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Rapporti tra la C EDU , l’Unione europea e la nostra Carta costituzionale

principi del giusto processo rinvenibili nella nostra Carta costituzionale, postula necessariamente un chiarimento in ordine ai rapporti tra le diverse fonti che prevedono tali garanzie.

Non si può trascurare, infatti, che una riflessione su tale strumento normativo – vuoi per la sua origine estranea al nostro sistema processuale, vuoi per i valori di dimensione “ultranazionale” che coinvolge – non può prescindere da una sua collocazione in un ambito più vasto di quello nazionale.

Occorrerà dunque chiarire se, note la cessione di sovranità operata in favore dell’Unione e la supremazia del diritto di matrice europea su quello nazionale, abbia senso interrogarsi sulla “validità” di un atto obbligatorio in tutti i suoi elementi e destinato, per sua stessa natura, a trovare diretta applicazione nel nostro ordinamento.

Sarà dunque necessario determinare, in buona sostanza, se ed in quali

termini il nostro Stato, aderente alla CEDU nonchè membro dell’Unione europea,

sia tenuto a conformarsi alla norme convenzionali ed europee o debba consentire la compressione di diritti costituzionalmente garantiti, per poi valutare se, di fatto, questi siano effettivamente lesi dal regolamento in parola.

logica, ma bisogna vedere quali sono i loro effetti; in senso analogo si esprime BOVE, op. cit., p. 503, il quale individua nella garanzia della ragionevole durata, ora valore costituzionale, un ulteriore argomento per legittimare costituzionalmente forme di tutela cd. differenziata.

497 Meglio nota come Legge Pinto.

498 La domanda deve essere presentata durante la pendenza del giudizio medesimo o, comunque, entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza. Si rammenta che l’obbligazione riparatoria dello Stato ha natura indennitaria e non risarcitoria, prescindendo da elementi soggettivi di dolo o colpa dell’autorità procedente.

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Per delineare i rapporti tra i tre diversi livelli di tutela dei diritti fondamentali (quello assicurato dalla Carta costituzionale, quello che promana dall’Unione europea attraverso la Carta di Nizza, quello convenzionale

rappresentato, per quanto qui di interesse, dalla CEDU) occorre prendere le mosse

da due dati normativi significativi: la modifica dell’art. 117 della Costituzione e la

modifica dell’art. 6 del TUE a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di

Lisbona.

La riforma del Titolo V della Costituzione, ha, come noto, innovato l’art. 117 della Cost. che ora impone al legislatore statale e regionale di esercitare la propria potestà legislativa nel rispetto dei vincoli posti dall’Unione europea e degli obblighi internazionali (e tra questi ultimi, evidentemente, quelli derivanti

dalla CEDU).

Come si è già avuto modo di ricordare, l’art. 6 del TUE riconosce, al

paragrafo 1, i diritti, le libertà e i princìpi sanciti nella Carta di Nizza, attribuendole lo stesso valore giuridico dei Trattati, impegnando, al successivo

paragrafo 2, l’Unione ad aderire alla CEDU, con la precisazione, però, che

l’adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei Trattati. Infine, nel paragrafo 3, si stabilisce che i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e quali risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto princìpi generali.

E come si vedrà a breve, proprio muovendo da tale articolo, il Consiglio di Stato italiano ha fornito in tempi recenti una lettura del vincolo derivante dalle

norme della CEDU assai difforme da quella propugnata dalla Corte costituzionale.

Ci si riferisce, a tale ultimo proposito, alle celebri sentenze “gemelle”

numeri 348 e 349 del 2007499, con le quali la Consulta ha fornito la propria

499

Corte. Cost., sent. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349. Cfr., inoltre, Corte cost., sent. 27 febbraio 2008 n. 39; Corte. Cost., sent. 30 aprile 2008, n. 129, Corte. Cost., sent. 26 novembre 2009, n. 311 e 4 dicembre 2009, n. 317. Per un commento alla pronuncia n. 39 del 2008, cfr. MASTROIANNI,

Anche le leggi precedenti la Convenzione europea dei diritti dell’uomo debbono essere rimosse dalla Corte costituzionale?, in Riv. dir. internaz., 2008, pp. 456-458; per una riflessione sulle

pronunce nn. 311 e 317 del 2009, cfr. CANNIZZARO, Il bilanciamento fra diritti fondamentali e

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interpretazione dell’art. 117, comma 1, con riferimento ai rapporti tra ordinamento

giuridico interno, Trattati europei e CEDU500.

In tali pronunce il Giudice delle Leggi ha innanzitutto escluso che le previsioni costituzionali contenute agli artt. 10 e 11 possano essere applicate alla

CEDU, poiché la prima deve intendersi riferita esclusivamente al diritto

internazionale generale e la seconda viene in rilievo esclusivamente in relazione al diritto di matrice europea.

Inoltre, il riferimento all’art. 11 è servito alla Corte per escludere che le

norme della CEDU possano essere equiparate, in termini di primazia e diretta

applicabilità, alle norme dell’Unione europea in quanto, a differenza di quanto avviene per queste ultime, non sarebbe «individuabile, con riferimento alle norme

convenzionali alcuna limitazione di sovranità»501.

La Consulta ha evidenziato in questi termini la differenza tra ordinamento

europeo e sistema della CEDU: mentre il primo costituisce un vero e proprio

ordinamento giuridico sovranazionale, il secondo si caratterizza per la presenza di

500 Cfr., in argomento, SALERNO, La garanzia costituzionale della Convenzione europea dei

diritti dell’uomo, in Riv. dir. internaz., 2010, pp. 637-665; GAJA, Il limite costituzionale del

rispetto degli “obblighi internazionali”: un parametro definito solo parzialmente, in Riv. dir. internaz., 2008, pp. 136-138; CARETTI, Le norme della Convenzione europea dei diritti umani

come norme interposte nel giudizio di legittimità costituzionale delle leggi: problemi aperti e prospettive, in Diritti umani e diritto internazionale, 2/2008, pp. 311-320; CATALDI, Convenzione

europea dei diritti umani e ordinamento italiano. Una storia infinita?, in Diritti umani e diritto internazionale, pp. 321-347; CONDORELLI, La Corte costituzionale e l’adattamento

dell’ordinamento italiano alla Cedu o a qualsiasi obbligo internazionale?, in Diritti umani e diritto internazionale, p. 301-310; BULTRINI, Le sentenze 348 e 349/2007 della Corte

costituzionale: l’inizio di una svolta?, in Dir. pubbl. comp. ed europ., 2008, pp. 171-186;

RUGGERI, La Cedu alla ricerca di una identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva

assiologico-sostanziale d’inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007), in Dir. pubbl. comp. ed europ., pp. 215-220; ZANGHÌ, La Corte costituzionale risolve un

primo contrasto con la Corte europea dei diritti dell’uomo ed interpreta l’art. 117 della Costituzione: le sentenze n. 348 e 349 del 2007, in Dir. uomo, cronache e battaglie, 2007, p. 50

ss.; CARTABIA, Le sentenze “gemelle”: diritti fondamentali, fonti, giudici, in Il giusto proc. civ., 2007, p. 3564 ss; AA.VV., Riflessioni sulle sentenze 348/349 del 2007 della Corte costituzionale, in SPADARO-SALAZAR (a cura di), Milano, 2009; BIN-BRUNELLI-PUGIOTTO-VERONESI,

All’incrocio tra Costituzione e Cedu, Torino, 2007.

501 Tale affermazione della Corte non appare, invero, condivisibile, in quanto l’adesione ad un trattato internazionale comporta di per sé una qualche forma di limitazione di sovranità. Sul punto cfr. ZANGHÌ, , op. cit., p. 52; e CATALDI, op. cit., p. 325.

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un trattato internazionale che «non produce quindi norme giuridiche direttamente

applicabili negli Stati contraenti502»

Quanto al rango che le norme della CEDU assumono nel sistema delle fonti

di diritto interno, la Corte, esclusa l’applicabilità dell’art. 11 Cost., riconduce la Convenzione nell’alveo dell’art. 117 Cost. Tale ultima norma, imponendo al legislatore ordinario di rispettare gli obblighi internazionali, conferisce alle norme

convenzionali, tra le quali la CEDU, un «rango subordinato alla Costituzione, ma

intermedio tra questa e la legge ordinaria503», tanto da poter essere qualificate come «norme interposte».

Ciò risulta rilevante ai fini della risoluzione di un eventuale conflitto tra

legge interna e CEDU, laddove, secondo l’orientamento della Corte, il giudice

nazionale sarebbe tenuto alla cd. interpretazione conforme della norma interna con quella internazionale e, qualora ciò non risultasse possibile, dovrebbe investire la Corte della questione di legittimità costituzionale della disposizione nazionale rispetto al parametro rappresentato dall’art. 117, comma 1, Cost.

Viene dunque esclusa in maniera assoluta la possibilità per il giudice di

applicare direttamente la norma convenzionale della CEDU disapplicando quella

interna, contrariamente a quanto accade nel caso del diritto dell’Unione europea. Sintetizzando, si può affermare che le norme costituzionali e convenzionali si integrano tra loro in un sistema unitario, nel quale si deve realizzare un «ragionevole bilanciamento tra il vincolo derivante dagli obblighi internazionali,

quale imposto dall’art. 117, primo comma Cost., e la tutela degli interessi costituzionalmente protetti contenuti in altri articoli della Costituzione504».

A conclusioni diametralmente opposte è giunto il Consiglio di Stato con la

sentenza 2 marzo 2010, n. 1220505, che ha ritenuto possibile conferire alle norme

CEDU idoneità ad esplicare direttamente i propri effetti506.

502

Sentenza n. 348 del 2007, 3.3 del considerato in diritto. 503

Sentenza n. 348 del 2007, 4.5 del considerato in diritto. 504 Sentenza n. 348 del 2007, 4.7 del considerato in diritto.

505 Nello stesso senso cfr. Tar Lazio, sez. II bis, sent. 18 maggio 2010, n. 11984.

506 In argomento cfr. CELOTTO, Il Trattato di Lisbona ha reso la CEDU direttamente

applicabile nell’ordinamento italiano? (in margine alla sentenza 1220/2010 del Consiglio di Stato), in Giust. Amm. del 21 maggio 2010; COLAVITTI-PAGOTTO, Il Consiglio di Stato applica

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Il supremo organo giurisdizionale amministrativo del nostro Paese ha, infatti, ritenuto corretto, in caso di contrasto tra una norma nazionale e una norma convenzionale, applicare direttamente quest’ultima a scapito di quella interna, e

ciò sulla base della nuova formulazione dell’art. 6 del TUE ed attribuendo alle

disposizioni della CEDU la medesima valenza del diritto dell’Unione europea.

Le norme convenzionali non sarebbero dunque più “interposte” ai fini del giudizio di legittimità costituzionale di norme interne ex art. 117 Cost., bensì disposizioni idonee, in virtù del primato del diritto dell’Unione europea, a legittimare la non applicazione di provvedimenti nazionali con esse contrastanti.

Tale posizione ha suscitato più di qualche perplessità in quanto espressa

nel perdurante stato di non adesione dell’Unione europea alla CEDU e per

l’indebita equiparazione delle norme convenzionali a quelle elaborate dalle istituzioni europee.

Si è infatti osservato che se si fosse inteso effettivamente attribuire alla

CEDU il medesimo valore giuridico del diritto dell’Unione europea si sarebbe

potuto utilizzare un inciso simile a quello impiegato nell’art. 6, paragrafo 1, TUE

con riferimento alla Carta di Nizza, ossia attribuendole lo stesso valore giuridico dei trattati, con tutte le relative conseguenze in termini di prevalenza e diretta

applicabilità negli ordinamenti degli Stati membri507.

Intervenuta nuovamente sulla questione, la Corte costituzionale con sentenza n. 80 del 2011, ha ribadito quanto precedentemente statuito con le

sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, escludendo che la normativa CEDU sia

direttamente applicabile dai giudici comuni, ed altresì negando che le innovazioni recate dal Trattato di Lisbona abbiano comportato una diversa collocazione di tale Convenzione nel sistema delle fonti.

direttamente le norme CEDU grazie al Trattato di Lisbona: l’inizio di un nuovo percorso?, in Riv. Asso.ne Italiana dei Costituzionalisti, n. 00 del 2 luglio 2010; D’ANGELO,“Comunitarizzazione”

dei vincoli internazionali CEDU in virtù del Trattato di Lisbona? No senza una expressio causae (nota a Cons. St., sez. IV, del 02.03.2010, n. 1220 e TAR Lazio, Sez. II bis, del 15.05.2010 n. 11984), in Quaderni Costituzionali del 27 maggio 2010.

507 Cfr. sul punto DANIELE, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e Trattato di

Lisbona, in Dir. Unione eur., 2008, pp. 655-670; ZANGHÌ, Istituzioni di Diritto dell’Unione

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Quel che non è mai stato messo in dubbio dai nostri organi giurisdizionali è che nessuna «cessione di sovranità» (a favore del sistema convenzionale o dell’Unione europea) possa verificarsi sul terreno dei diritti e delle libertà fondamentali garantiti dalla Costituzione.

Sono invece consentite le «limitazioni di sovranità necessarie ad un

ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni» (art. 11 Cost.).

È in questa formula che deve rinvenirsi, in particolare, il «sicuro

fondamento»508 del diritto dell’Unione europea (anche, evidentemente, con riferimento alla cooperazione giudiziaria in materia civile), il cui primato sul diritto interno non può, in ogni caso, essere assoluta.

La Corte costituzionale ha, infatti, sempre precisato che il rispetto dei diritti inviolabili della persona umana e dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale costituisce un confine invalicabile al recepimento di

qualunque disposizione di matrice europea (cd. teoria dei controlimiti)509.

Pur apparendo prima facie improbabile (vuoi per il riconoscimento dei principi comuni del diritto costituzionale degli Stati membri come principi del diritto dell’Unione europea; vuoi per l’attribuzione del medesimo valore anche

alle norme della CEDU; vuoi per la qualificazione della Carta di Nizza come atto

giuridicamente vincolante) che una misura concreta adottata dalle istituzioni europee possa essere ritenuta, da un lato, legittima e valida secondo il diritto dell’Unione europea, e contrastante, dall’altro lato, con i principi supremi del diritto costituzionale italiano, ciò nondimeno il problema si pone e merita di essere affrontato, in quanto il Regolamento n. 861/2007 contiene disposizioni che,

508 Corte Cost., sentenza 24 giugno 2010, n. 227, par. 7.

509 Nella notissima sentenza Frontini, n. 183 del 1973, con la quale si è addivenuti al riconoscimento del principio del primato dell’Unione europea sul diritto interno, la Corte Costituzionale ha tenuto a precisare che è escluso «che siffatte limitazioni, concretamente

puntualizzate nel Trattato di Roma sottoscritto da Paesi i cui ordinamenti si ispirano ai principi dello Stato di diritto e garantiscono le libertà essenziali dei cittadini, possano comunque comportare per gli organi della Cee un inammissibile potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o i diritti inalienabili della persona umana».

Tale posizione è stata riaffermata anche in occasione della pronuncia n. 348/2007, ove la Corte ha chiarito che, sebbene l’Italia abbia acconsentito a limitazioni di sovranità anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei trattati, resta fermo il «limite dell’intangibilità dei

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ad uno sguardo critico, potrebbero apparire non perfettamente allineate con i principi garantiti dalla nostra Legge fondamentale.

6. La “giustizia” del rito per la risoluzione delle controversie di modesta