• Non ci sono risultati.

IL RUOLO DELLA COMUNITÀ EUROPEA NEGLI ANNI NOVANTA

LA VERA CRISI NEI BALCANI OCCIDENTALI.

3.1. Gli inizi del conflitto bosniaco nel 1992.

L’indipendenza della repubblica SRPSKA ed il referendum bosniaco

All‟inizio del conflitto bosniaco, la comunità internazionale sembrava pronta a riconoscere il nuovo stato perché lo considerava senza importanza strategica ed economica. Per questo motivo, le Nazioni Unite e la Comunità Europea ebbero come scopo iniziale lo soffocamento pacifico dei conflitti, non la loro estinzione, forse per l‟incapacità di prevedere l‟esplosione di un conflitto etnico e bruttale in Bosnia- Erzegovina. Durante l‟inizio di settembre, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite richiamò più volte le parti in causa a non intraprendere azioni che potessero “gheopardizzare” il processo di pace, facendo riferimento ai negoziati che stavano prendendo atto a Ginevra288. in effetti, i colloqui di Ginevra del 23 gennaio si sarebbero concentrati principalmente sulla delimitazione delle province, ossia la cosiddetta “the map”289

. All‟inizio del 1992, mentre gli occhi di tutta l‟opinione pubblica internazionale si erano rivolti verso la Bosnia-Erzegovina, il 9 gennaio 1992, i seguaci di Karadţić si riunirono in una solenne assemblea per proclamare la “Repubblica del popolo serbo di Bosnia-Erzegovina”, oppure la repubblica SRPSKA. Tale repubblica si basava sulla riunione di cinque regioni già esistenti e sui propri legami con la Federazione jugoslava. Contemporaneamente, si organizzavano anche i croati della Bosnia-Erzegovina i quali

288 Delegation of the Commission of the European Communities to the United Nations, Commission

actions in UN Press Release, “Commission action in UN Press Release”, New York, 25 January, 1993. AV 18.

289 Delegation of the Commission of the European Communities to the United Nations, Commission

actions in UN Press Release, “Commission action in UN Press Release”, New York, 25 January, 1993. AV 18.

92 si preparavano a mettere alla testa del partito l‟Unione democratica croata, Mate Boban, fautore di una politica di avvicinamento con la Croazia. L‟unico che sembrasse credere ancora nell‟unità di Bosnia-Erzegovina fatta di “cittadini” era Alija Izetbegović, il leader del partito etnico dei bosniaci musulmani, esponente di un incarico che comprometteva largamente la sua posizione da neutrale. Sulla volontà genuina di una parte considerevole dei serbi della Bosnia-Erzegovina di rimanere nella federazione jugoslava, Karadzić e Mladić, legittimarono tante loro opere di pulizia etnica durante tutto il conflitto290.

Nonostante gli sforzi della comunità internazionale nel riconoscere il nuovo stato, la richiesta dell‟anno prima di Izetbegović di fare intervenire i caschi blu anche in Bosnia-Erzegovina, era stata rifiutata da parte delle Nazioni Unite che non volevano impegnare ulteriormente le forze già presenti in Croazia. Come aveva affermato anche un politico croato paragonando la Bosnia-Erzegovina con il Kuwait, la tragedia della Bosnia stava nel fatto che essa aveva i musulmani, ma non il petrolio291. Per di più, all‟inizio del ‟92, tutta l‟attenzione della Comunità internazionale era concentrata principalmente sulla Krajina, dove Milan Babić, appoggiato dalla Chiesa ortodossa, continuava ad opporre resistenza a Milošević sulla questione dell‟ammissione dei caschi blu nella Krajina. I deputati della Krajina votarono a favore dei caschi blu e l‟evento fu accolto dalla Comunità internazionale con soddisfazione. A tale decisione contribuirono anche gli Stati Uniti, i quali sostennero Milošević nella sua lotta contro Babić, promettendogli di riconoscere la Jugoslavia “diminuita” quale unica erede legittima della disciolta Federazione jugoslava. La situazione cambiò quando il presidente Tudjman intraprese un‟azione militare unilaterale per espandere il controllo del suo governo nelle cosiddette “pink zones”, cosa che non si poteva tollerare apertamente dalle Nazioni Unite292.

Il nuovo segretario delle Nazioni Unite Boutros Boutros-Ghali, propose al Consiglio di Sicurezza l‟invio nella Slavonia e nella Krajina di 14.000 uomini (e non di 500, come aveva previsto Pérez de Cuéllar)293. Per discutere di tale iniziativa, il Consiglio di Sicurezza si riunì il 21 febbraio in seduta solenne, cui presero parte i capi

290 Misha Glenny, The Balkans 1804-1999. Nationalism, War and the Great Powers, London: Granta

Books, 1999, p. 644.

291 Citato in Joţe Pirjevec. Le guerre jugoslave 1991-1999.Torino: Giulio Einaudi Editore, 2001, p. 127. 292

Delegation of the Commission of the European Communities to the United Nations, Commission actions in UN Press Release, “Commission action in UN Press Release”, New York, 25 January, 1993. AV 18.

293

93 di Stato e di governo dei 15 paesi membri. Fu votata la risoluzione 743 che prevedeva l‟invio nella Krajina e nella Slavonia occidentale di truppe internazionali UNPROFOR (United Nations Protection Force). La missione di queste truppe doveva durare un anno, invece si protrasse per un lunghissimo tempo, trasformandosi in una delle operazioni più costose delle Nazioni Unite, considerando anche il fatto che per la Comunità la spesa non era di meno, visto che da Settembre 1991 aveva speso circa 350 milioni di dollari in aiuti umanitari per la regione294. Furono costituite da truppe messe a disposizione da vari paesi del mondo ma anche da Francia e Russia, le quali, in violazione del tacito accordo in vigore durante la guerra fredda, vi parteciparono, per ribadire il proprio ruolo di grandi potenze con interessi specifici nell‟area balcanica. La Comunità europea accoglieva con favore tale decisione delle Nazioni Unite, rendendo pubblica una dichiarazione comune a tale merito295.

Nel frattempo, la Croazia e la Slovenia avevano ottenuto lo status di osservatori presso la CSCE la quale si era riunita a Praga il 30 e 31 gennaio del 1992. Durante questa seduta si era discusso della preparazione della prossima riunione di controllo della CSCE, che si sarebbe tenuta ad Helsinki nel mese di marzo, del ruolo della CSCE quale strumento per la prevenzione dei conflitti e della la gestione della crisi jugoslava e delle istituzioni e strutture della CSCE296. Il concetto del rispetto della Carta di Helsinki sarà così importante da essere utilizzato sia per l‟adesione delle nuove Repubbliche al CSCE, anche per il riconoscimento della loro indipendenza297. La Croazia e la Slovenia, insieme alla Georgia, si ammetteranno a pieno titolo nella CSCE a marzo dello stesso anno, portando così a 51 il numero dei paesi membri. Nella sua parola di apertura, il ministro degli esteri francese, Roland Dumas, come per ironia della sorte affermerà: “La CSCE ha l‟abilità di mettere insieme gli stati che sono coinvolti nella sicurezza del‟Europa. La presenza di oggi da parte della Slovenia, della Croazia e della Georgia, è un‟ulteriore prova di questo fatto …”298

294 Delegation of the Commission of the European Communities to the United Nations, Commission

actions in UN Press Release, “Commission action in UN Press Release”, New York, 25 January, 1993. AV 18.

295 Boll. CE ½-1992, punto 1.5.24. 296 Boll. CE ½ - 1992, punto 1.4.104.

297 Hans-Dietrich Genscher, Erinnerungen, Berlin, Siedler, 1995, p.937. 298

Speeches and Statements, Ambassade de France a Londres, Service de Presse et d‟Information, 1st April 1992, Speech of M.Roland Dumas, Ministre D‘Etat, Minister of Foreign Affairs, at the Opening of

the Fourth Main Follow-Up Meeting of the CSCE (Helsinki, 24 March 1992), Fondo HW-89, Archivi

94

Nel frattempo ebbe luogo il referendum sul futuro statuto della Bosnia-

Erzegovina, precisamente il 29 febbraio ed il 1° marzo 1992. La Comunità continuava a condannare i violenti episodi che si erano verificati a Sarajevo a seguito del referendum e chiede a tutte le parti di astenersi da qualsiasi azione che possa impedire il proseguimento della loro costruttiva partecipazione alle discussioni sui problemi costituzionali299. In questa dichiarazione si nota una grande svolta della politica europea, in linea con le conclusioni della Conferenza di Pace sulla ex - Jugoslavia. Si ricorda la rinuncia a qualsiasi modifica dei confini delle repubbliche jugoslave con il ricorso alla forza, si impegna nel coordinamento dell‟organizzazione del nuovo stato serbo-montenegrino e si invitano tutte le parti in Bosnia-Erzegovina ad adottare senza indugio norme costituzionali che consentano uno sviluppo pacifico e armonioso di detta repubblica nei suoi attuali confini300. Successivamente, una risoluzione del parlamento europeo sollecita la Commissione ed i Consiglio a stabilire relazioni economiche e culturali con la Bosnia-Erzegovina, affinché possa partecipare ai programmi della Comunità a favore dell‟Europa centrale, poiché tale paese “soddisfa i requisiti comunitari relativi al riconoscimento dell‟indipendenza”301

.

Il piano Cutileiro

La situazione in Bosnia-Erzegovina precipitò l‟ultima settimana di marzo. Il 18 marzo, Izetbegović (leader dei musulmani di Bosnia), Karadţić (leader dei serbi di Bosnia) e Boban (leader dei croati di Bosnia), firmarono a Sarajevo, sotto la supervisione di Cutileiro302, la “Dichiarazione sull‟ordinamento costituzionale della Repubblica”, secondo cui la Bosnia-Erzegovina si sarebbe organizzata in uno stato composto da “tre unità costituenti, basate su principi nazionali, prendendo in considerazione criteri economici, geografici ed altri”. La definizione usata per i cantoni bosniaci dal Piano Cutileiro, voleva sottolineare il fatto che essi non sarebbero diventati

299 Boll. CE. 3-1992, punto 1.4.2. Dichiarazione della presidenza sugli avvenimenti a Sarajevo, resa

pubblica, il 2 marzo 1992.

300 Boll. CE 3-1992, punto 1.4.5. 301

Boll. CE 3-1992, punto 1.3.25. Risoluzione del Parlamento Europeo sulla situazione nel territorio dell‟ex-Jugoslavia.

302 José Cutileiro, un politico portoghese, all‟epoca copriva l‟incarico del Coordinatore della Conferenza

95 dei piccoli stati etnicamente puri, piuttosto delle entità di maggioranza delle tre etnie303. Il nuovo ordinamento assegnava il 44 per cento del territorio al cantone serbo, il 12,5 per cento del territorio al cantone croato e il resto a quello bosniaco. Il piano fu respinto qualche giorno dopo la sua firma dai rappresentanti degli ultimi due cantoni. La reazione dei serbi di Bosnia, dopo l‟accettazione del piano dalle altre due entità, fu immediata, appoggiata anche dal Armata popolare. Alla fine del mese, erano già iniziati gli scontri armati nella città di Mostar e nella Bosnia nordorientale, prevalentemente croata304. Il 27 marzo, accusando i seguaci di Izetbegović di non aver mantenuto la parola data per il rifiuto del piano, i deputati di Karadţić proclamarono la carta costituzionale della “Repubblica serba della Bosnia-Erzegovina”. Con tale atto e con il proseguimento delle vicende sembrava che nessuna delle parti in gioco volesse più scendere ai compromessi, piuttosto ricorrere alle armi. Tale fu l‟atmosfera anche il 30 marzo, quando i leader delle tre etnie ripresero i colloqui a Bruxelles sotto l‟egida del segretario delle Nazioni Unite, Cutileiro. Tale piano era stato inizialmente di successo proprio per il fatto che la Comunità europea l‟aveva proclamato come conditio sine qua

non per riconoscerne l‟indipendenza della repubblica, però, come abbiamo visto, fu

rifiutato dopo 10 giorni dai leader dei serbi della Bosnia-Erzegovina.

All‟inizio di Aprile, si verificarono degli orrori commessi contro i musulmani abitanti di Bijeljina, centro di importanza strategica nella Bosnia nordorientale. Susseguirono attacchi contro i sobborghi di Sarajevo, una città che in breve tempo divenne un ghetto, preso di mira dai franchi tiratori prevalentemente di etnia serba305. Nel frattempo, sembrava che la Comunità europea continuava indisturbata il proprio lavoro di carattere giuridico per il riconoscimento della repubblica bosniaca.

La Comunità europea riconoscerà l‟indipendenza della repubblica bosniaca soltanto ad aprile 1992. Essa aveva ribadito il suo concetto tramite una dichiarazioni pubblica dove la Comunità e i suoi Stati membri accennavano il loro fermo sostegno al principio dell‟integrità territoriale della Repubblica di Bosnia-Erzegovina, in quanto fondamento incontestabile di qualsiasi ordine costituzionale. La dichiarazione auspicava di far comprendere chiaramente che violazioni di questo principio non saranno tollerate e comporteranno inevitabilmente conseguenze per le future relazioni tra coloro che se

303

Marc Weller, “The International Response to the Dissolution of the Socialist Federal Republic of Yugoslavia”, The American Journal of International Law, Vol. 86, No. 3, July 2002, p. 597.

304 Laura Silber Silber, Allan Little, Yugoslavia Death of a Nation, London, Penguin, 1995, pp. 222-243. 305

96 ne sono resi responsabili e la Comunità.306 Tale dichiarazione divenne un sacrilegio nella futura politica comunitaria verso la Bosnia-Erzegovina.

Ad aprile, il parlamento europeo approva una risoluzione dove auspicava il riconoscimento di tale paese da parte della Comunità e dei suoi paesi307. Un segnale più concreto arriva dalla visita alla Commissione del sig. F. Greguric, primo ministro della Repubblica di Croazia, il quale denunciò l‟effetto di destabilizzazione determinato dall‟arrivo in Croazia di circa 200 000 profughi provenienti dalla Bosnia-Erzegovina e sollecitò un intervento della Comunità a titolo di aiuto umanitario e un aiuto finanziario d‟urgenza308

.

Il 7 aprile, la Comunità europea decide di riconoscere la repubblica di Bosnia- Erzegovina, rendendo pubblica una dichiarazione comune sulla Jugoslavia309. Per controbilanciare tale atto, la Comunità, tramite la stessa dichiarazione, decide di estendere alla Repubblica di Serbia il beneficio di misure positive simili a quelle accordate alle altre repubbliche il 2 dicembre 1991 e il 10 gennaio 1992310. Per quanto riguarda le atrocità che stavano prendendo atto nel territorio bosniaco - erzegovino, la Comunità si limitò di qualche dichiarazione comune generale che condannava tali atti, chiamando le parti in causa “diversi elementi armati”, per evitare di prendere parte311

. Fu curiosa la reazione del presidente croato Tudjman, il quale sarà fra i primi a riconoscere l‟indipendenza bosniaca, tramite una posizione ambigua che si evinceva da questa sua dichiarazione: “La Croazia riconosce la Bosnia-Erzegovina indipendente ma, se la Serbia dovesse mostrare qualche aspirazione verso il territorio bosniaco, allora anche la Croazia farà lo stesso”312. Questo riconoscimento fatto di “se e di ma” segnerà il preludio di un conflitto sanguinoso nel cuore dei Balcani occidentali.

Per cercare di evitare un conflitto disastroso, durante il weekend tra il 10 e il 12 aprile 1992, Cutileiro in nome della Comunità europea riunì i rappresentanti delle tre etnie intorno a un tavolo, riuscendo a convincerli a concordare un cessate il fuoco313. Come già in Slovenia e Croazia, l‟Armata popolare avrebbe dovuto ritirarsi anche dalla

306 Boll. CE 4-1992, punto 1.4.9. La dichiarazione di principio, Sarajevo, 18 marzo, 1992. 307 Boll. CE 4-1992, punto 1.4.8. 308 Boll. CE 4-1992, punto 1.4.9. 309 Boll. CE 4-1992, punto1.5.4. 310 Boll. CE 4-1992, punto 1.5.4. 311 Boll. CE 4-1992, punto 1.5.14

312 Mladen Staničić, “Croatian Policy Towards Bosnia-Herzegovina” in Erich Reiter, Predrag Iureković

(ed), Bosnien und Herzegovina Europas Balkanpolitik auf dem Pruefstand, Baden Baden, Nomos, 2005, p. 34.

313 Marc Weller, “The International Response to the Dissolution of the Socialist Federal Republic of

97 Bosnia-Erzegovina, le cui frontiere, a detta dei dodici, non potevano essere cambiate con la forza. Come testimonia anche James Baker nelle sue memorie, i combattimenti sarebbero continuati il lunedì successivo. Egli ammette che ormai questa sarebbe diventata una prassi, poiché ogni volta che noi (l‟autore) avremmo espresso le nostre preoccupazioni a Belgrado, Milošević avrebbe negato ogni responsabilità e i combattimenti avrebbero avuto un calo, per poi riprendersi successivamente314. Si trattava dell‟ennesima promessa o dichiarazione, che sarebbero state ripetute in seguito infinite volte e mai rispettate o fatte rispettare.

L’inasprimento del conflitto

Il 16 aprile, durante una riunione della CSCE a Helsinki, il segretario di stato americano James Baker, riuscì a convincere i colleghi a inviare a Belgrado un vero e proprio ultimatum, in cui si sosteneva che il suo comportamento violava i principi fondamentali dell‟organizzazione315

. Si intimava al governo belgradese di ritirare entro il 29 aprile l‟Armata popolare e le unità paramilitari della Bosnia-Erzegovina, di collaborare con i caschi blu e di risolvere il problema albanese nel Kosovo, pena l‟espulsione dalla CSCE.

In quel periodo, è da notare il fatto che il ministro degli esteri tedesco Genscher aveva deciso di dare le dimissioni, probabilmente a causa della reazione negativa suscitata in Francia e Gran Bretagna per la sua politica estera316. Egli veniva accusato di aver imposto alla Comunità europea una linea politica troppo prematura nei confronti del riconoscimento della Slovenia e della Croazia e della Bosnia-Erzegovina successivamente, accuse troppo forti per uno statista che aveva fondato tutta la sua politica estera sull‟integrazione europea, per vincere il nazionalismo latente della Germania di quei tempi.

314James A. Baker III e Thomas M. Defrank, The politics of Diplomacy, New York: G.P. Putnam's Sons,

1995, p.644.

315 James A. Baker III, Thomas M. Defrank, The Politics of Diplomacy: Revolution, War and Peace, 1989

– 1992, New York: G. P. Putnam‟s Sons, 1995, pp. 481-483.

316

98 Egli veniva sostituito da Klaus Kinkel che aveva diretto in passato i servizi segreti della Repubblica federale tedesca, ed era dunque perfettamente a conoscenza della situazione balcanica. Egli inaugurò una politica diversa da quella del suo predecessore, basandola sul fatto che la costituzione tedesca impediva l‟impiego della Bundeswehr fuori dall‟area NATO, quindi una politica meno attiva del suo predecessore nei confronti dei Balcani. Il suo avvento al potere segnò dunque l‟inizio di un periodo di disimpegni nella vicenda bosniaca, interpretato da chi era favorevole all‟attivismo come l‟abbandono del moralismo di Genscher e il riavvicinamento su posizioni più realistiche, per non isolare del tutto la Serbia, considerata pur sempre partner importante per i traffici tedeschi nell‟area danubiana.

Vista la decisione che aggirava nell‟aria, che la Comunità internazionale non si sarebbe impegnata militarmente a favore della Bosnia-Erzegovina, i serbi continuarono senza sosta nell‟attuazione dei loro piani di conquista, mentre l‟embargo sulle armi contro la Jugoslavia (la quale toccava direttamente l‟entità croata e quella musulmana della Bosnia-Erzegovina), continuava a rimanere in vigore. Il cessate il fuoco imposto due settimane prima alle parti in lotta dalla Comunità europea era fallito317. La Comunità europea convocò il 27 aprile in Portogallo l‟ennesima conferenza sulla Bosnia-Erzegovina che si è svolta in massima riservatezza per trovare un accordo accettabile a tutti, visto che il 22 aprile, Sarajevo era stata bersaglio di un pesantissimo attacco di artiglieria che aveva messo in ginocchio l‟intera città. L‟obiettivo era quello di isolare i quartieri musulmano-croati da quelli serbi. La città che fino a quel tempo era stata simbolo della convivenza pacifica tra tutte le etnie, era si stava trasformando in un incubo vivente per tutti. I bombardamenti continuarono durante tutto l‟inizio di maggio318.

Il 6 maggio a Graz, la città austriaca, fu organizzata una conferenza fra Mate Boban e Radovan Karadţić. L‟incontro si concluse con un comunicato stampa nel quale il politico croato, in pratica, rinunciava all‟idea della Bosnia-Erzegovina sovrana e indipendente e accettava un piano di divisione secondo il quale ai serbi sarebbe toccato il 55 per cento del territorio, ai croati il 20 per cento e ai musulmani solo il quindici per

317 Laura Silber Silber, Allan Little, Yugoslavia Death of a Nation, London, Penguin, 1995, pp.244-257. 318 Per un panorama completo delle vicende belliche cfr. N. Thomas, K. Mikulan, The Yugoslav Wars (1),

(2), Oxford: Ospray, 2006, Pirejevec, Le guerre jugoslave 1991-1999, Torino: Gulio Einaudi Editore,

2001, Sabrina P. Ramet, Balkan Babel. The Disintegration of Yugoslavia from the Death of Tito to the Fall

of Milošević, Oxford: Westview, 2002, Kate Hudson, Breaking the South Slav Dream. The Rise and Fall of Yugoslavia, London: Pluto, 2003.

99 cento. Restavano naturalmente aperti i problemi relativi alle frontiere nella zona di Mostar, Kupres e nella Posavina che non sembravano però insormontabili. Il documento infatti si concludeva con l‟affermazione che in seguito agli accordi raggiunti non esistevano più ragioni per un conflitto armato tra le due parti. Fu proclamato un cessate il fuoco generale e permanente che sarebbe dovuto diventare effettivo sotto la supervisione della Comunità europea alle ore 24.00 di quello stesso giorno.

A maggio 1992, la Commissione della Comunità europea propose di revocare le misure positive concesse al Montenegro e ad istituire misure di embargo economiche nei confronti della Serbia e del Montenegro319. Tali proposte rientravano in una strategia attuata per convincere la Serbia e il Montenegro a partecipare pienamente alla ricerca di una soluzione pacifica durevole nel quadro della conferenza di pace. Anche il Consiglio continua su questa linea, approvando una proposta di regolamento che sospendeva il commercio fra la Comunità economica europea e le Repubbliche di Serbia e del Montenegro. Queste misure di embargo non si applicano tuttavia all‟ esportazione verso la Serbia o il Montenegro di prodotti per uso strettamente medico, nonché dei prodotti alimentari o che rispondono ad un fabbisogno umanitario di base. Esse non si applicano inoltre all‟introduzione sul territorio della Comunità di prodotti originari o provenienti