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La paura dell’inferno o la paura dell’ignoranza? Strategie pedagogiche ne Lo specchio della

I. IACOPO PASSAVANTI MAESTRO DI FEDE

2. La paura dell’inferno o la paura dell’ignoranza? Strategie pedagogiche ne Lo specchio della

a. La «musa del terrore»: il predicatore, la morte e il diavolo

«La musa del Passavanti è il terrore», scriveva Francesco De Sanctis, «e la sua materia è il vizio e l’inferno»45. Secondo De Sanctis il domenicano fiorentino quasi con sadismo si compiaceva nello «spaventare e tormentare l’anima»46. L’austero stile dello Specchio della vera penitenzia veniva contrapposto dal critico alla soavità delle prose di Domenico Cavalca. Questa immagine, basata soprattutto sulla valutazione estetica e psicologizzante degli exempla passavantiani, ha dominato incontrastata nella critica e nelle storie letterarie per tutto il Novecento47. Giovanni Getto (1943) ha contribuito non poco alla costruzione dell’immagine del «Passavanti giustiziere», che riusciva ad incutere timore più abilmente di Dante stesso48. Giorgio Petrocchi (1965), riprendendo il tema della paura nello Specchio, ha notato la minaccia posta dal diavolo «sempre all’erta e sempre crudelissimo»49. Guido Baldassarri (1995), a distanza di 125 anni dalla pubblicazione della Storia della letteratura italiana di De Sanctis, ha deciso di riproporre immutata l’opinione del critico ottocentesco50. Il lavoro più recente che si inserisce in questo filone di ricerca è quello della studiosa francese Myriam Carminati (2006), nel quale veniva messa in evidenza soprattutto l’ambientazione notturna di alcuni exempla passavantiani51. In parallelo si è svolta la ricerca degli storici della mentalità, in primo luogo di Jean Delumeau, che ha insistito sulla diffusione del sentimento della

45 F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Nuova edizione, a cura di B. Croce, Bari, Laterza, 1925, Cap. VI, p.

108.

46 Ivi.

47 Come ha giustamente affermato Giorgio Varanini il tema della paura in Passavanti «[è] divenuto dopo il De Sanctis una sorta di passaggio obbligato per chi abbia rivolto la sua attenzione allo Specchio» (Racconti esemplari di predicatori del Due e Trecento, vol. 2, a cura di G. Varanini e G. Baldassarri, Roma, Salerno Editrice, 1993, p. 511).

48 G. Getto, Umanità e stile di Jacopo Passavanti, Milano, Casa Editrice Leonardo, 1943 (ristampato in: idem, Letteratura religiosa del Trecento, Firenze, Sansoni, 1967). Carlo Delcorno ha stilato una breve lista di alcune

«immaginose formule» usate da Getto per descrivere gli spaventosi exempla di Passavanti: «favolosa tetraggine»;

«paesaggio sinistro»; «sbigottita catastrofe»; «lugubre paura»; «truce spavento»; «truculenza fosca da romanzo giallo» (Gli studi di Giovanni Getto sulla letteratura religiosa degli Ordini mendicanti, “Lettere italiane”, 55/3, 2003, pp. 335-360: p. 349).

49 G. Petrocchi, Cultura e poesia del Trecento, in: Storia della letteratura italiana, a cura di E. Cecchi e N. Sapegno, vol. II, Milano, Garzanti, 1965, pp. 559-724 (su Passavanti pp. 652-656).

50 «i modi una religiosità, se non tutta volta a suscitare il terrore delle pene infernali, certo lontanissima dalla un po’

inerte tranquillità delle pagine di un Cavalca» (G. Baldassarri, Letteratura devota, edificante e morale, in: Storia della letteratura italiana, dir. da E. Malato, vol. II, Il Trecento, Roma, Salerno Editrice, 1995, pp. 211-326: p. 247).

51 «les prédications de Passavanti s’enracinent dans une vision pessimiste de la nature humaine souillée et corrompue par le péché originel» (M. Carminati, La pénitence, “médecine de l’âme”: nuit et terreur dans les exempla de Jacopo Passavanti, “Revue des Langues Romanes”, 2, 2006, pp. 407-424: p. 409).

paura nella cultura del Basso Medioevo e della prima età moderna52. Il concetto di «pastorale de la peur»53, elaborato da Delumeau, ha goduto di una notevole fortuna, ma è stato rivalutato negli studi più recenti, che mostrano un quadro più bilanciato della religione tardomedievale54. Wojciech Brojer, nella sua ricerca sugli exempla del XIII secolo, ha dimostrato, grazie all’analisi statistica di un vastissimo corpus, che la retorica degli autori delle raccolte si fondava su uno studiato equilibrio tra la paura e la speranza, tra il pessimismo e l’ottimismo55. Il sentimento della speranza, concludeva Brojer, ha mantenuto però la prevalenza sulla paura per tutto il secolo XIII56.

Uno dei compiti che ci proponiamo in questo capitolo è quello di riconsiderare il tema della paura (timore) nello Specchio della vera penitenzia. La ricerca di questo tipo ha purtuttavia le sue limitazioni. Dato il ristretto numero degli exempla e l’incompiutezza del trattato, la strada dell’analisi statistica non pare percorribile. Al contempo, si vogliono evitare analisi stilistiche del materiale narrativo, che finora hanno caratterizzato la lettura e l’interpretazione del trattato di Passavanti. Non ci occuperemo, dunque, della paura come strumento di persuasione, ma cercheremo di riflettere sul ruolo del sentimento della paura nella teologia penitenziale del domenicano fiorentino. Saranno prese in esame tre principali questioni: (I) la paura come incitamento alla penitenza, (II) la paura come impedimento alla penitenza, (III) la contrizione e l’attrizione.

La nostra ipotesi è che l’opera di Passavanti sia contrassegnata non da una paura del giudizio divino e dell’inferno, ma piuttosto dalla «paura dell’ignoranza»57, caratteristica della formazione intellettuale dei frati mendicanti. L’ammaestramento, inteso come la rimozione della peccaminosa ignoranza, è proprio il principio che determina e organizza la trattazione di Passavanti.

52 J. Delumeau, La Peur en Occident (XIVe-XVIIIe siècles). Une cité assiégée, Paris, Fayard, 1978; idem, Le Péché et la peur: La culpabilisation en Occident (XIIIe-XVIIIe siècles), Paris, Fayard, 1983.

53 Con questa espressione si intende una pastorale caratterizzata da una particolare insistenza sui Novissimi: «l’enfer plus que le paradis, la justice de Dieu plus que la miséricorde, la Passion plus que la Résurrection, l’aveu plus que le pardon» (G. Cuchet, Jean Delumeau, historien de la peur et du péché. Historiographie, religion et société dans le dernier tiers du 20e siècle, “Vingtième Siècle. Revue d’histoire”, 107/3, 2010, pp. 145-155: p. 146).

54 Cfr. M. Lodone, L’attesa e la paura. La fine dei tempi nella predicazione fiorentina del tardo medioevo (XIV-XVI secolo), “Cahiers d’études italiennes” [En ligne], 29, 2019, <http://journals.openedition.org/cei/6244>. Per il periodo tridentino cfr. C. E. Norman, The Social History of Preaching: Italy, in: Preachers and People in the Reformations and Early Modern Period, ed. L. Taylor, Boston-Leiden, Brill, 2003, pp. 125-191 (in particolare pp.

176-178).

55 Brojer, Diabeł w wyobraźni średniowiecznej, p. 600. Michele Lodone nell’analisi della predicazione fiorentina è giunto alle conclusioni simili: «Nel discorso clericale, a ben vedere, la minaccia e la paura dell’inferno rivestivano un ruolo secondario, rispetto alla ricerca della salvezza eterna; erano parte cioè di una strategia – ora terroristica, ora rassicurante – intesa a raggiungere un obiettivo che restava fondamentalmente soteriologico», idem, L’attesa e la paura.

56 Brojer, Diabeł w wyobraźni średniowiecznej, p. 600.

57 L’espressione è di Paweł T. Dobrowolski, Wincenty Ferrer. Kaznodzieja ludowy późnego średniowiecza, Warszawa, Instytut Historii PAN, 1996, p. 75.

Nella teologia del domenicano la conoscenza adeguata è una condizione ineludibile per accedere al sacramento della penitenza e, in conseguenza, per salvare l’anima:

E acciò che prontamente e con desiderio fervente della propria salute, ogni negligenzia e ignoranza da noi rimossa e tolta, stendiamo le mani a prendere questa necessaria e vittoriosa tavola della penitenza e perseverantemente la tegnamo infino ch’ella ci conduca alla riva del celestiale regno al quale siamo chiamati, io, frate Iacopo Passavanti, dell’Ordine de’ Frati Predicatori minimo, pensai di comporre e ordinare certo e spezial trattato della penitenzia58.

la principale intenzione di coloro, a cui stanzia l’autore imprese a fare questo libro, fu per imprendere a sapersi bene confessare, la qual cosa comunemente la gente sa mal fare, impediti o da ignoranza, o da negligenza, o da vergogna, o da certa malizia, ché l’ignoranza nolli lascia sapere e cognoscere li peccati e le loro cagioni, e le loro spezie e differenze, né le loro circustanze, né discernere le loro gravezze; e però non gli sanno distintamente confessare59.

Passavanti si rivela sotto questo aspetto un fedele allievo di San Tommaso. L’Aquinate sosteneva che l’ignoranza (distinta dalla semplice nescientia, ovvero la negazione di conoscenza) (1) fosse causa di peccato per parte della ragione; (2) fosse un peccato60. Tutti, argomentava il teologo, sono perciò obbligati a conoscere gli articoli della fede e i precetti del diritto; alcuni invece devono sapere solo quello che è pertinente al loro stato o ufficio61. Ebbene, chi per colpa della negligenza ignora quello che deve sapere, commette il peccato62. Questo imperativo dello studio, fondamentale per la spiritualità domenicana, si tradusse nell’elaborazione di un programma catechistico rudimentale, ma dai contorni ben precisati, rivolto ai laici che non conoscevano il latino:

a’ quali basta di sapere in genere de’ comandamenti della Legge, degli articoli della fede, de’ sacramenti della Chiesa, de’ peccati, degli ordinamenti eclesiastici, della dottrina del santo Evangelio, quanto è necessario alla loro salute, e quanto n’odono da’ loro rettori e da’ predicatori della Scrittura e della fede63.

58 Specchio, Prolago, p. 212 (grassetto mio).

59 Ivi, Dist. V, p. 281 (grassetto mio).

60 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Iª-IIae q. 76.

61 «Unde omnes tenentur scire communiter ea quae sunt fidei, et universalia iuris praecepta, singuli autem ea quae ad eorum statum vel officium spectant» (ivi, Iª-IIae q. 76 a. 2 co.).

62 «Unde propter negligentiam, ignorantia eorum quae aliquis scire tenetur, est peccatum» (ivi).

63 Specchio, T. van., V, [1], p. 415. Cfr. S. Vecchio, Le prediche e l’istruzione religiosa, in: La predicazione dei frati dalla metà del ‘200 alla fine del ‘300, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 1995, pp. 301-335; C.

Delcorno, La fede spiegata ai fiorentini. Le prediche sul “Credo” di Giordano da Pisa, “Lettere italiane”, 65/3, 2013, pp. 318-352.

Ma, come si vedrà più avanti, Passavanti nello Specchio vorrà rispondere alle esigenze più profonde di un ceto cittadino istruito e alfabetizzato nella lingua volgare. Le strategie pedagogiche utilizzate dal domenicano presuppongono un certo livello di cultura dei suoi lettori (uditori)64.