1. Innovazione tradizionale e Innovazione aperta
1.4 Il paradigma dell’Open Innovation
1.4.3. Gli intermediari dell’innovazione nell’Open Innovation
Gli intermediari dell’innovazione rappresentano nuovi player nati all’interno dei secondary market che attraverso lo svolgimento delle proprie attività alimentano lo sviluppo di questi mercati41. Per comprendere il loro ruolo è necessario
analizzare il funzionamento dei mercati secondari che vengono definiti nel seguente modo “intermediate market refers to a market that emerges after the creation of a new technology, before that technology has been sold. In this intermediate market ideas and technology are developed by sellers and sold to buyers who take those ideas and technologies and sell them to consumers.”42.
Dalla definizione si evince come i mercati secondari siano strettamente legati alla division of innovation labor e alla conseguente specializzazione delle imprese.
39 Si noti che tali organizzazioni differiscono dai troll esposti nel paragrafo 1.4.2 in
quanto le prime creano quasi sempre l’IP che possiedono e non agiscono in modo “quasi fraudolento” a differenza dei secondi.
40 H. Chesbrough (2008), Open business models: how to thrive in the new innovation
landscape, Harvard Business School Press, pagina 186
41 Il diffondersi del nuovo paradigma ha dato vita a diversi nuovi player che, per brevità
di trattazione non verranno esposti in questo lavoro, per ulteriori informazioni si veda H. Chesbrough (2003), The era of Open Innovation, MIT Sloan Management Review, Spring 2003, pagina da 38 a 41
42 Tratto da H. Chesbrough (2008), Open business models: how to thrive in the new
All’interno di questo nuovo contesto, nel quale si esalta la specializzazione del lavoro, sorgono gli innovation intermediaries che collocandosi al centro di questi mercati rendono più agevole l’incontro della domanda e dell’offerta di idee favorendo un sempre maggiore sviluppo degli intermediate market. Dalla definizione si intende anche perché questi mercati non si sono sviluppati nel contesto del vecchio paradigma, infatti in assenza di un’elevata diffusione della conoscenza, risultava più redditizio per le imprese sviluppare internamente le idee dato che non erano all’esterno un gran numero di soggetti che avessero le competenze per portare sul mercato le invenzioni della prima azienda. Inoltre, anche qualora vi fossero state altre imprese in grado di sfruttare una certa tecnologia inutilizzata nell’azienda che l’aveva scoperta, difficilmente avveniva lo scambio a causa dell’inconsapevolezza dell’importanza del business model nel creare valore portando l’idea sul mercato (aspetto predominante nel vecchio paradigma). Così veniva a mancare un two-sided market, in quanto sebbene ci fossero imprese disponibili a cedere i loro brevetti con contratti di licenza per fare cassa, mancavano aziende interessate a comprare questa IP perché, guardando all’esterno attraverso il mind-set del paradigma della Closed Innovation, non capivano l’importanza del business model per portare con successo l’idea sul mercato.
All’interno del nuovo paradigma invece l’alta diffusione della conoscenza impone alle imprese di agire sempre nella consapevolezza che qualunque innovazione non rimarrà a sua esclusiva disponibilità per un lungo periodo di tempo, perché altri operatori presto o tardi riusciranno ad aggirare le protezioni dell’IP della prima azienda portando anche essi sul mercato l’innovazione. In questo contesto si comprende la strategia seguita da P&G che è interessata a cedere in licenza la propria tecnologia ad altri soggetti, perché così oltre ad ottenere un ritorno monetario (attraverso royalty ad esempio) dall’attività di altri, riesce anche ad evitare che questi si impegnino nel trovare delle tecnologie nuove e superiori a quelle di P&G, accettando di diventare “happy follower” al posto di agguerriti contendenti di leadership di settore. Questo atteggiamento è
giustificato da una nuova concezione del vantaggio competitivo così come evidenziato nelle parole di Weedman43 per il quale ci sono diverse tipologie di
vantaggio competitivo “The original view was: I have got it and you don’t. then there is the view, that I have got it, you have got it, but I have the cheaper. Then there is I have got it, you have got it, but I have got it first. Then there is I have got it, you have got it from me, so I make money when I sell it, and I make money when you sell it.”44. Così nel contesto dell’Open Innovation si vengono a creare
tante potenziali modalità di applicazione della tecnologia che nessuna singola impresa può pensare di sfruttare tutte insieme e dunque si giustifica la decisione di concedere in licenza l’innovazione ad altri soggetti.
È bene ricordare che gli intermediate market esistono da diversi decenni, ma inizialmente non hanno avuto un grande sviluppo perché presentavano un alto tasso di inefficienza, mentre oggi sono riscontrabili delle evidenze della loro crescita in alcuni settori45. Le cause dell’inefficienza di tali mercati era
rappresentata da:
Mancanza di informazione relativa all’estensione dell’attività e ai termini di scambio in questi mercati, che determinava una grande difficoltà nel valutare la tecnologia disponibile;
La sussistenza di schemi prestabiliti, che avrebbero permesso di creare uno standard nel settore, all’interno del quale effettuare questi scambi; La scarsità di informazioni sulla tecnologia disponibile, che a sua volta
determinava l’incapacità da parte delle imprese di dire ciò di cui potevano aver bisogno.
43 Jeff Weedman ha ricoperto dal 1996 al 2014 il ruolo di responsabile
dell’organizzazione dell’External Business Developement di P&G
44 Tratto da H. Chesbrough (2008), Open business models: how to thrive in the new
innovation landscape, Harvard Business School Press, pagina 201
45 Per informazioni sulle prime evidenze della crescita degli intermediate market si veda
H. Chesbrough (2008), Open business models: how to thrive in the new innovation
Questa inefficienza è stata attenuata grazie all’importante attività svolta dagli intermediari dell’innovazione e, la conoscenza delle cause di questa inefficienza serve a comprendere come gli innovation intermediaries possono favorire lo sviluppo dei secondary market.
Giunti a questo punto è necessario analizzare quali sono le difficoltà che le imprese incontrano all’interno del nuovo paradigma, sia per quanto riguarda le attività di outside-in che quelle inside-out, per comprendere così l’importanza deli intermediari dell’innovazione. Nelle operazioni di outside-in le imprese normalmente incontrano i seguenti problemi:
Non hanno abbastanza informazioni per comprendere le reali possibilità di utilizzo della tecnologia, in quanto come conseguenza dell’Arrow information Paradox46 il venditore si limita a fornire le informazioni
sull’innovazione e sulle possibilità di utilizzo;
Agire con sospetto o pregiudizio nei confronti di alcune fonti cercando le nuove idee, perché in questo modo si riduce la possibilità di accedere alle invenzioni provenienti da settori o soggetti che non sono collegati col business dell’azienda e che spesso si rivelano di grande valore;
Attingere ad un grande numero di idee esterne, in quanto queste devono essere alimentate, in un circolo virtuoso, da un gran numero di possibili compratori ed utilizzato dalle stesse, ovvero attingere ad un two-sided market;
46 L’Arrow Information Paradox viene definito nel modo seguente “I as a customer
need to know what your technology can do, in quite some detail, before I am willing to buy it. But once you as a seller have told me what the technology is , and what it can do in a sufficient level of detail that I understand its capabilities, you have effectively transferred the technology to me without any compensation! So suppliers must consciously limit the information they provide, and as a result customers must make evaluations on highly incomplete information.” H. Chesbrough (2008), Open business
models: how to thrive in the new innovation landscape, Harvard Business School Press,
Realizzare economie di scala nell’accedere a scoperte esterne, cioè riuscire a ridurre il costo da sostenere per accedervi ed utilizzarle all’aumentare dell’uso che l’impresa ne fa.
Tra le problematiche incontrate dalle aziende che svolgono operazioni di inside- out si ricordano:
Non fornire, come conseguenza dell’Arrow Information Paradox, ai potenziali compratori abbastanza informazioni per comprendere le possibilità d’uso della tecnologia;
Agire con sospetto e pregiudizio verso alcuni potenziali compratori, perché questi soggetti operano in business scollegati da quello del venditore, non considerando che un diverso business model ed un differente utilizzo della tecnologia può portare ad una grande creazione di valore anche in settori apparentemente scollegati;
Attingere ad un gran numero di potenziali compratori, perché questi devono essere alimentati, in un circolo virtuoso, da un gran numero di idee, cioè accedere ad un two-sided market;
Realizzare delle economie di scala nella cessione di invenzioni all’esterno, cioè all’aumentare del numero di innovazioni che vengono cedute all’esterno, il costo del cederle dovrebbe ridursi;
Il clima che si verrebbe a creare all’interno dell’impresa venditrice nel caso in cui l’idea venduta all’esterno realizzasse un incredibile successo. Infatti molti soggetti all’interno dell’azienda venditrice penserebbero che il gran valore creato dall’innovazione lo avrebbe potuto incassare completamente l’impresa stessa se l’idea non fosse stata venduta. Questo è vero solo nel caso in cui il compratore porti l’innovazione sul mercato con lo stesso business model usato dal venditore, perché se così non fosse, allora il gran valore creato dall’innovazione all’esterno è dato dal diverso modello di business col quale la scoperta è stata portata sul mercato.
Avendo acquisito conoscenza su tutte le problematiche che gli innovation intermediaries dovrebbero risolvere, di seguito viene riportata la definizione che H. Chesbrough fornisce “because their function either helps innovators use external ideas more rapidly or helps inventors find more markets where their own ideas can be used by other to mutual benefit.”47. Dalla definizione si deduce
che questi soggetti, innanzitutto giocano un ruolo fondamentale per ridurre le inefficienze tradizionali degli intermediate market, in quanto svolgendo in modo professionale l’attività di intermediazione favoriscono la creazione di una maggiore quantità di informazioni relative all’estensione del mercato di scambio dell’IP e dei termini di compravendita della stessa, rendendo di conseguenza più agevole anche la valutazione della tecnologia disponibile una volta che questa è stata individuata. Inoltre operando con continuità per rendere più agevole queste transazioni, creano schemi standard all’interno dei quali effettuare gli scambi permettendo compravendite più sicure e veloci. Infine costituendo punti di riferimento a livello mondiale per lo scambio dell’IP, divengono partner attrattivi sia per i venditori che per i compratori, permettendo dunque di capire ciò di cui potrebbero aver bisogno fornendogli le informazioni sulla tecnologia disponibile sul mercato.
Allo stesso modo gli innovation intermediaries risolvono le problematiche incontrate dalle imprese nell’effettuare sia operazioni outside-in che di inside- out. Nel dettaglio gli intermediari dell’innovazione, grazie all’esperienza acquisita aiutando compratori e venditori a portare a termine numerosi scambi di IP, sono riusciti a stabilire degli schemi standard all’interno dei quali svolgere le transazioni, che permettono agli acquirenti di comprendere le possibilità di utilizzo della tecnologia senza far svelare ai venditori troppe informazioni relative all’invenzione. Disponendo inoltre di un network di inventori e compratori differenziato superano le questioni relative ai sospetti e ai pregiudizi che vi erano da entrambe le parti, portando ad utilizzi della tecnologia
47 Tratto da H. Chesbrough (2008), Open business models: how to thrive in the new
imprevedibili ed attivando un circolo virtuoso che conduce alla creazione di un two-sided market fluido ed efficiente in cui più inventori attirano più compratori portando all’aumento del numero di transazioni e dell’economicità delle stesse con un maggiore guadagno per tutti. L’unica questione in relazione alla quale gli intermediari dell’innovazione potrebbero sicuramente fare di più è l’ultimo problema elencato in relazione alle operazioni di inside-out, cioè le tensioni che si potrebbero venire a creare internamente all’impresa venditrice nel momento in cui l’idea ceduta si rivelasse di successo. Ovviamente qui gli innovation intermediaries dovrebbero intervenire solo nel caso in cui il valore creato del compratore è dovuto in gran parte ad un diverso modello di business, perché nell’altro caso si tratterebbe di un errore del venditore. Dunque nel primo caso gli intermediari dell’innovazione dovrebbero agire illustrando al venditore che il valore creato dal compratore con l’innovazione è dovuto in gran parte al diverso modello di business da quest’ultimo utilizzato per portare l’idea sul mercato e non al valore intrinseco dell’invenzione; dunque il venditore dovrebbe essere appagato dall’essere riuscito a trattenere per sé una parte del valore creato dall’innovazione, perché se l’idea fosse rimasta in mano al venditore, questo l’avrebbe lasciata on the shelf o se anche l’avesse portata sul mercato, avrebbe generato un valore nettamente inferiore a quello creato dal compratore.
A loro volta gli innovation intermediaries incontrano diverse difficoltà per operare e risolvere i problemi sopra elencati, ma dato che queste sfide sono state fronteggiate in modo diverso da vari intermediari dell’innovazione e siccome è ancora troppo presto per parlare di “best practices” in quanto il settore è troppo nuovo e ciascuno sta sperimentando quello che ritiene il miglior approccio, nel prosieguo verrà evitato di trarre conclusioni affrettate e verrà esposta una classificazione degli intermediari dell’innovazione e delle loro caratteristiche per concentrarci, nel capitolo che segue, sul ruolo giocato da questi ultimi in rapporto alla realtà della Piccola e Media impresa italiana.
Per classificare le varie tipologie di intermediari dell’innovazione verrà seguito l’approccio proposto da Satish Nambisan e Mohanbir Sawhney che distingue questi player in base a come si collocano su un immaginario continuum costituito da quello che loro definiscono “l’innovation bazaar”48. Questi autori sviluppano
l’analisi dal punto di vista dei compratori dell’innovazione.
La figura 1.9 illustra il continuum sul quale i compratori possono acquistare le innovazioni ed è possibile notare come questo si basi su quattro variabili:
1. Il rischio derivante dal cercare di portare l’idea sul mercato;
2. L’estensione del numero e della varietà di invenzioni a disposizione; 3. Il costo da sostenere per trasformare l’invenzione in un nuovo prodotto; 4. La velocità di realizzazione della trasformazione.
48 Per ulteriori approfondimenti si veda S. Nambisan e M. Sawhney (2007), A buyer’s
guide to the innovation bazaar, Harvard Business Review, June 2007, pagina da 109 a
Figura 1.9: External Sourcing Continuum (Tratto da: S. Nambisan e M. Sawhney (2007), A buyer’s guide to the innovation bazaar, Harvard Business Review, June 2007, pagina 111)
Tale figura mostra che le innovazioni possono essere acquistate dai compratori all’interno degli “innovation bazaar” a diversi stadi del loro sviluppo e con l’aiuto di vari tipi di innovation intermediaries. A sinistra della figura trovano collocazione gli intermediari che, con approcci diversi, forniscono ai compratori alle “raw ideas”, cioè alle invenzioni che per essere portate sul mercato come prodotti o servizi innovativi devono essere sviluppate internamente dal compratore, attraverso importanti investimenti in termini di tempo, denaro ed altre risorse. Queste idee trovandosi ad uno stadio di sviluppo così rudimentale, oltre ad assorbire molte risorse e tempo dell’acquirente, comportano per quest’ultimo anche un elevato rischio di insuccesso, perché possono rivelarsi, dopo importanti investimenti e sviluppi, dei falsi positivi49, comportando grandi
perdite per l’azienda. Le “raw ideas”, essendo disponibili in grande quantità e varietà danno un’elevata possibilità di scelta al compratore che acquisendole ad un basso costo iniziale e trasformandole in tempi lunghi per giungere al nuovo
49 Sulla definizione di falsi positivi, così come sulla definizione di falsi negativi si veda
prodotto, sostiene un alto rischio di insuccesso. Per le loro caratteristiche, l’acquisizione delle “raw ideas” è consigliabile ai compratori che operano con tanti piccoli e diversi prodotti in mercati caratterizzati da un lento cambiamento tecnologico in cui i diritti della proprietà intellettuale sono ben definiti. In questi mercati il costo da sostenere per valutare un’innovazione dovrebbe essere generalmente basso, in quanto l’idea si dovrebbe poter testare isolatamente non richiedendo importanti tecnologie per la valutazione, mentre lo sviluppo dell’invenzione dovrebbe richiedere specifiche conoscenze relative all’innovazione che non superano i confini di una certa funzione. Acquistando le “raw ideas” l’impresa dovrebbe cercare dei miglioramenti nei prodotti già esistenti, in quanto queste invenzioni, generate da soggetti che operano con risorse limitate, permettono di ottenere un’innovazione di tipo incrementale che attraverso grandi investimenti in sviluppo interno può portare ad un elevato numero di nuovi prodotti. L’azienda dovrebbe possedere ottime capacità di commercializzazione dei prodotti che la mettano in grado, dopo essere riuscita a trasformare l’idea in nuovi prodotti e servizi, di recuperare i grandi investimenti sostenuti, ottenendo un buon ritorno in termini monetari per l’elevato rischio sopportato. All’interno di questi contesti operano gli innovation intermediaries che, in diversi modi, permettono alle imprese di accedere alle idee dei singoli inventori. Questi intermediari operano assumendosi poco rischio, dato che normalmente non acquistano ne detengono brevetti (ad eccezione degli invention capitalist), basandosi su una struttura flessibile che non necessita di grossi investimenti in termini di capitale e su una relazione con i clienti avente come obiettivo quello di chiudere la transazione. Attraverso questi soggetti, le imprese beneficiano dell’accesso ad un grande numero di invenzioni, grazie all’ampio network degli intermediari, senza avere la complicazione di perdere molto tempo a valutarle, perché questo lavoro viene svolto efficacemente dagli stessi intermediari. Gli svantaggi sono legati ai lunghi tempi necessari per trasformare l’invenzione in un nuovo prodotto e nel rischio derivante dagli ingenti investimenti per sviluppare l’idea internamente e portarla sul mercato. Quanto appena affermato rappresenta in termini generali la definizione di innovation
intermediaries operanti nel mercato delle idee, ma all’interno di questa ampia classe possiamo individuare diverse categorie di operatori, ognuna avente le proprie peculiarità, tra cui ricordiamo:
Licensing agent, si occupano di svolgere un’attività di intermediazione tra imprese che vogliono ottenere in licenza una certa tecnologia e chi ne detiene il brevetto, rendendo le transazioni più veloci e sicure e basandosi su schemi standardizzati eliminando i rischi derivanti dall’Arrow Information Paradox;
Patent broker, agiscono come operatori indipendenti mettendo in contatto le imprese che cercano delle scoperte e gli inventori che ne detengono i brevetti, così basandosi su un proprio network di contatti rendono più agevole l’incontro della domanda e dell’offerta finalizzato alla compravendita dei brevetti;
Electronic R&D marketplace, sono piattaforme online che favoriscono l’incontro di domanda e offerta di idee e brevetti puntando su un ampio network di inventori e aziende che vogliono accedere ad idee esterne; Idea scout, operano per conto di una grande impresa cercando tra il gran
numero di idee degli inventori quelle che possono essere più adatte per l’azienda per la quale operano, passando così a quest’ultima solo le scoperte selezionate. Successivamente la corporation avvia una ulteriore fase di screening delle idee valutandone il potenziale commerciale e portando così sul mercato solo le più promettenti;
Invention capitalsit, acquisiscono le scoperte dagli inventori per raccoglierle in un ampio portafoglio di brevetti. Questi ultimi spesso coprono tecnologie tra loro collegate creando in tal modo un’offerta di maggior valore per le imprese alle quali vengono venduti questi pacchetti di brevetti. L’offerta risulta di maggior valore in quanto i brevetti (ed in generale l’IP) sono uno dei pochi asset che per il semplice fatto di stare insieme creano un valore superiore a quello della somma dei singoli brevetti che compongono l’offerta; in quanto come è ben noto, spesso la
protezione offerta al singolo brevetto viene aggirata in vari modi da altre imprese che riescono a realizzare un prodotto avente le stesse funzionalità di quello dell’azienda che possiede il brevetto senza infrangere i diritti di