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La Comunità/Unione Europea e la dissoluzione della ex-Jugoslavia. L'intervento in Bosnia-Erzegovina: quali conseguenze per i Balcani Occidentali?

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Scuola di Dottorato in Scienze Politiche e Sociali Corso in Geopolitica

Ciclo XXI 2007-09

La Comunità/Unione Europea e la

dissoluzione della ex – Jugoslavia.

L’intervento in Bosnia-Erzegovina: quali

conseguenze per i Balcani Occidentali?

ssd: SECS- S/04

Tutor:

Candidata:

Prof.ssa Ariane Landuyt

Dott.ssa Klodiana Beshku

Co Tutor:

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LA COMUNITÀ/UNIONE EUROPEA E LA DISSOLUZIONE

DELLA EX – JUGOSLAVIA. L’INTERVENTO IN

BOSNIA-ERZEGOVINA: QUALI CONSEGUENZE PER I BALCANI

OCCIDENTALI?

Introduzione……….p. 5

1. I BALCANI NEL CONTESTO EUROPEO………...p. 11

1.1 Le cause storiche della destabilizzazione dei Balcani………...p. 11  Gli spostamenti e le migrazioni delle popolazioni nella penisola balcanica...p. 11

 La formazione dei primi nuclei statali……….p. 15

 La creazione della prima e della seconda Jugoslavia………..p. 20

1.2 Lo status delle varie repubbliche nella federazione jugoslava……….p. 23  La federazione jugoslava del dopoguerra………p. 23

 L‟inizio della crisi all‟interno della federazione jugoslava……….p. 25

1.3 Le origini delle relazioni economiche e politiche tra la Comunità Europea e la ex – Jugoslavia ………..………p. 27

 Il primo accordo commerciale fra la CEE e la Jugoslavia………..p. 27

 La dichiarazione di Belgrado e i prestiti finanziari……….p. 31

2. IL RUOLO DELLA COMUNITÀ EUROPEA NEGLI ANNI NOVANTA..p. 41

2.1 La Comunità Europea e la Jugoslavia all’inizio degli anni ’90……….. p. 41  Le vicende interne della ex-Jugoslavia e la situazione internazionale………p. 41

 Il ruolo del Consiglio d‟Europa, della CSCE e delle Nazioni Unite………...p. 44

 La Comunità Europea e i suoi stati membri………p. 47

2.2 Le vicende dell’indipendenza slovena ………...p. 54  La proclamazione dell‟indipendenza dalla parte slovena………p. 54

 La reazione internazionale………...p. 57

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3

 La Conferenza di pace sulla ex-Jugoslavia………..p. 69

 Gli accordi di Igalo………p. 70

2.3 Le vicende dell’indipendenza croata………..p. 74  La proclamazione dell‟indipendenza e gli scontri militari………..p. 74

 Il cambiamento di ruota nella politica comunitaria……….p. 75

2.4 Il caso della Macedonia (FYROM)………... p. 84

 Le vicende dell‟indipendenza………..p. 84

 Le controversie con la Grecia………..p. 89

3. LA VERA GUERRA NEI BALCANI OCCIDENTALI………p. 91

3.1 Gli inizi del conflitto bosniaco nel 1992……….p. 91  L‟indipendenza della repubblica SRPSKA ed il referendum bosniaco……...p. 91

 Il piano Cutileiro ……….p. 94

 L‟inasprimento del conflitto………p. 97

 La reazione della Comunità Europea e delle Nazioni Unite……….p. 104

 La Conferenza di Londra………..p. 108

 Il piano Vance-Owen e la reazione internazionale………p. 112

3.2 Le conseguenze del piano Vance-Owen nel 1993………p. 115  L‟appoggio internazionale al piano Vance-Owen……….p. 115

 L‟attività diplomatica della Comunità/Unione Europea………p. 122

 Il rifiuto del piano Vance-Owen dalla parte serba……….p. 126

 Il piano Owen – Stoltenberg………..p. 135

 La seconda metà del 1993 ed il piano Juppé-Kinkel……….p. 139

3.3 Le vicende del 1994. La disputa tra la NATO e le Nazioni Unite…………p. 145  Le discordanze fra la NATO e le NU e fra gli americani e gli europei…….p. 145

 L‟ultimatum della NATO………..p. 153

 L‟accordo di Washington………..p. 158

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4. LA POSIZIONE DELL’UNIONE EUROPEA NELL’AMBITO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE………...p. 172 4.1 La strada verso gli accordi di Dayton nel 1995………...p. 175  L‟alleanza fra i croati e i musulmani……….p. 172

 L‟offensiva croata ed il cambiamento della politica europea………p. 177

 Il massacro di Srebrenica………...p. 187

 L‟impatto nell‟opinione pubblica internazionale………..p. 195

 Gli accordi di Ginevra………...p. 200

 Gli accordi di Dayton………p. 204

4.2 Il riconoscimento delle repubbliche uscenti dalla federazione jugoslava e

le implicazioni per il futuro……….p. 209  La cornice giuridica prodotta dalla Comissione Badinter……….p. 209

 Le conseguenze giuridiche del riconoscimento della Slovenia e della

Croazia………...p. 214

 La Comunità/Unione Europea come fattore normativo………p. 217

Conclusioni………..p. 222 Bibliografia………..p. 231  Opere generali sulla storia e le istituzioni della regione Balcanica………...p. 231

 Opere sulla storia della ex-Jugoslavia e sulla sua dissoluzioni……….p. 233

 Opere sulla storia dei singoli stati della ex-federazione jugoslavia………...p. 234

 Opere sul conflitto nella Bosnia-Erzegovina e nel Kosovo………...p. 235

 Opere sulla Comunità internazionale e l‟area balcanica………...p. 237

 Fonti periodiche, articoli e saggi………...p. 241

 Fonti reperite in rete………...p.246

 Altri fonti………...p. 246

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Introduzione

Il mio lavoro è iniziato con la costruzione del background storico della penisola balcanica al fine di mettere in evidenza le peculiarità storiche delle ex-repubbliche jugoslave. L‟idea era quella di ripercorrere la loro storia focalizzandomi sull‟epoca moderna e contemporanea, ma durante i miei studi ho notato che era inevitabile non confrontarsi con i conflitti etnici di questa regione, pur senza entrare in merito alla questione. Tali conflitti hanno le proprie radici nell‟antichità, quindi un accenno alle prime migrazioni nella penisola e ad alcune vicende medievali come la battaglia del Kosovo nel 1389 e l‟istituzione della chiesa ortodossa a Péc (città del Kosovo), sono diventati inevitabili. Per questo motivo nel primo capitolo della tesi ho cercato di ripercorrere brevemente la storia della penisola balcanica, cercando di mettere in evidenza le vicende che hanno dato origine alle cause dei conflitti che si protraggono fino ad oggi.

L‟indice di questa tesi rispecchia la piramide che ho riportato qui di sotto e quindi è facile evidenziare che la dimostrazione dell‟ipotesi se la Comunità/Unione Europea è stato un fattore importante e in quale direzione lo è stato nel conflitto della ex - Jugoslavia è passato attraverso i vari gradi di questa piramidi. Dopo avere compreso le cause storiche della volontà delle ex-repubbliche jugoslave di volere l‟indipendenza dalla federazione jugoslava, si è analizzata la loro condizione nell‟ultimo stato jugoslavo, per poi arrivare alle vicende del conflitto ed al ruolo della Comunità/Unione Europea durante il periodo di guerra.

Conclusioni 4. Il ruolo dell‟UE

3. Il conflitto nella ex-Jugoslavia. L‟atteggiamento dei singoli attori; CE,

NU, NATO,

2. Formazione e dissoluzione della federazione Jugoslava

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6 Non mi sono soffermata a lungo sulle vicende della guerra e sulla posizione militare delle parti sul terreno poiché mi sono sembrate irrilevanti per il semplice motivo che l‟attore principale della mia tesi, quindi la Comunità/Unione Europea non era parte militare in causa, ma avrebbe partecipato al conflitto soltanto attraverso delle truppe di peacemaking dell‟ONU oppure in stretta collaborazione con le missioni della NATO. Per questo motivo, l‟ONU e la NATO sono gli altri due attori di cui mi sono occupata con grande attenzione, senza trascurare i singoli paesi membri della CE/UE, gli USA, la Russia e qualche altro attore importante soltanto in alcuni momenti del conflitto.

Perché iniziare con la storia dei Balcani Occidentali? Perché si è discusso tanto sul fatto se la CE/UE avesse preso in considerazione la peculiarità storica ed etnica di questa regione. Per dare una risposta a questi dubbi, ci viene in aiuto un importante federalista di quelli anni. Come scriveva il prof. Sergio Pistone1 in quelli anni: “La tragedia che sta dilaniando la Jugoslavia dimostra in modo inequivocabile a quali conseguenze distruttive e mostruose conduce l‟applicazione del cosiddetto diritto di autodeterminazione nazionale, secondo il quale la salvaguardia delle peculiarità nazionali può fondarsi solo sulla coincidenza di ogni nazione con uno stato. Poiché, salvo rarissime eccezioni, l‟Europa (come il resto del mondo) è caratterizzata dalla mescolanza di diversi gruppi linguistici, religiosi, etnici, e così via, entro gli stessi territori, ogni creazione di nuovi stati o spostamento di confini fra stati diretti a creare stati omogenei dal punto di vista nazionale lascerà sempre all‟interno dei nuovi confini delle minoranze”2

. Questa concezione accompagnerà i lavori della Conferenza per la ex - Jugoslavia e anche tutti i piani successivi elaborati dai rappresentanti della Comunità Europea.

Partendo da questa concezione/timore che era presente nella realtà europea dei primi anni novanta, quando si era appena compiuta l‟unità della Germania e si stava compiendo la disgregazione dell‟impero sovietico, era molto interessante andare a capire l‟atteggiamento della CE/UE all‟inizio della dissoluzione jugoslava e più precisamente perché essa cambiò questo atteggiamento da sfavorevole alla

1

Professore ordinario di Storia dell‟Integrazione Europea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell‟Università di Torino. Un noto federalista.

2 Sergio Pistone, Le responsabilità della Comunità Europea di fronte alla crisi jugoslava, bozza di

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7 disgregazione a favorevole ad essa. Non bisogna dimenticare che la Comunità Europea si trovava per la prima volta durante la sua storia alle prese con un conflitto armato, nel momento in cui essa discuteva la bozza di una politica estera e di sicurezza comune3. Oltre a questi fatti, bisognava andare a capire quali altri fattori spingevano la CE/UE ad avere quella mancanza di posizione univoca per cui è stata sempre criticata e che come vedremo nelle conclusioni di questa tesi, non sempre a ragione.

Inoltre, la CE/UE ha costituito una forte base giuridica in materia di indipendenza delle repubbliche uscenti da una federazione, ma da sempre esiste la domanda: “Perché questa base giuridica non ha potuto evitare un conflitto così sanguinoso nei Balcani Occidentali che sono pur sempre nel continente europeo e non in Africa ad esempio?” Forse è vera la conclusione della studiosa Calic secondo la quale: In un mondo nel quale la sovranità è intesa come derivante dalla volontà del popolo, l‟idea dell‟amministrazione portata dall‟estero va incontro a quella della sovranità4? In questo contesto mi è parso molto interessante andare ad analizzare i vari punti di smacco della politica europea e se questi smacchi dipendevano da fattori interni ad essa, oppure da altri fattori politico-economici esterni.

Un altro fattore poteva essere quello della complessità e della complicazione della realtà jugoslava, con i vari problemi etnici e gli odi antichi che sono stati spiegati nel primo capitolo. La tesi cercherà di spiegare se la CE/UE era alla conoscenza di queste questioni e se i dodici avevano mai pensato di intervenire militarmente nel conflitto, oppure l‟avevano ideato ma mai potuto realizzare. Nella prima ipotesi, bisognerebbe considerare che non era chiaro che tipo di ordine politico sarebbe stato in grado di creare un esercito di intervento nella ex - Jugoslavia5. Nella seconda, la non realizzazione potrebbe sembrare ovvia per via dell‟esistenza soltanto dell‟WEO in quel periodo. Per questo motivo, ho cercato di analizzare fino a che punto è stato impegnato la WEO e in quale contesto è stato giustificato il suo impegno.

3

Jean-Louis Thiébault, “La Commission d‟arbitrage pour la Paix en Yougoslavie presidé par Robert Badinter (Aoȗt 1991 – Janvier 1992)”, in Cao-Huy Thuan, Alain Fenet (sous la direction de), Mutations

Internationales et evolutions des normes, Amiens Cedex, Presses Universitaire de France, 1994.

4 Citato in Richard Kaplan, “Who guards the guardians? International accountability in Bosnia” in Aidan

Hehir, Neil Robinson (eds), State-Building. Theory and Practice. New York, Routledge, 2007, p. 120. 5

Marie-Janine Calic, “Third Parties‟Problems in Regulating Civil Wars: The Case of Bosnia-Herzegovina” in Heinrich W. Kaumwiede, Peter Waldman (eds), Civil Wars: Consequences and

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8 Un altro punto importante del ruolo della CE/UE nel conflitto è stato quello del suo peso economico e finanziario. Nei casi nei quali le minacce militari non sono sufficienti a influenzare la condotta delle parti, di certo le sanzioni economiche non lo sono, come dimostrò l‟esempio bosniaco. Però, spesso, non c‟è altra alternativa oltre a quella di basare le strategie per la pace sulle misure economiche. Queste ultime, da un punto di vista di costi-benefici, possono essere più vantaggiose dell‟inazione militare6. Partendo da questa considerazione, ho cercato di capire ed evidenziare fino a quale punto è stato importante l‟influenza della CE/UE prima, durante e dopo il conflitto nella ex - Jugoslavia.

In questo conflitto occupa una parte molto importante la guerra sanguinosa che scoppiò in Bosnia-Erzegovina durante il periodo 1992-1995. Il ruolo e l‟atteggiamento della Comunità internazionale durante questo conflitto fu di un grande significato nella connotazione negativa del termine, poiché la comunità internazionale non fu in grado di fare cessare le maggiori massacri umani che ebbero luogo nel territorio bosniaco. In questo contesto, sarebbe stato un errore analizzare la posizione della Comunità/Unione Europea, al di fuori del contesto internazionale. L‟atteggiamento degli attori coinvolti nei conflitti così come l‟atteggiamento della comunità internazionale nei confronti di questi attori dipende non solo dai ruoli di fatto che gli attori intraprendono, ma anche dall‟etichetta (il tipo di denominazione) con la quale viene identificato il conflitto. L‟opinione pubblica internazionale, i massmedia, i diplomati, le organizzazioni umanitarie e non governative, si comporteranno diversamente in funzione del fatto se il conflitto si etichetterà “una palude balcanica”, “una guerra civile”, “una guerra di aggressione”, oppure “un genocidio”. Le prime due etichette suggeriscono egli europei e agli americani: “State lontani, non sono affari vostri!”, mentre le seconde due gli suggeriscono: “Fate qualcosa per fermarli! Adesso!”7.L‟atteggiamento europeo non

poteva essere tirato fuori dalla realtà globale che circondava il conflitto, ma doveva essere visto in relazione a quello che stava succedendo all‟interno della Comunità/Unione Europea. Di conseguenza, durante il mio lavoro, si avrà spesso a che fare con degli assi paralleli che includono la situazione in seno alla CE/UE, alle Nazioni

6

Cit. in Marie-Janine Calic, “Third Parties‟Problems in Regulating Civil Wars: The Case of Bosnia-Herzegovina” in HeinrichW. Kaumwiede, Peter Waldman (eds), Civil Wars: Consequences and

Possibilities for Regulation, Baden-Baden, Nomos, 2000, p. 226.

7Slaven Letica, “Labeling Theory and the Wars in Croatia and Bosnia-Herzegovina” in Stjepan G. Meštrović (ed), The Conceit of Innocence. Losing the Conscience of the West in the War against Bosnia, College Station, Texas A&M University Press, 1997, pp.143-144.

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9 Unite, agli USA, alla Russia e nello stesso tempo alla situazione del conflitto nel terreno bosniaco, in Serbia e in Croazia.

I documenti usati per l‟elaborazione di questa tesi, oltre ai volumi e ai saggi pubblicati durante tutti questi anni, sono stati anche i bollettini ufficiali reperiti al Centro di Archivio sull‟Unione Europea dell‟Università di Siena ai fondi di Angel Viñas8 e Helen Wallace9 dell‟Archivio dell‟Unione Europea di Firenze. Il periodo dei primi rapporti sulla CEE-Jugoslavia è stato del tutto ricostruito sulla base delle suddetti fonti, poiché non esistono ancora dei volumi pubblicati in materia.

Nei documenti ufficiali della Comunità/Unione Europea sono stati molto utili i Bollettini Ufficiali pubblicati dalla CE/UE ad ogni anno, che hanno fornito un‟informazione completa per quanto riguarda le conclusioni dei Consigli europei, i finanziamenti e gli investimenti verso la ex - Jugoslavia e le repubbliche uscenti, gli aiuti umanitari durante il conflitto, le attività del Parlamento europeo e della Commissione, le quali si potevano evincere dalle varie risoluzioni e decisioni, ed infine la descrizione di alcuni riunioni importanti a livello ministeriale in politica estera.

Per quanto riguarda i documenti degli archivi reperiti presso l‟archivio dell‟Unione Europea di Firenze, essi sono stati utili per delineare la posizione di alcuni stati membri all‟interno della CE/UE come ad esempio quella della Francia, della Germania e della Gran Bretagna e anche di alcuni altri attori come le Nazioni Unite, la Russia e gli Stati Uniti. Queste posizioni sono state facili da dedurre dalla corrispondenza di Angel Viñas fra le CE/UE e l‟ONU. Questa corrispondenza ha fatto da testimone dei rapporti CE/UE-ONU e ONU-NATO durante il conflitto bosniaco, e non solo. Essa è stata utilizzata per meglio descrivere l‟attività dei negoziati per il piano Vance-Owen, per la soluzione del conflitto fra la Grecia e la Macedonia, per la situazione nel terreno della guerra in Bosnia-Erzegovina, per le vicende dell‟intervento della NATO nel 1994, per l‟attività di Izetbegović, quelle del commissario Van Den Broek, eccetera.

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Angel Viñas, economista spagnolo, è stato il rappresentante della Delegazione della Comunità Europea presso le Nazioni Unite dal 1991 al 1997. Il suo fondo, depositato presso l‟Archivo dell‟unione Europea di Firenze nel 2007 e riflette tutta la sua carriera all‟interno di questa istituzione.

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10 Per concludere, la metodologia di ricerca di questa tesi al fine di analizzare il ruolo della CE/UE nella dissoluzione della ex - Jugoslavia, è stata basata sull‟approccio storico-geopolitico, che parte dalla base della piramide, esposta sopra, e va verso la punta di essa, attraverso delle assi orizzontali che riprendono l‟intreccio dei rapporti e degli interessi dei vari attori in gioco, illustrati da uno sfondo storico delle vicende dei conflitti, senza però entrare nel merito delle questioni etniche oppure delle vicende militari del conflitto.

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Capitolo 1

I BALCANI NEL CONTESTO EUROPEO

1.1 Le cause storiche della destabilizzazione dei Balcani

Gli spostamenti e le migrazioni delle popolazioni nella penisola balcanica

I paesi balcanici sono considerati da tanto tempo come il prototipo di paesi instabili che producono spesso guerre e conflitti10. Nell‟opinione pubblica dell‟occidente, questo stereotipo si aggrava quando si pensa alla loro posizione geografica, vale a dire al fatto che si trovano nel continente europeo e non nel Lontano Oriente o in Africa, e ciononostante la zona è troppo insicura ed è sempre stata soggetta a scontri interni.

Più che mai nel caso dei Balcani Sud-Orientali diventa indispensabile conoscere il background storico e capire le radici dei conflitti che tengono in sospeso la regione. Il conflitto nella Bosnia-Erzegovina e nel Kosovo è l‟esempio vivente di come la storia di un popolo può tenere in ostaggio il suo presente. Non a caso, lo storico tedesco Edgar Hösch nel suo libro dedicato alla storia dei Balcani considera l‟argomento storico di primo piano nella cultura della memoria degli attuali stati balcanici. Egli considera la storia di questi paesi come lo strumento di legittimazione del presente attraverso il passato11. La storia, dall‟inizio del XIX secolo alla metà del XX, è stata concepita come storia delle nazioni. Le loro origini vennero lasciate sostanzialmente indiscusse e tutti gli eventi storici vennero giudicati e ricostruiti come il lento dipanarsi della nazione nel corso del tempo. In quanto entità fisica e data per scontata, la nazione non aveva

10

In uno studio sul periodo 1492-1992 effettuato sul continente europeo, si è evidenziato che soltanto nella penisola balcanica si sono avvenute circa 83 rivoluzioni, in quella iberica solo 15, in Francia soltanto 41, in Gran Bretagna 56 quanto in Russia, mentre nei paesi bassi soltanto 4. E‟ interessante il fatto che, mentre nelle altre parti del continente europeo la causa di queste rivoluzioni è stata principalmente per motivi culturali e sociali, nei Balcani i motivi sono stati principalmente nazionali-etnici. In Charles Tilly, “States and Nationalisms in Europe”, Theory and Society, Vol. 23, No. 1, Feb., 1994.

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12 bisogno di una giustificazione della sua esistenza, e la sua storia doveva essere ricostruita in profondità solo come il processo di evoluzione che l‟avrebbe condotta al raggiungimento del suo obiettivo “naturale”: lo Stato. Questa immagine della nazione come un‟entità naturale “primordiale”, la cui storia poteva essere spiegata secondo il modello della lotta per l‟autodeterminazione entro uno Stato, iniziò a essere messa in discussione nel corso degli anni Cinquanta del Novecento. Sembrava che questa tendenza continuasse ad esistere nella Comunità Europea all‟inizio degli anni Novanta. Come scriveva il prof. Sergio Pistone12 in quelli anni: “La tragedia che sta dilaniando la Jugoslavia dimostra in modo inequivocabile a quali conseguenze distruttive e mostruose conduce l‟applicazione del cosiddetto diritto di autodeterminazione nazionale, secondo il quale la salvaguardia delle peculiarità nazionali può fondarsi solo sulla coincidenza di ogni nazione con uno stato. Poiché, salvo rarissime eccezioni, l‟Europa (come il resto del mondo) è caratterizzata dalla mescolanza di diversi gruppi linguistici, religiosi, etnici, e così via, entro gli stessi territori, ogni creazione di nuovi stati o spostamento di confini fra stati diretti a creare stati omogenei dal punto di vista nazionale lascerà sempre all‟interno dei nuovi confini delle minoranze”13

. Questo modo di concepire la storia dei Balcani accompagnerà la condotta della Comunità/Unione Europea nei confronti della dissoluzione jugoslava, senza nulla togliere ai motivi etnici ed economici di questo processo.

I Balcani occidentali si sono da sempre distinti di un percorso molto movimentato nel consolidamento delle loro istituzioni statali. Le cause dell‟instabilità istituzionale ed economica nei Balcani sud-orientali sono numerose. Ad una prima occhiata sembra che l‟Albania, la Bosnia Erzegovina, la Croazia, la FYROM (Macedonia), il Kosovo, il Montenegro, la Serbia e la Slovenia siano accomunati dallo scontro continuo tra Roma e Bisanzio, tra gli Asburgo e gli ottomani, tra le tendenze egemoniche delle grandi potenze occidentali e orientali, tra le varie dittature comuniste basate sullo stalinismo sovietico e lo smantellamento di tali regimi. Alcuni studiosi hanno individuato una sorta di “uniformità” negli sviluppi della regione a causa di questi simili passaggi storici, ma in realtà, non è un caso che i paesi sotto l‟influenza dell‟impero romano e quello asburgico presentino una maggiore stabilità istituzionale,

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Professore ordinario di Storia dell‟Integrazione Europea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell‟Università di Torino. Un noto federalista.

13 Sergio Pistone, Le responsabilità della Comunità Europea di fronte alla crisi Iugoslava, bozza di

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13 una maggiore propensione allo stato del diritto ed un‟economia più forte14

, anche se, come scrive Edgar Hösch, tutta la regione balcanica è stata da sempre caratterizzata da una “fluttuazione eurasiatica”, quindi non si potrebbe parlare di confini netti di divisione fra gli stati, bensì di una fusione di elementi provenienti da una cultura occidentale, bizantina, europea ed orientale15. Secondo le tesi provocatorie di Huntington, ai Balcani mancano alcuni elementi della civiltà europea, come il feudalesimo, il rinascimento, l‟illuminismo, la rivoluzione industriale e quella francese16, mentre per qualcun altro i Balcani sono la culla dove sono state incrociate le vie dell‟antichità classica e del cristianesimo, elementi fondamentali della civiltà europea.17 Alla fine, pur presentando delle uniformità nel loro percorso, questi paesi presentano anche tante peculiarità all‟interno delle cornici di queste somiglianze. Una caratteristica importante dei Balcani è la presenza di un forte sentimento di nazionalità che deriva dal continuo confronto e scontro delle dominazioni straniere ma che, non poche volte, è sfociato in aspri conflitti etnici. Quest‟ultimi sono stati alimentati dallo sfondo multiculturale e multietnico dei Balcani che trova la propria origine nell‟antichità, proprio agli inizi degli insediamenti umani nella penisola.

Nella penisola balcanica soltanto alcuni popoli si richiamano agli antenati; i Greci si richiamano agli antichi Greci o Achei, gli Albanesi agli Illiri e i Rumeni ai Traci. Gli Illiri e i Traci giunsero nella penisola attorno al terzo millennio a. C. Si tratta di popoli di origine indoeuropea i quali hanno lasciato poche tracce della loro esistenza, ma in numerosi studi la particolarità della lingua albanese e di quella rumena funge da testimone della provenienza originaria di questi popoli.18

L‟impero Romano d’Occidente, subentrato alla Grecia antica, costituì la propria influenza nella penisola, concentrandosi maggiormente nel territorio dell‟attuale Macedonia (FYROM). Da qui, come vedremo in seguito, ebbe inizio la stratificazione

14 Si parla della Croazia e della Slovenia, i due paesi più sviluppati dei Balcani sud-orientali; la Slovenia

già membro dell‟ Unione Europea dal 2004 e la Croazia con lo status di paese candidato. In effetti, anche la Bosnia-Erzegovina potrebbe essere inserita in questo gruppo se non si tiene conto che la permanenza di questo paese sotto gli Asburgo è stata più breve e di conseguenza anche l‟influenza austro-germanica verso questo paese.E. Hösch, Storia dei Balcani. Bologna: Il Mulino, 2006.

15 Edgar Hösch, Storia dei paesi balcanici. Dalle origini ai nostri giorni. Torino: Einaudi, 2005, p. 57 16

Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Milano: Garzanti, 2000, p. 86.

17 Edgar Hösch, Storia dei Balcani, Bologna: Il Mulino, 2006, p. 92.

18 Una delle pubblicazioni che appoggia questa tesi è quella di Noel Malcolm, Storia del Kossovo. Dalle

origini ai nostri giorni. Milano: Bompiani, 1999, pp. 53-72. L‟autore effettua un‟analisi

storica-linguistica molto interessante, dove spiega la sopravvivenza della lingua albanese e quella romena nei secoli e la loro provenienza dagli illiri, in parallelo con le postazione delle varie popolazioni nella penisola balcanica.

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14 etnica e multiculturale di questo stato. Tuttavia, l‟influenza dell‟impero di Roma si arrestò sostanzialmente ai porti affacciati sul mare Adriatico battezzati con il nome della provincia della Pannonia e della Dalmazia. In effetti, la penisola balcanica è stata la destinazione finale per tantissimi migrazioni di popoli e tribù, favorite dalla buone condizioni climatiche e dalla vicinanza con il mare.

Nel V e VI secolo d.C. la penisola subì la cosiddetta invasione degli slavi. Si trattava di popolazioni tribali i cui principali raggruppamenti erano slavi e croati.19 Questa fase coincise con la caduta dell‟impero romano d‟Occidente e con la sostituzione della sua influenza con quella di Bisanzio. Gli Slavi si potevano raggruppare in settentrionali (Polacchi, Cechi, Slovacchi, Sloveni) e meridionali (Serbi, Croati e una parte dei Bulgari). Bisogna tenere in considerazione che, durante tutto il primo millennio d.C., i Balcani sono stati oggetto anche di altri flussi migratori come quelli dei Goti della Germania, dei Bulgari di origine unna e più tardi anche degli Avari. Gli avari arrivarono nei Balcani attorno al IV secolo d. C e si distinsero per le loro mire espansionistiche. Essi ebbero una particolare importanza nel territorio della futura Jugoslavia, poiché cancellarono le tracce degli Illiri e dei Traci e diedero alla regione una certa omogeneità culturale. Bisanzio non poteva tollerare la loro presenza e dopo feroci battaglie riuscì a sconfiggerli. Ciò spinse gli Slavi verso la parte settentrionale della penisola.

In quel periodo, anche la parte meridionale del Danubio era molto ambita dalle popolazioni in movimento, proprio per le favorevoli condizioni climatiche e le città fiorenti sotto l‟impero Bizantino. Non bisogna dimenticare anche l‟arrivo dei Magiari, popolazioni nomadi di origine turca provenienti dall‟impero bulgaro verso la fine del IX secolo. Questi si mescolarono agli Slavi meridionali e quelli occidentali.

Tutti gli storici sembrano essere d‟accordo sul fatto che la parte massiccia delle migrazioni slave avvenne nel VI secolo e le infiltrazioni e le mescolanze continuarono fino al VII secolo, spostando le popolazioni autoctone verso le sponde del mar Adriatico e del mar Ionio. Le grandi città come Durazzo e Scutari opposero resistenza come del resto anche le zone montuose dei Balcani. Il Kosovo è proprio una delle zone montuose dei Balcani occidentali i cui abitanti si richiamano agli illiri. Il dibattito storico su

19

La provenienza di queste tribù è difficile da definire, poiché secondo tanti studi storici si presume che si sono spostati in continuazione. Comunque, si potrebbe dire che si sono spostati dalle sponde del Mar nero e successivamente dai territori cechi, dalla Sassonia, dalla Baviera e dai territori della Slovacchia e della Polonia di oggi.

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15 questo tema è molto vario20. Noel Malcolm nel suo libro “Storia del Kosovo”, non a caso premette che: “Non si ripeterà mai abbastanza che le questioni di priorità

cronologica della storia antica – chi arrivò per primo in un certo posto – sono del tutto irrilevanti ai fini di decidere le ragioni e i torti di qualsiasi situazione politica dei nostri giorni”21. Questo ragionamento ritorna molto utile se si pensa alla battaglia del Kosovo e ad altri simboli della nazionalità serba e kosovara. In fin dei conti, tutte le origini diventano misteriose se ci si spinge molto indietro nel tempo22. Fatto sta che i confini di quasi tutti gli stati nazionali moderni non corrispondono a quelli culturali e soprattutto in questa zona, che si caratterizza da uno sfondo multiculturale e multietnico, sono nutriti anche dalle varie influenze estere e delle grandi potenze.

La formazione dei primi nuclei statali

Sarebbe opportuno sottolineare il fatto che durante il VII secolo, nella parte occidentale si era formato il Regno di Catarania (623 d. C, si tratta della prima formazione statale nei Balcani) ad opera degli Sloveni, dopo una dura lotta con gli Avari. Questo regno, successivamente si mise sotto l‟occupazione e l‟influenza dei carolingi e dei loro vassalli (bavaresi, friulani e istriani). Invece, nella parte settentrionale della penisola, la Mesia (attuale Serbia) e nella Dalmazia (attuale Croazia) era più forte l‟influenza dell‟impero romano d‟Oriente. Nei Balcani, dunque, si può parlare di due sfere d‟influenza; una di dominazione carolingia a Nord, quindi del Sacro romano impero ed una dominazione bizantina a Sud. È interessante il fatto che i Croati, trovandosi minacciati dall‟assimilazione da parte di queste influenze a nord e a sud del proprio territorio, si accelerarono il processo di affermazione delle loro caratteristiche

20 Alcuni storici, come ad esempio J. Pirjeveć, sostengono addirittura che il Kosovo fu popolato soltanto

nel XVII secolo dagli albanesi, i quali approfittarono dalle grandi migrazioni dei serbi e dal caos creato dall‟impero ottomano. Cfr, J. Pirjeveć, Serbi, croati, sloveni. Storia di tre nazioni. Bologna, Il Mulino, 1995, p. 23. Altri autori, a parte Malcolm e Vickers i quali sono noti nel mondo accademico per le loro tesi pro-albanesi, sostengono che i kosovari di oggi sono identici a quelli che si trovavano in quest‟area prima dell‟arrivo degli slavi, quindi sarebbe impossibile una loro “apparizione” ex-novo in queste zone. Robert Bideleux, Ian Jeffries, The Balkans. A Post-Communist History, New York: Routledge, 2007, pp. 513-514.

21 Noel Malcolm, Storia del Kosovo. Dalle origini ai nostri giorni. Milano: Bompiani 1999, p. 53

22 Robert Bideleux, Ian Jeffries, The Balkans. A Post-Communist History, New York: Routledge, 2007, p.

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16 etniche e culturali attraverso la creazione del Regno di Croazia, formatosi nel periodo 924-925, la quale successivamente si unirò al regno ungherese tramite “l‟unione delle due corone”23

. Quindi, dopo la creazione del primo nucleo dello stato della Slovenia, nei Balcani sudorientali si assistette alla creazione del secondo regno di uno degli stati della futura Jugoslavia; la Croazia.

La creazione del terzo nucleo statale ebbe come protagonista la Macedonia, a cavallo fra il X ed il XI secolo. La Macedonia venne lasciata formalmente indipendente per quasi due secoli caratterizzandosi come uno stato a doppia identità; i Bulgari la ritenevano uno stato bulgaro occidentale, invece i Serbi la ritengono il primo stato slavo-macedone.

Durante il X e XI secolo anche i Serbi stessi furono oggetto di assalti da parte dei Bulgari, dei Bizantini e anche degli Ungheresi. Per opporsi a tali attacchi loro si volsero verso Bisanzio. I territori della vecchia Mesia si erano raggruppati intorno a due entità: Il governo di Zeta, l‟attuale Montenegro e quello della Rascia, l‟attuale Serbia. Nel periodo 1037-1038 si formò il primo polity serbo sotto il controllo di Stefano Nemanja. Successivamente, nel 1159, il governatore di Rascia, Stefano Nemanja, unificò i due territori e nel 1190 ottenne l‟indipendenza da Bisanzio. Grazie alle sue abilità politiche e militari, riuscì ad espandere il territorio del suo regno anche al Kosovo e alla Macedonia.

Durante il X-XI secolo, avremo la formazione di uno stato vassallo dell‟Ungheria, quello della Bosnia. Nel X secolo, Bosnia era inclusa nel regno croato e apparirà come uno stato da parte soltanto nel 1168-1326, sotto l‟egida del principe Ban Kulin. Nel periodo 1318-1353 sarà sotto la direzione di Ban Stjepan Kotromanić, il quale annetterà anche il territorio di Hum, l‟attuale Erzegovina. Il regno sarà sempre caratterizzato da una forte alleanza con il regno di Ungheria, fino all‟arrivo dell‟impero ottomano nella regione24.

In questo periodo il territorio dell‟attuale Kosovo viveva una situazione particolare. Dopo la riconquista bizantina della Macedonia e del Kosovo agli inizi dell‟XI secolo, un greco di Costantinopoli fu nominato vescovo di Ocrida e prese il via un costante

23 Per uno studio più dettagliato della cronologia storica degli stati balcanici separatamente si potrebbe

rinviare a Robert Bideleux, Ian Jeffries, The Balkans. A Post-Communist History, New York: Routledge, 2007, Elizabeth Pond, Endgame in the Balkans. Regime Change, European Style, Washington, D. C: Brookings Institution Press, 2006, John R. Lampe. Yugoslavia as History. Twice there was a Country. Cambridge: Cambridge University Press, 2000.

24 Elizabeth Pond, Endgame in the Balkans. Regime Change, European Style, Washington, D. C:

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17 processo di ellenizzazione culturale25. Durante il secolo successivo questo territorio sarà incluso nel dominio di Stefano Nemanja e sarà assorbito dallo stato di Rascia, il futuro nucleo dello stato serbo, poichè dopo una lunga oscillazione tra l‟impero ottomano e la Serbia sarà incluso nel territorio di quest‟ultima con la Conferenza di Londra del 1913.

La regione balcanica non ha mai avuto uno sviluppo omogeneo istituzionale entro una calma situazione politica. I primi stati sorti nei Balcani furono successivamente distrutti dalle lotte per il potere e dai conflitti dinastici. Lo stesso destino ebbero anche gli altri stati vassalli26, creati nei Balcani in quell‟epoca, che poi si frantumarono in

principati e successivamente, durante l‟impero ottomano in millet27

. Come vedremo in seguito, la creazione degli stati-nazione nei Balcani sud-orientali avverrà in ritardo rispetto al resto dell‟Europa.

Dopo il crollo dell‟impero bizantino nel 1453 e fino alla caduta dell‟impero ottomano del 1913 che si concluderà definitivamente nel 1918 dopo la prima guerra mondiale, il territorio dei Balcani occidentali sarà teatro di guerre, di conquiste, di lotte per il predominio da parte dell‟impero ottomano e per la sottomissione alla propria cultura religiosa. A grandi linee, la Valacchia (l‟attuale Romania) e la Moldavia furono stati vassalli della Sublime Porta, governate da una élite di provenienza greca, i fanarioti. La Croazia e la Slovenia furono sotto il dominio austro-ungarico, la Bosnia Erzegovina oscillava fra l‟impero asburgico e quello ottomano ed il resto dei Balcani fu sotto l‟occupazione e l‟assimilazione culturale - religiosa ottomana.

Il territorio fu luogo di tre guerre balcaniche, di migrazioni continue, di spinte nazionalistiche di stati che tendevano a sopravvivere, del rafforzamento e della distruzione di un impero che lasciò i segni. Durante questi sette secoli, gli avvenimenti furono innumerevoli, ma è importante soffermarsi soltanto su alcuni di essi che torneranno utili al fine di comprendere i conflitti degli anni ‟90, e soprattutto a comprendere i motivi che spingono a considerare il Kosovo come la “Gerusalemme” della Serbia e coma la culla della cultura serba.

25 ibidem

26 Oltre agli stati sovra citati, la Bosnia, a partire dal XII secolo aveva cominciato a costituirsi come stato

vassallo dell‟Ungheria, la città di Dubrovnik divenne a modello delle città marinare italiane, un comune autonomo fra Venezia e Turchia.

27 Comunità religiosa autonoma dove si praticava una religione diversa da quella musulmana. Veniva

governata da un patriarca che dipendeva dal sultano, ma amministrava in modo autonome le leggi e le tasse. Questo sistema rese possibile la conservazione della religione cattolica nei Balcani. Un noto storico scriveva che tale sistema non fu inventato dal nulla, ma fu applicato apposta da parte dei turchi in un terreno composto da peculiarità sociali e culturali, come quello dei Balcani. Stanford J. Shaw “The aims and achievemnet of ottoman rules in the Balkans”, Slavic Review, Vol. 21, No. 4, Dec., 1962.

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18 Verso la fine del IX secolo, Bisanzio e Roma inviarono missionari greci e latini nel territorio serbo proprio per rafforzare il proprio dominio in quella zona. La loro missione era chiara: diffondere il cattolicesimo non ancora diviso dal grande scisma. Il principale centro di diffusione si costituì verso la fine di quel secolo sul lago di Ohrid, soprattutto per merito dei Santi Cirillo e Metodio. Il loro merito più importante fu la traduzione dei testi sacri in lingua slava-macedone e scritti in glagolitico, un alfabeto creato appositamente da loro che fu poi trasformato in cirillico dai loro discepoli. Quest‟ultima divenne la scrittura di tutti gli slavi ortodossi, uniti dalla comune lingua liturgica nella loro religione e nella loro cultura.

Come abbiamo detto in precedenza, Stefano Nemanja, il primo fondatore della Serbia-Montenegro, verso il 1172, grazie alle sue abilità in politica riuscì ad estendere il suo dominio al Kosovo, alla Metohija, alla Macedonia e al principato di Zeta. Nel 1196, il vecchio gran zuppano (governatore) decise di ritirarsi in un convento su monte Athos dove si era già stabilito il suo figlio minore Sava. Dopo la conquista di Bisanzio da parte dei crociati ed il crollo dell‟impero nel 1204, il figlio maggiore di Nemanja, Stefano, che teneva le redini del trono, si rivolse verso Venezia e riconobbe il patronato dell‟Ungheria. Il fratello minore, Sava, continuò la sua attività religiosa a Nicea, sede dell‟imperatore e del patriarca ecumenico. Nel 1219, il patriarca lo consacrò metropolita autocefalo della chiesa serba, la cui sede nazionale fu stabilita a Peć, nel cuore del Kossovo. Come si può immaginare, tale decisione fu contestata fortemente dall‟arcivescovo di Ohrid e segnò una netta frontiera tra mondo ortodosso e cattolico nei Balcani. Come scrive lo storico J. Pirejevec, “il riconoscimento di una sede nazionale

con sede a Peć, nel cuore del Kosovo, che ebbe presto anche i suoi santi, Stefano Nemanja e Sava in prima fila, diede un contributo decisivo all‘unità del popolo serbo, ispirandogli una forte coscienza della sua identità storica, religiosa e culturale, ma privandolo nel contempo della capacità di distinguere in maniera netta tra la sfera del sacro e del profano” 28

Nella sfera dell‟immaginario collettivo del popolo serbo rientra anche la battaglia del Kosovo. Tale famosa battaglia ebbe luogo nella “piana dei merli” che si trova proprio sul Kosovo Polje, alcuni chilometri a nordovest di Pristina, alla confluenza dei fiumi Lab e Sitnica. Questa battaglia segnò la soggezione dei Balcani sud-orientali ai

28

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19 turchi, in seguito alla perdita dell‟esercito capeggiato da un principe serbo ed uno bosniaco contro il sultano Murad I. Si trattò, in effetti di una resistenza più estesa, poiché nelle file dell‟ esercito serbo bosniaco si trovavano anche truppe valacche, croate, bulgare e albanesi. Questa battaglia ebbe un‟eco importante nella memoria collettiva del popolo serbo29. Ad essa furono dedicate tante leggende e miti popolari.

L‟anno 1878 del Congresso di Berlino, che segna anche la disgregazione dell‟impero ottomano, è ritenuto l‟inizio dell‟età contemporanea per i Balcani.30

L‟inizio della presenza di quest‟impero è datata al 1453 con la presa di Costantinopoli fino all‟inizio della prima Guerra mondiale nel 1918. Ad eccezione della Croazia e della Slovenia che erano sotto l‟impero asburgico, tutti gli altri territori dei Balcani occidentali si trovavano sotto la Sublime Porta. Bisogna aggiungere, però, che la Croazia è stata maggiormente sotto l‟influenza ungherese, che si è distinta per una minore tolleranza ed una maggiore denazionalizzazione rispetto all‟influenza austriaca in Slovenia. Si è parlato addirittura di un “austroslavismo”, intendendo l‟Austria come nazione guida dei popoli slavi, principio che avrebbe caratterizzato la storia della Slovenia in tutto il XX secolo. Non bisogna mai dimenticare il fatto che le due repubbliche sono state teatro di scontri per il dominio dei due imperi in quei secoli. Oltre le distruzioni, l‟oscillazione temporanea fra i due imperi limitò in misura considerevole la diffusione della religione musulmana in queste repubbliche, favorendo il continuo sviluppo del cattolicesimo in Croazia e la diffusione della riforma protestante in Slovenia31.

Cinque secoli di scontri fra l‟impero ottomano e le altre potenze non sono pochi tenendo conto della arretratezza del sistema feudale nell‟impero ottomano e dell‟esportazione della propria cultura in questa area. Uno storico degli studi orientali scrive che alla fine dell‟ 700 l‟arretratezza economica dei Balcani non si poteva paragonare con nessun altro stato europeo, nemmeno con le province più arretrate dell‟impero asburgico32

. La Croazia e la Slovenia segnavano un passo in avanti già all‟epoca, mentre la Bosnia-Erzegovina, la Macedonia e la Serbia trovandosi maggiormente sotto l‟influenza ottomana, non avevano tante possibilità di aprirsi al

29 Akademia e Shkencave e Shqiperise, Instituti i Historise, Beteja e Kosoves 1389 (permbledhje

studimesh), Tirane: Mesonjtorja, 2005.

30 Per il resto dell‟Europa, l‟anno dell‟inizio dell‟età contemporanea si ritiene l‟anno della rivoluzione

francese 1789, quindi, quasi un secolo più avanti.

31 Charles, Barbara Jelavich. Themelimi i shteteve kombetare te Ballkanit, 1804 – 1920, Tirane: Dituria

2004, pp. 294-300.

32

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20 mondo, alle novità della rivoluzione francese e all‟Illuminismo. Dal punto di vista religioso, in Bosnia-Erzegovina si diffuse in modo massiccio l‟islamismo, forse per la maggiore conversione dei bogomili a questa nuova religione, anche se esiste un forte dibattito in materia da parte degli storici. La religione ortodossa aveva radici salde nella storia e nella cultura del popolo serbo-montenegrino.

La creazione della prima e della seconda Jugoslavia

Agli inizi del 900, abbiamo la creazione del Regno di Serbia e con esso anche la nascita dell‟idea del pan-jugoslavismo. Questo regno monarchico oscillerà tra vicende alterne sotto la rivalità delle due famiglie candidate al trono; quella degli Obrenović e quella dei Karadjordjević. La nascita e lo sviluppo di questo regno è molto importante in questo contesto, poiché attraverso le sue mire espansionistiche verso gli altri territori slavi del Sud, sia sotto gli Asburgo, sia sotto gli Ottomani, avrebbe fatto consolidare l‟idea dello jugoslavismo (gli Slavi del sud)33

.

Un altro elemento che spinse verso il consolidamento dell‟idea jugoslava fu anche l‟uccisione di Francesco Ferdinando a Sarajevo, erede al trono imperiale asburgico. Il vuoto creatosi nel buon andamento dell‟impero e l‟avvicinarsi di una situazione internazionale incerta fece prendere in considerazione con maggiore serietà la causa jugoslava da parte di tutti gli stati slavi. Per gli Sloveni, essa rappresentava il male minore, minacciati com‟erano dagli interessi italiani nel proprio confine; per i Croati rappresentava una scelta migliore rispetto all‟aggressività culturale degli ungheresi Ungheresi; per la Bosnia Erzegovina la scelta era quasi scontata, visto il tramonto dell‟impero ottomano e quello austro-ungarico in mezzo ai quali essa si trovava. Il Montenegro aveva sempre appoggiato l‟idea di una unificazione con la Serbia. La Macedonia, caratterizzata da sempre da una moltitudine di etnie aveva appena subito

33 Per uno studio più dettagliato riguardo all‟idea di pan-jugoslavismo si può cifrare John R. Lampe,

Yugoslavia as History. Twice there was a Country, Cambridge: Cambridge University Press, 2000, Tim

Judah, The Serbs: History, Myth and the Destruction of Yugoslavia, New Heaven: Yale University Press, 1997, Sabrina P. Ramet, The Three Yugoslavias: The Dual Challenge of State-Building and Legitimation

among the Yugoslavs, 1918—2004, Bloomington, Ind. & Washington D.C: Indiana University Press &

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21 un‟occupazione da parte della Bulgaria durante le guerre balcaniche del 1912-1913 e aveva visto negare la propria autonomia politico - amministrativa e culturale e quindi vedeva con un buon occhio l‟idea jugoslava. Con il trattato di Santo Stefano del 1878, la Macedonia era stata fatta addiritura parte della Bulgaria per essersi nuovamente rimossa ad essa con il trattato di Berlino dello stesso anno34.

L‟idea della Jugoslavia prendeva forma parallelamente con le vicende del primo conflitto mondiale. Essa trovò il suo punto massimo nell‟incontro di vari esponenti slavi a Corfù nel 1917 dove si proclamarono i principi del futuro stato Jugoslavo e si optò per una struttura federale, con a capo la dinastia dei Karadjeordjević. Il nuovo Regno si sarebbe basato sulla convivenza pacifica ed autonoma di tutte le varie etnie e religioni. Questo progetto trovò un grande appoggio da parte della Francia la quale vi vedeva un argine all‟espansione italiana nella regione e anche da parte della Gran Bretagna che vi vedeva un ostacolo al revisionismo degli sconfitti, cioè la Turchia, l‟Austro-Ungheria e la Bulgaria. Le trattative sul nuovo regno si protrassero a lungo, soprattutto a causa dei disaccordi fra Serbi e Croati, circa la formazione del nuovo governo. Questi disaccordi avrebbero caratterizzato per sempre i rapporti fra i due stati, anche dopo gli anni Novanta, aggravati anche dalla presenza di una massiccia minoranza serba in Croazia. In ogni caso, la nascita del Regno dei Serbi dei Croati e degli Sloveni ebbe luogo nel dicembre 1918 sotto la corona del principe reggente Alessandro Karadjordjević ed il suo primo ministro serbo ortodosso Pašić.

La vita del nuovo Regno non fu per niente facile. La fine della prima guerra mondiale segnò una maggiore instabilità per i Balcani. Il crollo degli imperi multietnici (quello asburgico e quello ottomano), con tutte le loro rovine, contribuì, insieme ai giochi politici delle grandi potenze, ad accrescere il nazionalismo etnico. Si ebbero varie insurrezioni a Zagabria e nel Kosovo come conseguenza della volontà accentratrice del potere da parte di Pašić a vantaggio della Serbia con la Costituzione di San Vito.

Insurrezioni si ebbero anche in Slovenia a seguito della denazionalizzazione del Nord sloveno condotta dalle autorità del regno a danno delle minoranze austriache. Su tali tensioni “etniche” influì anche la spinta alla creazione degli stati nazionali moderni in quell‟epoca. Anche se in ritardo rispetto al resto dell‟Europa, dove gli stati nazionali

34 Elizabeth Pond, Endgame in the Balkans: Regime Change, European Style, Washington D.C: Brookings

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22 presero forma circa un secolo prima, le spinte nazionalistiche per il mantenimento del Regno jugoslavo, misero in serio pericolo la sopravvivenza delle varie regioni etno-culturali nel sud-est balcanico. Un fattore molto importante è stato anche l‟influenza nell‟area delle grandi potenze che hanno favorito la formazione delle monarchie in quest‟area35

, mentre il nazionalismo è stato distruttivo in un territorio di popolazioni eterogenee, in assenza di elites politiche consolidate e36.

Dal 1918 fino al 1928 il Regno dei Serbi dei Croati e degli Sloveni attraversò numerosissime crisi di governo e cambiò circa ventitre primi ministri, per lasciare prendere nel 1928 tutto il potere dal monarca Alessandro. Il monarca abolì la Costituzione di San Vito e tutto il potere fu concentrato nelle mani del sovrano e del suo primo ministro, sciogliendo il Parlamento in nome della salvezza del Regno. Seguirono una serie di riforme statali ed economiche, ispirate a quelle del regime fascista italiano. In effetti, questa fu una tendenza di tutti gli stati del sud-est balcanico. Si crearono delle monarchie che seguivano e si allineavano con il Duce o con il Führer. Questo fu il caso dell‟Albania con il Re Zog, della Romania con il Re Carol, della Grecia con il generale Metaxas e della Bulgaria con il Re Boris37. Per tornare al Regno di Alessandro, esso fu proclamato solennemente “Regno di Jugoslavia” nel 1929, ma fino al termine del secondo conflitto mondiale fu caratterizzato dalla lotta clandestina e dal terrorismo degli ustascia. Gli ustaši erano i seguaci di Ante Pavelić, leader del “Partito croato del diritto”, i quali rivendicavano mire autonomiste croate già all‟epoca. Questo movimento sarà protagonista di vari scontri e atti di terrorismo anche durante la dissoluzione della Repubblica Jugoslava negli anni ‟9038

.

Le vicende della seconda guerra mondiale furono varie e complesse. È importante ricordare il fatto che la Jugoslavia aderì al Patto Tripartito nel 1941, insieme alla Bulgaria, all‟Ungheria e alla Romania. In seguito ad un cambio di rotta politica interna, il governo jugoslavo si rivolse verso la Gran Bretagna e a metà del 1941 le truppe tedesche, italiane, ungheresi e bulgare attaccarono sia il Regno jugoslavo, sia la Grecia. La Jugoslavia venne spartita dalle potenze dell‟Asse e Pavelić trovò terreno fertile per

35

John R. Lampe, “Varieties of Unsuccessful Industrialization: The Balkan States Before 1914”, Journal

of Economic History, Vol. 35, No. 1, The Tasks of Economic History, Mar, 1975.

36 Marina Ottaway, “Nation Building”, Foreign Policy, No. 132, Sep. – Oct., 2002.

37 Per un‟ informazione chiara e dettagliata su questo periodo si rinvia a G. Castellan G, Storia dei

Balcani. XIV-XX secolo. Lecce: Argo, 1991.

38 Secondo Krulić, la Croazia degli ustascia è l‟unico stato europeo che ha massacrato o ha lasciato

massacrare la più elevata percentuale della propria popolazione, in Joţe Krulić, Storia della Jugoslavia

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23 proclamare l‟indipendenza dello stato croato, istituendo una politica razzista molto simile alle ideologie naziste. Come ha scritto J. Krulić, la Croazia degli ustascia fu lo stato dell‟Europa occupata che massacrò o lasciò massacrare la più elevata percentuale della propria popolazione39.

In questa situazione spaventosamente caotica fu molto più facile per il maresciallo Josif Broz, detto Tito, proporsi come il salvatore del popolo jugoslavo attraverso la lotta partigiana ed il comunismo. Egli fu l‟unica figura politica in grado di assicurare la tolleranza e l‟eguaglianza di tutti i popoli slavi nell‟ambito di una repubblica federale. E lo seguirono in molti. La federazione jugoslava nacque dopo la seconda guerra mondiale grazie all‟abilità politica del maresciallo Tito ed alla sicurezza che egli seppe dare al culto della religione ed alle minoranze che avrebbero preso parte alla federazione.

1.2 Lo status delle varie repubbliche nella Federazione jugoslava.

La federazione jugoslava del dopoguerra

Il 29 Novembre 1945 venne eletta un‟Assemblea costituente che avrebbe provveduto alla stesura di una nuova Costituzione e venne proclamata la nascita della “Repubblica socialista federativa di Jugoslavia” che sanciva la definitiva caduta della monarchia dei Karadjordjević.40 La politica messa in atto dal maresciallo Tito è in larga parte nota a tutti. Dopo l‟espulsione della Jugoslavia dal Cominform, nel 1948, essa fu caratterizzata dal neutralismo nei confronti dei due blocchi, dalla “via jugoslava” al socialismo e dall‟equilibrio dei poteri delle singole repubbliche all‟interno della federazione. Come scrive lo storico Mario Cuzzi, “dietro agli slogan del non

allineamento e della via nazionale al socialismo erano malcelati gli aiuti occidentali

39 Joţe Krulić, Storia della Jugoslavia dal 1945 ad oggi, Milano: Bompiani, 1997, p. 56.

40 Due anni prima, con la liberazione, era nata una Democrazia federale di Jugoslavia. Per maggiori

informazioni sul periodo comunista e post comunista consultare Joţe Krulić Storia della Jugoslavia dal

1945 ad oggi, Milano: Bompiani, 1997, Sabrina P. Ramet, Balkan Babel: The Disintegration of Yugoslavia from the Death of Tito to the Fall of Milošević, 4th ed, Boulder: Westview Press, 2002, Misha

Glenny, The Fall of Yugoslavia, The Third Balkan War, New York: Penguin, 1992, Stefano Bianchini (a cura di), L‘enigma jugoslavo, le ragioni della crisi, Milano: Franco Angeli, 1989.

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24

che sostenevano le ardite sperimentazioni economiche e sociali di Tito in cambio di una collocazione de facto nello schieramento antisovietico o, per lo meno, fuori dalla sfera d‘influenza di Mosca” 41. In effetti, Tito fu molto abile nell‟oscillazione fra i due

blocchi e nel mantenere l‟equilibrio sociale ed economico delle repubbliche jugoslave, ma il suo potere politico si identificava fortemente nella sua figura carismatica e nelle sue abilità personali. Il vuoto lasciato dopo la sua morte, nel 1980, segnò anche l‟inizio della disgregazione della Jugoslavia.

Non si potrebbe comprendere a pieno la dissoluzione di tale federazione, se non tenendo in considerazione la base ideologica che costituiva il “collante” della Federazione jugoslava sotto la guida del maresciallo Tito. È di una importanza centrale il fatto che solo al Kosovo e alla Vojvodina non fu dato lo status di repubblica all‟interno della federazione, mentre regioni tre volte minori geograficamente rispetto al Kosovo, godevano di tale status. Questi fatti erano in contrapposizione con il principio di nazionalità e di uguaglianza dei popoli della Federazione, consacrata nella Costituzione e garantita da Tito.

La Costituzione sulla quale si basava tale principio fu quella del 1963, la quale sanciva l‟autogestione delle varie repubbliche come modello economico ed il decentramento istituzionale come modello politico. Vari storici spiegano in modo molto semplice il fatto che al Kosovo e alla Vojvodina non fosse stato riconosciuto lo status di repubbliche attribuendone il motivo al fatto che queste due regioni aspiravano da tempo ad una secessione dalla Jugoslavia. Anche le altre repubbliche avevano dimostrato tale interesse nel corso degli anni, ma il Kosovo rappresentava un caso a parte. Si temeva infatti che le sue mire scissionistiche sfociassero in una probabile unione con l‟Albania ed una “grande Albania” non era gradita a nessuna forza politica nazionale ed internazionale della regione. Se non fosse stato per il principio costituzionale architettato dai fondatori della Costituzione jugoslava, il Kosovo avrebbe avuto senza esitazioni lo status di Repubblica. Tale principio stabiliva infatti che lo status di Repubblica venisse attribuito alle nazioni (narodni) e non alle nazionalità (narodnosti)42. Secondo i padri fondatori della Costituzione, le nazioni consideravano la Jugoslavia come patria comune, mentre si presumeva che le varie nazionalità (gli albanesi del

41

Alessandro Marzo Magno (a cura di) , La guerra dei dieci anni. Jugoslavia 1991-2001: I fatti,

i personaggi, le ragioni dei conflitti, Milano: Il Saggiatore, 2001, p. 471.

42 Richard Caplan, “International Diplomacy and the Crisis in Kosovo.” International Affaires 74(4): 745-

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25 Kosovo, gli ungheresi della Vojvodina) presenti all‟interno della Federazione provassero sentimenti nazionalistici nei confronti di altri stati esterni alla Jugoslavia. Il Kosovo faceva parte del secondo gruppo, presumendo che la sua patria fosse l‟Albania43

. Inoltre, come abbiamo spiegato in precedenza, il Kosovo rappresentava anche un importante luogo di riferimento culturale per la Serbia. in questo senso, il termine “minoranza”, veniva visto come una connotazione peggiorativa e per questo motivo, nella Jugoslavia di Tito, veniva preferito al posto suo, quello della “nazionalità”44

.

L’inizio della crisi all’interno della federazione jugoslava

La prima crisi del sistema federale agli inizi era puramente economica. Le repubbliche della Croazia e della Slovenia godevano di un notevole sviluppo economico. Di conseguenza richiedevano sempre maggiori prerogative e vantaggi per liberarsi dal peso economico prodotto dalle altre repubbliche meno sviluppate45. D‟altro canto, la Serbia richiedeva un ritorno ai principi della Carta di Corfù, ciò che significava un rafforzamento politico da parte di Belgrado. A tutte queste pressioni Tito rispose con una serie di emendamenti alla Costituzione del „63, per arrivare nel 1974 ad una nuova Costituzione che aveva un‟impronta confederale per gli ampi poteri e l‟implicita sovranità riconosciuta sia alle repubbliche che alle due regioni autonome, il Kosovo e la Vojvodina. Questa Costituzione prevedeva, dopo la morte di Tito, la trasformazione della presidenza federale in un organo collegiale composto da un rappresentante di ogni repubblica e di ogni regione, più il presidente della Lega dei comunisti46. Il capo dello stato sarebbe stato nominato a rotazione, ma come si può immaginare, dopo la morte di

43 Per ulteriori informazioni si veda Richard Caplan, Europe and the Recognition of New States in

Yugoslavia,

Cambridge: Cambridge University Press, 2007, Pp. 15-48.

44

Paul Garde, “La Yougoslavie: L‟échec d‟un état plurinational ambigu” in Paul De Decker et Jean-Yves Faberon (sous la direction de), L‘état pluriculturel et les droits aux différences, Bruxelles, Bruylant, 2003, p. 123.

45 John R. Lampe, Yugoslavia as History. Twice there was a Country, Cambridge: Cambridge University

Press, 1996, pp. 350-357.

46 Marco Cuzzi, “Il sogno e l‟incubo. Breve storia della Jugoslavia”, in Alessandro M. Magno, (a cura

di), La guerra dei dieci anni. Jugoslavia 1991-2001: I fatti, i personaggi, le ragioni dei conflitti. Milano: Il Saggiatore, 2001, p. 475.

(26)

26 Tito, fu quasi impossibile mettere in moto questo meccanismo complesso e teoricamente molto giusto.

Dopo la sua morte, il sistema perse non soltanto il proprio leader ma colui che era stato in grado di controllare le controversie di ogni tipo, anche quelle presenti in seno alle singole repubbliche. La situazione nella federazione jugoslava iniziò a logorarsi, passando dal piano economico a quello nazionale, interrepubblicano e alla fine su quello politico-istituzionale47. In questa direzione influiva anche il fatto che il governo federale era guidato da una presidenza collettiva che ruotava attorno ai capi delle repubbliche e delle due province autonome. Un ulteriore elemento di freno all‟interno del sistema consisteva nel principio dell‟unanimità che si adoperava non solo per gli emendamenti della costituzione, ma anche per le questioni economiche e fiscali, facendo dipendere numerose questioni cruciali dalla buona volontà delle repubbliche. Una volta che questa volontà venne meno alla fine degli anni Ottanta e all‟inizio dei Novanta, l‟intero sistema si bloccò facendo aggravare la crisi jugoslava. Il sistema ebbe la sua maggiore paralisi proprio nel maggio 1991, quando Milosevic che controllava i voti della Serbia, del Kosovo e della Vojvodina, riuscì a bloccare l‟elezione del croato Stipe Mesiç alla presidenza federale del turno. Mesiç si considerava molto vicino al partito nazionalista croato di Tudjman. La situazione all‟interno della presidenza federale fu risolta soltanto nel Giugno del 1991, quando la guerra in Slovenia era già iniziata.

Nel settembre del 1990, il parlamento sloveno aveva dichiarato che la legislazione della federazione non sarebbe stata più obbligatoria all‟interno del territorio sloveno. Nel referendum del 23 dicembre di quell‟anno, l‟88,5 % degli sloveni aveva votato a favore di questa dichiarazione48. Alcuni giorni prima il parlamento croato aveva proclamato la supremazia della propria legislazione nei confronti della legge federale. Tutto questo dopo che i negoziati tra le varie repubbliche per arrivare ad un‟ampia federazione erano falliti a causa dell‟intransigenza serba che voleva mantenere la propria predominanza nella struttura politica jugoslava49. In quel periodo, tutte le repubbliche e le province autonome facenti parte alla federazione jugoslava (eccetto la Serbia) sembravano propense a trasformare la federazione in una confederazione nella

47 Tito Favaretto, “Origini e sviluppi della crisi jugoslava: un tentativo di interpretazione”, in Stefano

Bianchini (a cura di), L‘enigma jugoslavo. Le ragioni della crisi, Milano: Franco Angeli, 1989.

48

Marc Weller, “The International Response to the Dissolution of the Socialist Federal Republic of Yugoslavia”, The American Journal of International Law, Vol. 86, No. 3, July 2002, p. 569.

49 John R. Lampe, Yugoslavia as History. Twice there was a Country, Cambridge: Cambridge University

(27)

27 quale l‟indipendenza delle repubbliche doveva essere l‟unico punto fisso. Tutto il resto doveva ruotare intorno al principio di volontà: la volontà di trasferire alcune aree della propria sovranità a delle istituzioni confederali, in conformità con i principi della Comunità Europea. In effetti, già nel 1990, il presidente Tudjman della repubblica croata insieme al presidente Kučan di quella slovena, avevano elaborato un documento basato largamente sui principi comunitari che proponeva vari gradi di confederazione da applicare al caso jugoslavo50. La confederazione, anche se rappresentava un modo “delicato” di procedere verso la dissoluzione jugoslava, era allo stesso tempo l‟unica ipotesi probabile ed accettabile da tutti i soggetti in causa riguardo al futuro della ex-Jugoslavia.

1.3 Le origini delle relazioni economiche e politiche tra la Comunità Europea e la ex – Jugoslavia.

Il primo accordo commerciale fra la CEE e la Jugoslavia

Il primo accordo tra la Comunità Economica Europea e la Jugoslavia risale nel 1970. Si trattava di un accordo commerciale Comunità – Jugoslavia51 entrato in vigore il 1° Maggio 1970, che scadeva ad aprile 1973 e sarebbe stato sostituito da un altro accordo valido sino al settembre 1978. La prima fase dei negoziati tra la Comunità52 e la ex – Jugoslavia, però, è ancora più lontana nel tempo e risale al 1968, mentre la seconda fase dei negoziati risale al 1969. Durante questi negoziati, la parte jugoslava aveva

50 James Gow, Legitimacy and the Military. The Yugoslav Crisis, London, Pinter Publishers, 1992, p. 124. 51

Questo accordo è, contemporaneamente, il primo accordo commerciale non preferenziale con un contenuto generale, che la CEE ha concluso con un paese terzo e il primo accordo i cui negoziati sono terminati dopo l‟entrata in vigore della politica commerciale comune (1° gennaio 1970). Inoltre, tale accordo non prescrive la consultazione del Parlamento Europeo il quale, per colmare questa lacuna democratica, cercherà di rimediare con una risoluzione emessa nella sessione del 15/18 giugno che suggerirà una consultazione facoltativa del Parlamento ad ogni disposizione del trattato.

52 Si nota che in questa tesi l‟uso del termine Comunità Europea continuerà fino al 1993, per poi passare

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