• Non ci sono risultati.

La gestione strategica dell’innovazione

Nel documento Open Innovation e PMI italiane (pagine 85-90)

1. Innovazione tradizionale e Innovazione aperta

2.3 L’Open Innovation nelle PMI

2.3.1 L’Open Innovation e le PMI

2.3.1.2 La gestione strategica dell’innovazione

L’attività di technology scouting rappresenta una funzione interna alle aziende, avente lo scopo di osservare i trends tecnologici e di realizzare una valutazione dei rischi e delle opportunità. Il fine ultimo non è l’analisi di un ampio set di informazioni, ma l’acquisizione di consapevolezza circa le istanze di cambiamento dell’ambiente esterno89. Recenti studi hanno mostrato l’incidenza

dell’analisi esterna sulla raccolta di idee, informazioni e conoscenze utili nei processi innovativi endogeni. In più, imprese con avanzati meccanismi di scouting, sono in grado di individuare più velocemente le opportunità del contesto in cui operano e di semplificare le decisioni sui prodotti da sviluppare. Lanciando sul mercato prodotti innovativi, le aziende sono nelle condizioni di acquisire il c.d. “first mover advantage”. Ciò può risultare una strategia ideale nelle organizzazioni con ridotte risorse interne ma con idee molto chiare sulla direzione da imprimere al product development90. In generale, questa forza di

outside-in Open Innovation è determinante nell’orientare le performances

89 R. Van Wyk (1997), Strategic technology scanning, Tecnological Forecasting and

Social Change n. 55 (1), pagina da 21 a 38

90 W. Choen e D. Levinthal, Absortive capacity: A new perspective on learning and

innovative delle imprese91. Sebbene compatibile con le operazioni di ricerca di

innovazioni radicali, in quanto mezzo per scoprire nuove idee che generano prodotti breakthrough, la technology scouting sembra adattarsi maggiormente alla ricerca di innovazioni incrementali e, in tal senso, risultano decisive le conoscenze specialistiche, insite nelle piccole imprese. Inoltre, queste ultime, per la loro stessa “cultura”, sono orientate a condurre attività di ricerca localizzate piuttosto che attività di scoperta di nuove ed eterogenee fonti di conoscenza92. La

scarsità di risorse, quindi svolge un doppio “ruolo”: da un lato, può divenire una valida motivazione per adottare strategie di ampia e profonda comprensione dell’ambiente esterno; dall’altro alto, può, compatibilmente con le dotazioni finanziarie dell’azienda, dare vita ad operazioni di recruiting di impiegati altamente specializzati. Quanto appena affermato sembra coerente con il fatto che la technology scouting risulta maggiormente correlata con le attività di innovazione incrementale piuttosto che con quelle di innovazione radicale.

La collaborazione tecnologica verticale si sostanzia nell’insieme delle relazioni con i clienti o i fornitori. Molti studi in tema di Open Innovation si sono soffermati, in particolare, sulle relazioni collaborative con i clienti finali, poiché queste costituiscono un “embrione” di strategia realmente improntata ad una apertura verso l’esterno. Sebbene la maggioranza delle aziende opti, con una certa convinzione, per il coinvolgimento dei clienti nei processi creativi, l’intensità e la frequenza di tale scelta sono abbastanza variabili. In un contesto di propensione verso il nuovo paradigma la collaborazione verticale risulta decisiva per l’efficiente ed efficace gestione dei clienti che, in questo modo, diventano i principali interlocutori del ciclo di R&D e, nelle ipotesi più rosee, veri e propri co-sviluppatori di tecnologie93. È stato osservato che questa seconda tipologia di

outside-in Open Innovation incrementa le possibilità delle aziende di innovare e

91 J. Frishamar e S. Horte (2005), Managing external information in manufacturing

firms: The impact on innovation performance, Journal of Product Management n. 22

(3), pagina da 251 a 166

92 M. Bianchi, S. Orto e F. Frattini (2010), Enabling open innovation in small and

medium sized enterprise: How to find alternative applications for your technologies,

R&D Management n. 40 (4), Oxford Blackwell Publishing, pagina da 414 a 420

93 H. Chesbrough (2003), Open Innovation: the new imperative for creaating and

creare valore, perché riescono a comprendere i bisogni e le aspettative dei propri utenti. Il che comporta una riduzione dei rischi durante le fasi iniziali di sviluppo e in un aumento delle probabilità che il nuovo prodotto o servizio venga apprezzato dal mercato. Come può risultare intuitivo, tra le tante tipologie di clienti bisogna prestare particolare attenzione ai lead users o opinion leaders. Trattasi di soggetti caratterizzati dalla volontà di sperimentare nuovi prodotti e che, pertanto, possono fornire indicazioni uniche ai reparti di R&D. Nella realtà è possibile riscontrare alcuni casi in cui gli utenti hanno sviluppato prodotti successivamente imitati dai produttori. In generale, assicurandosi l’appoggio dei consumatori tramite gli inputs dei lead users, le PMI sviluppano outputs customizzati e facilmente commercializzabili94. È possibile sostenere, dunque,

che le collaborazioni verticali incidono positivamente sull’attività innovativa delle imprese. Il coinvolgimento dei lead users risulta più incisivo nel produrre innovazioni radicali mentre quello dei clienti finali appare più legato alle innovazioni incrementali. Ciononostante, buona parte dei feedbacks ottenuti dagli utenti perdono la propria valenza informativa durante la fase di integrazione nel ciclo creativo, con il rischio per le imprese di non comprendere pienamente i bisogni espressi dal mercato, di limitare l’innovazione e, infine, di generare tanti prodotti di nicchia. Al contrario, un più intenso e duraturo coinvolgimento degli utenti, con un livello di conoscenza medio, risulta decisivo nel costante miglioramento dei prodotti esistenti. Tali considerazioni portano ad affermare che la collaborazione tecnologica verticale risulta correlata positivamente con le innovazioni incrementali.

La terza attività di outside-in Open Innovation, cioè la collaborazione tecnologica orizzontale, riguarda l’insieme delle partnerships con attori che non rientrano nella value chain dell’azienda: imprenditori operanti in altri ambiti produttivi o competitors diretti, di grandi e piccole dimensioni. Pattuire collaborazioni con aziende non concorrenti è abbastanza semplice, in quanto si

94 J. Henkel (2006), Selective revealing in open innovation process: The case of

generano relazioni del tipo “win-win”, ovvero partnership in cui tutti i soggetti traggono vantaggio dalla condivisione di risorse e competenze. Solitamente, ciò si verifica mediante un accordo vertente sulla chiara distribuzione dei rischi e dei futuri ritorni, su cui ha notevole incidenza la “forza” contrattuale degli attori interessati95. Al contrario, gli accordi collaborativi con concorrenti diretti

risultano, in genere, molto rischiosi e complicati. Tuttavia, individuando obiettivi comuni e distribuendo meticolosamente i compiti da svolgere, la probabilità di fare leva sui supporti esterni per le attività di R&D crescono in maniera significativa96. Tutto ciò è confermato dal fatto che, se il partner ha la medesima

“estrazione economica”, l’accesso e l’interpretazione di nuove fonti di conoscenza risulta più facile. Le piccole realtà produttive potrebbero trarre benefici dagli sviluppi innovativi e dalle opportunità commerciali, derivanti da accordi con altre PMI, in quanto è stata osservata una netta crescita competitiva di queste ultime rispetto ai leader di mercato97. La collaborazione orizzontale

può, inoltre, generare degli effetti spillovers per le aziende che, entrando in contatto con altre realtà, maturano notevole esperienza sulla corretta gestione della collaborative innovation. Anche tale terza attività di outside-in Open Innovation risulta positivamente correlata con la performance innovativa delle PMI. Da tale assunto derivano una serie di conseguenze. Se le imprese riuscissero ad estendere le relazioni con i partner esterni, avrebbero l’opportunità di disegnare una rete non ridondante, ovvero un network che facilita l’accesso alle informazioni e alle risorse migliori. Inoltre per effetto del social networking, le aziende accedono a fonti di conoscenza inesplorate ed inusuali da cui, generalmente, scaturiscono innovazioni radicali. Infine, il prosperare di attività volte a produrre innovazioni radicali consente alle PMI di oscurare gli eventuali

95 J. Baum, T. Calabrese e B. Silverman (2000), Don’t go alone: Alliance network

composition and startups’performance in Canadian biotechnology, in Strategic

Management Journal n. 21 (3), Toronto-ON, pagina da 270 a 275

96 S. Lee et al. (2010), Open Innovation in SMEs: an intermediary network model,

Reasearch Policy n. 39 (2), pagina da 290 a 294

97 S. Lee et al. (2010), Open Innovation in SMEs: an intermediary network model,

punti di debolezza e di calcolare con un alto livello di attendibilità gli effetti delle politiche commerciali e delle operazioni di marketing.

La technology sourcing è una attività di Open Innovation che consiste nell’acquisire o nell’usare, mediante l’utilizzo di contratti ad hoc, la proprietà intellettuale esterna. In effetti, molte PMI stanno trovando conveniente tale alternativa strategica a causa della riduzione del ciclo di vita dei prodotti, per i rapidi cambiamenti di mercato e per la mancanza di investimenti. Ciò è ancora più evidente nelle industrie high-tech, in cui la richiesta di innovazioni tecnologiche risulta continua. Molte PMI valorizzano la conoscenza esterna, facente capo a differenti attori98, per diverse ragioni:

La focalizzazione sulle sole risorse interne comporta investimenti in termini di capitali, persone e tempo;

Una eccessiva concentrazione sui processi interni limita la tipica flessibilità delle PMI, che, al contrario, viene valorizzata quando, tramite le attività di technology sourcing, le risorse conoscitive esterne ottimizzano il processo innovativo interno, riducendo così i gap di mercato;

L’implementazione di questa attività di outside-in Open Innovation permette alle aziende di elaborare prodotti innovativi ed appetibili, per effetto dell’integrazione di tecnologie già testate.

Potrebbero, tuttavia, verificarsi effetti indesiderati determinati da una strategia di tale portata: facendo esclusivamente leva sulla technology sourcing, si reprime la generazione di conoscenza interna99 e si riduce la possibilità di creare nuove core

competences tecnologiche; in secondo luogo, le imprese possono risentire della sindrome del not invented here100 che rende difficoltosa la ricerca di innovazioni

sviluppate altrove. In linea generale è possibile affermare che la technology

98 Nello specifico imprese, centri di ricerca e università

99 Si pensi a titolo esemplificativo alle possibili invenzioni degli impiegati 100 Il tema è stato affrontato nel primo capitolo

scouting è positivamente associata con le performances innovative delle aziende. Un numero sempre maggiore si imprese opera sui mercati di nicchia e che, per questo, sono ben informate circa i bisogni e le necessità dei clienti. Combinando le conoscenze di mercato con l’attività di sourcing, le PMI riescono a generare innovazioni incrementali e ad ottenere profitti. È stato notato che questa quarta forza di outside-in Open Innovation gioca un ruolo determinante nella generazione di innovazioni radicali, in quanto lo sviluppo di prodotti assolutamente inediti spinge le imprese ad indirizzarsi verso fonti di conoscenza esogene e, normalmente, ad accedere a competenze specifiche tramite operazioni di concessione in licenza di “trovati” sviluppati altrove. Da questo punto di vista le università e gli istituti di ricerca, data la loro influenza sul mondo scientifico possono diventare per le PMI un “perno” indispensabile per la generazione di innovazioni. Alla luce d queste considerazioni è possibile concludere che la technology sourcing è maggiormente correlata con le innovazioni radicali rispetto a quelle incrementali.

2.3.2 L’impatto dell’Open Innovation sui modelli di business delle PMI

Nel documento Open Innovation e PMI italiane (pagine 85-90)