• Non ci sono risultati.

Nella Distinzione III dello Specchio la paura viene elencata come uno dei motivi che impediscono la penitenza (vergogna, paura, speranza, disperazione)83. Il diavolo, finora presente solo nelle parti narrative, è indicato come una forza attiva e tentatrice che ostacola la decisione di fare penitenza («egli s’ingegna di dare impedimento e di ritrarre l’uomo che non faccia penitenza»).

Ma la paura è intesa qui non come la paura della morte o dell’inferno, bensì come una paura di abbandonare la vita mondana, il piacere, il benessere, una paura, insomma, della sofferenza fisica («la paura d’afflizione, o di pena corporale o temporale»), collegata con la vita di penitenza. In che modo si può vincere questa paura? Passavanti consiglia ai suoi lettori di riflettere sull’inevitabilità della punizione:

Il rimedio contro a questa vana paura si è considerare che niuno peccato puote rimanere che non sia punito: o e’ si punisce in questa vita o ne l’altra, in questa vita si punisce per la penitenza, nell’altra per la divina giustizia.

Gli stenti della penitenza sono incomparabilmente più leggeri rispetto alle eterne pene dell’inferno;

«non fanno saviamente», conclude il domenicano, «coloro che questa brieve pena schifano, e vanno all’etterna sanza fine». In due exempla (9, 10) si dimostra appunto «il saggio delle pene dello

‘nferno»84, ma soffermiamoci ora sull’exemplum 11 (quello del carbonaio di Niversa, una delle più celebri tra le narrazioni passavantiane85), dove il domenicano introdurrà un elemento fino a questo punto assente nella sua riflessione sui Novissimi: il purgatorio. L’autore dello Specchio ritorna quindi alla questione della penitenza rimandata agli ultimi istanti di vita:

Ma pognamo che l’uomo fosse certo di pentersi alla fine, che sciocchezza sarebbe di volere anzi andare alle pene del purgatorio, delle quali dice santo Agostino che avanzano ogni pena che sostenere si possa in questa vita, che volere sostenere qui un poco di penitenzia

Il tardo pentimento, come già sappiamo, è particolarmente incerto, ma, sostiene Passavanti, anche se fosse possibile, sarebbe poco ragionevole. La volontaria “scelta del purgatorio” da parte del

83 Le citazioni non altrimenti indicate si riferiscono alla Dist. III, pp. 239-264.

84 Cfr. Monteverdi, Gli «esempi» di Iacopo Passavanti, pp. 185-190.

85 È notissimo il parallelo tra l’exemplum di Passavanti e la novella boccacciana di Nastagio degli Onesti (Decameron V, 8). Per le fonti di entrambi i testi cfr. Monteverdi, Gli «esempi» di Iacopo Passavanti, pp. 190-194; per l’interpretazione della novella si veda un recente e interessante saggio di Franco Cardini, Gli spettri di Nastagio, in:

Lo spettro e la verità. Fantasmi, apparizioni, profezie dalla Bibbia al Decameron, a cura di F. Cardini, G. Larini, Padova, libreriauniversitaria.it edizioni, 2017, pp. 161-179.

penitente si configura, in questa ottica, come un errore di giudizio particolarmente clamoroso.

Quello delle gravità delle pene nel purgatorio, rispetto alle sofferenze temporali della vita umana, è un concetto scolastico, attinto dall’opuscolo psuedoagostiniano De vera et falsa poenitentia (scritto probabilmente nel XI secolo; intere sezioni del trattato furono successivamente incorporate nel Decreto di Graziano e nelle Sentenze di Pietro Lombardo)86. Passavanti si ispira chiaramente alla casistica sulla materia della confessione, ma nel suo volgarizzamento si appella innanzitutto al buon senso dei suoi lettori e per questo motivo adotta un linguaggio più sciolto, popolareggiante («stolto sarebbe questo detto», «sciocchezza sarebbe»).

Le «gravissime» pene del purgatorio vengono illustrate nell’exemplum del carbonaio di Niversa (Nevers). Passavanti indica come sua fonte il cistercense Elinando di Froidmont (m. dopo il 1229), ma come al solito, il racconto è attinto probabilmente dall’Alphabetum narrationum, che, a sua volta, è assai fedele alla versione del cistercense87. L’exemplum, nella formulazione di Elinando (ripresa senza modifiche da Arnoldo di Liegi), deve essere considerato un’espressione della consapevolezza teologica del primo quarto del XIII secolo. Dopo più di un secolo, Iacopo Passavanti sentirà perciò il bisogno di chiarificare alcuni aspetti teologici del racconto. Ma cerchiamo prima di riassumerne la trama. Una notte un povero carbonaio di Niversa assiste a una scena macabra: una donna nuda è inseguita da un cavaliere su un cavallo nero. Sia il cavaliere, che il cavallo hanno un aspetto infernale: dai loro occhi, dalla bocca, dalle narici fuoriescono delle fiamme. Il cavaliere raggiunge la donna, la uccide e getta il suo corpo nella carbonaia («fossa de’

carboni ardenti»). Dopo un istante, il cavaliere toglie dal fuoco il corpo arso della donna, lo mette sul cavallo e parte. La visione del carbonaio si ripete la seconda e la terza notte. Il carbonaio decide allora di riferire al conte di Niversa quello che ha visto; insieme vanno nel luogo in cui si è verificata la visione; gli spettri del cavaliere e della donna riappaiono. Il conte, spaventato, si fa coraggio e chiede al cavaliere di spiegare loro il senso della visione. Il cavaliere rivela il suo nome – Giuffredi – e spiega che in vita è stato un cavaliere della corte del conte e la donna da lui rincorsa – Beatrice – è stata la sua amante, la moglie del cavaliere Berlinghieri. La donna ha ucciso suo marito e i due hanno potuto continuare la loro lussuriosa relazione fino alla morte. I tormenti dei due amanti, afferma lo spirito di Giuffredi, sono determinati dalla logica del contrappasso:

86 «Hic autem ignis etsi aeternus non fuerit, miro tamen modo est gravis: excellit enim omnem poenam quam unquam passus est aliquis in hac vita», De vera et falsa poenitentia, Cap. XVIII.34 (PL 40, col. 1128). Su questo trattato cfr.

J. Le Goff, La nascita del Purgatorio, Torino, Einaudi, 2014, pp. 240-246.

87 Elinando di Froidmont, Flores, Cap. XIII (PL 212, col. 734); Alphabetum narrationum, 629 (Peccantes simul in uita etiam in morte puniuntur).

Però che questa donna per amore di me uccise il suo marito, l’è data questa pena, che ogni notte, tanto quanto ha stanziato la divina giustizia, patisce per le mie mani duolo di penosa morte di coltello, e però ch’ella ebbe ver di me ardente amore di carnale concupiscenza, per le mie mani ogni notte è gittata ad ardere nel fuoco, come nella visione vi fu mostrato. […] E come l’uno fu cagione a l’altro d’accendimento di disonesto amore, così l’uno è cagione a l’altro di crudele tormento: ché ogni pena ch’io fo patire a lei sostengo io, ché ‘l coltello di che io la ferisco tutto è fuoco e non si spegne

L’exemplum nella versione di Elinando rielabora il motivo della caccia selvaggia e per questa ragione tenta di ricreare un’atmosfera infernale88. Tale ambientazione nasconde però un’ambiguità: i due amanti sono dannati? Il termine «purgatorio», infatti, non viene usato da Elinando. Solo nella conclusione dell’exemplum si ha un indizio sul destino dei due personaggi. Mettiamo a confronto le tre versioni della narrazione (Elinando, Arnoldo di Liegi, Passavanti):

Elinando Ad haec comes: Quis est ille equus, super quem sedes? Diabolus, inquit, quidam est, qui nos ineffabili vexatione torquet. Possetne vobis, ait, aliquis succurrere? Posset, inquit, si vos feceritis in cunctis congregationibus, quae vobis subjectae sunt, orare pro nobis, et a presbyteris celebrare missas, et psalmos a clericis decantari.

Arnoldo Ad hec comes: “Quis est ille equus super quem sedes?” - Dyabolus, inquit, est qui nos torquet.” Et comes:

“Posset ne aliquis uobis sucurrere?” – “Posset, inquit, si uos faceretis missas et psalmos pro nobis decantari utique possemus iuuari.”

Passavanti Il cavallo è uno demonio al quale siamo dati, che ci ha a tormentare. Molte altre sono le nostre pene.

Pregate Idio per noi, e fate limosine e dir messe, acciò che si alleggino i nostri martiri». E questo detto, sparì come saetta folgore.

La versione di Passavanti presenta sostanziali differenze rispetto all’exemplum di Elinando (ripreso, come si è già detto, quasi letteralmente da Arnoldo). Ma occorre prima di tutto ricordare che all’inizio del XIII secolo la dottrina del purgatorio era ancora in via di affermazione. Nella narrazione del cistercense l’atteggiamento indagatore del conte nei confronti del terrificante spirito del cavaliere può stupire, ma riveste un ruolo preciso all’interno della vicenda narrata. La domanda sulla possibilità di aiutare le anime tormentate degli amanti («Possetne vobis, ait, aliquis succurrere?») permette al cavaliere di spiegare «la logica del purgatorio»89. Il cavaliere riesce in effetti a delineare in una sola frase il concetto del suffragio per le anime dei defunti nel purgatorio.

88 Sul motivo della caccia selvaggia e della cosiddetta «masnada di Hellequin» in Elinando si veda J.-C. Schmitt, Ghosts in the Middle Ages: The Living and the Dead in Medieval Society, Chicago, Chicago University Press, 1998, pp. 113-115.

89 L’espressione è di Jacques Le Goff, La nascita del Purgatorio, II, cap. VIII.

La domanda del conte scompare nello Specchio: il periodo ipotetico («posset… si») si trasforma in una perentoria richiesta dei suffragi (preghiere, elemosine, messe), una richiesta, notiamo, rivolta al carbonaio e al conte, cioè ai laici. Nel racconto di Elinando l’attenzione è posta invece sulla mediazione del clero; si accenna inoltre al legame tra l’ambiente feudale e quello monastico («congregationes, quae vobis subjectae sunt»). L’exemplum di Elinando sembra ancora scisso tra due modi di concepire l’esperienza ultraterrena: la descrizione delle pene infernali è applicata a un nuovo sistema dell’aldilà. Iacopo Passavanti, volgarizzando il materiale narrativo del XIII secolo, tende generalmente ad eliminare ogni ambiguità e così avviene anche in questo caso.

Nell’exemplum dello Specchio il cavaliere chiarisce la sua condizione già all’inizio della conversazione con il conte e dichiara esplicitamente: «noi non siamo dannati». Il confronto fra le tre versioni dell’exemplum dimostra che nel trattato di Passavanti l’aggiunta più cospicua concerne proprio la distinzione tra l’eternità delle pene dell’inferno e il carattere finito delle pene del purgatorio:

Elinando Et in hoc peccato ambo mortui sumus: nisi quod, heu sero! In hac ipsa morte poenituimus.

Arnoldo et in hoc peccato ambo mortui sumus, nisi quod, heu! in ipsa sero morte penituimus.

Passavanti Perseverammo nel peccato infino alla ‘nfermità della morte, ma nella infermità della morte, prima ella e poi io, tornammo a penitenza, e confessando il nostro peccato, ricevemmo misericordia da Dio, il quale mutò la pena eterna dello ‘nferno in pena temporale di purgatorio, onde sappi che noi non siamo dannati, ma facciamo in cotale guisa come hai veduto nostro purgatorio, e avranno fine, quando che sia, li nostri gravi tormenti.

L’aspetto più interessante del volgarizzamento passavantiano consiste nel tentativo di

“sacramentalizzare” la storia dei due amanti. Il domenicano, attraverso la voce del cavaliere, descrive tre tappe della penitenza: «(1) tornammo a penitenza, (2) e confessando il nostro peccato, (3) ricevemmo misericordia da Dio, il quale mutò la pena eterna dello ‘nferno in pena temporale di purgatorio». Queste tre tappe corrispondono alle tre parti del sacramento: contrizione, confessione, soddisfazione, che nella dottrina di Passavanti sono condizioni della «vera» penitenza90. La storia dell’amore illecito di Giuffredi e Beatrice si inserisce in una serie di exempla in cui si evidenzia la dialettica tra la confessione rapida e la confessione tardiva (sera). Il peccatore, come affermava Passavanti già nel prologo, «immantanente sanza indugio dee avere ricorso alla penitenza»91. I due

90 La tripartizione del sacramento della penitenza (contritio cordis – confessio oris – satisfactio operis) risale al Decreto di Graziano e fu successivamente sviluppata da Pietro Lombardo. Cfr. Specchio, Dist. IV.

91 Specchio, Prolago, p. 211.

amanti dell’exemplum evitano la dannazione eterna, ma devono nondimeno espiare nel fuoco purgatorio la loro colpa e la loro tardività nella penitenza.