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Gli accordi preferenziali delle diverse aree geografiche

Nel documento L’Italia nell’economia internazionale (pagine 158-162)

L’entrata dell’Ucraina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio *

3. Prospettive future: la creazione di un’area di libero scambio con la Ue (FTA) Probabilmente il principale beneficio derivante dall’ingresso dell’Ucraina

3.3 Gli accordi preferenziali delle diverse aree geografiche

Asia-Pacifico

La crescita degli accordi preferenziali su base bilaterale o regionale è particolar-mente rilevante per l’area asiatica, non soltanto in ragione del numero, come già

sot-31Sulle tensioni internazionali nei mercati agricoli, si veda l’approfondimento di Innocenti e Salvatici alla fine di questo capitolo.

32Dati di fonte Ocse, accessibili sul sito http://www.oecd.org/document

33(Vandenbussche e Zanardi, 2008) – “Antidumping”, Economic Policy, n. 53, January 2008 –a cui si rimanda per una trattazione esaustiva dell’argomento. Il primo paese per imposizione di dazi anti-dumping è in assoluto l’India (321 casi tra il 1995-2002), quando Stati Uniti e Eu ne hanno totaliz-zati in media 276. Dopo l’India è l’America Latina la più presente tra le aree emergenti (comunque con meno di 100 per paese), mentre la Cina ne ha totalizzati solamente 62. I settori maggiormente interessati dai provvedimenti sono la chimica industriale e ferro e acciaio, che da soli totalizzano quasi il 70 per cento.

34L’uso dei dazi antidumping è consentito dall’Omc secondo quanto stabilito dall’Art. 6 dell’accordo GATT. Secondo più di un economista, la latitudine consentita nella determinazione causale danno economico – ritorsione è troppo ampia, e può piegarsi agevolmente a includere anche casi di fair

competition. Inoltre, l’art. 6 non definisce le modalità dell’applicazione, così come l’agenzia

nazio-nale incaricata dell’attuazione – con il risultato che tali modalità divergano anche notevolmente tra i singoli paesi.

tolineato, ma anche perché questo rappresenta una sostanziale inversione di tendenza. Ancora alla fine del 2001, infatti, i soli paesi tra gli allora 144 membri dell’Omc a non essere inclusi in accordi preferenziali discriminatori erano tutti paesi dell’area asiatica, ovvero Cina, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Mongolia35. Lo spartiacque è senza dubbio rappresentato dalla crisi asiatica, che ha contribuito notevolmente a cambiare quello che era l’approccio generalizzato dei paesi dell’area e della stessa Apec, l’associazione regionale che li rappresentava.36 Il rallentamento del processo di liberalizzazione multilaterale, insieme all’esempio della crescita degli accordi regionali, ha portato l’Asean a perseguire una politica più aggressiva in materia di liberalizzazione interna (abbreviando i tempi della già pianificata unione doganale), e ha spinto gli stati più dinamici e favorevoli alla libe-ralizzazione degli scambi (Singapore e Tailandia) a cercare accordi al di fuori dell’Asean stessa, contribuendo in maniera sostanziale alla notevole proliferazione di accordi già segnalata.

A questi fattori si è aggiunto il recente attivismo della Cina in questo campo. Da quando è entrata nell’Omc, la Cina ha concluso accordi bilaterali un pò ovunque nel mondo: 7 accordi nell’area Asia-Pacifico (Asean nel 200237, Thailandia nel 2003, Hong Kong e Macao nel 2004 – l’accordo CEPA, importante soprattutto per i servizi -, Cile 2005, Isole del Pacifico 200638 e Nuova Zelanda39 2008) e, secondo alcune stime40,ce ne sono almeno altri 15 in preparazione.

Questa strategia giocata su più tavoli mostra da parte della Cina un atteggiamen-to aperatteggiamen-to, attenatteggiamen-to ad evitare la formazione di blocchi chiusi, e capace di negoziare nello stesso tempo con paesi di differente orientamento (sviluppati/emergenti, agrico-li/produttori di servizi). Questo è dovuto anche al fatto che per la Cina la negoziazio-ne di accordi è prevalentemente un mezzo per stabilire buonegoziazio-ne relazioni diplomatiche, più che ottenere specifici obiettivi di tipo commerciale.

Da ciò deriva anche la minore latitudine degli accordi sottoscritti, normalmente di campo molto più ristretto rispetto ad esempio a quelli siglati dagli Stati Uniti e dalla Ue, e che spesso non includono servizi o investimenti.

Il timore diffuso tra gli operatori è che la Cina possa minare gli sforzi per la costruzione di un vero ordine multilaterale (Doha) con la creazione, invece, di un hub regionale di cui lei stessa rappresenta il centro.

Un’altra direzione in cui si sono avviate da qualche tempo (a partire dal 1999) consultazioni esplorative riguarda la costituzione di un Free Trade Agreement nell’Asia orientale, di cui farebbero parte Cina, Corea e Giappone. Il primo studio di fattibilità è stato commissionato nel 2003 – anche se le prospettive di una realizzazio-ne in tempi brevi continuano a sembrare abbastanza dubbie.

35Ad oggi l’unico paese rimasto è la Mongolia.

36Sui cambiamenti in corso nell’ASEAN si veda l’approfondimento di Paladini alla fine di questo capi-tolo.

37L’accordo, The Framework Agreement on Comprehensive Economic Cooperation, è stato il primo siglato dall’Asean in tal senso, ed include merci e servizi. La FTA sarà operativa nel 2010 per gli stati membri “storici”, 2015 per i nuovi (Vietnam, Laos, Myanmar and Cambogia).

38Il China-Pacific Island Countries Economic Development and Cooperation Guiding Framework, fir-mato nel 2006 con il quale la Cina garantiva dazio zero all’export della maggior parte dei prodotti dalle isole meno sviluppate (ma ricche di materie prime), un pacchetto di aiuti per 3 anni e la can-cellazione dei debiti a fine 2005 – anche esprimendo interesse per la creazione di una zona di libero scambio.

39Il più recente, quello con la Nuova Zelanda concluso a marzo 2008, è il primo firmato da un paese ad alto reddito con la potenza emergente asiatica.

40Gary Clyde Hufbauer and Yee Wong, “Prospects for Regional Free Trade in Asia” Washington DC: Institute for International Economics, Working Paper Number WP-o5-12. October 2005.

L’attivismo negoziale cinese trova equivalenti anche negli altri paesi dell’area, tutti altrettanto impegnati in trattative con paesi limitrofi e lontani. Interessanti sono le evoluzioni in questo senso del Giappone e della Corea, gli stati più protezionisti del-l’area.

Il Giappone è stato uno dei primi a pronunciarsi in favore degli accordi pre-ferenziali su base bilaterale e regionale, come mezzo per aumentare il potere negoziale nell’arena globale, favorire l’integrazione e incentivare gli scambi. I positivi esempi di Europa, Nafta e Mercosur sono debitamente riportati e analiz-zati, sottolineando il fatto che, contrariamente ad alcune pessimistiche previsioni, il commercio mondiale non si è indirizzato nel senso di una guerra tra blocchi di mercato.

La Nuova Zelanda e l’Australia, quest’ultima soprattutto fornitore di materie prime agricole del gigante asiatico, a seguito della generale stagnazione dell’Apec hanno rinunciato alla loro politica di sostegno al multilateralismo e stanno a loro volta negoziando un FTA (Free Trade Agreement) sia con l’Asean (realizzazione prevista nel 2015 nel quadro “Asean plus one”, FTA ASEAN-CER) che con la Cina.

L’impressione generale è che l’Asia-Pacifico, l’area più dinamica del mondo, non si stia dirigendo verso una chiusura su se stessa – anche se gli scambi intra-area si sono intensificati.

A livello normativo, gli accordi vanno in direzione della costruzione di un’area multipolare piuttosto aperta verso le altre.

Americhe

Il panorama dell’emisfero occidentale ha assistito ad una crescente sfiducia nei meccanismi negoziali multilaterali, anche a livello regionale, che ha interessato tanto gli Stati Uniti quanto i paesi latinoamericani.

Prima del 2000, l’attività bilaterale degli Stati Uniti nel siglare FTA era stata piuttosto limitata41. Successivamente, comunque, gli USA hanno negoziato tutta una serie di FTA con vari paesi – Bahrain, Cile, Giordania, Oman, Marocco, Perù e i sei paesi del centroamerica già compresi nel CAFTA (Costa Rica, Repubblica Dominicana, El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua).

Le proposte attualmente allo studio riguardano FTA con Panama, Ecuador e i cinque paesi SACU (Botswana, Lesotho, Namibia, Sudafrica e Swaziland).

Anche per quanto concerne l’area asiatica, il progressivo declino dell’Apec e il contemporaneo stallo del Doha Round, ha portato ad una proliferazione di accordi bilaterali.

Le FTA già siglate nell’area sono quelle con Australia e Singapore, mentre, fra i vari accordi allo studio (Giappone, Corea, Asean nel suo complesso e Tailandia e Malaysia separatamente) pochi risultano in fase avanzata.

Il venir meno, nel novembre 2007, della delega negoziale del Senato al Presidente (fast track) per la conclusione di accordi commerciali renderà questo pro-cesso in qualche modo più lento42e sicuramente più complesso.

41I dati sull’attività negoziale degli USA non riportano quelli già menzionati nella parte relativa ai paesi asiatici.

Un significativo riflesso sono state le difficili trattative al Congresso americano, a maggioranza democratico e dunque tradizionalmente meno favorevole agli accordi preferenziali, per l’approvazione della FTA con la Colombia e con Panama, ancora in fase di stallo a maggio 2008.

L’accordo tra Stati Uniti e Corea del Sud (KORUS) è stato siglato nel 2008, ma è tuttora in fase di ratifica da parte del Congresso. Questo accordo, che sta incontran-do opposizioni dai parlamenti di entrambi i paesi, rappresenta il più importante FTA siglato dagli Stati Uniti dopo l’accordo Nafta, con un paese che rappresenta il settimo più importante partner commerciale americano.

Le negoziazioni degli USA con i paesi dell’area andina risalgono a maggio 2004, anche se in origine prevedevano sia un accordo multilaterale che singoli accor-di bilaterali. Per una serie accor-di alterne vicende, le negoziazioni sono state interrotte, ed il solo accordo siglato e ad oggi regolarmente ratificato rimane quello tra Stati Uniti e Perù del dicembre 2005, ratificato l’anno successivo.

Passando ad analizzare le dinamiche che interessano l’America latina, non ci sono grandi novità da segnalare in una area che ha conosciuto la massima attività negli anni cinquanta, quando furono formate le grandi aggregazioni regionali (CACM, Andean, Mercosur e CARICOM) e con il Mercosur che rappresenta il più avanzato esempio di integrazione economica e commerciale.

Poche novità sono da registrarsi riguardo il Messico, da sempre un fautore di accordi preferenziali bilaterali e regionali; il paese è già parte di 32 PTA, che raccolgono il 97 per cento delle sue esportazioni e il 60 per cento del Pil comples-sivo.

Da rilevare sicuramente la rinnovata attività cinese nel concludere accordi ad ogni livello con i paesi sudamericani, culminata con il FTA con il Cile, entrato in vigo-re nel 2007, che con tutta probabilità sarà a bvigo-reve seguito da un analogo trattato con il Perù.

Sempre il Perù, una delle economie che ha mostrato recentemente maggiore dinamismo, ha siglato in maggio 2007 due FTA, una con Singapore (che garantisce a gran parte dell’import e a tutto l’export dazio zero) e l’altra con il Canada.

D’altro lato la Colombia, sebbene abbia avuto il trattato bilaterale con gli Stati Uniti bloccato da mesi da parte del Congresso americano, e sia tuttora in fase di rati-fica, ha concluso con successo un trattato analogo con il Canada nel maggio 2008, che dovrebbe passare la fase di ratifica senza troppi inconvenienti.

Molte critiche ha attirato l’iniziativa unilaterale dell’Uruguay di negoziare con gli Stati Uniti una serie di accordi, preliminari ad uno generale di libero scambio, nel-l’aprile 2008. Gli altri membri del Mercosur, e in particolare Argentina e Brasile, hanno opposto un chiaro divieto alla conclusione di FTA unilaterali con gli Stati Uniti. Infine, gli sviluppi già segnalati non fanno presagire alcuna evoluzione per le negoziazioni, già in fase di stallo dal 2005, della FTAA, l’area di libero scambio che dovrebbe riunire tutti i 34 paesi dell’emisfero occidentale con la sola eccezione di Cuba.

L’accordo, avversato sia dal Congresso americano che da parte del Mercosur, non sembra destinato ad una veloce conclusione.

Africa43

Il continente africano è stato uno dei meno dinamici nelle negoziazioni commer-ciali.

L’evento più significativo è stata sicuramente la realizzazione della prima FTA del continente nel 2000, all’interno dell’area COMESA, da parte di 9 paesi membri (Djbouti, Egitto, Kenya, Madagascar, Malawi, Mauritius, Sudan, Zimbabwe e Zambia), a cui si aggiungeranno via via tutti gli altri (19 in tutto). Il termine ultimo per l’annessione è stato fissato al 2012, ma non è detto che non ci siano slittamenti in avanti.

Gli Stati Uniti continuano ad avere allo stato un solo accordo di FTA con l’Africa subsahariana.

Un avvio di negoziazione tra gli Stati Uniti e il SACU (South African Custom Union, composta da Sudafrica, Lesotho, Swaziland, Botwana e Namibia), per la rea-lizzazione di una FTA, del giugno 2003, ha incontrato infatti molte difficoltà e si è definitivamente arenato nel 2006.

Allo studio anche una FTA tra Mercosur e SACU (tra le due organizzazioni esi-ste già dal 2004 un PTA), che però non ha ancora superato la fase di studio e delle con-sultazioni multilaterali.

Effetti del dinamismo asiatico, comunque, sono stati avvertiti anche in Africa, con una serie di iniziative recentemente in discussione.

Da segnalare una iniziativa coreana per la realizzazione di una FTA con il Sudafrica nel gennaio 2008, e che potrebbe coinvolgere anche gli altri membri SACU. Analoghe iniziative sono in discussione anche con la Cina.

3.4 La nuova strategia di politica commerciale bilaterale dell’Unione

Nel documento L’Italia nell’economia internazionale (pagine 158-162)