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La “giustizia” del rito per la risoluzione delle controversie di modesta entità168

Alcune previsioni particolarmente “flessibili” del rito disciplinato dal Regolamento n. 861/2007, volte al contenimento di costi e tempi processuali, potrebbero apparire di difficile sintesi con le ricordate garanzie del giusto processo.

Il problema ha motivo di porsi poiché il carattere facoltativo del procedimento uniforme europeo – che, si ricorda, costituisce uno strumento alternativo a disposizione dei cittadini europei, in aggiunta a quelli previsti nei singoli ordinamenti, che rimangono inalterati – non avallerebbe comunque una aprioristica compressione o rinuncia ai diritti costituzionalmente garantiti, e ciò per un duplice ordine di motivi, tra loro collegati.

Il primo è di ordine logico, prim’ancora che giuridico: non è infatti concepibile poter “tollerare” l’esistenza di un rito “non garantista” per il sol fatto che questo sia facoltativo; la sua non obbligatorietà non può in alcun modo legittimare la sua eventuale “ingiustizia”: il procedimento deve considerarsi giusto od ingiusto a prescindere dalla sua discrezionale azionabilità.

Il secondo motivo è consequenziale a quello testè menzionato, non potendosi trascurare che la facoltatività non è ad appannaggio di entrambe le parti processuali. La scelta di applicare il rito uniforme spetta, infatti, esclusivamente a colui che propone la domanda; per il convenuto, citato in giudizio con il modulo

standard, non c’è altra possibilità che affrontare il giudizio secondo il rito voluto

dall’attore; e non è ammissibile ritenere che egli sia costretto a “subire”, senza potervi porre rimedio, un processo in ipotesi “ingiusto”.

Si è visto, nel corso della trattazione, quali sono state le soluzioni adottate dal legislatore europeo per rimuovere gli ostacoli alla tutela giurisdizionale dei

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diritti in ipotesi di notevole sproporzione tra il modesto valore della domanda e i costi di un procedimento a cognizione piena.

In funzione di semplificazione sono stati previsti, in particolare, una deformalizzazione dell’iter processuale, con atti introduttivi proposti attraverso moduli standard, una trattazione in forma prevalentemente scritta, la non obbligatorietà di un’udienza, e l’attribuzione al giudice di rilevanti poteri discrezionali nella gestione del procedimento, soprattutto con riferimento all’assunzione dei mezzi di prova, alla possibilità di valutare la necessità di fissare un’udienza e di concedere alle parti la remissione in termini in caso di decadenza.

Grazie a tali facoltà, al giudicante è concesso di modulare il procedimento in rapporto alla complessità della controversia, eliminando tutti quei passaggi che non risultino indispensabili ai fini della decisione.

Ciò che occorre domandarsi è se tali scelte, improntante ad un contenimento di tempi e costi, siano anche compatibili con un processo giusto.

Innanzitutto giova evidenziare che è lo stesso strumento europeo, nel

considerando n. 9, a richiamare i principi dell’equo processo sanciti dalla Carta

dei diritti fondamentali dell’Unione europea510

, dei quali si propone di assicurare il rispetto anche con riferimento al diritto al contraddittorio, specialmente in

relazione all’eventuale necessità di fissazione di un’udienza e in tema di prove511

. Già nel Preambolo, dunque, si chiarisce che il rito deve essere rispettoso di canoni garantistici e che la dialettica deve essere salvaguardata in tutte le fasi, specialmente in quelle nelle quali maggiormente si manifesta la discrezionalità del giudice.

510 Il considerando testualmente recita che il regolamento «si propone di promuovere i diritti

fondamentali e tiene conto, in particolare, dei principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. L’organo giurisdizionale rispetta il diritto ad un giusto processo ed il principio del contraddittorio, in particolare quando decide in merito alla necessità di un’udienza, ai mezzi di assunzione della prova e all’estensione dell’assunzione di prove».

511 Cfr. per un interessante commento sul tema TROCKER, La Carta dei diritti fondamentali

dell’Unione europea ed il processo civile, in Le discipline comunitarie relative al processo civile. Atti del XXIII Convegno nazionale dell’associazione fra gli studiosi del processo civile, Perugia 28-29 settembre 2001, Milano, 2002, p. 23 ss.

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Ciò premesso, non va trascurato il presupposto stesso di ammissione della semplificazione, giustificata solo nei casi in cui le spese di lite siano sproporzionate rispetto al valore della causa, potendo, in caso contrario, e per stessa “ammissione” delle istituzioni comunitarie, andare a scapito di un’efficace

tutela giuridica dei cittadini512.

È consentito, in sostanza, indulgere a tali forme di tutela semplificate qualora ciò si riveli necessario per la difesa di altri valori, non meno importanti, come quello dell’accesso alla giustizia, che verrebbe indiscutibilmente minato qualora il ricorso ad essa divenisse, di fatto, “improponibile” in termini di tempi e costi.

La sfida che ha affrontato l’Unione europea in tema di small claims è consistita nel cercare di effettuare un bilanciamento dei valori in gioco, soprattutto tra quelli attinenti l’esercizio del diritto di difesa e la ragionevole durata del giudizio.

Si osserva, sul punto, che, da un lato, è comunemente avvertita l’ingiustizia insita in un processo civile troppo lungo e defatigante ma, dall’altro, è difficile accettare i limiti che le attività difensive delle parti devono scontare per effetto di alcune scelte in senso acceleratorio.

Tuttavia, occorre alfine riconoscere che «neppure il diritto di difesa può

avere un’estensione illimitata513», ed anzi occorre che sia “ragionevole”, così come la durata.

Inoltre, non si deve ritenere che l’unico modello di contraddittorio compatibile con i valori del giusto processo sia quello previsto nel processo

512 Cfr. Libro Verde del 2002, COM (2002) 746 def., par. 5.1, ove si legge: «La semplificazione

delle norme procedurali si giustifica soltanto nei casi in cui le spese processuali siano sproporzionate rispetto al valore della causa. Un limite di valore troppo alto rappresenterebbe un ostacolo per l’introduzione di significative semplificazioni procedurali poiché potrebbe andare a scapito di un’efficace tutela giuridica dei cittadini».

513 Così BIAVATI, Osservazioni sulla ragionevole durata del processo di cognizione, in Riv.

trim. dir. proc. civ., 2012, p. 480, il quale aggiunge anche che «se le idee sono chiare, le si può esprimere in modo ordinato e conciso e non occorre ripeterle più volte. Insomma non si devono confondere, nell’esercizio della difesa, la quantità e la qualità». In tema cfr., altresì, ID., La difesa

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ordinario di cognizione514, ed anzi, la propensione, a livello europeo, è quella di

avvalersi di forme di tutela diverse da quella ordinaria, differenziate vuoi per le modalità di trattazione delle controversie (disciplinate secondo gradi di

articolazione mutevole in relazione alla complessità della causa)515, vuoi per la

presenza di riti speciali (correlati alla tipologia di diritti sostanziali coinvolti in giudizio)516.

La ricerca di un equilibrio tra esigenze di speditezza processuale e necessario garantismo difensivo è ineludibile, poiché il contenzioso civile vede ontologicamente contrapposte due tipologie di interessi, cui corrispondono determinate garanzie processuali: quelli dell’attore, volti ad ottenere un effettivo accesso alla giustizia, la rapidità della cognizione e l’esecuzione della decisione; quelli del convenuto, tesi a mantenere in ogni fase del processo l’assoluta parità delle armi.

Nel sistema convenzionale, europeo, e nostrano la tendenza pare essere quella di voler comprimere il cd. abuso di difesa e tutelare al massimo grado il

diritto di accesso alla giustizia517.

514 Cfr. COSTANTINO, Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il “giusto processo civile”. Le

garanzie, in CIVININI-VERARDI (a cura di), op. cit., p. 263.

515 Il legislatore francese ha previsto tre “circuiti” (circuit court, circuit moyen e circuit long) per garantire sin dall’introduzione del giudizio una trattazione della causa che tenga conto del grado di complessità della controversia. Il sistema inglese prevede i cd. tracks, percorsi processuali la cui scelta dipende in parte da parametri predeterminati (es. valore della causa, materia) ed in parte dalla discrezionalità riconosciuta al giudice in merito. Nell’ordinamento tedesco esiste un modello processuale flessibile che consente al giudice di trattare la causa in maniera differenziata a seconda della sua complessità, potendo far precedere l’udienza principale dalla fissazione della cd. prima udienza immediata (§ 275 ZPO) oppure dal procedimento preliminare scritto (§ 276 ZPO).

516 SALERNO, op. cit., p. 43, nota 30, ravvisa nella scelta di diversificare i riti in relazione alle diverse categorie di situazioni giuridiche sostanziali un tratto di rigidità del sistema, poiché «la

differenziazione del rito avviene prima del processo, secondo un modello anelastico, indifferente alle circostanze del caso concreto».

517

Per queste riflessioni cfr. SALERNO, Competenza giurisdizionale, riconoscimento delle

decisioni e diritto al giusto processo nella prospettiva europea, in Riv. dir. internaz. priv. e proc.,

2011, p. 901, il quale afferma che «il punto di partenza per «costruire» il paradigma del giusto

processo è l’incontro tra le aspettative di tutela sostanziale dell’attore e l’offerta del rimedio giurisdizionale da parte di uno Stato. Il diritto dell’istante alla propria tutela giurisdizionale si «irradia» sull’intero fenomeno processuale, affiancato solo in modo «ancillare» dalla tutela dei diritti di difesa del convenuto».

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A testimoniare questa propensione vi è l’opportunità spesso concessa

all’attore circa la scelta del rito da utilizzare518

.

In conclusione, se è vero, come si è detto, che il riconosciuto valore della

CEDU e l’attribuzione di rilevanti competenze all’Unione europea nel campo della

cooperazione giudiziaria in materia civile non può rimuovere la sovranità del nostro Stato in settori cruciali come quelli in parola, è altrettanto indubitabile che l’ordinamento italiano non può disconoscere le forme di tutela processuale elaborate dalle istituzioni europee per il sol fatto di essere particolarmente semplificate se queste, comunque, garantiscono risultati equivalenti a quelli che la Costituzione intende assicurare.

Tanto più che non può dubitarsi, alla luce dell’analisi precedentemente svolta, che il diritto derivato dell’Unione europea si ispiri ai principi del giusto processo già elaborati in seno al Consiglio d’Europa e in merito ai quali si registra un apprezzabile grado di convergenza anche a livello nazionale.

Tale situazione di “allineamento” deve ricondursi all’evidente

coordinamento tra sistemi oggi esistente in materia519, ai costituzionalmente

riconosciuti valore della CEDU e del diritto dell’Unione europea, e,

conseguentemente, al “rispetto” del contenuto materiale dell’art. 6 della Convenzione e dell’art. 47 della Carta di Nizza.

Occorre, dunque, addivenire ad una percezione unitaria del diritto al giusto processo, che tenga conto delle istanze convenzionali ed europee, nonché della necessità di realizzare un bilanciamento tra le diverse garanzie, fermo restando il rispetto del nucleo essenziale delle nostre previsioni costituzionali.

518 Oltre che nel regolamento in esame, la possibilità per l’attore di optare per un determinato rito si ravvisa anche nel procedimento europeo di ingiunzione di pagamento. Recentemente, anche nel nostro Paese si è addivenuti a questo genere di scelta con la disciplina di cui all’art. 702 bis ss. c.p.c. La differenza tra l’ipotesi da ultimo menzionata e quella dei citati riti europei consiste, come opportunamente rileva SALERNO, op. cit., p. 901, nota 33, nel fatto che mentre nei procedimenti europei la scelta di chi introduce il giudizio s’impone senz’altro al giudice, nel processo sommario di cognizione il giudicante può, qualora ritenga che le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria, disporre la prosecuzione del giudizio secondo il rito ordinario.

519 SALERNO, op. cit., p. 936, riconduce il coordinamento al «dialogo» giurisprudenziale tra la Corte europea dei diritti dell’uomo, la Corte di Giustizia dell’Ue, tra queste due Corti e le Corti costituzionali ed, infine, nell’ambito della procedura pregiudiziale prevista dall’art. 267 TFUE, tra la Corte di Giustizia e le giurisdizioni nazionali.

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7. Procedimenti speciali e giusto processo nell’ordinamento italiano

Il nostro ordinamento non è estraneo alle tendenze di semplificazione e

accelerazione avvertite a livello europeo520.

Basti pensare alla recente introduzione nel nostro codice di rito, ad opera

con legge 18 giugno 2009, n. 69521, del procedimento sommario di cognizione522,

concepito come alternativo al rito ordinario per le controversie di minore complessità.

Secondo la prevalente dottrina523 e giurisprudenza524 ha natura di

procedimento a cognizione piena ma con struttura semplificata525: la caratteristica

520

BIAVATI, ult. op. cit., p. 480, osserva che il nostro ordinamento conosce da tempo previsioni concentrate di difesa, basti pensare al rito del lavoro, che impone alle parti di esporre già nel primo atto in forma compiuta le rispettive tesi difese. Altri esempi sono dati dall’art. 3 comma 2, del d.lgs. n. 104/2010 (codice del processo amministrativo) secondo cui «il giudice e le parti redigono

gli atti in maniera chiara e sintetica», e dall’art. 73, comma 2, del medesimo testo di legge, il

quale sancisce che «nell’udienza le parti possono discutere sinteticamente». 521

Disciplinato dagli artt. 702 bis, 702 ter, 702 quater, contenuti nel capo III bis del titolo I del libro IV del codice di procedura civile.

522 Sul tema cfr. VOLPINI, sub Capo III bis. Del procedimento sommario di cognizione, in CARPI-TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, 6^ ed., Padova 2009, pp. 2302-2310; BINA, Il procedimento sommario di cognizione, in Riv. dir. proc., 2010, p. 117 ss.; BOVE, Il procedimento sommario di cognizione, in Il giusto proc. civ., 2010, p. 431 ss.; FERRI, Il

procedimento sommario di cognizione, in Riv. dir. proc., 2010, p. 92 ss.; DITTRICH, Il nuovo

procedimento sommario di cognizione, in Riv. dir. proc., p. 1582 ss.; CARRATTA, in MANDRIOLI -CARRATTA (a cura di), Come cambia il processo civile, Torino, 2009, p. 135 ss.; OLIVIERI, Al

debutto il rito sommario di cognizione, in Guida al dir., 2009, n. 28, p. 37 ss.; RICCI, La riforma

del processo civile, Torino, 2009, p. 103 ss.; MENCHINI, L’ultima «idea» del legislatore per

accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il processo sommario di cognizione, in Corr. giur., 2009, p. 1025 ss.

523 Cfr. BIAVATI, Appunti introduttivi sul nuovo processo a cognizione semplificata, in Riv.

trim. dir. proc. civ., 2010, pp. 185-196; VOLPINI, Commento agli artt. 707bis-ter c.p.c., in CARPI-TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 2010; BALENA, Il

procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, p. 329, il quale sottolinea che la

sommarietà del rito di cui agli artt. 702 bis ss. c.p.c. deve essere intesa quale mera semplificazione del procedimento in ogni fase successiva a quella introduttiva, direttamente disciplinata dall’art. 702 bis c.p.c.

524 Secondo Trib. Varese, ord. 18 novembre 2009, «il procedimento sommario di cognizione ex

artt. 702-bis ss. c.p.c. è un processo a cognizione piena, poiché nella sua destinazione prevale la funzione di accertare definitivamente chi ha ragione e chi ha torto tra le parti. Non si tratta, dunque, di un rito da inscrivere nella tutela sommaria». In senso analogo: Trib. Piacenza 27

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della sommarietà attiene allo svolgimento del processo e alla forma del provvedimento finale – che è un’ordinanza e non una sentenza – ma non anche il contenuto dell’accertamento posto a base delle decisione.

Si può, dunque, affermare che la cognizione affidata al giudice è «esauriente e adeguata alla fattispecie, seppure semplificata e certamente non

ordinaria»526.

Significativa è la previsione di cui all’art. 702 ter, comma 5, il quale dispone che alla prima udienza il giudice – se ritiene di trattare la causa con il procedimento semplificato – «sentite le parti, omessa ogni formalità non

essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto […]»527

.

525 Minoritaria è la tesi che considera il procedimento di cui all’art. 702 bis a cognizione sommaria, in quanto essa si fonderebbe solo su valutazioni di probabilità o verosimiglianza. V., ad esempio, MENCHINI, op. cit., p. 1031, secondo il quale il giudice sarebbe chiamato a svolgere un accertamento sommario in senso proprio, ossia superficiale, cognizione da recuperare eventualmente nell’ambito di un giudizio d’appello a cognizione piena. Per la tesi della sommarietà posta alla base dell’accertamento dei fatti cfr., altresì, CARRATTA, Nuovo

procedimento sommario di cognizione e presupposto dell’«istruzione sommaria»: prime applicazioni, in Giur. it., 2010, p. 902 ss.; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile.

Ancora una riforma a costo zero del processo civile, in Foro it., 2009, p. 223 ss. 526

Così BIAVATI, Appunti introduttivi, op. cit., p. 188. L’autore, nel medesimo articolo, p. 189, osserva inoltre che «la struttura del procedimento, come realizzata dall’art. 702-bis, contiene più

di un aspetto, che non si spiegherebbe se la cognizione svolta fosse realmente sommaria. In specie, sono significative le forme della difesa del convenuto, che deve prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda e ha l’onere di proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio. Nel compiere la propria analisi del caso, il giudice dispone quindi di tutte le informazioni essenziali».

A rafforzare la tesi della cognizione piena, sempre secondo l’autore, concorrerebbero anche altre considerazioni: l’estensione del rito sommario a tutte le controversie, tranne quelle esplicitamente escluse, quand’invece la cognizione sommaria è solitamente impiegata solo in fattispecie normative delimitate; l’idoneità dell’ordinanza con cui il giudice definisce la causa a raggiungere l’efficacia di stabilità di cui all’art. 2909 c.c.

527 Una formula simile è rinvenibile anche all’art. 669 sexies in tema di procedimenti cautelari, ove al primo comma si prevede che «Il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non

essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini de provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto della domanda». In un’ottica di contenimento dei tempi

processuali si colloca anche la previsione di cui all’art. 281 sexies c.p.c., secondo la quale il giudice, fatte precisare le conclusioni, può decidere direttamente la causa senza scambio di scritti

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Tale previsione normativa delinea, con tutta evidenza, un’istruttoria deformalizzata, le cui forme e i cui termini sono stabiliti discrezionalmente dal giudice e non predeterminati dalla legge.

Questo non si traduce tuttavia – come precisato – in una trattazione “sommaria” delle controversie, in quanto la flessibilità delle forme non comporta deroghe al principio della domanda, della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, al rispetto del principio del contraddittorio, potendosi con questo rito anche procedere all’assunzione di tutti i mezzi di prova tipici del giudizio ordinario di cognizione. In altre parole, quel che è consentito al giudice è di discostarsi dalle ordinarie regole dell’istruzione probatoria per quanto attiene alle formalità di acquisizione delle prove (con una valutazione da compiersi caso per caso egli potrebbe, ad esempio, consentire l’esame dei testimoni senza una preventiva formulazione dei capitoli, o l’espletamento di una consulenza tecnica senza specifica formulazione dei quesiti, magari da effettuarsi oralmente e in via

immediata)528.

Nel libro IV del nostro codice di procedura civile trovano disciplina, oltre al rito sommario di cognizione, anche altri procedimenti, tra loro eterogenei ma caratterizzati dalla specialità di differenziarsi, per vari aspetti, dal rito ordinario di cognizione e dalle forme di tutela che esso garantisce.

Tra questi, a suscitare un vivo e “storico” dibattito, è stato il procedimento in camera di consiglio, disciplinato, in forma schematica, agli artt. 737 ss. c.p.c e in cui le predeterminazioni legali riguardano unicamente: la forma della domanda e del provvedimento finale; la nomina del giudice relatore; il potere di assumere

difensivi, ordinando l’immediata discussione orale della stessa (o rinviando la trattazione orale ad un’udienza successiva se richiesto dalle parti).

528

Sul punto cfr. GUAGLIONE, La prova nel giudizio a cognizione sommaria, in Giur. mer., 2009, p. 101 ss., nonché CONSOLO, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili

significativi a prima lettura, in Corr. giur., 2009, p. 877 ss., il quale ritiene non necessaria la

previa formulazione di veri e propri quesiti da rivolgere al consulente, né tantomeno la previa capitolazione delle domande da rivolgere in articoli e/o la previa indicazione nominativa dei testimoni, ritenendo, invece, necessario il solo espletamento del giuramento del consulente o del teste.

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informazioni; il reclamo529.

Si tratta di un rito caratterizzato dalla discrezionalità del giudice nella determinazione delle sue modalità di svolgimento, che non pone rigidi limiti ai poteri istruttori del giudicante, cui è affidato il compito di regolare l'intero iter processuale nel modo che ritiene più opportuno rispetto alla materia trattata e agli obiettivi di celerità sottesi alla stessa scelta del rito.

Caratteri generali del procedimento sono: l’assenza di un’udienza pubblica, un'istruzione probatoria deformalizzata, con la previsione di assunzione di informazioni da parte del giudice, a carattere officioso; forma della decisione con decreto motivato reclamabile entro un brevissimo termine, revocabile e