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IL RUOLO DELLA COMUNITÀ EUROPEA NEGLI ANNI NOVANTA

2.2 Le vicende dell’indipendenza slovena

La proclamazione dell’indipendenza dalla parte slovena

Guidati dalla paura di finire sotto l‟egemonia serba e di perdere la propria identità europea, accompagnati dallo scontento per l‟uso fatto delle proprie risorse economiche da parte del governo centrale jugoslavo e intimoriti dall‟aggressione culturale serba160, gli sloveni e i croati decisero di proseguire verso la via dell‟indipendenza per tutto il 1990 e l‟inizio del 1991, in una situazione internazionale segnata dallo sfacelo dell‟impero sovietico e dall‟unione della Germania. La Slovenia nel 1991 era ancora poco nota, e veniva spesso scambiata, anche da uomini di cultura e diplomatici, con la Slavonia o la Slovacchia.161 Inoltre, tutti gli ambienti diplomatici europei e americani, con la sola eccezione della Germania e dell‟Austria, favorivano l‟opportunità di una Jugoslavia “unita e democratica”, senza considerare il fatto che nella realtà con Miloševic e i militari al potere i due termini si escludevano a vicenda. In ogni caso, la Slovenia aveva due vantaggi in termini della propria indipendenza: la sua forte omogeneità etnica e la natura autonoma della sua economia.162 In questa posizione, essa proclamò la sua indipendenza il 25 giugno 1991 insieme alla Croazia.

Il 19-20 giugno del 1991, era convocato a Berlino il primo incontro dei 34 ministri degli Esteri della Conferenza sulla sicurezza e cooperazione in Europa (CSCE),

159 Christopher Hill, Karen E. Smith, European Foreign Policy Key Documents, Routledge, London and

New York, 2000, p. 358.

160

Intervista rilasciata all‟Autrice dall‟ambasciatore croato Darko Javorski in Albania, 12 febbraio 2008.

161 Joţe Pirjevec, Le guerre jugoslave, 1991-1999, Torino: Gulio Einaudi Editore, 2001 , p. 36. 162 James Gow, Legitimacy and the Military. The Yugoslav Crisis, London, Pinter Publishers, 1992,

55 che era stato previsto nel novembre dell‟anno precedente al summit di Parigi, nell‟ambito di un più regolare processo della consultazione dei paesi membri. In quell‟occasione fu adottato un “meccanismo d‟urgenza” per poter fare fronte a situazioni critiche in grado di minacciare la comune stabilità, trascurando però la proposta austriaca di prendere atto della crisi scoppiata in Jugoslavia. Il 25 giugno i Parlamenti della Slovenia e della Croazia proclamarono l‟indipendenza dei rispettivi paesi, dando però a tale atto una valenza profondamente diversa. Mentre il Parlamento di Zagabria si limitò ad una dichiarazione di principio, quello di Ljubiana autorizzò l‟esecutivo a passare ai fatti. Gli sloveni avevano pianificato di cogliere Belgrado alla sprovvista, organizzando la cerimonia in cui avrebbero affermato la sovranità per la sera del 26 giugno, dopo essersi assicurati durante la giornata del 25 il controllo delle frontiere. Il 25 giugno, i poliziotti e i doganieri sloveni riuscirono a prendere possesso senza spargimento di sangue dei trentasette passaggi di frontiera con l‟Italia, l‟Austria e l‟Ungheria, istituendo posti di blocco con la Croazia e sostituendo i simboli federali con quelli nazionali. La sera del 26 giugno si svolse nella piazza principale di Lubiana la solenne cerimonia, nel corso della quale fu proclamata l‟indipendenza della Slovenia.

La legge costituzionale con cui veniva proclamata l‟indipendenza slovena, prevedeva infatti che la Slovenia avrebbe conservato un proprio rappresentante nella Presidenza federale e avrebbe permesso all‟Armata popolare di restare sul suo territorio fino al 31 dicembre 1993 per un periodo di transizione, con la Slovenia che ne assumeva i costi. Nella consapevolezza che la legge internazionale non avrebbe mai favorito atti di secessione, l‟accento non era posto su questo concetto ma sull‟autodeterminazione ai sensi del dettato costituzionale del „74 e sull‟idea di costituire una comunità di Stati sovrani attorno alla Serbia163. Durante la cerimonia della proclamazione dell‟indipendenza slovena, il presidente Kučan parlò così durante il suo solenne discorso: “Non minacciamo nessuno, pertanto non c‟è bisogno di mandare gli aerei sulle nostre città e i carri armati nelle nostre strade. Di violenza fa uso colui cui mancano argomenti e capacità di giudizio”164

In questi giorni di estrema complessità, il Consiglio europeo si riunì a Lussemburgo il 28 e 29 giugno: in quell‟occasione si discusse in particolare della

163

Peter Radan, Secessionist Self-Determination: The case of Slovenia and Croatia, in “Australian Journal of International Affairs”, vol. 48, n. 2, novembre 1994, p. 183.

164 “Delo”, 27.6.1991, Citato in Joţe Pirjevec, Le guerre jugoslave, 1991-1999, Torino: Gulio Einaudi

56 situazione creatasi in Jugoslavia, in seguito alla dichiarazione d‟indipendenza della Slovenia e della Croazia. Il Consiglio decise di ricorrere al meccanismo d‟urgenza nel quadro della CSCE e di inviare immediatamente sul posto la troika dei ministri italiano, lussemburghese e olandese degli affari esteri, dimostrando, per il momento, un successo ottenuto dal dinamismo della Comunità in tali situazioni165. La troika si recò immediatamente in Jugoslavia e al suo ritorno da Belgrado e da Zagabria diede una relazione completa della situazione davanti al Consiglio. Quest‟ultimo espresse soddisfazione per i risultati di tale missione e prese atto che il Lussemburgo aveva avviato il meccanismo di urgenza nel quadro della CSCE, tenuto conto dell‟estrema gravità della situazione in Jugoslavia166.

Nel frattempo, il 26 giugno, il governo federale aveva dato subito ordine all‟Armata popolare jugoslava di intervenire in Slovenia, avendo come obiettivo un intervento lampo in grado di mettere in ginocchio la repubblica ribelle con evidenti scopi di intimidazione psicologica. A tale scopo non mancarono i carri armati e gli aerei militari che sorvolavano il territorio croato, la destituzione di tanti ammiragli di nazionalità slovena che disobbedivano agli ordini accompagnati da un grande numero di disertori, che, accogliendo l‟appello del presidente Kučan, si arrendevano. Da una parte c‟era l‟armata federale, le cui truppe avevano un morale morale poiché era caratterizzata da una selezione di quadri tutta ideologica e non ispirati da qualche questione etnico – nazionalista. Dall‟altra parte invece c‟era la resistenza slovena cosciente del proprio destino: il distacco dal resto della federazione jugoslava.

I combattimenti continuarono per dieci giorni e circa a metà di queste giornate, il presidente del governo federale Ante Marković e i suoi ministri, vista la sfavorevole evoluzione degli avvenimenti, iniziò a prendere le distanze dall‟Armata popolare, accusandola di aver agito senza la loro autorizzazione.167 A tale andamento delle vicende contribuì anche lo sfruttamento che il ministro dell‟informazione slovena seppe fare dai mezzi di comunicazione di massa, dimostrando all‟opinione pubblica internazionale che non si trattava di una guerra civile, bensì di una vera aggressione verso una repubblica che aveva diritto alla propria autonomia168.

165

Boll. CE 6-1991

166 Boll. CE 6-1991, punto I.25

167 Joţe Pirjevec, Le guerre jugoslave, 1991-1999, Torino: Gulio Einaudi Editore, 2001, p. 45. 168

57 La guerra continuò per dieci giorni, durante le quali trovarono la morte 44 persone e ne furono ferite 280, 152 soldati della difesa territoriale slovena. Questa guerra fu combattuta soprattutto vicino alle frontiere e in altri punti strategici come gli aeroporti e i passaggi di frontiera. Non mancò neanche il pericolo di una escalation della violenza come la minaccia dell‟Armata popolare e dei nazionalisti serbi di bombardare la centrale nucleare di Krško, sulla frontiera sloveno-croata169. Il ritiro delle truppe federali dalla Slovenia segnò la chiusura del capitolo sloveno della tragedia, mentre apriva quello croato.

La reazione internazionale

Sembrava che negli Stati Uniti fosse era ancora viva la tradizione wilsoniana secondo la quale era meglio tenersi lontani dai conflitti balcanici e soprattutto da quelle aree in cui i vitali interessi americani non fossero direttamente minacciati. Per di più, gli Stati Uniti uscivano da un conflitto assai impegnativo come la guerra del Golfo, e questo lo conferma anche il segretario di Stato James Baker nelle sue memorie: “In quel momento non c‟era il minimo pensiero di usare truppe terrestri in Jugoslavia, dato che il popolo americano non avrebbe appoggiato una tale decisione. In fin dei conti, gli Stati Uniti avevano combattuto durante questo secolo tre guerre in Europa – due calde e una fredda. E questo bastava sicuramente, soprattutto perché si era appena combattuta un‟altra guerra importante – quella del Golfo.”170

Nel giugno 1991, mentre la Slovenia e la Croazia proclamavano la propria indipendenza e il conflitto jugoslavo aveva inizio, la comunità internazionale continuava a cercare di preservare l‟unità jugoslava. Un mese prima il segretario degli Stati Uniti, James Baker, aveva fatto una dichiarazione nella quale esprimeva il supporto americano per “lo sviluppo democratico e l‟integrità territoriale della

169 Laura Silber Silber, Allan Little, Yugoslavia Death of a Nation, London, Penguin, 1995, pp. 134-153. 170 James A. Baker III, Thomas M. Defrank, The Politics of Diplomacy: Revolution, War and Peace, 1989

58 Jugoslavia”171

. Questa e altre dichiarazioni emesse da influenti rappresentanti politici e da membri di varie organizzazioni internazionali, suscitarono nel leader serbo Milosevic l‟impressione che la flessibilità nei negoziati non era indispensabile visto che la Serbia e la Croazia non godevano del supporto internazionale. Convinto che senza la leadership americana non ci sarebbe stata alcuna azione militare internazionale, si sentiva intoccabile.172 Invece di cercare un compromesso per la costituzione di una federazione più ampia, il 26 Giugno del 1991 egli inviò le forze armate dell‟esercito jugoslavo (Jugoslav Nation Army - JNA) sul territorio sloveno. Dietro i successi nel rimanere al potere di Milošević fu sempre la JNA, l‟unica istituzione federale che funzionava veramente. Quest‟esercito fu strumentalizzato da Milošević al fine di appoggiare la causa dei serbi fuori dalla Serbia, dando il messaggio alle altre etnie: Rimanete in Jugoslavia secondo le mie regole, oppure lottate una guerra contro uno dei maggiori eserciti in Europa.173

L‟Unione Sovietica rimaneva assente dalla scena perché essa era di per sé minacciata dallo sfacelo. Essa era diventata un soggetto di aiuto e appoggio da parte della comunità internazionale in quel periodo. La sola Comunità Europea aveva adottato un aiuto economico pari a 400 milioni di ECU soltanto per il 1991.174

Nella Comunità Europea si era diffusa l‟opinione secondo cui era opportuno che fosse l‟Europa ad impegnarsi nella vicenda balcanica. La questione si presentava nella forma di un test di dipendenza europea dagli Stati Uniti. Era in corso un dibattito sul carattere della relazione fra la NATO e l‟Unione Occidentale Europea (UEO). Come afferma lo storico Pirjeveć nel suo accuratissimo libro sulle guerre jugoslave, “essendo tale struttura (l‟UEO) più che altro virtuale, si trattava di discussioni in certo senso simili a quelle dei teologi medievali sugli angeli.”175

Da una parte gli europeisti più ottimisti pensavano che la CE avrebbe creato una superpotenza che avrebbe limitato il ruolo degli USA nel continente, mentre dagli USA, appoggiati dai britannici, olandesi e portoghesi arrivavano segnali che la presenza della NATO era ancora indispensabile e che la UEO farebbe meglio a costituire una colonna della NATO. Negli anni della sua

171

Baker Backing for United Yugoslavia, Financial Times, 22/23 giungo 1991, citato in Marc Weller, “TheInternational Response to the Dissolution of the Socialist Federal Republic of Yugoslavia”, The

American Journal of International Law, Vol. 86, No. 3, July 2002.

172 Richard Kaplan, Post-Mortem on UNPROFOR, London: Brassey‟s for the Centre for Defense Studies,

1996, p.63.

173 Laura Silber Silber, Allan Little, Yugoslavia Death of a Nation, London, Penguin, 1995, p.27. 174 Boll. CE 7/8-1991, punto 1.3.5.

175

59 esistenza, dice Jens Reuter, la Comunità Europea si era convinta del dogma che uno stato non avrebbe mai reagito contro i propri interessi economici; sicura di poter tradurre il proprio peso economico in forza politica e di poter risolvere in tal modo la questione jugoslava, non si rendeva conto che nel caso specifico questo meccanismo non avrebbe funzionato, essendo la Serbia decisa a raggiungere i suoi fini a prescindere dai costi economici richiesti. “In tal modo la CEE rimase priva del suo più forte e unico strumento di pressione”.176

Nel momento in cui l‟armata popolare aggredì la Slovenia (26 Giugno 1991) , i capi di Stato e di Governo dei paesi appartenenti all‟Unione Europea Occidentale, erano riuniti a Vianden, a Lussemburgo. Essi decisero immediatamente di invocare l‟intervento della CSCE, affinché mettesse in pratica la procedura d‟intervento per i casi di crisi, approvata sette giorni prima al Congresso di Berlino. Eccetto questi meccanismi comunemente approvati, la Comunità, anche secondo le parole del presidente francese Mitterrand, non disponeva di un meccanismo di unità politica all‟epoca. “Il Trattato di Roma organizza l‟Europa. Eravamo in sei e adesso siamo diventati dodici. Nessuno dei testi adottati dai paesi membri fin‟ora include una diplomazia comune. Noi abbiamo spesso parlato attentamente con una voce unica al riguardo di questioni che hanno a che fare con la diplomazia mondiale. Ma è una questione di joint-decision making. Quella non la disponiamo ancora”.177

La CE si affidò ai negoziati diplomatici al fine di mediare la situazione e, su iniziativa italiana, affidò alla “Troika” di tre ministri degli esteri europei con il compito di negoziare un “cessate il fuoco” e di trovare una soluzione alla situazione.178

La presenza del ministro degli esteri italiano, Gianni de Michelis, fu vista di buon occhio da tutti, per via delle relazioni speciali che esistevano nel passato fra l‟Italia e la ex - Jugoslavia tramite il “Pentagonale”179

e i rapporti bilaterali fra i due paesi180. La troika

176 Jens Reuter, “Jugoslawien: Versagen der internationalen Gemeinschaft?”, in Südoesteuropa, XLII , n.

6,1993, p. 336, (citato in Joţe Pirjevec Le guerre jugoslave, 1991-1999, Torino: Gulio Einaudi Editore, 2001, p. 49).

177 Speeches and Statements, Ambassade de France a Londres, Service de Presse et d‟Information,

Excerpts from an Interview with M. Francois Mitterrand, President of the Republic, Broadcast on the French Radio (France Inter) on 22 October 1991. Fondo HW-89, Archivio dell‟Unione Europea di

Firenze.

178 La troika era composta dal ministro di esteri italiano Gianni De Michelis, da quello lussemburghese

Jacques Poos e quello olandese Hans Van den Broek, praticamente dal ministro dello stato che era presidente del Consiglio CE, dal suo predecessore e dal suo successore.

179

Il Pentagonale era un programma lanciato per iniziativa italiana durante una riunione a Venezia nel 1990 di 5 governi: Italia, Ungheria, Austria, Ceccoslovacchia e Jugoslavia, il quale predisponeva, d‟intesa con le regioni interessate, un programma nazionale di interventi coerenti con la Comunità Economica Europea.

60 partì il 28 giugno del 1991, proprio il giorno della festa di San Vito.181 I tre ministri degli esteri, seguendo le indicazioni del Consiglio europeo, presentarono al premier federale Marković e a Milošević, e più tardi nella giornata a Kučan e a Tudjman, un piano per tamponare il conflitto. Essi proponevano, oltre all‟immediata cessazione del fuoco e al ritiro delle truppe dalle caserme, di congelare per tre mesi le dichiarazioni d‟indipendenza della Croazia e della Slovenia e di confermare come presidente federale Stipe Mesić, accompagnata dalla minaccia che la Comunità avrebbe interrotto qualsiasi aiuto finanziario, se non fosse stata accettata tale soluzione. Era evidente che volevano guadagnare tempo dando qualcosa ad ognuno dei protagonisti.182 Gli sloveni, pur esprimendosi disposti alla moratoria di tre mesi, si affrettarono a dichiarare che non sarebbero disposti a rinunciare alla propria indipendenza per tornare allo status precedente il 25 giugno. Tale reazione creò una situazione di tensione e annullò la seduta della presidenza federale che avrebbe eletto il tanto discusso candidato croato, Stipe Mesić.

In questa situazione carica di tensioni, la Comunità Europea organizzò a Bruxelles un summit, dove si affrontarono Helmut Kohl e François Mitterrand. Il primo era favorevole al riconoscimento della Slovenia e della Croazia, il secondo contrario, in linea con la sua politica conservatrice. Essendo la tesi di Mitterrand quella più convincente, i Dodici rinviarono la troika a Belgrado con il compito di salvaguardare la Federazione jugoslava al fine di ripristinare il dialogo fra le parti e mantenere in vita la federazione jugoslava.183 Soltanto a settembre del 1991, in una conferenza stampa, Mitterand si esprimerà a favore dell‟indipendenza slovena e croata, “nella luce degli avvenimenti che si sono successe negli ultimi due mesi”, come egli stesso si esprimerà.184 Contrario alla dissoluzione jugoslava sarà anche il ministro degli esteri italiano Gianni de Michelis, il quale si esprimerà più volte nella direzione che “qualsiasi

180 Christopher Cviic, Remaking the Balkans, London, Royal Institute for International Affaires, Pinter,

1991, p. 44.

181 Questa data rappresenta la sconfitta dei Serbi sul campo di Kosovo, l‟assassinio di Francesco

Ferdinando e l‟espulsione del Tito dal Cominform, tutti eventi che simbolizzano “una sconfitta”.

182 Joţe Pirjevec, Le guerre jugoslave, 1991-1999, Torino: Gulio Einaudi Editore, 2001, p. 49.

183 Geoffrey Edwards, “The Potential and Limits of the CFSP: The Yugoslav Example” in Elfriede

Regelsberger, Philippe de Schoutheete de Tervarent, Wolfgang Wessels (eds), Foreign Policy of the

European Union. From EPC to CFSP and Beyond, London, Lynne Rienner, 1997, pp 173-194.

184 Speeches and Statements, Ambassade de France a Londres, Service de Presse et d‟information, 13

September 1991, Excerpts from the Press Conference of M.Francois Mitterrand, President of the

61 idea della Slovenia e della Croazia sull‟adesione europea, doveva ricevere una fredda risposta, se continuavano con i loro piani per l‟indipendenza.185

Dopo un duro dibattito con Milosević, la troika riuscì a convincere quest‟ultimo a far eleggere Stipe Mesić presidente federale, dopo tanto tempo dopo che la rotazione nella presidenza federale si era bloccata. Questo successo ottenuto dalla troika aprì la strada ad ulteriori negoziati con Kučan e Tudjman che si ostinavano a dare una propria interpretazione al termine “sospensione dell‟indipendenza”. Tale concetto implicava un mero congelamento della situazione, oppure il ritorno alla situazione precedente il 25 giugno. La firma del piano di pace proposto dalla troika, pur senza il chiarimento dovuto del concetto, fece aprire inevitabilmente la strada alla dissoluzione della Jugoslavia. In quei giorni, il ministro degli esteri italiano Gianni De Michelis confidava al suo omologo sloveno Dimitrij Rupel: “La moratoria durerà per tre mesi, poi farete quello che desiderate. Nessuno dubita che la Slovenia sarà indipendente. Il problema grosso è la Croazia”.186

Con la proclamazione dell‟indipendenza delle due repubbliche e con l‟inizio delle contromisure da parte dell‟esercito jugoslavo JNA, la Comunità europea iniziò a cambiare la propria posizione.187

Il 2 luglio 1991, il ministro degli esteri tedesco Genscher, nella qualità di presidente del CSCE, sarebbe giunto a Belgrado e a Lubjana per rendersi conto personalmente della situazione, sfruttando tale mossa anche per poter affermare di fronte all‟opinione internazionale la visione tedesca delle cose.188

Egli era dell‟idea che la CSCE offriva la cornice per la stabilità in Europa, mentre la Comunità Europea era il punto d‟ancoraggio di questa stabilità.189

Proprio in quei giorni, il 1° e il 2 luglio, la CSCE si riunì a Vienna, in seguito alla richiesta dell‟Austria e dell‟Italia che sfruttarono il nuovo regolamento sulle misure di sicurezza decise a Berlino, per chiedere alla Jugoslavia spiegazioni relative all‟attività dell‟Armata popolare in Slovenia. In accordo con questo meccanismo di emergenza, il 3 e il 4, si riunì inoltre a Praga un Comitato di alti funzionari dei paesi membri della CSCE che auspicarono l‟attuazione di un cessate il fuoco, riuscendo a ottenere dal rappresentante jugoslavo il consenso all‟invio in

185 Christopher Cviic, Remaking the Balkans, London, Royal Institute for International Affaires, Pinter,

1991, p. 95.

186 Daniele Conversi, German-Bashing and the Breakup of Yugoslavia, “The Donald W. Treadgold

Papers in Russian, East European and Central Asian Studies”, nº 16, March 1998.

187 Jonathan Eyal, Europe and Yugoslavia: Lessons from a Failure, London, RUSI, 1993. 188

Hans-Dietrich Genscher, Erinnerungen, Berlin, Siedler, 1995, p. 930-931.

189 Geoffrey Edwards, “The Potential and Limits of the CFSP: The Yugoslav Example” in Elfriede

Regelsberger, Philippe de Schoutheete de Tervarent, Wolfgang Wessels (eds), Foreign Policy of the

62 Slovenia di un gruppo di osservatori, incaricati di monitorarlo. Per quanto riguarda la crisi jugoslava, la CSCE fu paralizzata nel suo agire del consenso fra tutti i suoi membri e per forza di cose dovette passare l‟incarico di gestire la crisi alla Comunità europea, decisione questa, presa anche in seguito all‟insistenza dell‟Unione Sovietica, timorosa di possibili interferenze esterne nei Paesi Baltici.190