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L’innovazione nelle PMI italiane

Nel documento Open Innovation e PMI italiane (pagine 103-140)

1. Innovazione tradizionale e Innovazione aperta

2.5 L’innovazione nelle PMI italiane

Analizzando la composizione delle imprese italiane in alcuni settori è possibile notare la prevalenza dell’industria leggera, una predominanza di piccole e medie imprese specializzate che adottano strategie di differenziazione dei prodotti (piuttosto che la standardizzazione) e promuovono l'innovazione tecnologica al di fuori del tradizionale laboratorio di R&D124. Risulta tuttavia difficile trovare

un significativo grado di correlazione tra dimensione dell’impresa e innovazione in Italia a causa delle piccole e medie imprese operanti nei settori ad alta

123 M. Chiarvesio, E. Di Maria e S. Micelli (2010), Global Value Chains and Open

Networks: The case of italian industrial districts, European Planning Studies n. 18,

pagina da 333 a 350

124 F. Onida (1984), Innovazione e competitività: l’Italia nei mercati internazionali, In

tecnologia che coesistono con altre PMI nei settori tradizionali (low-tech)125.

Certamente la situazione è cambiata molto negli ultimi anni ma, come evidenziato in precedenza, piccole e medie imprese che operano nei settori tradizionali svolgono ancora un ruolo molto importante per l'economia italiana. Nonostante la presunta impossibilità di riassumere il rapporto tra dimensione d'impresa e innovazione, l'evidenza empirica suggerisce che molte aziende italiane hanno intenzionalmente perseguito l'innovazione. Si ritiene che una informale o meno formale attività di R&D può essere utile per le PMI e, a questo proposito, è stato evidenziato come l’impostazione di una attività di R&D formale non costituisca un prerequisito per l'innovazione126, e tantomeno un

driver importante di innovazione dal momento che invece di puntare sull'innovazione tecnologica radicale, hanno preferito concentrarsi su innovazioni incrementali.

Sulla scia di quanto accaduto con la crisi che ha colpito le piccole e medie imprese orientate all'esportazione dal 2007, è saggio prendere in considerazione ciò che è stato affermato da alcuni autori127: le politiche restrittive e una crescita

debole o assente danneggia maggiormente le PMI rispetto alle imprese più grandi. In particolare, per ciò che riguarda l'innovazione, sono stati messi in evidenza i seguenti punti:

Le difficoltà che le piccole e medie imprese devono affrontare nell'accedere al mercato dei capitali si traducono in problemi di fattibilità nel perseguire progetti innovativi;

125 Momigliano (1984), Le leggi delle politica industriale in Italia, Il Mulino

126 F. Malerba (1985), Learning by firms and incremental technical change, Economic

Journal n. 102, pagina da 845 a 859

127 T. Cozzi (1989), Problematiche dell'innovazione nella piccola e media industria, in

Benedetti E., Mutazioni tecnologiche e condizionamenti internazionali, Franco Angeli, pagina da 137 a 147

Le PMI hanno bisogno di meno incertezza perché è più difficile per loro valutare il flusso di ricavi derivanti da progetti innovativi e non possono semplicemente fare affidamento sulla probabilità per determinare il successo di tali progetti.

Queste ragioni rappresentano anche la spiegazione del perché le PMI italiane si concentrano su innovazioni incrementali piuttosto che sull'innovazioni radicali: mentre un’innovazione rivoluzionaria potrebbe portare a maggiori profitti comportando un livello di rischio più elevato ed un esito più difficile da prevedere, una innovazione incrementale rappresenta il perfezionamento o l’aggiornamento dei prodotti, servizi o processi che sono già stati testati che di solito richiedono investimenti monetari bassi con esiti più semplici da prevedere. Come precedentemente affermato, l’evidenza empirica non suggerisce una correlazione positiva tra dimensione dell’impresa e innovazione ma, ulla base di dati derivanti da un sondaggio effettuato nel 2013 dalla MET128, è possibile

notare che l'innovazione è positivamente correlata alla dimensione d'impresa. La percentuale di piccole e medie imprese italiane innovative divise per settore e categoria è rappresentata nella tabella 2.3 come segue:

Total staff

Percentage of innovating firms – industrial sector

Percentage of innovating firms – service sector

1-9 15,1% 13,2%

10-49 31,1% 20,5%

50-249 43,6% 32,1%

Tabella 2.3: “Innovating firm per size category and sector”

La più alta percentuale di piccole e medie imprese innovative è situata nel Nord- est italiano, dove il 17,9% delle piccole e medie imprese stanno attivamente investendo in innovazione. Il Nord-ovest ed il Centro seguono con una percentuale del 15,8% ciascuno. La macro-area del Sud e delle Isole è quella in cui le PMI hanno meno investito in innovazione, la percentuale è del 13,5%.

Gli investimenti in innovazione, per le aziende italiane, si riferiscono principalmente al miglioramento di tecnologie attuali. L'investimento in macchinari è il più comune e nel settore industriale è stato effettuato da più dell’80% delle imprese in ciascuna categoria. Seguono gli investimenti in ICT, ma c'è un divario notevole, soprattutto se consideriamo le micro imprese.

Micro (1 to 9) Small (10 to 49) Medium (50 to 249) Large (< 250) Industry

Land and buildings 5,7% 9,4% 14,3% 11,8%

Machinery 82,4% 84,9% 85,8% 87,9%

ICT technologies 10,9% 18,9% 24,9% 25,1%

Patents 0,6% 1,5% 2,6% 4,6%

Employee education 2,5% 10,0% 10,8% 23,1%

Energy saving investments 2,9% 9,7% 7,4% 17,1%

Marketing and advertising 2,2% 5,7% 7,0% 14,2%

Production services

Land and buildings 5,8% 5,3% 9,5% 8,0%

Machiniery 54,3% 63,1% 62,4% 66,3%

ICT technologies 45,0% 32,1% 32,8% 46,0%

Patents 0,9% 1,3% 1,0% 4,9%

Employee education 3,1% 10,6% 13,1% 21,6%

Energy saving investments 0,9% 3,3% 3,8% 7,1%

Marketing and advertising 3,4% 2,4% 3,1% 3,4%

Tabella 2.4: Investment in innovation in Italy by size category and sector

Nello studio riportato, è evidente come l'innovazione di prodotto rappresenta la pratica più comune di innovazione in tutte le categorie di dimensione nel settore industriale. L’innovazione organizzativa prevale nel settore dei servizi.

Micro

(1 to 9) (10 to 49) Small (50 to 249) Medium (> 250) Large

Share of firms introducing product innovation

Total 8,7% 18,9% 27,5% 34,0%

Industry 10,6% 21,5% 31,2% 37,1%

Production services 7,2% 10,6% 16,8% 25,8%

Share of firms introducing process innovation

Total 5,4% 13,8% 21,5% 31,0%

Industry 6,1% 15,9% 23,9% 34,5%

Production services 4,9% 7,2% 14,3% 21,9%

Share of firms introducing organizational innovation

Total 6,1% 13,1% 21,9% 32,5%

Industry 5,1% 13,1% 21,8% 29,5%

Production services 6,9% 13,2% 22,4% 40,2%

Tabella 2.5: Type of innovation introduced in Italy by size category and sector In particolare, la R&D rappresenta un'area critica per le PMI italiane, in quanto la percentuale di imprese che investono in tale funzione è molto bassa. Ancora una volta però, il Nord-est d'Italia è al primo posto, con il 9,1% di piccole e medie imprese che intraprendono investimenti in R&D. Va notato però che, soprattutto nel caso di piccole e medie imprese, come precedentemente accennato, l’impostazione formale di una attività di R&D non rappresenta un prerequisito per l'innovazione e, quindi, non comporta alcun significato nel determinare la capacità di innovazione delle imprese nel settore specifico. È possibile notare una correlazione positiva tra R&D e la tendenza verso l'internazionalizzazione in quanto nel 2013 la quantità di piccole e medie imprese che ha operato nei mercati esteri e che ha investito in R&D era cinque volte superiore al numero di imprese che hanno investito in R&D, ma hanno operato solo in Italia. Questo è probabilmente dovuto alla diversa natura dei mercati esteri e della concorrenza, infatti è plausibile che proprio l’attività di R&D costituisca uno dei driver che contribuiscono a rendere queste piccole e medie imprese italiane competitive sui mercati esteri in cui gli investimenti in innovazione sono più alti e rappresentano un prerequisito per un ingresso di successo in questi mercati e per la creazione e la generazione di profitti.

Un ulteriore studio esaminato in merito alla conoscenza e al trasferimento tecnologico in Italia129 ha proposto un punto di vista meno brillante di quello che

è solitamente accettato e sostenuto: i problemi che ostacolano l'adozione di una cultura innovativa nelle piccole e medie imprese italiane sono gli stessi ostacoli che impediscono l'internazionalizzazione di tali imprese. Questi ostacoli possono essere riassunti in:

Mancanza di risorse (sia economiche e umane); Mancanza di capacità di gestire l’innovazione; Assenza di accesso alla ricerca di base;

Accesso limitato ai fondi o finanziamenti.

Tutti questi fattori contribuiscono alla creazione di un ampio divario nella capacità di crescita, competitività e innovazione rispetto ad altri paesi. Tutto ciò conferma quanto affermato precedentemente ovvero che è necessario implementare l’innovazione in maniera più consistente per affacciarsi sui mercati internazionali. Negli ultimi dieci anni l’Italia ha registrato una crescita della produttività neanche pari alla metà di quella registrata mediamente dagli altri paesi in area OCSE e questo è dipeso dai bassi investimenti in ricerca, capitale umano e intangibile. Quello che certamente non manca alle PMI italiane è il “saper fare” e ciò è testimoniato dai numerosi casi di eccellenza industriale presenti nei vari distretti produttivi. Da un lato le PMI riescono a trarre vantaggio dal fatto di essere in possesso di consolidati processi produttivi molto frammentati, traendo vantaggio sia dall’esperienza accumulata nel tempo che dalla possibilità di rispondere in maniera veloce al cambiamento data la loro semplicità organizzativa. Dall’altro lato tale frammentazione comporta sia una minore produttività e competitività sui mercati, che l’impossibilità di fare leva su economie di scopo, mentre l’eccessivo accentramento decisionale risulta essere la causa della tendenza al rifiuto di possibili cambiamenti. L’industria delle

129 Escoffier et al. (2012), Technology transfer and knowledge transfer activities in

Italy: a detailed analysis, The Quarterly Review of Corporation Law and Society n. 14,

ceramiche di Faenza, il cartario in Lucchesia e il calzaturiero nelle Marche sono solo alcuni esempi di distretti industriali che devono il loro successo ad una stretta rete di collaborazione tra aziende, clienti e fornitori, una situazione che ha portato nel tempo al miglioramento delle competenze generali e della conoscenza tacita130 accumulata, ed ora posseduta dai residenti nelle rispettive

zone. Quello che attualmente manca alla piccola e media impresa italiana, per poter tornare a competere con i principali concorrenti internazionali, è lasciarsi alle spalle ciò che sono state in passato, utilizzando il contesto attuale come occasione per individuare nuovi fattori su cui fare leva. Risulterebbe opportuno abbandonare la visione condivisa di basare la competitività sulla sola riduzione dei costi e seguire, invece, la visione Shumpeteriana di “distruzione creatrice” tale da far riemergere quelle caratteristiche di vantaggio possedute intrinsecamente dalle aziende italiane che ha reso il made in italy conosciuto ed apprezzato in tutto il Mondo.

Secondo The global innovation index131, esposto nella tabella 2.6, l’Italia risulta

essere al trentaseiesimo posto per capacità innovative, perdendo ben cinque posizioni rispetto al 2009.

130 La conoscenza tacita è una forma di conoscenza non esprimibile e non articolabile in

formule, rapporti o schemi. Viene spesso definita come know how. Micheal Polanyi in

The tacit dimension (1964) affermò che: “we can know more than we can tell”

131 Il Global Innovation Index (2012) è un indice composto da 84 indicatori realizzato

da INSEAD (una delle business school più famose al mondo) insieme a WIPO (World Intellectual Property Organization) per valutare la capacità innovativa di 141 paesi, riconoscendo il ruolo chiave dell’innovazione come driver di crescita economica

Paese GII (2012) Ranking 2012 Ranking 2009 Svizzera 68,2 1 7 Svezia 64’8 2 3 Singapore 63,5 3 5 Finlandia 61,8 4 13 Regno Unito 61,2 5 4 Olanda 60,5 6 10 Danimarca 59,9 7 8 Hong Kong 58,7 8 12 Irlanda 58,7 9 21 USA 57,7 10 1 Lussemburgo 57,7 11 17 Germania 56,2 15 2 Malta 56,1 16 38 Estonia 55,3 19 29 Francia 51,8 24 19 Giappone 51,7 25 9 Cipro 47,9 28 45 Spagna 47,2 29 28 Italia 44,5 36 31 Brasile 36,6 58 50 India 35,7 64 41 Argentina 34,4 70 84 Sudan 16,8 141 -

Tabella 2.6: sintesi del Global Innovation Index 2012 (Fonte: The Global Innovation Index 2012 e 2009)

Tramite questa classifica è possibile notare come dopo la crisi economica e finanziaria del 2007 siano mutate le gerarchie tra le nazioni per quanto riguarda l’innovazione e questa visione è confermata da una ulteriore finestra sul mondo dell’innovazione e sulle prestazioni innovative dei singoli stati dell’Unione Europea offerta dall’annuale Innovation Union Scoreboard132. I peggioramenti di

prestazione più marcati appartengono all’area europea e agli USA, mentre i miglioramenti più importanti sono stati registrati da tutti quei paesi che hanno

132 L’Innovation Union Scoreboard è un rapporto presentato dalla Commissione

Europea per tracciare una panoramica sulle prestazioni, in termini di innovazione, dei 28 paesi dell’Unione. Al suo interno si può trovare anche una classifica basata sul Summary Innovation Index (SII) costruito tramite l’utilizzo di 24 indicatori suddivisi in tre gruppi principali (Enablers, Firm activities e Outputs). I paesi sono classificati in 4 gruppi (innovation leader, innovation follower, moderate innovators, modeste

innovators) e per ognuna sono indicate le aree di maggiore criticità sulle quali

intervenire. In base alla classifica relativa al SII l’Italia è collocata al sedicesimo posto nel gruppo dei moderate innovators

avuto meno da perdere dalla crisi, poiché già in difficoltà a causa di problematiche interne. È noto da tempo come sia più facile differenziarsi puntando sulle prestazioni di lavoratori di qualità in grado di apportare al processo produttivo valori aggiunti difficilmente imitabili, soprattutto nel contesto attuale, dove la capacità produttiva dei paesi emergenti è impossibile da raggiungere, anche a causa di normative nazionali che consentono a quelle aziende di ridurre il lavoro alla schiavitù potendo così contare su costi di produzione infinitamente inferiori. Con questo non bisogna certamente sottovalutare l'importanza del ripensare i processi produttivi cercando di eliminare gli sprechi, ma il vantaggio così ottenuto deve essere considerato come fonte ulteriore di un profitto derivante dalla qualità dell'innovazione contenuta nei nostri prodotti. Come nel caso dell'investimento in nuove tecnologie, formare o reclutare lavoratori di livello comporta costi elevati e questi costi sono oggi ritenuti insostenibili. L'atteggiamento delle aziende è assolutamente comprensibile: quando si fa fatica a pagare gli stipendi dei dipendenti e a mantenersi letteralmente vivi, possono nascere negli imprenditori sentimenti di paura e scoraggiamento, tanto da indurli a risparmiare su attività che a rigor di logica non dovrebbero assolutamente essere toccate, come le attività di formazione. Nell'immediato dopo crisi (2009) si è registrato un calo del 13% della partecipazione di adulti a corsi di formazione finanziati dalle imprese stesse e da un'indagine Indaco-Isfol133 è risultato che tra i lavoratori assunti da aziende

con meno di 10 dipendenti (il 46,6% del totale dei lavoratori italiani) solamente il 35% ha partecipato ad attività di formazione. In questo contesto la ricerca di nuove fonti da utilizzare per riprendere la crescita, rappresenta un obiettivo comune a tutti i paesi industrializzati, ma per l'Italia assume un ruolo di vitale importanza. Formare la forza lavoro e investire nell'innovazione deve necessariamente diventare la leva, o una delle leve, su cui far forza, ma per questo sono indispensabili nuovi input da parte delle istituzioni. A tal proposito svolgono un ruolo fondamentale le politiche nazionali che hanno, o quantomeno

133 L’ISFOL (istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) è un

ente nazionale di ricerca sottoposto alla vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

avrebbero, il compito di influenzare i comportamenti delle singole imprese, facendo sentire l'imprenditore in qualche modo tutelato e incentivato ad investire, magari anche rischiando, per poter risollevare le sorti della propria impresa, salvando, di conseguenza, posti di lavoro e diventando parte integrante di un processo volto a rinsaldare l'economia globale. L'Italia, negli ultimi decenni, ha sfruttato pesantemente la capacità di creare valore delle PMI senza riconoscerne i meriti e senza prendersi carico delle loro necessità nelle decisioni di politica economica. Tra le principali azioni che uno stato potrebbe intraprendere troviamo senza dubbio l'assegnazione di risorse nazionali ad attività
di R&D e l'adozione di
politiche fiscali che incoraggino le aziende ad investire. Anche se questa non è certamente la sede in cui analizzare le azioni politiche da intraprendere, possiamo dire che la bontà dei risultati delle elementari iniziative sopra elencate, viene confermata da molteplici risultati ottenuti in ambito di ricerca. Il
collegamento tra investimento in R&D e
tecnologie dell'informazione (ICT) con la
crescita e la produttività, è stato anche tema di discussione in un recente studio effettuato dalla Banca d'Italia. I risultati di tale studio confermano l'ipotesi di una forte correlazione tra le variabili analizzate e possono essere riassunti dicendo che i bassi livelli di spesa in R&D e ICT devono essere considerati tra le principali cause della scarsa produttività negli stati della Comunità Europea e in maniera ancora maggiore in Italia. A tal proposito la R&D risulta essere più rilevante per l'innovazione, mentre l'ICT incide direttamente sulla produttività. L’ipotesi su cui si fondano questi risultati è che la spesa in R&D (considerato lo sforzo innovativo interno dell'impresa) e in ICT (l'innovazione acquisita dall'esterno) siano in grado di apportare un contributo fondamentale in termini di capacità innovativa dell'impresa. Mentre da un lato gli investimenti in R&D rimangono di vitale importanza, dall'altro si ha una sempre maggiore consapevolezza di come i risultati del processo innovativo dipendano anche da altri fattori. Operando in un contesto influenzato da un numero crescente di fattori destabilizzanti (crisi economica globale, allargamento dei mercati, entrata di nuovi concorrenti da paesi con costi della manodopera molto più bassi, ecc.) diventa sempre più importante riuscire a sfruttare i vantaggi della

collaborazione tra imprese. Se si creano rapporti tra imprese di interscambio di informazioni e risorse efficienti, si riescono infatti ad ottenere vantaggi notevoli nel compiere un percorso incentrato sull' innovazione. Così facendo è possibile risparmiare sui costi del processo innovativo, avere un maggiore portafoglio di risorse e concentrare i principali sforzi economici per la valorizzazione delle proprie competenze chiave. Sfruttando eccellenti competenze possedute dalle singole imprese coinvolte, si riesce ad ampliare il raggio e la qualità di un progetto innovativo. Questo concetto di interscambio e collaborazione si collega in maniera diretta al concetto di "Open Innovation", tema centrale di questa esposizione. Il 25 Giugno 2008 la Commissione Europea ha emanato una legge per dare un seguito operativo a quando detto nella Conferenza di Lisbona134, mai

sostanzialmente messo in pratica: un "Small Business Act" (SBA)135 per

134 Nel marzo del 2000, a Lisbona, il Consiglio Europeo adottò la strategia di diventare

l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Con l’obiettivo di raggungere quanto stabilito entro il 2010, ogni anno, la Commissione presenta una relazione (Rapporto di primavera) al Consiglio europeo nella quale vengono esaminati in dettaglio i progressi compiuti nell’attuazione di tale strategia. In questa occasione i capi di stato e di governo dell’Unione valutano i progressi compiuti e stabiliscono le future priorità per il raggiungimento degli obiettivi fissati a Lisbona

135 Lo Small Business Act si basa su dieci principi destinati a guidare la formulazione

delle politiche comunitarie nazionali, nonché su misure pratiche per la loro attuazione: 1. Sviluppo di un ambiente favorevole all’imprenditorialità al fine di agevolare la

creazione di nuove PMI;

2. Sostegno agli imprenditori onesti che desiderano riavviare un’attività dopo aver sperimentato l’insolvenza;

3. Formulazione di normative conformi al pricipio “pensare anzitutto in piccolo”; 4. Adattamento delle pubbliche amministrazioni alle esigenze delle PMI ed

eliminazione degli ostacoli amministrativi;

5. Adeguare le pubbliche amministrazioni alle esigenze delle PMI ed eliminazione degli ostacoli amministrativi;

6. Agevolare l’accesso delle PMI al credito e sviluppare un contesto giuridico ed economico che favorisca la puntualità dei pagamenti nelle transazoni

commerciali;

7. Aiutare le PMI a beneficiare delle opportunità offerte dal mercato unico; 8. Promuovere l’aggiornamento della competenza delle PMI e l’accessibilità ad

ogni forma di innovazione;

9. Permettere alle PMI di trasformare le sfide ambientali in opportunità;

10. Incoraggiare le PMI affinchè traggano beneficio dalla crescita e dall’espansione dei mercati.

l'Europa, adottato in Italia con una direttiva del Presidente del Consiglio del 4 maggio 2010. Il principio fondamentale su cui si basa lo SBA è il "think first small", ossia pensare prima alle piccole cose (non pensare in piccolo), cercando di creare un contesto favorevole allo sviluppo delle PMI che preveda il riconoscimento e la valorizzazione della figura dell'imprenditore, da parte della società. Il profilo SBA dell'Italia, figura 2.2, mette in luce diversi punti deboli, inoltre il nostro Paese risulta essere in linea con la media europea solo su tre politiche su dieci ("Pensare anzitutto in piccolo", "Appalti pubblici e aiuti di stato" e "Ambiente").

Figura 2.2: Profilo SBA italiano (Fonte: Scheda informativa SBA 2012)

Ciononostante, l'andamento delle politiche negli ultimi anni risulta essere in fase di miglioramento, testimoniando almeno l'impegno ad effettuare un cambiamento. Prendendo in esame le politiche relative a "competenze e innovazione", ossia quelle strettamente collegate al tema di questo lavoro, si riscontra l'attuale difficoltà dell'Italia a stare al passo con gli altri paesi europei.
In base ad alcuni indicatori delle prestazioni delle imprese in termini

d'innovazione, l'Italia risulta essere posizionata addirittura meglio rispetto a molti altri Stati membri dell'UE (ad esempio: percentuale di PMI innovative in-house, PMI che introducono innovazioni dei prodotti o dei processi o innovazioni riguardanti la commercializzazione e l’organizzazione) dando prova di un alto potenziale innovativo. Motivo di particolare preoccupazione sono invece gli indicatori di misurazione delle capacità delle PMI di operare via internet e la loro abilità di produrre innovazioni brevettabili.

Figura 2.3: Brevetti, concessioni dell’Ufficio Europeo dei Brevetti (UEB), per paese e gruppi di paesi (2015)

Internet oggi vuol dire velocità di comunicazione, potersi mostrare su una vetrina presente ovunque e avere una possibilità di scelta prima inimmaginabile. Scegliere di non sfruttare le sue potenzialità, nella maggior parte dei casi,

Nel documento Open Innovation e PMI italiane (pagine 103-140)