2. Il principio di soccombenza in relazione alle spese di giudizio
In relazione al riparto delle spese di lite, disciplinato dall’art. 16, il regolamento, pur seguendo la generale regola della soccombenza, che vuole l’attribuzione dei costi processuali a carico, appunto, della parte soccombente, prevede un temperamento rispetto a quelle spese che risultino essere «superflue o
sproporzionate» rispetto al valore della controversia, rimanendo esse a carico
della parte vincitrice332.
Il dettato normativo nulla dice, invece, con riferimento alla determinazione di tali spese, sicché, in argomento, occorrerà fare riferimento alla lex fori, in base
alle indicazioni fornite dal considerando n. 29333 nonché, in virtù del rinvio, ex
art. 19, alle norme dell’ordinamento municipale, per quanto non espressamente previsto dal regolamento.
La previsione europea si colloca sostanzialmente in linea con quanto stabilito nel nostro ordinamento processuale, atteso che l’art. 91, comma 1, c.p.c. prescrive che sia la parte soccombente ad essere gravata delle spese di giudizio,
L’esecuzione del titolo, in Giur. merito, 2009, p. 409; in senso contrario cfr. LUPOI, Commentario
al Reg. CE n. 1986/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento, in NLCC, 2010, 2, p. 448.
331 Come opportunamente rileva PORCELLI, Decreto ingiuntivo europeo, op. cit., p. 221, tra le condizioni formali previste nel nostro ordinamento per la dichiarazione di esecutività, va ricompreso anche il pagamento della tassa di registro.
332 L’adozione del principio generale della soccombenza nel procedimento per la risoluzione delle small claims comporta che la parte soccombente sarà tenuta a sostenere anche le spese legali della controparte qualora essa abbia preferito avvalersi dell’assistenza, pur non obbligatoria, di un difensore.
333 Il secondo periodo del considerando n. 29 chiarisce che «Le spese processuali dovrebbero
essere determinate secondo quanto prescritto dalla legislazione nazionale». L’ultimo periodo
elenca invece alcune voci di spesa che possono essere poste a carico della parte soccombente: difesa tecnica, notificazioni e/o comunicazioni, traduzione di atti. Sul tema delle spese processuali viene in rilievo anche il considerando n. 7 il quale, dopo aver indicato nella semplicità, rapidità e proporzionalità i canoni che dovrebbero adottarsi nello stabilire le spese di trattazione della controversia, raccomanda di «rendere pubbliche informazioni dettagliate sulle spese da addebitare
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mentre il successivo art. 92, comma 1, c.p.c. precisa che taluni costi, ritenuti superflui od eccessivi, possono essere comunque addebitati alla parte vincitrice, rimettendo così al potere discrezionale del giudice l’eventuale attenuazione degli effetti della soccombenza.
Una minore “sintonia” si deve invece ravvisare in relazione alla possibilità contemplata dal nostro codice di rito all’art. 92, comma 2, c.p.c. di addivenire ad
una compensazione delle spese334 non solo in caso di soccombenza reciproca335,
ma anche – ed è questo il profilo di criticità – qualora concorrano «altre gravi ed
eccezionali ragioni», e dunque, in ipotesi, anche nei confronti della parte
totalmente vittoriosa336.
Una corretta applicazione del procedimento per la risoluzione delle small
claims dovrebbe, ragionevolmente, portare ad escludere l’operatività di siffatto
criterio di “ripartizione” degli oneri del giudizio, considerato che l’art. 16 non contempla altre deroghe al principio della soccombenza oltre a quella rappresentata dalle spese sproporzionate o superflue, le uniche, queste, a poter essere poste in capo alla parte vittoriosa.
334 Sul potere del giudice di compensare le spese di causa cfr., in dottrina, GIORDANO, Brevi
considerazioni sulla motivazione del provvedimento di compensazione delle spese di lite per giusti motivi (nota a Cass., sent. 15 febbraio 2006, n. 3282), in Giust. civ., 2006, p. 1165; ROSSETTI,
Spese compensate: una scelta da evitare. Premia i furbi, scoraggia chi ha ragione. Consulta costretta a bocciare il ricorso. Ma la prassi fomenta le liti (nota a Corte Cost., sent. 13 dicembre 2004, n. 395), in DG, 2005, 3, p. 88 ss.; ID., Spese di lite, paga il giusto per il peccatore. Consulta
ignorata sulla compensazione. Avallata una prassi che fa lievitare le domande infondate (nota a Cass., sent. 22 aprile 2005, n. 8540), in DG, 2005, 21, p. 12 ss.
335 Secondo la definizione rinvenibile in Cass., sent. 14 maggio 2009, n. 11193, ai fini della compensazione delle spese processuali si ha soccombenza reciproca, ex art. 92 c.p.c., «non solo
quando il giudice respinga la domanda principale dell’attore e quella riconvenzionale del convenuto, ma anche quando la parte formuli più domande di cui una soltanto sia accolta».
336 Si segnala che anche in altri ordinamenti si prevede che i costi del processo possano essere addossati in maniera differente da quella che discenderebbe dalla mera soccombenza nella lite. Ad esempio, l’art. 696 del codice di rito francese prevede che la totalità o una parte delle spese possa essere posta dal giudice, con decisione motivata, a carico della parte non soccombente («La partie
perdante est condamnée aux dépens, à moins que le juge, par décision motivée, n'en mette la totalité ou une fraction à la charge d'une autre partie»).
Analogamente, in Inghilterra, l’art. 44.3 CPR stabilisce quale regola generale che sia la parte soccombente a sopportare le spese del giudizio, sebbene il giudice possa decidere di ordinare un differente riparto delle spese ([…] a) the general rule is that the unsuccessful party will be ordered
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Proprio sotto questo punto di vista potrebbe essere mossa una critica al regolamento, che non ha compiuto la più “coraggiosa” scelta di escludere, o quanto meno limitare, la ripetibilità delle spese sostenute dalla controparte per la
difesa, nonostante la non obbligatorietà di quest’ultima337
.
Una previsione in tal senso avrebbe, invero, contribuito a contenere i costi
del procedimento europeo338, riducendo l’entità delle disponibilità finanziarie
necessarie per accedervi, nonché concorso a dotare di un maggior grado di effettività la prescrizione di cui all’art. 10, che riconosce alle parti la facoltà di stare in giudizio personalmente.
Preso atto della scelta adottata, un “rimedio” alle rigide conseguenze derivanti da una sua incondizionata applicazione, si può rinvenire nell’obbligo posto in capo all’organo giurisdizionale di non riconoscere alla parte vincitrice il diritto di recuperare le spese superflue o sproporzionate rispetto al valore della controversia. Si potrà dunque, per tale via, escludere la ripetizione delle spese legali quando queste si rivelino eccessive rispetto al valore della lite.
La considerazione offre lo spunto per una precisazione terminologica in relazione ai parametri stessi di superfluità e non proporzionalità che devono guidare il giudice in ordine alla decisione sull’allocazione dei costi processuali.
Mentre il primo concetto trova perfetta corrispondenza con quello menzionato all’art. 92, comma 2, del nostro codice di rito – traducendosi in una
337 In verità l’iniziale proposta della Commissione andava nel senso di escludere la condanna al rimborso delle spese legali nel caso in cui la parte soccombente fosse stata una persona fisica che non si era avvalsa dell’assistenza di un legale e quella vittoriosa una persona giuridica che aveva invece beneficiato dell’assistenza tecnica. Questa previsione non è stata però mantenuta ferma nel testo definitivo, che ha preferito seguire, anche sotto questo profilo, la generale regola della soccombenza.
338 Il modello di riferimento, sotto questo punto di vista, avrebbe potuto essere efficacemente rappresentato dalla applicazione della cd. no cost rule sviluppatasi in Inghilterra a partire dal 1973 nei procedimenti relativi alle small claims e tuttora adottata qualora la controversia sia allocata nello small claims track. In tale ipotesi, infatti, si determinano significative limitazioni al principio della soccombenza, essendo fissato un tetto massimo alle spese recuperabili, dipendente dal valore della causa (v. 27.14 CPR). Per tali rilievi cfr. PASSANANTE, in D’ANGELO (a cura di), Good
morning America. L’alambicco del comparatista, 2003, p. 330 ss.; CRIFÒ, La riforma del diritto
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non necessarietà della spesa ai fini del processo – con riferimento al secondo
elemento di giudizio si può riscontrare una discrasia rispetto al dettato municipale. Infatti, se in base alla disciplina processuale italiana l’esclusione del diritto al rimborso delle spese si deve ritenere derivante da uno squilibrio tra risultato da
raggiungere e mezzo impiegato339, non così è a dirsi per la previsione
regolamentare europea, che riferisce sempre, da ultimo, la sproporzione al valore della causa. Talchè anche una spesa necessaria e non eccessiva non dovrebbe correttamente venire rifusa alla parte vittoriosa se troppo elevata in relazione al modesto valore economico della causa.