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La critica alla tecnica da Calvino a Sartre

All’interno del Partito Comunista Italiano, infatti, soprattutto a partire dal fatidico 1956, si diffonde una crescente inquietudine a proposito dell’automazione, che trova espressione nella produzione culturale e artistica di molti intellettuali militanti. Un esempio significativo del clima culturale di quegli anni è costituito dalla trilogia I

nostri antenati di Italo Calvino. In particolare, tra i personaggi del Visconte dimezzato10, in cui si raccontano le fantastiche avventure di Medardo di Terralba,

spicca la figura di Mastro Pietrochiodo, il carpentiere, che fabbrica forche e strumenti di tortura per ordine del visconte. Nonostante sia un uomo ispirato da valori fondamentalmente positivi, la passione totalizzante per il suo lavoro lo spinge a progettare e costruire attrezzi sempre più feroci, dolorosi, complicati e tecnicamente perfetti. Calvino scrive, a proposito della genesi del suo romanzo:

Dimidiato, mutilato, nemico a sé stesso è l’uomo contemporaneo. Marx lo disse alienato, Freud represso, uno stato di antica armonia è perduto, si aspira ad una nuova completezza. Il nocciolo ideologico-morale che volevo dare alla storia era questo. Ma più che lavorare ad approfondirlo sul piano filosofico, ho badato a dare al racconto uno scheletro che funzionasse come un ben connesso meccanismo e carne e sangue di libere associazioni d’immaginazione lirica.11

Il cavaliere inesistente12, l’ultimo della trilogia, rappresenta il punto più estremo della

riflessione di Calvino circa l’alienazione dell’uomo contemporaneo. Protagonista della storia è Agilulfo, nobile paladino senza paura e senza macchia, vestito di una candida armatura. Un eroe che però non c’è, perché, aprendo la visiera del suo elmo, non si vede che una scura cavità metallica perfettamente vuota. Il personaggio è il

10 Cfr. I.CALVINO, Il visconte dimezzato, Einaudi, Torino, 1952.

11 Cfr. I.CALVINO, Postfazione ai “Nostri Antenati”, in M. Barenghi e B. Falcetto, Romanzi e racconti, Milano, Mondadori 1991-1994.

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prototipo dell’individuo che ha cessato di esistere, privo di rapporti o contatti con la società e con il mondo circostante, capace ormai di reagire solo secondo schemi e precetti predefiniti. L’idea di creare un personaggio che simboleggiasse l’alienazione contemporanea si sviluppa lungamente nello spirito dello scrittore: un’armatura che cammina, combatte e adempie scrupolosamente ai compiti che gli vengono assegnati, ma che dentro è assolutamente vuota, è un uomo automatico, una specie di robot che nel romanzo vive ai tempi di Carlomagno e dei suoi prodi. Senza sentimenti, pareri o rivolte, il Cavaliere inesistente è il più complesso dei personaggi della trilogia.

Dalla formula Agilulfo (inesistenza munita di volontà e coscienza) - dice lo scrittore - ricavai con un procedimento di contrapposizione logica, (cioè partendo dall’idea per arrivare all’immagine e non viceversa come faccio di solito) la formula esistenza priva di coscienza, ossia identificazione generale col mondo oggettivo: e feci lo scudiero Gurdulù. Questo personaggio non riuscì ad avere l’autonomia psicologica del primo. E ciò è comprensibile, perché di prototipi di Agilulfo se ne incontrano dappertutto mentre i prototipi di Gurdulù si incontrano solo nei libri degli etnologi. Questi personaggi, uno privo di individualità fisica, l’altro d’individualità di coscienza, non potevano sviluppare una storia; erano semplicemente l’enunciazione del tema che doveva essere svolto da altri personaggi, in cui l’esserci e il non esserci lottassero all’interno della stessa persona.13

Italo Calvino, attraverso la sua trilogia, ci offre un esempio, che funziona proprio in virtù dell’allegoria portata al grado estremo, di che cosa significhi l’alienazione: la resa dell’individuo, il suo ritirarsi dinnanzi alle responsabilità del vivere civile. L’elaborazione di Natoli affronta il tema dell’alienazione attraverso la proposizione di un’alternativa al rischio di una degenerazione totale della società che tuttavia non esclude e, soprattutto, non rifiuta lo sviluppo tecnologico: punta, piuttosto, a metterlo al servizio del lavoratore, dell’uomo.

Nel contesto del dibattito internazionale sui mutamenti individuali e sociali causati dalle trasformazioni della produzione economica, un contributo assai rilevante è costituito anche dalla conferenza che Jean Paul Sartre tiene a Roma nel 1961 su invito dell’Istituto Gramsci, dal titolo Marxismo e soggettività.14 Nella costruzione del rapporto tra il filosofo francese e il partito italiano, riveste un ruolo fondamentale Rossana Rossanda, che frequenta Sartre dai tempi di Via Borgogna e sarà promotrice dell’incontro con Palmiro Togliatti.

13 Cfr. I.CALVINO, Postfazione ai “Nostri Antenati”, cit.

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La riflessione di Sartre, a un anno di distanza dalla pubblicazione della Critica alla

ragion dialettica, costituisce, a mio avviso, un passaggio fondamentale non solo

dell’itinerario sartriano, ma anche nella definizione di un nuovo marxismo che pone al centro l’uomo. Sartre, attraverso la presentazione di singoli casi esemplificativi, dimostra come sia possibile rinnovare il marxismo dall’interno, delineando un’idea di soggettività come “universale-singolare”, prodotto della storia. Si tratta di un’innovazione rivoluzionaria, che introduce la prospettiva della soggettività nel marxismo, innescando una serie di effetti etici e politici dirompenti: Sartre affronta il tema della soggettività prendendo definitivamente le distanze dall’oggettività totale di Gregory Lucaks15 e da ogni altra interpretazione del marxismo come panoggettivismo. Secondo il filosofo francese, è necessario ripartire dai testi giovanili di Marx e dalla definizione dell’uomo totale mediante una dialettica a tre termini: bisogno, lavoro, godimento.16 I tre caratteri sono interpretati, da una parte, come il legame tra l’uomo e il mondo materiale che lo circonda, dall’altro come un “in per sé” del tutto inconsapevole. La soggettività, infatti, si riconosce in situazione, cioè attraverso l’”atto-praxis”, che è definita al tempo stesso come azione e come conoscenza. Come scrive Sartre, “l’azione produce la sua stessa chiarificazione”.17 È importante sottolineare che il soggettivismo di Sartre ha uno strettissimo legame con la dimensione sociale, dal momento che si configura come la proiezione del singolo nella realtà storica, come il soggetto che agisce in un contesto sociale: coscienza individuale è anche coscienza di classe, così come singolare è anche universale. Una seconda e significativa peculiarità del pensiero di Sartre è l’evidente accento hegeliano del movimento di esternalizzazione, del “rientro in sé” e della successiva, nuovo riaffacciarsi dell’individuo verso l’esterno, l’altro da sé. “Così constatiamo

15 G.LUCAKS (Budapest, 13 aprile 1885 – Budapest, 4 giugno 1971) è stato un filosofo, sociologo, politologo, storico della letteratura e critico letterario ungherese. La sua opera filosofica si è posta nell'orbita di una riformulazione antidogmatica ed umanistica dell'ideologia marxista, sviluppando con originalità il metodo del materialismo dialettico ed il concetto di alienazione dell'uomo nella società capitalistica, esercitando così, soprattutto con il suo Storia e coscienza di classe (1923), una profonda influenza sullo sviluppo del pensiero degli esistenzialisti francesi e degli studiosi della cosiddetta Scuola di Francoforte.

16 J. P. SARTRE, Marxismo e soggettività. La conferenza di Roma del 1961, cit., p.21.

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che, nel corso della lotta, il momento soggettivo, come modo d’essere all’interno del momento oggettivo, è assolutamente indispensabile allo sviluppo dialettico della vita sociale e del processo storico”.18

La conferenza del 1961 riveste un’importanza significativa per gli sviluppi del dibattito sul marxismo in Italia, perché, come è possibile evincere dalle parole di Sartre, affronta il nodo principale che divide le elaborazioni del marxismo occidentale da quello orientale ortodosso, ovvero la distinzione tra materialismo storico e materialismo dialettico. L’approccio di Sartre alla soggettività, oltre a far discutere i più importanti intellettuali italiani, Enzo Paci, Cesare Luporini19, Galvano della Volpe e Lucio Colletti20, incide profondamente anche sulla elaborazione politica del Pci, nel corso degli ultimi anni della segreteria di Palmiro Togliatti. Gli effetti di lungo periodo del trauma vissuto nel 1956, il riaccendersi del dibattito sul marxismo da una parte, e la ricerca di una “via italiana al socialismo” dall’altra, avevano condotto progressivamente il partito italiano ad allontanarsi da Mosca e ad accettare nella sostanza la democrazia occidentale, pur nel quadro di soluzioni politiche finalizzate a rovesciare il sistema capitalista. Il contesto politico e culturale del Pci favorisce l’incontro e l’avvicinamento, nei primissimi anni Sessanta, tra l’umanesimo marxista di Sartre, che nel frattempo aveva rotto in maniera irrimediabile i rapporti con il partito comunista francese, ancora fortemente filosovietico, e la strategia politica elaborata da Palmiro Togliatti. A partire dal primo incontro tra i due,

18 Ivi, p. 32.

19 C.LUPORINI (Ferrara 1909 - Firenze 1993) Filosofo e docente dal 1956 presso l’Università di Cagliari, dal 1960 di Pisa e in seguito di Firenze; uno dei promotori, poi direttore, della rivista Società; senatore comunista dal 1958 al 1963. La sua attività teoretica, dapprima sotto l'influsso dell'esistenzialismo (Situazione e libertà nell'esistenza umana, 1942), dopo un periodo di studio di alcuni momenti del pensiero europeo fra Settecento e Ottocento, si è infine volta all'approfondimento critico della teoria marxista, evidenziando il suo essere scienza di forme e insistendo sul valore delle opere mature di Marx. Molti i suoi studî storici: La mente di Leonardo (1953), Voltaire e le "Lettres philosophiques" (1955), Spazio e materia in Kant (1961).

20 L.COLLETTI (Roma 1924 - Venturina, Livorno, 2001) ha insegnato filosofia della storia all'Università di Salerno e dal 1972 filosofia teoretica all'Università di Roma. È autore di numerosi lavori sul marxismo teorico (Il marxismo e Hegel, 1969; Ideologia e società, 1969). Rifacendosi alle indicazioni metodiche di G. Della Volpe, ha svolto un'interpretazione di Marx che vede nella sua opera essenzialmente una sociologia della società borghese moderna che avrebbe ben poco in comune con la dialettica di Hegel. In seguito, correggendo il primo punto di vista, ha individuato invece un elemento di continuità fra Hegel e Marx nel concetto di "contraddizione dialettica", concetto estraneo alle scienze empiriche, le quali si occupano invece di "opposizioni reali" od opposizioni "senza contraddizione": di qui la tesi che il nucleo metodico centrale dell'opera di Marx è estraneo al pensiero scientifico. Altre opere: Tra marxismo e no (1979); Tramonto della ideologia (1981); La logica di Benedetto Croce (1993); Fine della filosofia e altri saggi (1996).

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organizzato da Rossana Rossanda nel 1961, fino al 1964, anno della scomparsa di Togliatti, i rapporti tra il filosofo francese e il segretario comunista italiano si intrecciano saldamente, come dimostra la presenza di Sartre alle conferenze promosse dall’Istituto Gramsci e gli articoli affidati alle pagine di Rinascita21. Inoltre, proprio nel 1964, gli Editori Riuniti pubblicano Il filosofo e la politica22, un’ampia antologia

dei testi sartriani dedicati alla politica europea. Nel corso dei primi anni Sessanta, quindi, Sartre è a tutti gli effetti un interlocutore privilegiato del Pci, al quale lo lega l’obiettivo di pensare un nuovo marxismo che potesse in qualche modo rispondere alle sfide del mondo contemporaneo, sottraendosi al ferreo controllo dogmatico esercitato dall’Unione Sovietica. Tuttavia, dopo la morte di Togliatti, il dialogo tra Sartre e il partito italiano si interrompe e ricomincerà, come avremo modo di vedere, con il gruppo dirigente de Il Manifesto dopo i fatti del 1968, a partire dal presupposto comune della necessità di una revisione profonda della natura e dell’organizzazione del partito. Nonostante il filo con il Pci si spezzi, rimane, tuttavia, da considerare la disponibilità del suo segretario nazionale ad aprirsi al confronto con la cultura e con la filosofia europee: alla morte di Togliatti, Sartre non nasconde la propria ammirazione per l’uomo e per il politico italiano.

Sono uno straniero e tuttavia sento il lutto dell’Italia come il mio lutto. La singolarità del vostro partito saltava agli occhi. Lo amavamo. Ho capito alla fine che quanto amavo soprattutto in quel partito era Togliatti.23

3.4 La genesi della rottura: i convegni sulle tendenze del capitalismo italiano