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Le PMI italiane

Nel documento Open Innovation e PMI italiane (pagine 94-101)

1. Innovazione tradizionale e Innovazione aperta

2.4 L’Open Innovation nelle PMI italiane

2.4.1 Le caratteristiche generali delle PMI italiane e dei distretti industriali

2.4.1.1 Le PMI italiane

In accordo con le stime di DIW Econ112, le PMI rappresentano il 99,9% delle

imprese Italiane e, un’ampia percentuale di queste (precisamente il 94,9%) appartiene alla categoria delle micro-imprese. Le PMI rappresentano anche il 79,6% dell’impiego totale e il 67,3% del valore aggiunto prodotto nel paese.

110 Barney e Clark (2007),

111 S. Lee et al. (2010), Open Innovation in SMEs: an intermediary network model,

Reasearch Policy n. 39 (2), pagina 290 e 291

112 Così come pubblicato nel documento della Commissione Europea (2015), Small

Questi dati sono molto più alti rispetto alla media europea. La situazione descritta è quella di un sistema economico che è fortemente dipendente dalle PMI come è possibile notare all’interno della figura 2.2:

Number of enterprises Number of person employed Value added

Italy EU-28 Italy EU-28 Italy EU-28

Number Share Share Number Share Share Billion€ Share Share

Micro 3.503.624 94,9% 92,7% 6.592.785 46,1% 29,2% 186 29,2% 21,1% Small 167.248 4,5% 6,1% 2.985.874 20,9% 20,4% 137 21,5% 18,2% Medium- sized 18.669 0,5% 1,0% 1.810.373 12,7% 17,3% 106 16,6% 18,5% SMEs 3.689.541 99,9% 99,8% 11.389.032 79,6% 66,9% 429 67,3% 57,8% Large 3.056 0,1% 0,2% 2.910.068 20,4% 33,1% 208 32,7% 42,2% Total 3.692.597 100% 100% 14.299.100 100% 100% 638 100% 100%

Tabella 2.2: “Data about the Italian SMEs landscape (2014 estimates)” (Fonte: EC’s 2015 SBA Fact Sheet – Italy 2015)

Il panorama italiano delle PMI è rappresentato da una grande varietà di tipologie di imprese e di forme organizzative, per quanto riguarda la dimensione è possibile notare che il 94,9% di imprese rientrano nella categoria delle micro- imprese, che contano in gran parte un totale di addetti attorno alle dieci unità ed un giro d’affari che non eccede mai i due milioni di euro. Questi addetti rappresentano il 46,1% della forza lavoro italiana, una cifra più di due volte superiore a quella delle piccole imprese e circa quattro volte più alta delle medie imprese. Le grandi aziende rappresentano, in Italia, solo lo 0,1% dell’economia totale, impiegando il 20,4% della forza lavoro complessiva, una cifra molto vicina a quella delle piccole imprese, che comunque superano le grandi imprese del 4,4%.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’economia italiana era caratterizzata da uno sviluppo irregolare e forti contrasti, specialmente tra il Nord-ovest e il Sud Italia. Nella prima area era già presente la grande impresa che raggiungeva alti livelli di produttività conseguendo una produzione di massa che riusciva a soddisfare l’intero mercato italiano. La seconda area, decisamente meno sviluppata, vedeva la prevalenza di attività agricole e artigianali. Sul finire degli anni settanta il pendolo della vitalità economica sembrava spostarsi dalla grande impresa verso la realtà medio-piccola e, più precisamente, verso forme di aggregazione di PMI.

Alcuni autori113, a tal proposito, individuano 3 elementi alla base della capacità

innovativa delle PMI:

1. Minor livello di burocraticità organizzativa e quindi maggiore spazio alla creatività ed al contributo dei singoli;

2. Carattere incrementale di molti progetti di innovazione, la cui dimensione difficilmente può apparire interessante per la grande impresa, mentre rappresenta una forte attrazione per imprese alla ricerca di nicchie di mercato;

3. Spinta motivazionale del piccolo imprenditore legata alla prospettiva del profitto, che lo spinge ad impegnarsi al massimo per ottenere un risultato. Se a questo mix di abilità e motivazione si aggiunge la capacità di fare rete, di sviluppare alleanze sulla base di strategie di specializzazione, allora si materializza un novo modello di sviluppo economico, che altri autori114 hanno

etichettato come Second Industrial Divide. Le peculiari capacità innovative di queste reti di PMI, più o meno guidate da un’impresa leader, intercettano un punto debole della grande impresa, che è quello della scarsa flessibilità, debolezza sempre più evidente in una fase di crescente frammentazione del mercato. Accentuando i livelli di specializzazione e flessibilità, i distretti e i sistemi locali di produzione italiani costituiti da reti di piccole e medie imprese sono stati in grado di dare una risposta efficace alla complessità e alla mutevolezza dei gusti e delle esigenze di personalizzazione espresse dal mercato. Attraverso la suddivisione del lavoro fra imprese legate da rapporti di collaborazione si è riusciti a conseguire quelle economie di varietà e flessibilità che la grande impresa fordista per sua natura vocata all’accentramento ed alla standardizzazione non era in grado di raggiungere. È esattamente in questo momento storico che un player precedentemente trascurato emerse

113 Z. J. Acs e D. Audretsch (1988), Innovation, market structure and firm size, Review

of Economics and Statistics n.69, pagina da 567 a 575

114 M. Piore e C. Sabel (1984), Le due vie dello sviluppo industriale: specializzazione di

nell’economia italiana come un campione: si tratta del Nord-est italiano e delle proprie PMI. Nelle regioni del Nord-est italiano le PMI hanno radici profonde nel territorio e sono ancora fortemente legate ai sistemi di produzione tradizionali che hanno una lunga storia di eccellenza. Queste imprese più piccole avrebbero successivamente funzionato come la forza motrice per la crescita dell’economia italiana nel suo complesso raggiungendo livelli di produttività, di impiego e di conoscenze che fino ad oggi è difficile, se non impossibile, trovare da qualsiasi altra parte nel mondo. Insieme ad Emilia-Romagna, Marche, Toscana ed Umbria, le regioni del Nord-est (Friuli-Venezia Giulia, Veneto e le due province autonome di Trento e Bolzano) formano la “Terza Italia”115, la terza principale

macro-area economica in Italia dopo il Nord-ovest ed il Sud nel 1977. Le regioni che rientravano nella definizione di “Terza Italia” erano caratterizzate da un gran numero di PMI con un’identità locale molto forte e legami all’interno del loro territorio tali da sfruttare la piena potenzialità del networking molto prima dell’era di internet.

Sul finire del secolo scorso, tuttavia, le economie esterne di natura distrettuale, che hanno consentito a miriadi di PMI di nascere e prosperare negli anni novanta, non sembrano più sufficienti a garantire la competitività nello scenario internazionale emergente. Il modello post-fordista è minacciato da un lato da una competizione internazionale basata sui costi sempre più accesa (paesi come Cina, India e Indonesia hanno costi del lavoro di gran lunga inferiori rispetto alle economie “avanzate”), dall’altro lato dallo sviluppo di nuove tecnologie che cambiano i paradigmi produttivi e modificano gli stessi contorni dei settori economici. Biotecnologie, ICT, scienze dei materiali, nanotecnologie, e così via, non sono soltanto nuovi settori che si aggiungono a quelli tradizionali, ma assumono una valenza trasversale che genera opportunità e cambia le regole della concorrenza anche nei settori maturi.

115 Definizione tratta da A. Bagnasco (1977), Tre Italie. La problematica territoriale

A partire dagli anni duemila si assiste ad un’ulteriore evoluzione dei modelli economici, con l’affermazione di un modello definibile technology-based in cui la competizione si basa sempre di più sulla capacità di innovazione, ovvero sulla capacità di produrre nuove conoscenze scientifiche e di applicarle poi dal punto di vista commerciale. In tale modello diviene sempre più rilevante lo sviluppo di meccanismi di trasferimento tecnologico dal sistema della ricerca al mondo delle imprese ed un ruolo fondamentale è giocato dalle nuove imprese innovative quale veicolo privilegiato per la concretizzazione dei processi innovativi e dunque per l’instaurazione di un circolo virtuoso di sviluppo del territorio. Alcuni autori116 sostengono che il fondamentale ruolo che le nuove imprese

innovative, generalmente di piccole dimensioni, giocano nell’economia knowledge-based si giustifica in considerazione di quattro elementi fondamentali:

Entrepreneurship; Innovazione;

Dinamica dei settori; Creazione di lavoro.

In particolare, le nuove imprese che operano come agenti del cambiamento attraverso la loro attività imprenditoriale, sono la fonte di una importante attività innovativa, stimolano l’evoluzione dei settori industriali e sono responsabili di una quota considerevole dei nuovi posti di lavoro creati. Nel nuovo modello di sviluppo che viene così a delinearsi, oltre al ruolo di primo piano giocato dalle nuove imprese innovative, emerge anche la “dimensione locale” dei processi di innovazione: infatti benché la produzione di nuova conoscenza avvenga su base globale, l’applicazione concreta di tale conoscenza, e quindi la sua trasformazione in innovazione vera e propria, avviene fondamentalmente su scala

116 Z. J. Acs (1992), Small business economics; a global perspective, Challenge n. 35

locale, perché è a tale livello che possono svilupparsi ed attivarsi quelle relazioni tra attori pubblici e privati coinvolti nei processi di innovazione.

La crisi economica e finanziaria, iniziata negli Stati Uniti d’America nel 2007 ha colpito duramente anche l’Italia causando un forte crollo della domanda interna e un calo delle esportazioni. Come è facile intuire, le imprese più piccole sono state colpite più fortemente rispetto alle altre. In particolare, sulla base di dati diffusi dall’ISTAT, il 2012 può essere definito come l’anno che ha rappresentato il culmine della crisi economica in Italia. È stato registrato un calo del 4,3% del fatturato delle industrie, una riduzione degli ordini del 10% e un numero di fallimenti mai registrato prima, evidenziando una situazione sempre più drammatica. La crisi ha indebolito particolarmente le PMI rispetto alle grandi imprese a causa di una loro maggiore vulnerabilità e alle loro maggiori difficoltà nel reperire risorse finanziarie. A livello europeo i mancati pagamenti hanno azzerato le liquidità proprie delle imprese portando la richiesta di credito da fonti esterne a crescere di quasi 10 punti percentuali tra il 2011 e il 2012, arrivando ad interessare l’86% delle PMI. A livello italiano questa percentuale ha raggiunto il 95%. Da un lato le aziende avrebbero bisogno di liquidità per invertire un trend economico negativo, dall’altro le casse si sono svuotate e le istituzioni bancarie hanno cominciato a erogare sempre meno credito e a condizioni sempre peggiori. La difficoltà di reperire liquidità necessaria per finanziarsi è attribuibile non soltanto alla crisi economica e finanziaria ma anche ad effetti secondari che questa ha generato. Il crollo del mercato immobiliare (storicamente utilizzato come rifugio di capitali) ha tolto alle imprese la possibilità di utilizzare la vendita di immobili propri per reperire liquidità, ed ha al contempo limitato la forza contrattuale degli imprenditori nei confronti delle banche. Viene così ad instaurarsi una spirale vorticosa da cui, senza un aiuto istituzionale, è difficile uscire. Una ricerca condotta da GE Capital Europe117, nell’ambito dell’ultima

117 GE Capital è una divisione di General Electric. Rappresenta uno dei più grandi

istituti di credito rivolto alle imprese ed alle persone nella regione EMEA (Europa, Medio Oriente e Asia); Ge Capital gestisce un portafoglio regionale di asset per un totale di 80 miliardi di dollari.

edizione dell’European SME Capex Barometer 118 , testimonia che gli

imprenditori europei si rendono sempre più conto di come l’unica strada da percorrere per acquisire competitività in tempo di crisi, sia quella di differenziarsi dalla massa, andando a migliorare i propri processi organizzativi e produttivi, investendo quindi sia in beni strumentali che nelle risorse immateriali come la formazione e la ricerca. Soprattutto nella realtà italiana, gli imprenditori sono terrorizzati ad esporsi ulteriormente e cercano piuttosto di limitare i danni rispetto allo scommettere su una rinascita incerta. Prendendo il mercato dell’ICT119 si evidenzia un calo del 4,5% (valore intermedio tra il calo del 7%

riferibile alle intenzioni di acquisto di componenti hardware e del 2% sui software) delle intenzioni di investimento nel breve periodo, dato particolarmente allarmante se confrontato con la Germania dove è prevista una crescita degli investimenti del 26%. Tale tendenza è attribuibile ad una percezione negativa in merito alla situazione economica attuale e alla sua possibile evoluzione, una percezione che tende a diventare sempre più pessimistica con il diminuire della dimensione aziendale, come è possibile notare attraverso la figura 2.1 dove sull’asse delle ordinate si trova la variazione dal 2011 al 2012 della fiducia in una ripresa economica, sull’asse delle ascisse sono riportati le tre tipologie di PMI (Micro, Piccola e Media).

118 Indagine svolta da GE Capital che analizza le intenzioni di investimento dei manager

di 1750 PMI appartenenti a 7 mercati europei (Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca)

119 Tale mercato viene preso come riferimento in quanto rappresenta il principale tipo di

Figura 2.1: Fiducia percepita dalle imprese italiane rispetto all’andamento dell’economia (Fonte: European SME Capex Barometer)

Analizzando la struttura industriale a livello Europeo si nota chiaramente come siano le PMI a trainare l’economia, fornendo lavoro al 67,4% della popolazione; soprattutto a quella parte di popolazione (il ceto medio) che costituisce la locomotiva dell’Europa sia dal punto di vista contributivo che dei consumi. Questa considerazione vale ancora di più per l’Italia.

Il modello economico che si è andato progressivamente affermando è anche definito come technology-based economy, per individuare un modello di sviluppo nel quale la conoscenza diventa il mezzo per la creazione di valore. Tale possibilità deriva da una caratteristica fondamentale della conoscenza ovvero dal fatto che essa si configura come una risorsa che non si esaurisce con l’utilizzo ma che al contrario cresce e si arricchisce man mano che viene impiegata, con un costo di riproduzione praticamente nullo.

Nel documento Open Innovation e PMI italiane (pagine 94-101)