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L’automatico riconoscimento e l’immediata eseguibilità della sentenza resa

modesta entità

Passando ad un’analisi più approfondita delle previsioni contenute sul tema nel regolamento per la risoluzione delle small claims, si ribadisce che anch’esso ricollega alla decisione resa all’esito del procedimento i caratteri dell’automatico riconoscimento ed esecutività, non abbisognando il provvedimento concesso di alcuna formalità di exequatur, né essendo possibile

opporsi al suo riconoscimento388.

Il giudizio di delibazione è, infatti, integralmente sostituito dal certificato

di esecutorietà emesso, con l’apposito modulo D389, dall’autorità giudiziaria che

ha pronunciato la sentenza390.

L’impossibilità di opporsi al riconoscimento della decisione straniera resa all’esito del procedimento semplificato comporta che gli effetti della stessa

devono ritenersi definitivamente consolidati e non più contestabili

nell’ordinamento ad quem, neppure per contrarietà all’ordine pubblico391

.

L’unica forma di controllo che residua, a norma dell’art. 22, e che giustifica il rifiuto dell’esecuzione, è l’ipotesi del conflitto di giudicati.

388 L’art. 20, par. 1, statuisce, in proposito, con parole analoghe a quelle utilizzate all’art. 19 del Regolamento n. 1896/2006, che «La sentenza emessa in uno Stato membro nell’ambito del

procedimento europeo per le controversie di modesta entità è riconosciuta ed eseguita in un altro Stato membro senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento».

389 Trattasi del modulo standard D, di cui all’allegato IV del regolamento, che deve contenere, oltre ai dati relativi all’organo giurisdizionale adito e alle parti, anche gli estremi della sentenza e il suo dispositivo.

390 L’art. 20, par. 2 stabilisce che «Su richiesta di una delle parti l’organo giurisdizionale

rilascia il certificato relativo ad una sentenza emessa nell’ambito del procedimento europeo per le controversie di modesta entità utilizzando il modulo standard D di cui all’allegato IV senza spese supplementari».

391 Tale previsione si colloca in posizione antitetica rispetto alle statuizioni della Convenzione di Bruxelles (art. 26, par. 2 e 3), analogamente replicate nel Regolamento n. 44/2001 (art. 33, par. 2 e 3), che consentono alla parte interessata di contestare, in via principale o incidentale, la sussistenza dei requisiti di riconoscimento.

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All’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione è infatti consentito, su istanza di parte, negare l’esecutività di una sentenza nell’ipotesi in cui questa sia

incompatibile392 con altra pronunciata anteriormente in uno Stato membro o in un

Paese terzo, e qualora ricorrano tre condizioni: la decisione precedente incompatibile sia stata emessa tra le stesse parti e presenti identità d’oggetto; la stessa sia stata pronunciata nello Stato membro di esecuzione o comunque soddisfi le condizioni necessarie per il suo riconoscimento in tale Stato; la parte contro cui l’esecuzione viene richiesta non abbia avuto la possibilità di far valere l’incompatibilità nel procedimento svoltosi nello Stato membro d’origine.

La previsione è dettata all’evidente scopo di garantire una coerenza complessiva del sistema giudiziario europeo che verrebbe a mancare laddove si

consentisse di portare ad esecuzione due sentenze di contenuto confliggente393.

Infine, è espressamente escluso che la decisione possa essere sottoposta a riesame del merito nello Stato membro di esecuzione. Il provvedimento può, infatti, essere unicamente impugnato nell’ordinamento d’origine.

3. Il procedimento di esecuzione

Per quanto attiene il procedimento di esecuzione, si precisa, anzitutto, che non intervengono a disciplinarlo previsioni uniformi. L’art. 21 del Regolamento n. 861/2007 contiene, infatti, una clausola generale di rinvio alla normativa dello Stato membro di esecuzione, fatte salve le disposizioni del Capo III, che regolano

392 Per una precisa analisi sul tema dell’incompatibilità tra decisioni in ambito comunitario cfr. LUPOI, Regolamento (CE) n. 44/2001, in CARPI-TARUFFO (a cura di), Commentario breve al

codice di procedura civile, Padova, 2009, sub art. 34, par. IV-V.

393 Evidente la diversità di tale previsione rispetto a quanto previsto dal Regolamento n. 44/2001, il cui art. 34, n. 3, riconosce in ogni caso la prevalenza della sentenza interna, anche se successiva, rispetto a quella esterna di cui si chiede il riconoscimento o l’esecuzione.

Giova sottolineare che il rifiuto dell’esecuzione quale rimedio residuale al contrasto tra decisioni è previsto anche all’art. 21 del Regolamento n. 805/2004 ed all’art. 22 del Regolamento n. 1896/2006.

Qualora il procedimento esecutivo si svolga in Italia, risolvendosi l’istanza ex art. 22 in una contestazione del diritto di controparte a procedere all’esecuzione, l’organo giurisdizionale competente sarà il giudice dell’opposizione all’esecuzione ex. art. 615 c.p.c.

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i requisiti formali per l’avvio della procedura, le ipotesi di rifiuto dell’esecuzione, i provvedimenti che la sospendono o la limitano.

Alcune affermazioni di principio, destinate ad un’applicazione generalizzata, sono contenute nello stesso articolo menzionato. Viene sancito, in primo luogo, il divieto di eseguire le sentenze bagatellari straniere a condizioni

più onerose rispetto a quelle domestiche394; in secondo luogo, la non necessità per

il creditore procedente di avere un rappresentante o un domicilio nello Stato

dell’esecuzione395

; in terzo luogo, la proibizione di chiedere cauzioni, garanzie o depositi per il solo fatto di essere cittadini stranieri o di essere domiciliati o

residenti al di fuori dello Stato396.

Evidente è lo scopo sotteso a tali disposizioni: i canoni di semplificazione ed economicità, cui l’intero regolamento si ispira, impongono scelte che non richiedano eccessivi adempimenti o superflue formalità – con conseguente aggravio di costi – alla parte che richiede l’esecuzione della decisione.

Sempre in linea con tali obiettivi si prevede che, per ottenerla, la parte creditrice debba semplicemente presentare una copia autentica della sentenza, unitamente ad una copia del certificato rilasciato dall’autorità giudiziaria che l’ha emessa397.

Il Regolamento n. 861/2007, all’art. 23, disciplina con previsione uniforme

i provvedimenti di sospensione o di limitazione dell’esecuzione della sentenza398

394 Cfr. art. 21, par. 1, Regolamento n. 861/2007.

395 Cfr. art. 21, par. 3, Regolamento n. 861/2007. Osserva D’ALESSANDRO, op. cit., p. 101, che, qualora lo Stato dell’esecuzione sia quello italiano, il creditore residente all’estero, potendo avvalersi di tale facoltà e non eleggere domicilio in Italia, riceverebbe le notificazioni a lui destinate, ex art. 480, 3° comma, c.p.c., presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione del luogo in cui il precetto è stato notificato. Egli sarebbe dunque tenuto ad attivarsi per compiere gli opportuni controlli circa il recapito di eventuali atti giudiziari.

396 Cfr. art. 21, par. 4, Regolamento n. 861/2007.

397 Per ciò che concerne la traduzione del certificato, questa deve avvenire, per il tramite di persona abilitata ad effettuarla, nella lingua ufficiale dello Stato membro di esecuzione oppure, ove tale Stato abbia più lingue ufficiali, nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dei procedimenti giudiziari del luogo in cui è stata chiesta l’esecuzione, conformemente al diritto dello Stato membro in questione. La traduzione non è tuttavia necessaria se il modello D è redatto in una lingua che lo Stato dell’esecuzione abbia dichiarato di accettare (art. 20, par. 2, lett. b).

398 In analogia con quanto previsto all’art. 23 sia del Regolamento n. 805/2004 che del Regolamento n. 1896/2006.

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che possono essere concessi dalla competente autorità dello Stato di esecuzione, su istanza della parte contro cui l’esecuzione è chiesta, qualora la sentenza sia stata impugnata, o siano ancora pendenti i termini per impugnarla, oppure ancora una parte abbia proposto il riesame ai sensi dell’art. 18.

In particolare, tale autorità può limitare l’esecuzione ai soli provvedimenti conservativi; subordinarla alla prestazione di una determinata cauzione da parte del creditore procedente; o, infine, in circostanze eccezionali, sospendere il procedimento di esecuzione.

Pare corretto ritenere che il giudice o l’autorità competente dello Stato in cui è richiesta l’esecuzione abbiano la facoltà e non l’obbligo di emanare tali

provvedimenti399. Tuttavia, proprio muovendo da tale considerazione, si deve

evidenziare come manchi completamente una disciplina che definisca i presupposti di concessione della limitazione o sospensione dell’esecuzione, tale da permettere di definire i criteri d’esercizio del potere discrezionale dell’organo giurisdizionale.

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CAPITOLO VI

I

L PROCEDIMENTO EUROPEO PER LE CONTROVERSIE DI MODESTA ENTITÀ ALLA LUCE DEI PRINCIPI DEL GIUSTO PROCESSO

1. Premessa

Esaminato il Regolamento n. 861/2007 è ora opportuno chiedersi se, ed in quale misura, tale strumento comunitario – ispirato, come si è più volte avuto occasione di sottolineare, a logiche di concentrazione ed economicità del procedimento – rispetti effettivamente quelli che sono i principi del cd. “giusto processo”.

Occorrerà valutare, in concreto, se al di là delle dichiarazioni di adesione

ad essi, contenute nel Preambolo400, misure come quelle concernenti

l’attribuzione al giudice di rilevanti poteri discrezionali nella gestione del procedimento (soprattutto in tema di assunzione di mezzi di prova), la previsione di un’udienza di comparizione delle parti solo eventuale, l’utilizzo di formulari

standard attraverso cui veicolare gli atti introduttivi di causa, la trattazione in

forma prevalentemente scritta, siano in sintonia o meno con le garanzie processuali riconosciute sul triplice versante internazionale, europeo e nazionale.

Il concetto di giusto processo, cui sarà necessario far costante riferimento per trovar risposta agli esposti interrogativi, affonda le sue radici in tempi ormai

lontani401 ma ha trovato, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, nuova

400 Nel considerando n. 9 si legge che il regolamento «si propone di promuovere i diritti

fondamentali e tiene conto, in particolare, dei principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. L’organo giurisdizionale rispetta il diritto ad un giusto processo ed il principio del contraddittorio, in particolare quando decide in merito alla necessità di un’udienza, ai mezzi di assunzione della prova e all’estensione dell’assunzione di prove».

401

L’origine delle garanzie processuali viene fatta risalire dalla dottrina alla Magna Charta del 15 giugno 1215 ed in particolare alla statuizione in esso contenuta «nulli vendemus, nulli

negabimus aut differemus rectum aut iustitiam» («a nessuno venderemo, a nessuno negheremo o differiremo il diritto e la giustizia») cui può ricondursi il primo formale riconoscimento del diritto

ad una durata ragionevole dei processi. Di due process of law si parla anche con riferimento ad una legge inglese del 1335 dell’epoca di Edoardo III, la quale stabiliva che nessun uomo, di qualsiasi Stato o condizione, avrebbe potuto essere allontanato dalle sue terre, detenuto, diseredato

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linfa nelle dichiarazioni internazionali relative alla tutela dei diritti e, segnatamente, nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 e nel Patto delle Nazioni Unite sui Diritti Civili e Politici, adottato il 16 dicembre 1966.

I lavori relativi a tali due documenti hanno ispirato i contenuti della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà

fondamentali del 1950 (di seguito anche solo CEDU), il cui art. 6, rubricato «diritto

ad un processo equo»402, riecheggia quanto disposto all’art. 10 della

Dichiarazione universale403 e all’art. 14 del Patto delle Nazioni Unite404.

I principi generali sanciti dalla Convenzione europea sono poi stati in larga

parte trasfusi nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea405

adottata a Nizza, in occasione del Consiglio europeo, il 7 dicembre 2000 la quale, modificata e proclamata una seconda volta nel dicembre 2007, ha assunto con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, nel dicembre 2009, lo stesso effetto giuridico vincolante dei trattati.

o condannato a morte senza essere prima chiamato a rispondere delle sue azioni nel corso di un regolare procedimento giudiziario o di un processo “come si deve”, il due process of law, appunto. Continuando con la carrellata storica, la previsione di determinate garanzie processuali si ritrova anche nel Habeas Corpus Act del 1767, nel Bill of Rights della Virginia del 1776, nella costituzione degli Stati Uniti del 17 settembre 1787, come integrate dal XIV emendamento del 1868 dove furono inseriti i principi del due process of law e della equal protection of law. Analoghe previsioni si rinvengono nelle Dichiarazioni francesi dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789 e del 24 giugno 1793. Per riflessioni più approfondite sul tema cfr. VASSALI, Il

giusto processo. La genesi e la storia, in Il giusto processo, 2002, p. 1 ss.; FOCARELLI, Equo

processo e convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2001, p. 171 ss.

402 Il concetto di “processo equo” e l’aggettivo “equamente”, riferibile allo stesso, sono frutto della traduzione dei testi in lingua inglese e francese che parlano di fair trial o fair hearing e di

procès équitable o équitablement; la versione tedesca traduce i termini in faires Verfahren e in billiger Weise, quella spagnola in proceso equitativo o de manera equitativa.

403 Tale disposizione prevede che «ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza,

ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonchè della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta».

404

La prima parte dell’articolo recita: «Tutti sono eguali dinanzi ai tribunali e alle corti di

giustizia. Ogni individuo ha diritto ad un'equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale, stabilito dalla legge, allorché si tratta di determinare la fondatezza di un'accusa penale che gli venga rivolta, ovvero di accertare i suoi diritti ed obblighi mediante un giudizio civile»

405 Per ciò che concerne la tematica che è qui d’interesse il riferimento è, in particolare, al capo VI dedicato al settore della giustizia, artt. 47 ss.

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Volgendo lo sguardo, infine, al più ristretto ambito statuale, si evidenzia che nel panorama giuridico italiano la nozione di giusto processo ha trovato ingresso con la legge costituzionale n. 2 del 23 novembre 1998, la quale,

richiamandosi in larga parte al testo della CEDU, ha inserito nell’art. 111 della

Costituzione, come si avrà modo di osservare, un significativo catalogo di garanzie processuali.