• Non ci sono risultati.

Rossana Rossanda e il dibatto su cultura e politica

“Riteniamo soddisfacente l’elaborazione svolta in questi ultimi dieci anni dei temi attuali della nostra cultura alla luce del marxismo?”30 si chiede Rossana Rossanda a proposito di una delle principali questioni che animano il dibattito della sinistra nel 1956, il rapporto tra cultura e politica.

29 Ivi, p. 181.

30 R.ROSSANDA, La ricerca e la politica, in G.VACCA, Gli intellettuali di sinistra e la crisi del 1956, cit. p. 182.

44

Rossana Rossanda nasce nel 1924 a Pola, una terra di frontiera nella quale vive una quotidianità plurilingue, in una famiglia che aveva un’idea della convivenza non nazionalista. A Milano è una brillante allieva di Antonio Banfi e, giovanissima, partecipa alla Resistenza. Dopo la fine della guerra, aderisce al Pci, diventando una funzionaria a tempo pieno della Federazione milanese. A partire dal 1949-1950 si occupa della Casa della cultura, dove le tensioni di partito si erano già distintamente avvertite prima del 1956, con il caso de Il Politecnico prima e poi con lo scontro tra Antonio Banfi e il Comitato Centrale, che aveva portato alla chiusura di Studi

Filosofici, una rivista ispirata allo spirito razionalista e critico banfiano, aperta

costantemente al dialogo con le altre correnti del pensiero contemporaneo. “Sulla discriminante ortodossia di partito e libertà di ricerca si intrecciò quella fra una cultura del Nord e una del Sud il cattaneismo lombardo, l’interesse per Husserl o Sartre o casa Einaudi piuttosto che il famoso asse De Sanctis Labriola Croce e Gramsci”31, scrive Rossanda a proposito dell’ambiente intellettuale che eserciterà una notevole influenza sulla sua formazione culturale e filosofica.

L’articolo La ricerca e la politica costituisce l’esempio paradigmatico di un approccio fortemente legato al razionalismo critico, dal momento che in esso Rossanda sostiene che il principale limite del marxismo nella cultura italiana risiedesse nella scarsa considerazione da parte degli studiosi nei confronti della fenomenologia e del processo di sviluppo della società capitalista, ritenuti dall’autrice il nucleo più promettente del pensiero di Marx. Gli intellettuali, secondo Rossanda, non sarebbero cioè stati in grado di produrre “un’elaborazione rigorosa dei contenuti attuali, e mutevoli, della nostra società e in un riesame sistematico della nostra storia”32, attraverso la quale analizzare le leggi strutturali dell’attuale società italiana.

Il problema del mutare del capitalismo, la trasformazione di certi aspetti delle classi, la validità delle leggi fondamentali dello sviluppo capitalistico, la questione della pauperizzazione, le contraddizioni, il problema della formazione del profitto nella trasformazione tecnica dell’impresa. [..] Di fronte a questi

31 R.ROSSANDA, Di sera si andava in via Borgogna, in Cinquant'anni di cultura a Milano, Skira, Milano, 1996, p. 53.

45

temi si tratta di dire, con un atto di ragione e non con una dichiarazione di fede, se l’analisi di Marx è valida o no”.33

Il punctum dolens, secondo Rossanda, è quindi l’assenza di un’elaborazione originale, capace di superare la tradizionale lotta ideologica al capitalismo e all’”oscurantismo cattolico”34, su cui si sarebbe fondamentalmente incentrata l’attività culturale del Pci.

Per quanto riguarda il rapporto tra intellettuali e partito, tra cultura e politica, Rossanda sostiene che, nell’ambito di una visione marxista deterministica per la quale il partito si muove sulla base di una teoria scientifica dello sviluppo e dell’interpretazione della realtà, non può esistere alcuna contraddizione tra ricerca e politica, risolvendo così, ab imis fundamentis, il problema dell’impegno politico degli intellettuali, al centro di un’accesa discussione in cui si erano contrapposte le tesi liberali, quelle socialiste e comuniste.

Norberto Bobbio, in una serie di saggi raccolti nel 1955 nel volume Politica e cultura, edito da Einaudi, aveva definito la politica della cultura come “la politica degli uomini di cultura in difesa delle condizioni di esistenza e di sviluppo della cultura”35, provvista di una funzione di “guida spirituale della società in un determinato momento storico”.36 Si tratta di un’impostazione fondata sul massimo grado di apertura verso posizioni filosofiche e ideologiche differenti, volta a promuovere il dialogo tra tutti gli uomini di cultura, chiamati al confronto su temi comuni. In quest’accezione, il fine principale del lavoro intellettuale, secondo il filosofo torinese, è la difesa e la promozione del libero sviluppo della cultura dal tentativo di pianificazione culturale da parte della politica. La politica della cultura, scrive Bobbio, è possibile solo laddove le “istituzioni strategiche della libertà”37 sono poste

33 R.ROSSANDA, La ricerca e la politica, in G.VACCA, Gli intellettuali di sinistra e la crisi del 1956, cit., p. 186.

34 Ivi, p.185.

35 N.BOBBIO, Politica e cultura, Einaudi, Torino, 1955, p.37.

36 N.BOBBIO, Politica e cultura, cit., p.35.

46

in salvaguardia, dal momento che la libertà, intesa come non-impedimento, è il valore imprescindibile per lo sviluppo della cultura. Il più “temibile” tra gli impedimenti immateriali è, secondo l’autore, il dogmatismo, responsabile di creare zone di chiusura e di silenzio, in cui dilagano l’intolleranza e la mancanza di spirito di critico. Bobbio, sull’onda del manifesto diramato dalla Società europea della cultura, sostiene quindi convintamente le ragioni della cultura libera e del colloquio contro il dogmatismo, la cultura politicizzata e la cultura apolitica.

La replica di Ranuccio Bianchi Bandinelli, archeologo e storico dell’arte iscritto al Pci, che dialogava con Bobbio su questi argomenti in forma privata già dal 195138, argomenta contro il principio liberale, sostenendo come anche nei regimi liberal- democratici si persegua una politica della cultura, limitando, di fatto, la libertà degli intellettuali. Il concetto di libertà borghese come “libertà di pochi” è il presupposto da cui muove anche Palmiro Togliatti – in particolare nel già citato articolo pubblicato su Rinascita nel 1954 a firma Roderigo di Castiglia39- per sostenere le ragioni dell’impegno degli intellettuali comunisti, sulle quali il segretario nazionale aveva costruito l’intera politica culturale del Pci, a partire dal 1944. Secondo Togliatti, l’obiettivo principale del partito è quello di coinvolgere il più ampio numero possibile di intellettuali per creare un fronte di cultura progressiva, dotato di una “sua solidità e una sua coerenza interna e che non può avere altro asse ideologico che non sia il marxismo”40: si presuppone, quindi, l’inscindibilità di politica e cultura all’interno della dimensione partitica. Tra i due poli opposti e inconciliabili, rappresentati dal pensiero liberale e quello marxista, si inseriscono infine le tesi di matrice socialista di Roberto Guiducci, urbanista e sociologo di stampo olivettiano, e con lui di Franco Fortini, Luciano Amodio, Gianni Scalia, Franco Momigliano, Sergio Caprioglio, Alessandro Pizzorno e anche di Raniero Panzieri. Le elaborazioni di questo gruppo41

38 F.SBARBERI, Introduzione, in N.BOBBIO, Politica e cultura, Einaudi, Torino, 2005.

39 R.DI CASTIGLIA, In tema di libertà, cit., pp. 733-736.

40 Testo dell’intervento di Palmiro Togliatti alla riunione della commissione culturale nazionale, riportato da A.VITTORIA, Togliatti e gli intellettuali. La politica culturale dei comunisti italiani (1944-1964), cit., p.96.

41 Il gruppo di intellettuali marxisti darà vita, nel 1955, a Ragionamenti, una rivista bimestrale di carattere politico e culturale, con l’obiettivo principale di sprovincializzare la cultura italiana aprendo alla filosofia di

47

sono esposte nel pamphlet dello stesso Guiducci, dal titolo Sul disgelo e sull’apertura

culturale42, e in una serie articoli apparsi tra il 1954 e il 1956 sulle riviste Nuovi

Argomenti, Questioni e Ragionamenti. Il gruppo critica l’impostazione del rapporto

tra partiti operai e intellettuali, così come esso si era definito in Unione Sovietica e in Italia, che avrebbe condotto a una crisi culturale e politica complessiva, individuata nello scollamento esistente tra “il blocco storico della sinistra” e l’ingente portata delle trasformazioni economiche, sociali, politiche e filosofiche del decennio appena trascorso. Secondo Guiducci, il Pci aveva suppost “un avversario pressoché immutabile e statico, anzi, in continua involuzione, alla vigilia di una crisi”.43 La via d’uscita alla crisi culturale, sostiene Franco Fortini, poeta e critico letterario, è l’avvio di una nuova organizzazione della cultura marxista, autonoma, al di fuori dell’ambito dei partiti, in grado di contrapporre una nuova strategia socialista al neocapitalismo. Il nesso cultura-politica, si risolve dunque principalmente nella coincidenza del concetto di “nuova cultura” con quello di “nuova organizzazione”, elaborata dagli stessi intellettuali autonomamente riuniti in quella che poteva essere un’accademia delle scienze oppure una federazione degli intellettuali.44

Come è possibile notare, le tesi di Rossanda, sebbene saldamente ancorate al marxismo, si discostano sensibilmente dal giudizio di Togliatti, dal momento che in esse si esprimeva una critica di fondo sul “baratro” che separava il partito “dalla realtà in movimento, anche sul piano culturale” 45, denunciato peraltro, pur con sfumature differenti, da Luciano Barca, Paolo Spriano, Bruzio Manzocchi, Aldo Natoli, Italo Calvino, Ludovico Geymonat, Antonio Banfi e Cesare Luporini.