cioè quando l’animo «è preso da sozzi e perversi desiderii, e a pigrizia e a corporali diletti sottomesso»), l’uomo cerca le proprie colpe non in se stesso, ma nelle circostanze esterne. L’interpretazione morale di Sallustio fu comune tra gli autori medievali. Negli Ammaestramenti degli antichi di Bartolomeo da San Concordio (l’opera precede di alcuni anni il volgarizzamento delle opere di Sallustio), fra alcune massime sallustiane, ritroviamo proprio questa:

«Salustio in Giugurtino. Se l’animo preso dai mali desiderj è sottoposto a’ corporali diletti, per la

431 Il Giugurtino (Il Catilinario ed il Giugurtino libri due di C. Crispo Sallustio, volgarizzati per frate Bartolommeo da S. Concordio, a cura di B. Puoti, Napoli, Stamperia del Vaglio, 1858, Cap. III, p. 73).

432 Il Giugurtino, Cap. 1, p. 69.

pestilenziosa lussuria discorso è via lo ’ngegno»433. Tuttavia, Bartolomeo, contrapponendo solo la mente e il corpo, è riduttivo e non riesce a cogliere la relazione tra virtù e fortuna presente in Sallustio434. Bartolomeo riporta la massima sallustiana solo per dimostrare che «lussuria ingrossa lo

‘ngegno». Sacchetti sembra seguire da vicino l’interpretazione di Bartolomeo, ma il suo exemplum non tratta di lussuria («sozzi e perversi desiderii»). Il Giugurta dell’exemplum sacchettiano viene sopraffatto dall’ozio e diventa «a pigrizia e a corporali diletti sottomesso». La pigrizia, l’ebbrezza e la conseguente sonnolenza sono temi tradizionali della moralistica medievale, attinti per lo più o dai libri sapienziali della Bibbia (Proverbi, Ecclesiastico) oppure dalle storie della Genesi (gli episodi dell’ebbrezza di Noè o soprattutto quella di Lot). Paolo da Certaldo, mettendo in guardia i suoi lettori contro le insidie del vino, affermava che l’eccesso nel bere conduce spesso alla morte:

Molto ti guarda di non bere tanto che ti tolga la ragione e ‘l conoscimento, in però che l’ebbrezza è troppo sozza cosa e troppo pericolosa. Ella mena l’uomo sanza arme a morire, ella discuopre i sagreti, ella fa l’uomo servo de la più vile cosa che sia, cioè del fango e del fastidio, ella induce la lussuria, ella genera furore e zuffe tra’ frategli e tra gli altri vicini e amici e compagni. Qual cosa rea è che da l’ebbrezza non proceda? Baltassar re di Bambilonia, essendo caldo di vino, ne perdé la terra e fu morto da Cirio e da Dario re. Il re Erode Anzipas fece tagliare il capo a San Giovanni Batista, il quale molto amava, perch’era riscaldato di vino. Lotto, castissimo, addormentato di troppo vino, fuggendo al monte, ebbe a fare co le figliole come fossero sua moglie. Dunque guarti dal vino, ché troppo è pericolosa cosa a berlo pretto e berne troppo435.

Paolo nel suo catalogo degli effetti dell’abuso di vino nominava sia l’ira («furore e zuffe») sia la lussuria (l’esempio delle figlie di Lot). Per Bartolomeo da San Concordio, invece, il peccato di gola era in primo luogo «cagione di lussuria»436. Nell’exemplum di Sacchetti, tra gli effetti del cibo e del vino consumati fuori misura, spiccano il sonno e il torpore che portano alla morte violenta del protagonista. Lo sventramento di Giugurta da parte di una bestia (l’animale «il cozzò in tal maniera, che gli ruppe il corpo insino a le ‘nteriora») può essere considerato perciò un crudele contrappasso.

433 Bartolomeo da San Concordio, Ammaestramenti degli antichi raccolti e volgarizzati per fra Bartolommeo da S.

Concordio, Napoli, Francesco Rossi, 1848, Dist. 25, Rubrica VI, 6, p. 199.

434 Sotto questo aspetto più vicino allo scrittore romano sarà nel Quattrocento Giovanni Rucellai: «Dice Salustio nel Giugurtino che, si gli uomini mettessino cura e diligenza circha alle buone chose e buone arte, quanto fanno nelle chose de’ piaceri e de’ diletti inutili, che sono piene di pericoli, non sarebbono recti da’ chasi della fortuna, ma reggierebbono e’ chasi della fortuna» (Giovanni Rucellai ed il suo Zibaldone, a cura di A. Perosa, London, The Warburg Institute, 1960, Terza parte, II, La fortuna, p. 112).

435 Paolo da Certaldo, Libro di buoni costumi, 341, p. 79. Sullo stesso tema cfr. Antonio Pucci, Libro di varie storie, XXXVI, p. 252.

436 Bartolomeo da San Concordio, Ammaestramenti degli antichi, Dist. 25, Rub. III, IV, pp. 190-193. Sul rapporto gola-lussuria si veda C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo, Torino, Einaudi, 2000, p. 136.

Servendoci delle parole di Paolo da Certaldo, potremmo dire che Giugurta, appesantito dal cibo, inebriato dal vino e infine eviscerato da un animale, diventa «servo […] del fango e del fastidio [scil. delle feci]». In conclusione bisogna dire che Giugurta, soccombendo ai piaceri della tavola, non ha combattuto la sua battaglia spirituale con il «mondo».