Seconda parte: la presenza della Cina in Africa
2.1 Investimenti cinesi in Africa
L’impegno cinese nei mercati internazionali, dal punto di vista degli investimen-ti diretinvestimen-ti esteri, è un fenomeno piuttosto recente. Infatinvestimen-ti, gli invesinvestimen-timeninvestimen-ti in uscita fino a pochi anni or sono si attestavano su livelli tipici di un paese nelle fasi iniziali della propria espansione internazionale, nonostante che la Cina si fosse ormai affermata stabilmente come “la fabbrica del mondo”. Invece, per gli investimenti in entrata il trend crescente si era ormai delineato dagli inizi degli anni ’90. Nella dinamica del-l’evoluzione economico-produttiva del paese asiatico, flussi più cospicui di investi-menti stranieri erano arrivati quasi contemporaneamente alla trasformazione del paese da esportatore a importatore netto di materie prime. Tale passaggio potrebbe confermare che l’affermarsi di un tessuto produttivo più articolato, su cui convergo-no anche capitali stranieri, dà luogo in prima istanza a una crescita della domanda di materie prime (energetiche e non) e, in fasi più avanzate, alla specializzazione in lavorazioni a maggiore valore aggiunto.
Negli stessi anni in cui la Cina ha iniziato ad affermarsi nello scenario econo-mico internazionale con tassi di crescita annui del prodotto interno lordo (Pil) da
allora quasi sempre superiori all’8 per cento14, l’Africa stava invece vivendo una
delle proprie crisi peggiori da un punto di vista economico e umanitario. Nonostante molte situazioni critiche attendano ancora una soluzione, a partire dal 2000 si sono delineati segnali positivi per il continente africano, che dal 2004 sta conseguendo tassi di crescita del Pil intorno al 6 per cento, con i dati relativi all’Africa subsaha-riana addirittura lievemente superiori a quelli del continente intero. A questa cosid-detta “primavera africana” si sono accompagnati i primi segnali di una nuova aper-tura internazionale del continente in parte anticipati delle relazioni politiche e com-merciali stabilite con il gigante cinese. Negli ultimi due anni i paesi sub-sahariani hanno attratto flussi di Ide in linea con i valori che avevano caratterizzato la Cina agli inizi degli anni ’90, ma i fattori che prevalentemente stanno guidando questa crescita sono differenti da quelli che erano stati determinanti nelle fasi iniziali dell’industria-lizzazione cinese. Mentre la Cina aveva avuto quale volano della sua attrattività un insieme di politiche atte a incentivare l’ingresso di capitali stranieri, quali l’accesso facilitato ai prestiti bancari, regimi tariffari preferenziali nell’ambito dell’import/export, zone economiche a statuto speciale, oltre all’offerta di manodope-ra a basso costo, l’Africa inizia (o riprende) ad attimanodope-rare l’attenzione degli investitori
14E’ dal 1991 che la politica “pragmatica” promossa da Deng Xiaoping alla fine degli anni ‘70 ha cominciato a produrre risultati economici di rilievo.
internazionali principalmente per le proprie risorse minerarie. Pertanto il pattern di crescita che si delinea ha, al momento, determinanti diverse rispetto a quelle mostra-te dalla Cina nelle prime fasi della sua progressione inmostra-ternazionale.
Il differente target degli investimenti esteri per le due aree può essere analizza-to nel grafico 2.1. Dai dati relativi ai flussi netti di Ide in percentuale sul Pil si osser-va che la Cina mostra un andamento abbastanza stabile e decrescente dell’indicato-re a partidell’indicato-re all’incirca dalla metà degli anni ’90. Invece per i paesi africani si osser-va una maggiore volatilità e un trend debolmente crescente. Tipicamente l’indicatore preso in considerazione dà conto dell’effetto moltiplicatore degli Ide sulla crescita economica: investimenti nel settore manifatturiero generano maggiori effetti moltipli-catori di quelli effettuati nel settore primario. Visto che in Cina gli Ide si sono concen-trati principalmente nella manifattura, l’aumento del Pil, grazie anche al loro effetto moltiplicatore, ha sopravanzato l’aumento in termini assoluti dei flussi di Ide, che pure è stato intenso15. L’andamento dell’indicatore per i paesi africani mostra invece una tendenza opposta: l’effetto moltiplicatore è di segno contrario, in quanto l’au-mento dei flussi di Ide (comunque di dimensioni assai più ridotte rispetto alla Cina) genera una crescita del Pil meno che proporzionale, anche come conseguenza del fatto che gli investimenti si concentrano prevalentemente sulle attività legate allo sfruttamento delle materie prime16.
Su scala mondiale la quota di flussi di Ide destinati al settore primario è aumen-tata nel biennio 2003-05 rispetto al triennio 1989-91 di oltre 4 punti percentuali,
evi-denziando un rinnovato interesse nei confronti delle materie prime17. Questa è una
15Questa analisi evidenzia solo uno dei fattori (i flussi di Ide) che possono influenzare il sentiero di crescita di un’economia: in realtà le variabili in azione sono molteplici.
16Per il calcolo e l’interpretazione dell’indicatore “flussi netti di Ide in percentuale sul Pil” abbiamo fatto riferimento a Broadman, H. G., “Africa’s silk road”, The World Bank (2007).
17WIR 2007, Unctad. -1 0 1 2 3 4 5 6 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
Africa Sub-Sahariana Cina
Fonte: elaborazioni su dati Unctad e IMF
Grafico 2.1 Grafico 2.1
conseguenza della sostenuta crescita resource-intensive della domanda mondiale gui-data in larga misura dalle economie asiatiche, che ha concorso a determinare un rial-zo dei prezzi dei prodotti del settore primario, dal momento che l’offerta degli stessi risponde invece in modo non immediato a repentine variazioni della domanda. Pertanto, i livelli elevati dei prezzi hanno incrementato la profittabilità delle imprese operanti nel settore e ne hanno favorito gli investimenti. Da tale dinamica non sono risultate immuni le grandi multinazionali cinesi, per le quali la diversificazione geo-grafica nell’approvvigionamento di materie prime è diventata una necessità strategi-ca vista l’enorme richiesta proveniente dal sistema produttivo.
L’Africa subsahariana attira una porzione piuttosto limitata degli Ide cinesi (intorno al 3 per cento, grafico 2.2), ma doppia rispetto alla quota della regione sui flussi in ingresso mondiali, che nel 2006 non ha raggiunto l’1,5 per cento18. Inoltre, in seguito agli accordi economici stabiliti nel FOCAC, tra il 2003 e il 2006 vi è stato un notevole incremento dei capitali investiti da imprese cinesi in Africa, superato solo dall’aumento dei flussi verso l’America Latina, un’altra destinazione scelta per sod-disfare la domanda di materie prime. Gli investimenti nel settore primario coprono oltre il 40 per cento del totale dei capitali investiti all’estero dalla Cina e nel 2006 i paesi dell’Africa subsahariana che hanno registrato i più intensi flussi di Ide cinesi sono stati Zambia, Nigeria, Sudan e Sudafrica, dove si concentra anche una maggio-re ricchezza di materie prime (grafici 2.3 e 2.4).
18Cfr. nota 16. America Latina Asia 43% Oceani a Afri ca Europ a America settentrionale
laborazioni su dati Chinese FDI Statistics Bulletin 2006
Fonte: elaborazioni su dati Chinese FDI Statistics Bulletin 2006
Grafico 2.2
Distribuzione geografica dei flussi in uscita di IDE cinesi (2006) (valori in milioni di dollari)
Asia 43% Oceania 1% America Latina 49% America settentrionale 1% Europa 3% Africa 3%
Il Sudafrica rappresenta un caso “anomalo” nel contesto subsahariano19. Il paese risulta il primo partner commerciale africano della Cina ed è caratterizzato da un tessuto produttivo più strutturato della media dei paesi africani, pertanto ha godu-to negli anni passati di una maggiore diversificazione nelle tipologie di investimengodu-to:
19Un’analisi più dettagliata degli investimenti cinesi in Zambia, Nigeria e Sudan è stata condotta nella versione di questo lavoro pubblicata nel n° 1-2008 della Newsletter Scambi Internazionali.
0 1.000 2.000 3.000 4.000 5.000 6.000 7.000 8.000 9.000 Construzioni
IT Residential service & other services Energia e altre utilities Agricoltura, caccia e silvicoltura Ricerca & sviluppo, servizi e analisi geologiche Attività immobiliari Attività manifatturiere Commercio all'ingrosso e al dettaglio Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni Servizi finanziari Leasing & servizi alle imprese Estrazione di minerali
Fonte: elaborazioni su dati Chinese FDI Statistics Bulletin 2006
Grafico 2.3
Distribuzione settoriale dei flussi di IDE cinesi (2006) (valori in milioni di dollari)
0 9 0 6 0 3 0 Kenia Guinea Madagascar Sierra Togo Mauritania Gabon Niger Guinea Eq. Tanzania Angola Etiopia Congo RD Sud Africa Sudan Nigeria Zambia
Distribuzione geografica degli IDE cinesi in Africa (2006)
(valori in milioni di dollari)
Fonte: Chinese FDI Statistics Bulletin 2006
Grafico 2.4
Distribuzione geografica degli IDE cinesi in Africa (2006) (valori in milioni di dollari)
Fonte: Chinese FDI Statistics Bulletin 2006
Grafico 2.4
Distribuzione geografica degli IDE cinesi in Africa (2006) (valori in milioni di dollari)
Fonte: Chinese FDI Statistics Bulletin 2006
ad esempio, nel settore della componentistica e nell’assemblaggio per l’industria dei mezzi di trasporto. La Repubblica Sudafricana, oltre che una fonte di materie prime, è considerata dalla Cina come il paese “ponte” per sviluppare la propria politica commerciale verso il resto dell’Africa, ma anche come sede produttiva per le merci dirette verso i mercati europei e nord-americani, con i quali il Sudafrica ha stretto accordi di partnership commerciale. Pertanto, il paese africano è quello che potreb-be sfruttare in modo più proficuo le opportunità derivanti dai capitali cinesi, inseren-dosi nella filiera internazionale delle produzioni asiatiche.
Nell’ottobre 2007 la Industrial and Commercial Bank of China20 ha effettuato
il più significativo investimento cinese in Sudafrica e in Africa in generale, acquistan-do il 20 per cento delle azioni della maggiore banca africana, la Standard Bank, con sede a Johannesburg, per un valore complessivo dell’operazione di 5,5 miliardi di dol-lari. La Standard Bank è una banca di respiro internazionale presente in 18 paesi afri-cani e con questa operazione apre le porte al partner cinese del settore finanziario dei paesi in via di sviluppo, un mercato di cui si prevede l’espansione nei prossimi anni. Il nuovo soggetto bancario attribuirà, inoltre, una particolare attenzione alle attività estrattive, petrolifere e non, dal momento che è stata espressa l’intenzione di creare un fondo dedicato agli investimenti in tale settore.
Anche se il maggior numero di investimenti destinati ai paesi africani si concen-tra nei settori esconcen-trattivi21, il caso del Sudafrica, pur nella sua specificità, può essere la prova che in determinati contesti esistono le condizioni per una maggiore diversi-ficazione. Lo dimostrano anche i casi della Tanzania, che ha attirato investimenti nella manifattura leggera e nel settore agro-alimentare, o dell’Uganda e del Kenya, dove si sono registrati investimenti rispettivamente nei servizi e agro-alimentare e nelle tele-comunicazioni e infrastrutture ferroviarie. Questo avviene in quei paesi africani che stanno intraprendendo politiche di privatizzazione in settori strategici come possono essere le telecomunicazioni o le banche. Altri paesi stanno invece seguendo un percor-so inverpercor-so: ad esempio, in Angola la principale compagnia petrolifera statale sta rile-vando i diritti di sfruttamento delle risorse petrolifere di proprietà di multinazionali straniere22.
Conclusioni
Nonostante il summit tra Unione europea e Unione africana di dicembre 2007 non abbia fatto registrare i risultati sperati in termini di accordi commerciali, è chia-ra la volontà dei paesi europei e, quindi anche dell’Italia, di giungere a intese comu-ni con l’insieme dei paesi africacomu-ni per re-interpretare la natura delle relaziocomu-ni politi-che e commerciali tra le due aree.
Negli anni scorsi l’Italia ha basato la propria presenza in Africa subsahariana principalmente sugli interventi legati alla cooperazione e le esperienze imprenditoria-li non sempre hanno dato risultati soddisfacenti nel lungo periodo, anche a causa del-l’instabilità politica che si verifica ciclicamente in molti dei paesi dell’area.
20La Industrial and Commercial Bank of China è la più grande banca del mondo per capitalizzazione di mercato.
21A seconda del paese preso in considerazione questa quota può variare dal 50 per cento all’80 per cento del totale.
Le imprese italiane sono oggi chiamate, con il supporto delle istituzioni, a cogliere le potenzialità di un mercato molto ampio, su cui, come abbiamo visto, si sono già concentrate le attenzioni di alcuni importanti competitors internazionali. Al di là della sicura rilevanza dei paesi africani nel ruolo di fornitori di materie prime energetiche e non, le imprese italiane dovrebbero rivolgere particolare attenzione alle opportunità di investimento nei paesi il cui tessuto produttivo abbia caratteristiche simili o complementari ai loro settori di specializzazione. Pertanto, le iniziative da intraprendere dovrebbero puntare a rafforzare le esperienze manifatturiere africane in comparti come, ad esempio, il tessile e l’agro-alimentare, perché è tramite un proces-so di miglioramento delle capacità produttive in loco che gli investimenti posproces-sono generare effetti positivi e duraturi per entrambe le parti.
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