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III) Piramo e Tisbe

3. Sacchetti, Dante e la soteriologia

a. «E non dice Dante...?»: la salvezza dei pagani e il grande scisma d'Occidente

Una delle sfide maggiori che gli scrittori e poeti volgari della generazione di Franco Sacchetti dovevano affrontare nella loro carriera letteraria consisteva in una vitale necessità di misurarsi con la tradizione dei grandi autori delle generazioni precedenti: Dante, Petrarca e Boccaccio. Se le notizie della morte di Petrarca e di Boccaccio, una volta giunte a Sacchetti, lo indussero a compiangere la morte della poesia stessa, il suo rapporto con Dante, morto un decennio prima della sua nascita, era di gran lunga meno emotivo, ma sicuramente non meno intenso. Nel primo periodo dell’attività letteraria di Sacchetti (gli anni Cinquanta del Trecento), le opere di Dante godevano già di una rispettabile tradizione esegetica e la figura di Dante era perfino divenuta oggetto di leggenda e di tradizione orale. Sacchetti, del resto, contribuì in maniera non marginale alla formazione della leggenda che circondava l’Alighieri: nel Trecentonovelle Dante, «lo eccellentissimo poeta volgare, la cui fama in perpetuo non verrà meno», è personaggio di ben tre novelle519.

La presenza di Dante nelle Sposizioni di vangeli, di cui vorremmo ora trattare, è naturalmente di tutt’altro genere: nelle Sposizioni l’Alighieri è visto innanzitutto come autorità teologica e non come maestro di poesia. I versi della Commedia, introdotti di solito dalla formula

«E però dice Dante...», servono per riassumere e concludere l’argomentazione addotta dallo scrittore. Nessun’altra citazione dell’autorità viene marcata da Sacchetti in modo così cospicuo.

Tuttavia, nelle Sposizioni vengono citate per intero soltanto due terzine dantesche. La prima, «Chi crederebbe giù nel mondo errante...» (Par., XX, 67-69), compare nel contesto della discussione sulla salvezza dei pagani e sulla necessità del battesimo. La seconda, «State contenti, umana gente, al quia...» (Purg., III, 37-39), è utilizzata come spunto per riflettere sui motivi dell’incarnazione di Cristo. Entrambe le terzine dantesche, curiosamente, vengono citate da Sacchetti come argomenti nelle discussioni pertinenti alla soteriologia cristiana. Nel presente capitolo cercheremo perciò di indagare il ruolo che la Commedia di Dante svolge nelle Sposizioni di vangeli. In altre parole, ci chiederemo se la Commedia sia per Sacchetti solo fonte di autorevoli citazioni, oppure è anche repertorio di temi teologici attraverso il quale lo scrittore può accedere al più approfondito discorso

519 Trecentonovelle, VIII, CXIV, CXV (la citazione proviene dalla novella CXIV). A queste tre possiamo aggiungere la novella CXXI nella quale il protagonista visita la tomba di Dante a Ravenna. Le quattro novelle sono state riportate anche da un’utile silloge di Giovanni Papanti, Dante, secondo la tradizione e i novellatori, Livorno, Francesco Vigo Editore, 1873. Ringrazio Zofia Anuszkiewicz per questo riferimento.

teologico. Ci soffermeremo quindi sulle modalità in cui Sacchetti legge, interpreta, commenta e ricontestualizza la Commedia dantesca. Tutto ciò ci permetterà di evidenziare come Sacchetti, anche tramite la Commedia, sia stato capace di riallacciarsi ai più accesi dibattiti teologici del periodo.

Nella predica XIV Sacchetti commenta il passo biblico «Super cathedram Moysis sederunt scribae et pharisei» (Mt 23, 2)520. Il passo offre a Sacchetti un’occasione per scagliarsi contro l’ipocrisia dei nuovi scribi e farisei, ossia «li dottori canonichi e’ legisti e’ prelati»521. Sacchetti afferma che essi davvero si siedono «sopra» la cattedra perché «’l fummo de la vanagloria asalisce più loro che altra gente, e quel fumo gli leva sopra la catedra»522. La condotta biasimevole del clero è contrapposta con una brevissima storia di San Bernardo, il quale per combattere la vanagloria, rispose così a chi lo lodava: «Pro te non incepi et pro te non desinam»523. E quindi, conclude Sacchetti, «Non guardate a l’opere loro, fate quello che vi dicono»524. Ma chi, potrebbe chiedere un lettore attento, sono «loro»? Chi esattamente va ascoltato? È una domanda che con l’inizio dello scisma del 1378 assume una rilevanza cruciale e Sacchetti ne è pienamente consapevole:

Dimmi: – Deb’io fare quello che mi dicono quelli di Francia che tengono con l’Antipapa? – Dico che ti puo’

vivere non mutando la fede di Dio, e con virtù come tu déi, e non pecchi525.

Malgrado la sua concisione, il passo appena citato ci pone davanti a un problema interpretativo di non poco conto: se da un lato la domanda («hanno ragione i sostenitori del papa di Avignone?») può essere considerata a tutti gli effetti una domanda di carattere politico, dall’altro la risposta fornita da Sacchetti (e tutta la discussione che ne segue) afferisce alla sfera spirituale. Sia la domanda che la risposta meritano perciò una considerazione altrettanto approfondita.

Il grande scisma d’Occidente è stato affrontato dagli studiosi più volte e da diverse angolature526. Philip Daileader ha individuato due approcci storiografici allo scisma del 1378:

520 Spos., XIV, pp. 157-161. La nostra analisi riguarderà solo una parte della predica XIV.

521 Ivi, p. 158. Difficile peraltro non pensare a Bonifacio VIII, «lo principe d’i novi Farisei» (Inf., XXVII, 85).

522 Spos., p. 158.

523 Ivi. Un episodio simile viene narrato da Iacopo da Varazze nella Legenda aurea («Nec per te incepi nec per te dimittam»), Iacopo da Varazze, Legenda aurea, a cura di G. P. Maggioni, Firenze-Milano, SISMEL, Edizioni del Galluzzo-Biblioteca Ambrosiana, 2007, <MDL: https://mdl.mirabileweb.it/text/10/6/Opere/108>, CXVI, De sancto Bernardo.

524 Spos., p. 158.

525 Ivi.

526 Il lavoro fondamentale sullo scisma rimane quello di Noël Valois, La France et le Grand Schisme d’Occident, Paris, Alphonse Picard et fils, 1896-1902. Per l’Italia si veda R. Rusconi, L’Italia senza papa. L’età avignonese e il grande scisma d’Occidente, in: Storia dell’Italia religiosa, pp. 427-454. Si consultino anche Genèse et débuts du Grand Schisme d’Occident, Paris, Éditions du Centre national de la recherche scientifique, 1980; A Companion to the Great Western Schism (1378-1417), ed. J. Rollo-Koster and T. M. Izbicki, Leiden-Boston, Brill, 2009. Sulle attese apocalittiche nel periodo dello scisma: Rusconi, L’attesa della fine.

«minimalista» e «massimalista»527. L’approccio minimalista scorge nello scisma un fenomeno strettamente ecclesiastico e politico, che non costituiva un fatto religioso (almeno finché i sacramenti venivano amministrati in modo ininterrotto)528. Secondo l’approccio massimalista invece lo scisma provocava nei fedeli non poche perplessità e dubbi spirituali. Daileader ammette che entrambi gli approcci sono legittimi, ma solo a patto che nell’analisi si tenga conto del contesto locale.

Poiché la dinamica politico-istituzionale dello scisma a Firenze è stata ricostruita in tutta la sua complessità, ci basterà solo segnalare gli avvenimenti più significativi accaduti nel primo periodo del conflitto529. Quando nel marzo del 1378 morì Gregorio XI, i fiorentini tirarono un sospiro di sollievo. La scomparsa di Gregorio e l’elezione di un papa italiano, Urbano VI, permisero di porre fine alla guerra degli «Otto Santi» che Firenze aveva combattuto con il papato dal 1375. Il trattato di pace tra la Chiesa e Firenze fu firmato a Tivoli il 28 luglio del 1378, alcuni giorni dopo che la città era stata travolta dalle violenze provocate dai Ciompi. In cambio della pace i fiorentini si impegnarono a versare ad Urbano un indennizzo di 250 mila fiorini d’oro (una somma che comunque era meno consistente rispetto a quello che avevano promesso di pagare a Gregorio).

L’elezione di Clemente VII nel settembre del 1378 non portò al cambio di alleanze da parte di Firenze, ma i rapporti della città toscana con Urbano non erano destinati ad essere pacifici. Già all’inizio del 1379 gli ambasciatori di Clemente arrivarono a Firenze e tentarono, senza risultati, di convincere la Signoria ad abbandonare l’obbedienza romana. Urbano, a sua volta, nell’estate dello stesso anno, pretese che la città pubblicasse le scomuniche contro il suo rivale di Avignone. Firenze, a quanto pare, non si decise a soddisfare la richiesta di Urbano: si temevano rappresaglie contro i cittadini fiorentini in Francia530. Nel 1381, infine, il cardinale di Firenze e già vescovo della città Piero Corsini aderì a Clemente VII. Il governo fiorentino, dunque, pur mantenendo la fedeltà ad Urbano, dovette destreggiarsi tra le due obbedienze. In questo contesto si vede chiaramente che la domanda di Sacchetti, «Deb’io fare quello che mi dicono quelli di Francia?», poteva rispecchiare

527 P. Daileader, Local Experiences of the Great Western Schism, in: A Companion to the Great Western Schism, pp. 89-121.

528 Così, ad esempio, Jean Favier sullo scisma in Francia: «Le Schisme n’a pas privé l’Église de France d’un curé de campagne, et c’est cela qui était le plus important. Il serait donc difficile de la considérer comme un fait religieux.

C’est un phénomène proprement ecclésial, et politique» (Le grande schisme dans l’histoire de France, in: Genèse et débuts du Grand Schisme d’Occident, pp. 7-16).

529 Cfr. A. W. Lewin, Negotiating Survival. Florence and the Great Schism 1378-1417, Madison-Teaneck, Fairleigh Dickinson University Press, 2003; E.-R. Labande, L’attitude de Florence dans la première phase du Schisme, in:

Genèse et débuts du Grand Schisme d’Occident, pp. 483-492. Per un quadro più generale si veda G. Brucker, The Civic World of Early Renaissance Florence, Princeton, New Jersey, Princeton University Press, 1977.

530 Cfr. la dichiarazione di Donato Barbadoro: «Processus non publicentur, ne damnificentur cives in regno Francie», ASF, Consulte e pratiche, 17, ff. 9-10 (2 giugno 1379), citato in: Labande, L’attitude de Florence, p. 491n.

sia i dilemmi di un membro del ceto dirigente della città, sia i timori di un mercante fiorentino attivo in Francia.

La risposta di Sacchetti dimostra però che nella domanda era insito un dubbio e un’incertezza ancora più profonda, che non riguardava solo il modo di agire e l’atteggiamento da assumere nei confronti dei due pontefici. Il vero dilemma consisteva nella domanda se un cristiano schierato dalla parte “sbagliata” potesse essere salvato. Come ha osservato uno studioso, lo scisma sconvolse in tutta l’Europa «il sistema di salvezza»531. Sacchetti non era l’unico a sentire che la divisione della Chiesa e l’identità del vero papa mettevano a repentaglio la sua salvezza personale.

È un sentimento che ritroviamo anche in un sonetto dell’aretino Braccio Bracci del 1378:

El tempio tuo che tu edificasti Sopra la pètra del tuo pescatore Poichè sciogliesse e fusse legatore De l’alme nostre, arbitrio gli donasti.

Come puo’ tu comportar che si guasti?

Non vedi tu come e che grand’errore?

Non si conosce più qual sia pastore, Chè a man son due e tu un ne creasti.

E se ‘l manto di Pietro fia diviso, Così divider vorran poi le chiavi:

Sì chè non s’aprirà più il paradiso.

E qui questi sermon son duri e gravi, Ma ne l’inferno si farà gran riso Se questa pestilenza tu non lavi532.

Braccio, rivolgendosi a Cristo, chiede come mai è possibile che Dio abbia permesso la corruzione della Chiesa («Come puo’ tu comportar che si guasti?»). Il poeta teme che a causa della divisione della Chiesa «non s’aprirà più il paradiso» e per questo motivo invoca l’intervento divino. Per Braccio la salvezza eterna è condizionata dal potere di legare e di sciogliere, in quanto prerogativa inalienabile del vero papa. In questi termini si esprimeva anche una delle voci più autorevoli di quel periodo che fu senz’altro Caterina da Siena. Ferma sostenitrice di Urbano, Caterina non lesinò

531 «The importance of the Schism for the average man and woman in Europe – in fact, for any concerned Christian of the day – was that it had fundamentally disrupted the system of salvation, upon which all were relying to reach eternal beatitude and escape the torments of hell», D. Z. Flanagin, Extra Ecclesiam Salus Non Est – Sed Quae Ecclesia?: Ecclesiology and Authority in the Later Middle Ages, in: A Companion to the Great Western Schism, pp.

333-374 (p. 335).

532 Braccio Bracci, IX, in: Poesie minori del secolo XIV, a cura di E. Sarteschi, Bologna, Romagnoli, 1867, p. 45.

critiche e commenti spregiativi nei confronti dei cardinali che avevano eletto Clemente VII. Ma occorre dire subito che i dubbi e i timori di Sacchetti e di Braccio erano totalmente estranei al modo di pensare della futura santa. Nella lettera indirizzata al re di Francia Carlo V, Caterina poneva una domanda simile a quella che troviamo nel sonetto di Braccio: «E credete voi», chiedeva Caterina al re, «che se questa non fusse verità [che Urbano è il vero papa], che Dio sostenesse che’e’ servi suoi andassero in tanta tenebra?»533. E rispondeva subito: Dio «none ‘l sosterrebbe». Come si spiegava quindi la divisione della Chiesa? Per Caterina era semplicemente impensabile che tra i fautori di Clemente si trovassero «servi di Dio» («Non troverete un servo di Dio che tenga il contrario, che sia servo di Dio», scriveva a Carlo V534). I cardinali elettori di Clemente, dice Caterina, sono da considerare scismatici e eretici, per la crudeltà dei quali periscono le «anime tapinelle»535.

Daniel Ols ha notato che Caterina sotto questo aspetto era molto vicina all’ecclesiologia espressa nella bolla Unam sanctam di Bonifacio VIII, secondo la quale la Chiesa ha un solo capo, identificato sia in Cristo sia nella persona del papa536. Quelli che non riconoscevano Urbano («membri tagliati dal capo vostro», scriveva Caterina ai tre cardinali italiani537) rimanevano quindi fuori dalla Chiesa e, per conseguenza, fuori dalla salvezza. Mancava in Caterina, bisogna sottolinearlo, la consapevolezza che la sua netta condanna del papa di Avignone portava all’esclusione dalla Chiesa anche i semplici fedeli a lui sottoposti538. L’atteggiamento di Caterina non era però diffuso in tutti gli ambienti ecclesiastici. A mo’ d’esempio si può aggiungere che già nel 1381 le quattro facoltà dell’Università di Parigi (in polemica con il vescovo della città) dichiararono che durante il conflitto tra i due papi nessuno venisse considerato eretico o scismatico, solo per il fatto di non riconoscere l’autorità di Clemente539.

Lo smarrimento dei fedeli, insicuri della loro salvezza, dovette tuttavia continuare almeno fino all’affermazione della teoria conciliarista che ridefinì la natura dell’ecclesiologia, facilitando così la preparazione del Concilio di Costanza, che nel 1417 mise fine allo scisma. Ma negli anni Ottanta del Trecento il problema dello scisma è talmente recente, che Franco Sacchetti non sa fornire una precisa risposta teologica alla domanda sulla relazione tra l’appartenenza alla vera Chiesa e la possibilità di salvezza. La risposta di Sacchetti dimostra tuttavia la sua grande

533 Caterina da Siena, Lettera CCCL, in: Le lettere di S. Caterina da Siena, vol. V, p. 231.

534 Ivi.

535 Ivi, p. 230.

536 D. Ols, Sainte Catherine de Sienne et les débuts du Grand Schisme, in: Genèse et débuts du Grand Schisme d’Occident, pp. 337-347.

537 Caterina da Siena, Lettera CCCX, in: Le lettere di S. Caterina da Siena, vol. IV, p. 371.

538 A proposito dell’intransigenza di Caterina Daniel Ols ha giustamente osservato che «[l]e drame qui déchirera tant de consciences lui échappe totalment» (Ols, Sainte Catherine de Sienne et les débuts du Grand Schisme, p. 344).

539 Valois, La France et le Grand Schisme d’Occident, I, p. 343.

perspicacia e sensibilità. Lo scrittore è fermamente convinto che la fede e la vita virtuosa (e quindi non l’obbedienza formale al papa) sono sufficienti per essere salvati: «ti puo’ vivere non mutando la fede di Dio, e con virtù come tu déi, e non pecchi». Sacchetti nel corso del tempo sembra aver attenuato la propria posizione riguardo alla necessità di obbedire al papa per ottenere la salvezza.

Alle pagine iniziali delle Sposizioni di vangeli Sacchetti affermava infatti che: «Sono molti che dicono: – Io credo in Dio, ma non credo né a Papa, né a Antipapa. – Asai è se quel cotale credesse in Dio; ma non istà con dire: – Io credo in Dio. – Chi crede in Dio, conviene che ubidisca a quello che ci ha scritto e comandato; altramente non crede»540.

Sacchetti, durante la stesura delle Sposizioni di vangeli non poteva disporre di uno strumentario teologico adeguato per affrontare i dilemmi soteriologici sorti a seguito degli eventi del 1378. Per questo motivo i dubbi teologici relativi allo scisma vengono inquadrati all’interno della discussione sulla possibilità della salvezza dei pagani e dei bambini non battezzati:

Questio. – Puote uno, che viva e nascesse pagano o saraino, salvarsi, non avendo ancora Batesimo?

Rispondo che sì, vivendo ragionevolmente e giustamente, facendo quello altrui che volesse che fosse fatto a lui.

E non dice Dante:

Chi crederebbe giù nel mondo errante, Che Rifeo Troiano in questo tondo Fosse la quinta della luci sante?

Tu mi potresti dire: – Perchè non si salva il fanciullo che non ha Battesimo? – Però che non ha meritato né col conoscimento, né con la volontà, come il giusto pagano541.

Il pagano vissuto prima della venuta di Cristo, sostiene Sacchetti, poteva ottenere la salvezza a condizione che conducesse una vita virtuosa. Non sorprende il fatto che a comprova di questa tesi Sacchetti riporti le parole della Commedia, chiedendo retoricamente: «E non dice Dante...?». Dante pare infatti essere la naturale fonte di informazioni sulle future sorti dei defunti.

Nel canto XX del Paradiso tra le luci che nel cielo di Giove costituiscono l’occhio dell’Aquila, Dante personaggio incontra due pagani: l’imperatore Traiano e Rifeo, un eroe troiano, menzionato solo in pochi versi da Virgilio nell’Eneide542. Dante autore, tramite la voce dell’Aquila, comunica ai lettori il sorprendente fatto («Chi crederebbe...?») che tra i beati si trovi un pagano

540 Spos., II, p. 121.

541 Ivi, XIV, p. 158.

542 Cfr. G. Padoan, Rifeo, in: Enciclopedia dantesca, <http://www.treccani.it/enciclopedia/rifeo_%28Enciclopedia-Dantesca%29/>. J. A. Scott ha individuato la possibile fonte boeziana di questo passo (J. A. Scott, Dante, Boezio e l'enigma di Rifeo («Par.» XX), “Studi danteschi”, 61, 1989, pp. 187-192).

vissuto (come lo stesso Virgilio) «nel tempo de li dèi falsi e bugiardi»543. L’Aquila spiega quindi a Dante che Rifeo, avendo ricevuto la rivelazione da Dio, credette nella venuta di Cristo e la redenzione dell’umanità:

L’altra, per grazia che da sì profonda fontana stilla, che mai creatura

non pinse l’occhio infino a la prima onda, tutto suo amor là giù pose a drittura:

per che, di grazia in grazia, Dio li aperse l’occhio a la nostra redenzion futura;

ond’ ei credette in quella, e non sofferse da indi il puzzo più del paganesmo e riprendiene le genti perverse.

Quelle tre donne li fur per battesmo che tu vedesti da la destra rota,

dinanzi al battezzar più d’un millesmo544.

Tale spiegazione era ammissibile dal punto di vista teologico545. Jacopo della Lana, l’autore del primo commento all'intero poema dantesco (1324-1328), dedicò ampio spazio alla questione della salvezza di Rifeo Troiano. Jacopo accolse di buon grado la spiegazione dell’Aquila. Secondo il commentatore Rifeo fu illuminato da Dio e perciò credette in Cristo:

Rifeo Troiano si è da sapere che l’autore pone esso essere stato in la prima vita uomo o re di tutta dirittura, per la quale buona disposizione sempre augmentando decernette tanto che s’avvide della stolta e bestiale vita delli pagani, e puosesi in quore di non volerla osservare. Essendo in tale proposito, lo benigno Creatore lo illuminò di tale scienzia, ch’ello s’avvide come la natura umana era caduta per lo peccato, e come bisognava la divinità a soccorrerla, sì che quasi profeta cognoscendo sua profezia, credette lo avvenimento del Figliuolo di Dio546.

La via della salvezza eterna non era quindi chiusa per i pagani virtuosi che vivevano prima di Cristo. Jacopo descrive tre tappe della conversione di Rifeo: la decisione di abbandonare le «stolte»

usanze dei pagani, la rivelazione divina e l’atto di fede nella venuta di Cristo. Giordano da Pisa, in

543 Inf., I, 72. Come hanno rilevato i diversi commentatori, l’ironia dell’episodio di Rifeo consiste nel fatto che un personaggio marginale dell’Eneide abbia ottenuto la salvezza, preclusa al suo creatore Virgilio.

544 Par., XX, 118-129.

545 Cfr. R. Imbach, Où est cette justice qui le condamne? Notule sur le sort des païens chez Dante et Thomas d’Aquin,

“Revue des sciences religieuses”, 89/1, 2015, pp. 3-23.

546 Jacopo della Lana, Commento.

una delle sue prediche, che forse ispirarono Dante, delinea una situazione molto affine a quella raccontata nell’episodio di Rifeo:

dicono i santi che Cristo fue necessario a tutto il mondo, e a quegli che furono prima e a quegli che furono poscia; perocchè giammai nullo si potè o si piò salvare se non per Cristo... Or se tu mi di’: ecco uno che sia nato tra’ Saracini, non udì mai predica né ricordare Cristo, astiensi da’ peccati e da’ vizii per l’amore di Dio, avendo fidanza in Dio, e non tiene i modi de’ pagani, ma vive in vertù, isperando in Dio che Iddio l’aiuti, come sarà di costui? Rispondoti: s’egli è cotale chente tu di’, dicoti che si salverà, ma non sanza Cristo. Or come?

dicono i santi che Cristo fue necessario a tutto il mondo, e a quegli che furono prima e a quegli che furono poscia; perocchè giammai nullo si potè o si piò salvare se non per Cristo... Or se tu mi di’: ecco uno che sia nato tra’ Saracini, non udì mai predica né ricordare Cristo, astiensi da’ peccati e da’ vizii per l’amore di Dio, avendo fidanza in Dio, e non tiene i modi de’ pagani, ma vive in vertù, isperando in Dio che Iddio l’aiuti, come sarà di costui? Rispondoti: s’egli è cotale chente tu di’, dicoti che si salverà, ma non sanza Cristo. Or come?