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Il Gramsci di Togliatti

Fin dalla morte di Antonio Gramsci, Togliatti persegue con tenacia l’obiettivo di pubblicare i suoi manoscritti, pianificandone un’edizione completa. La vicenda che porta alla prima edizione delle Lettere dal carcere, nel 1947, e dei Quaderni, tra il 1948 e il 1951, è stata ampiamente e puntualmente ricostruita da Giuseppe Vacca e Albertina Vittoria51: è la storia dei testi arrivati da Mosca grazie all’intermediazione del Comintern, dei contrasti con la famiglia Schucht e dalla costante mediazione operata dal segretario italiano tra i sovietici e l’eterodossia del pensiero di Gramsci rispetto al marxismo e allo stalinismo. L’impegno editoriale profuso da Togliatti, come abbiamo visto, ha una chiara finalità politica e culturale, quella di accreditare Gramsci quale protagonista della cultura italiana del Novecento, il cui pensiero avrebbe dovuto costituire le fondamenta teoriche per la nuova strategia politica della “via italiana al socialismo”. Lo scopo di porre Gramsci al centro del dibattito culturale italiano non è perseguito solo con la circolazione delle lettere famigliari e degli appunti carcerari, ma anche attraverso il lavoro della commissione culturale del Pci, presieduta, a partire dal 1951, da Carlo Salinari, resistente e illustre accademico italiano. La nuova linea culturale del partito, sostenuta da Togliatti, è incentrata su temi nazionali, e non più sulle questioni internazionali e la lotta per la pace, che avevano invece caratterizzato la precedente gestione affidata a Emilio Sereni. Sia nelle riunioni della commissione, sia in quelle del Comitato Centrale, Salinari ribadisce l’importanza dello studio dell’opera di Gramsci, che avrebbe dovuto diventare patrimonio della cultura nazionale, inclusa anche quella “borghese”.52

51 G.VACCA, Vita e pensieri di Antonio Gramsci (1926-1937), Einaudi, Torino, 2012; A.VITTORIA, Togliatti e gli intellettuali. La politica culturale dei comunisti italiani (1944-1964), Carocci editore, Roma, 2014. 52 Estratti del rapporto presentato dal compagno Carlo Salinari nel corso della riunione del Comitato Centrale del Pci svoltosi il 3 aprile 1952, in A.VITTORIA, Togliatti e gli intellettuali. La politica culturale dei comunisti italiani (1944-1964), cit., p. 95.

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La Fondazione Gramsci rappresenta un altro tassello di fondamentale importanza della politica culturale del Pci: non è soltanto la sede di conservazione e di consultazione delle carte gramsciane, ma avrebbe dovuto diventare, sempre più, un luogo di incontro e di confronto degli intellettuali, aperto anche a correnti politiche e culturali diverse dal marxismo. In particolare, l’avvento di Franco Ferri, partigiano e docente, e di Ranuccio Bianchi Bandinelli, insigne archeologo e storico dell’arte, alla direzione della Fondazione Gramsci, a partire dal 1956, consente l’avvio di un’elaborazione di natura scientifica sul pensiero e sulle opere di Antonio Gramsci. Il convegno di studi gramsciani che si svolge nel gennaio 1958 costituisce infatti una tappa fondamentale all’interno dell’articolata operazione politico-culturale intentata da Togliatti e dal gruppo dirigente del Pci dopo la crisi del 1956. Le fratture insanabili provocate dal XX congresso del Pcus e dai fatti ungheresi, sia all’interno del Partito che nel mondo della cultura, avevano infatti contribuito a far emergere il “problema Gramsci”53, evidenziando una crescente divaricazione tra l’interpretazione togliattiana e i nuovi approcci critici, sviluppati sia in ambito comunista che in quello socialista.

Nella tradizione comunista classica, infatti, Togliatti aveva definito una sorta di linea genealogica, composta da De Sanctis, Croce, Labriola e Gramsci, nella quale quest’ultimo rappresentava il più recente esponente della tradizione culturale nazionale “alta”, democratica, laica, antifascista. Gramsci diventa il “grande italiano”, patrimonio dell’Italia intera, in un complesso disegno storicista – ovviamente diverso da quello crociano – in cui il Partito Comunista Italiano si accredita quale principale erede del primo Risorgimento - la rivoluzione mancata - e del secondo, identificato con la Resistenza. L’impostazione su cui Togliatti fonda le radici del marxismo italiano è fortemente avversata dagli intellettuali dell’area laica e democratica – che creano appositamente una rivista, Nord e Sud, per ricusare l’appropriazione ritenuta indebita di Vico, De Sanctis, Labriola, Croce54 - e, a partire

53 F.IZZO, I tre convegni gramsciani, in F.LUSSANA,A.VITTORIA, Il lavoro culturale, Carocci, Roma, 2000, p.221.

54 U.CARPI, Il Partito Comunista Italiano e De Sanctis negli anni Cinquanta. Classe operaia ed egemonia nazionale, in “Quaderns d’Italià”, numero 16, 2011, p.74.

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dal biennio 1955-1956, anche da un gruppo di intellettuali comunisti, che criticano apertamente la lettura togliattiana di Gramsci, in quanto eccessivamente intrisa di storicismo idealistico.

Le ragioni della riscoperta di Gramsci, dopo lo choc del 1956 sono da ricercare, da una parte, nel trauma dello stalinismo, dall’altra nel dibattito sulle nuove forme di sviluppo del capitalismo, che rendeva necessario dotarsi di strumenti interpretativi che uscissero dal solco della tradizione. Il 1956, anche su questo fronte, segna dunque un profondo spartiacque.

Il gruppo dirigente del partito sceglie di aprire il convegno di studi gramsciani organizzato nel gennaio 1958 anche a personalità della cultura non comuniste e a far prevalere un approccio internazionale, a partire dalla relazione introduttiva di Togliatti, dal titolo Gramsci e il leninismo, in cui il pensiero gramsciano è presentato come possibile alternativa alla crisi del movimento comunista internazionale.55 Già nelle fasi preparatorie del convegno, tuttavia, emergono posizioni di aperta critica nei confronti della linea ufficiale del Pci. Lucio Lombardo Radice pone il problema della trattazione del tema “dell’esperienza storica della dittatura del proletariato”56, mentre Aldo Natoli, in un intervento di grande lucidità, tocca uno dei punti nevralgici del rapporto tra leninismo e pensiero di Gramsci, e della realtà storica del comunismo in Occidente: “Il problema della conquista del potere va chiarito e va innestato nella storia del movimento operaio internazionale. In che modo risolviamo noi oggi il problema della dittatura del proletariato: vi è una questione di sviluppo del leninismo o no?”.57 Anche Alberto Caracciolo, nel corso del convegno, denuncia l’assenza del tema della questione del leninismo in Gramsci e, in particolare, dei Consigli nel quadro della teoria dello Stato operaio, osservando “con una certa amarezza, come sia difficile per tutti noi ritornare a personaggi molto vivi, come Gramsci, nella

55 P.TOGLIATTI, Gramsci e il leninismo, in Studi Gramsciani, atti del convegno tenuto a Roma nei giorni 11- 13 gennaio 1958, Editori Riuniti, Roma, 1958.

56 A.VITTORIA, Togliatti e gli intellettuali. La politica culturale dei comunisti italiani (1944-1964), cit., p.224.

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polemica politica attuale, senza darne involontariamente un’immagine adattata a sviluppi diversi che sono venuti poi”.58 Il tema dei Consigli sarà riaffermato dallo stesso Caracciolo in una raccolta di saggi pubblicata l’anno successivo, nel 1959, con il titolo Città futura59, curato anche da Gianni Scalia.

Nel corso del convegno, l’intervento più innovativo è senza dubbio quello di Cesare Luporini60, il quale, nell’affrontare l’apparentemente “neutra” questione del naturalismo in Gramsci, apre la strada alla critica allo storicismo, giudicato incapace di “confrontarsi criticamente con le acquisizioni contemporanee della “scienza dell’uomo”, in particolare con la psicoanalisi e la linguistica di Claude Lévi- Strauss”61, che stavano acquisendo un ruolo sempre più importante all’interno delle scienze sociali. La polemica antistoricistica è sviluppata in maniera ancora più esplicita da Mario Tronti62, nel momento in cui egli postula le basi teoriche per l’antistoricismo gramsciano, fondate da una parte sul marxismo strutturalista francese, con particolare riferimento al suo principale esponente Luis Althusser, e dall’altra, sugli sviluppi della filosofia-scienza di Galvano Dalla Volpe. La ricerca autonomamente marxista e antihegeliana del filosofo, definita compiutamente nel suo

Logica come scienza positiva63 nel 1950, esercita una notevole influenza sul gruppo

di pensatori, tra cui Lucio Colletti, Mario Rossi, Nicolao Merker, e sugli esponenti del cosiddetto “operaismo teorico”, tra cui lo stesso Mario Tronti e Raniero Panzieri. Simili posizioni antistoricistiche sono proprie anche del gruppo intellettuale milanese vicino ad Antonio Banfi e in particolare da Rossana Rossanda, che, all’inizio degli

58 Intervento di A.CARACCIOLO, Studi Gramsciani, atti del convegno tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958, cit., p.568.

59 A.CARACCIOLO,G.SCALIA, Città futura, saggi sulla figura e sul pensiero di Antonio Gramsci, Feltrinelli, Milano, 1959.

60 C.LUPORINI, La metodologia del marxismo nel pensiero di Gramsci, Studi Gramsciani, atti del convegno tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958, cit.

61 F.IZZO, I tre convegni gramsciani, in F.LUSSANA,A.VITTORIA, Il lavoro culturale, p.227.

62 M.TRONTI, Alcune questioni intorno al marxismo di Gramsci, in Studi Gramsciani, atti del convegno tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958, cit.

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anni Sessanta, dibatte pubblicamente sul tema con Luciano Gruppi.64 Nell’articolo

Marxismo e storicismo65, Rossanda afferma che il marxismo non può essere

considerato una “cultura perfetta e completa, al di fuori della storia”, ma è piuttosto una teoria critica utile all’interpretazione del divenire sociale, “tanto più capace di inseguirne le articolazioni, quanto più si presenta rigoroso come dottrina e come metodo”. Rossanda spezza, disarticolandolo, il nesso tradizionale Marx -Labriola- Gramsci, definendolo una sorta di hortus conclusus e sostenendo che non si possa ridurre il marxismo a scienza astorica, “annacquando il nostro patrimonio dottrinario nel quadro di una tradizione dai contorni teorici imprecisi”. Rossanda ritiene che non sia lo storicismo a consentire “l’approccio critico con le altre correnti del pensiero democratico internazionale”, come argomentava Gruppi, ma piuttosto il metodo marxista, che consente di indagare le ragioni e il ruolo sociale della cultura, il “solo modo per coglierne la storicità e la direzione ideale”. Obiettivo, scrive Rossanda, che era proprio anche di Gramsci, il quale “scomponeva dall’interno un fenomeno culturale”, non già con intento filologico, ma certo di trovarvi i fondamenti della realtà sociale. Passando dal metodo al merito, Rossanda osserva che la complessità della contemporaneità, con particolare riferimento agli sviluppi del neocapitalismo, che ha mostrato le maggiori criticità nella conflittualità operaia al Nord, debba costituire il principale terreno di un’analisi critica marxista, attraverso “un’illimitata apertura alla realtà”.

A partire dal 1956, una parte di intellettuali marxisti, sebbene minoritaria, riscopre il pensiero di Antonio Gramsci e lo approfondisce in maniera originale, al di fuori dell’interpretazione costruita da Palmiro Togliatti e dal gruppo dirigente del Pci a

64 L.GRUPPI (Torino 1920 – Albano Laziale 2003) è stato un politico italiano. Laureatosi in filosofia nel 1943, si iscrive al Partito comunista italiano clandestino, dopo un'iniziale militanza in Giustizia e Libertà. Partecipa alla Resistenza nelle file dei GAP e, dopo il 25 aprile, è nominato responsabile della Commissione giovanile della Federazione comunista torinese. Ricopre successivamente le più alte cariche nel Partito (Responsabile della Federazione e capogruppo in consiglio comunale a Torino, membro del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo, direttore dell'Istituto di studi comunisti). Autore di numerosi contributi su Rinascita e Critica marxista, raccolse una nutrita biblioteca lasciata dagli eredi al Centro di documentazione presso la Biblioteca San Giorgio di Pistoia. Tra le sue opere principali, si ricordano: Socialismo e democrazia: la teoria marxista dello stato (1969), Il pensiero di Lenin (1970), Il concetto di egemonia in Gramsci, Roma (1972), Togliatti e la vita italiana al socialismo (1974), Socialismo e democrazia, (1978).

65 R.ROSSANDA, Marxismo e storicismo, in “Rinascita”, numero 13 novembre, 1965. Dal medesimo articolo sono tratte anche le citazioni successive.

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partire dalla Liberazione. I principali punti di dibattito sono costituiti dall’omissione della tematica consiliare e, in secondo luogo, dalla critica all’approccio eccessivamente storicistico. Il dato più interessante è l’emergere di una lettura alternativa di Gramsci che conoscerà grande fortuna soprattutto nel corso degli anni Sessanta e Settanta, incentrata, come ha scritto Perry Anderson, “sul ruolo chiave assegnato ai consigli di fabbrica”66, protagonisti degli scritti di Gramsci pubblicati sull’Ordine Nuovo. In essi, si tendeva a contrapporre l’azione autonoma e spontanea dei lavoratori all’azione organizzata attraverso la mediazione del partito, che sarà propria dei Quaderni. La riscoperta del Gramsci consiliare sarà profondamente influenzata dal contesto storico del 1968-1969, nonostante un’interpretazione “ufficiale” sempre uguale a sé stessa.

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Capitolo III